lunedì 20 luglio 2009

"SMART POWER" DI OBAMA IN CENTROAMERICA: POLIZIOTTO BUONO E POLIZIOTTO CATTIVO. Il golpe per riprendersi l'America Latina che imbarazza i sinistri.








Uomini avidi e feroci, insoddisfatti della loro condizione, sono anche uomini che ambiscono al comando militare e sono portati a provocare e prolungare le ragioni delle guerre, a innescare scontri e sedizioni. Giacchè non esiste onore per il militare che nella guerra, né speranza di aggiustare qualcosa che non va se non provocando nuovi sconvolgimenti.
(Thomas Hobbes, Leviatano, Parte 1, capitolo 11)

Ho un’idea grave della stampa. E’ il tappetino sotto il letto della democrazia.
(A.J. Liebling)
Nulla è più facile dell’autoinganno. Perché ciò che un uomo desidera, lo ritiene anche vero.
(Demostene)

Finchè la gente crede in assurdità continuerà a commettere atrocità.
(Voltaire)

Notiziola sinistra 1. Per giorni dopo il colpo di Stato fascista in Honduras, la stampa sinistra (e sappiamo di chi parliamo) ha dedicato a questa controffensiva imperialista in America Latina trafiletti dalle 8 alle 12 righe. Il resto della pagina magnificava gli ultimi sussulti della rivoluzione yuppie a Tehran. Nessuna menzione della notizia, del tutto credibile alla luce della tradizione, che i servizi segreti israeliani avrebbero complottato con l’opposizione iraniana (I Mujaheddin del Popolo, oggi mercenari degli Usa) per uccidere il presidente Mahmud Ahmadinejad, già complice degli USraeliani nel massacro dell’Iraq, ma ora rivale da nuclearizzare per l’egemonia nella regione. Sinistri e destri italioti hanno praticato il silenzio-assenso.
Notiziola sinistra 2. Sul “manifesto” (e dove se no) appare una manchette della rivista bertinottian-fagioliana “Left”. Il Capo dello Stato ha appena firmato il passo più lungo verso lo Stato di mafio-polizia fatto dal governo con il Pacchetto Sicurezza: reato di clandestinità e ronde. Siamo al modello Iraq: criminalizzazione e sterminio dei sunniti (qui migranti e non omologhi), milizie di ras locali a persecuzione dei diversi e alla frantumazione del paese nella corsa al bottino. Ma “Left” ritiene che tutto questo meriti inni, osanna, standing ovations e dedica tutto il suo numero a quello che “Obama ha definito un grande leader” (e non ti pareva) e che “Left” definisce “l’unica difesa della nostra democrazia: ecco chi è il presidente Napolitano”. Mi cojioni!
Notiziona tout court: Tito Stagno riesumato, celebrazioni, ovazioni, commozioni, grande promozione yankee, per l’anniversario della truffa nixoniana del “primo uomo sulla luna”, di portata di poco inferiore a quella paolina di Gesù e a quella bushiana dell’11 settembre. Chi parla più dell’ ”inconveniente” Honduras, o dell’organizzazione con licenza di torturare e uccidere di Cheney e Cia che Obama caccia sotto il tappeto? Sulla luna non ci è mai arrivato nessuno. Troppo tardi la Nasa si è accorta delle fotoelettriche all’orizzonte delle riprese lunari che, oltre tutto, rovesciavano le ombre degli “astronauti” in direzione contraria a quella del sole. Di queste prove ce ne sono decine e tutte documentate in ampia letteratura. Ma, come sulle Torri Gemelle e sull’Obama del “cambio”, è più comodo navigare nel flusso.

Non importa se, come alcuni speculano, ansiosi di non interrompere il processo “Obama, santo subito!”, il presidente degli Stati Uniti, troppo preso dalle sue mattanze in Af-Pak (“Il manifesto” le chiama Exit strategy) e dal suo sostegno a nazisionisti e color-rivoluzionari qui e là, sia stato tenuto all’oscuro del golpe dei suoi gorilla honduregni. Personalmente non credo che, dopo guerre, immunità ai torturatori, conferma del massacro delle libertà civili da questo Zio Tom con gli artigli concesse ai presunti congiurati neocon, John McCain e Hillary Clinton in testa, costoro abbiano potuto e voluto aggirarlo su una questione così strategica per gli Usa. Dopotutto chi ha messo al loro posto i sicuri mandanti diretti del golpe, direttamente in controllo di tutti i corrispondenti apparati honduregni: il ministro della difesa, Gates, il capo della Cia, Panetta, la capa del Dipartimento di Stato Clinton? E da questi suoi fiduciari massimi si sarebbe lasciato trappolare?

Roba da dimissioni immediate per inettitudine politica e sputtanamento pubblico, o da messa alla porta dei presunti colpevoli (di alto tradimento!) di un tentativo di sostituire allo smart power (potere brillante) diplomatico-militare dell’ “uomo della svolta”, il vecchio sistema Usa delle operazioni sporche, dei colpi di Stato, delle mazzate militari. Del resto non era, Obama, chiassosamente dietro a qualcosa di molto simile a un golpe come la jacquerie borghese iraniana, la guerra al governo di Hamas a Gaza e tramite Abu Mazen, il ricatto al presidente pakistano : O massacri la tua gente Pashtun, ribelle al dominio Usa, o ti freghiamo le atomiche e ti tagliamo i viveri ? C’è forse ancora autodeterminazione in Pakistan? Non fa molta differenza che Obama si sia fatto gabbare (o abbia fatto finta), o che sia stato il mandante diretto dei fascisti honduregni. Nel primo caso è uno sprovveduto flaccidone che non ha saputo imporre la presunta autorità del presidente degli Stati Uniti. Nel secondo è quello che tutti, tranne i sinistri, sanno. In ogni caso, di questo presidente taumaturgo e onnipotente si è parlato fin troppo e a vanvera. Qualsiasi cosa faccia o non faccia, rimane appeso ai fili dei burattinai di Wall Street, delle corporations e del Pentagono e, nel caso dell’Honduras, dei predatori agroalimentari, armaioli e farmaceutici che da un secolo stanno attaccati alla giugulare di quel paese. In questo caso per ammazzare l’Honduras si è scelto il classico del poliziotto buono e di quello cattivo. Da un lato le operazioni sporche e il colpo militare, dall’altro la diplomazia, le cortine di fumo, la simmetria del cicaleggio sul “dialogo”. Straparlare di Obama, per la spinta di pancia che ai sinistri e non fa sempre cattolicamente sognare il “capo buono e onnipotente”, ideale per deleghe deresponsabilizzanti, significa sparare a un “falso scopo” e occultare il bersaglio vero. “Il governo è il reparto intrattenimento del complesso militar industriale", diceva Frank Zappa.

Ma per inserire Obama nel complotto teso a schiavizzare e spremere fino al midollo il popolo honduregno e, a seguire, tutti gli altri divergenti o disobbedienti dell’America Latina, i motivi e i fatti ci sono. Anche se “il manifesto”, sbilanciatosi oltre ogni contegno e lucidità a favore dell’ “uomo del cambio” e ammucchiate sotto il tappeto le migliaia di civili afgan-pakistan da lui polverizzati, l’aumento del bilancio militare, il salvataggio dei banchieri briganti, tenta di esimere il suo idolo nero addossando la mossa honduregna per intero ai cattivoni post-bushiani che lo avrebbero incastrato nel fatto compiuto. Un po’ come quel fantoccio-gangster di Saakashvili quando volle tirarsi dietro gli Usa nell’attacco all’Ossezia. O come Netaniahu con gli espropri e le colonie a Gerusalemme, “eterna capitale unita di Israele”, a dispetto delle perorazioni obamiane di non “allargarsi”. Fosse anche vero, e non credo lo sia, tutto quello che hanno fatto la coppia Obama-Clinton dal giorno dopo il golpe li rende responsabili della sua riuscita e del suo consolidamento. Obama, al di là di deplorare una indistinta “violenza” (di tutte le parti) e auspicare il ripristino dell’ordine costituzionale e il dialogo tra assassino e vittima, con una simmetria drasticamente asimmetrica che ricorda quella tra Stato ebraico e Stato palestinese, NON ha definito ufficialmente golpe il golpe. Di conseguenza NON ha applicato una legge che, come ha subito fatto Chavez con il petrolio, imporrebbe il taglio immediato di tutta l’assistenza economica e militare all’Honduras, taglio che farebbe crollare il regime come un castello di carte. NON ha interrotto la collaborazione tra il Pentagono e le forze armate honduregne. NON ha ritirato l’ambasciatore USA. NON ha pronunciato la minima condanna o presa di distanza dai crimini dalla repressione successivi al golpe: rapimenti, uccisioni, sparizioni, fuoco sui manifestanti, blocco di internet e chiusura dei piccoli media critici. Ha rifiutato ripetutamente l’incontro con Zelaya. Non ha mai smentito il superfalco Hillary Clinton nella sua affermazione che non si tratta di golpe e che “vanno considerati entrambi gli aspetti della storia”. NON ha mai preteso il ritorno di Zelaya alla presidenza. NON ha affermato che non c’era niente da negoziare tra golpisti e destituiti, ma ha consentito, con la truffa della “mediazione” del fantoccio costaricano Oscar Arias, Premio Nobel per meriti analoghi a quelli di Kissinger, Begin, Sadat, che la cricca di Tegucigalpa guadagnasse tempo e implicitamente si consolidasse. Magari fino ad avvicinarsi alla scadenza di novembre, quando una nuova elezione del Capo di Stato spariglierebbe l’intera partita costituzionale e le elezioni, in presa diretta golpista, potrebbero essere manipolate alla messicana. NON ha trovato nulla da ridire quando la costola della Lega in Honduras ha nominato suo vice – ministro della Presidenza - nientemeno che un vecchio serial killer delle campagne genocide di Reagan in Centroamerica: Billy Joya.

Niente poteva essere più indicativo della direzione impressa al loro progetto dai golpisti e dai loro mandanti Usa che la scelta del fidato, esperto, Billy Joya. A capo di due squadroni della morte, B3-16 e “Lince” dal 1984 al 1991, l’ex-borsista di Pinochet e istruttore dei generali argentini venne accusato di una serie agghiacciante di assassini, stragi, torture. Fu salvato per grazie della normalmente fascisteggiante Chiesa Cattolica honduregna e sistemato al Collegio San José de los Sagrados Corazones di Siviglia. L’uomo giusto al posto giusto, specie se si pensa alla sua rinnovata partnership con elementi come John Negroponte, inventore e duce di squadroni della morte propri lì, ai tempi dei Contra, e poi in Iraq, e il terrorista mafiocubano Otto Reich, assurto al rango di sottosegretario agli affari latinoamericani, entrambi incaricati dall’amministrazione Obama di occuparsi della cosa. Auguriamoci che la promessa del presidente rapito e espulso di rientrare nel paese in tempi ravvicinati, per insediare in zona sottratta alla giunta il suo governo legittimo, possa realizzarsi. Ciò costringerebbe la vasta compagnia dei deprecatori del golpe, dall’Assemblea dell’ONU all’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), da organismi internazionali come FMI e BM ai numerosi governi che hanno ritirato gli ambasciatori, a marcare il punto e boicottare come fuorilegge il regime del bergamasco Micheletti (chissà gli orgasmi intanto procurati ai suoi corregionali ed emuli verdi). Sarà divertente vedere come gli Usa si trarrebbero d’impiccio.

In campo ci sono ora due debolezze e due forze. Una debolezze è la “mediazione” imposta allo spodestato Manuel Zelaya, con il corredo di compromessi a perdere (amnistie per tutti, governi di unità nazionale...) che traspirano dalle mene di Arias, la dove non c’era assolutamente niente da mediare, nella speranza che Zelaya si riduca a un Abu Mazen qualsiasi, ritirando le misure per i poveri (sanità, scuola, salari, latte ai bambini, elettricità ai vilaggi) e le intese con gli Stati progressisti (ALBA, Petrocaribe) e abbandonando la chimera di tagliare le unghie all’oligarchia e alle corporations Usa con una nuova costituzione. Costituzione progressista che, sull’esempio venezuelano, boliviano, ecuadoriano, ridesse sovranità a questa marca Usa, vita e diritti a un popolo depredato e insanguinato più e per più tempo di qualsiasi altro nel continente. Di fronte c’è la debolezza di una giunta scaturita da una sedizione di militari, usciti dalla stessa base in cui è collocato il comando Usa per l’America Centrale (Soto Cano), che è stata condannata e isolata dall’intera comunità latinoamericana. Governi rivoluzionari, progressisti, socialdemocratici e liberali hanno tutti condannato il golpe e preteso il reinsediamento di Zelaya, ben sapendo che gli Usa possono cambiare faccia al manichino nella vetrina della Casa Bianca, ma che, a dispetto di distrazioni temporanee, la politica dei bottegai di quel paese non cambia da duecento anni. E dunque dal successo o insuccesso del golpe ne può domani andare anche della loro pelle.

La forza in campo più importante è il popolo dell’Honduras che, dal 28 giugno, non ha smesso un giorno di manifestare. In centinaia di migliaia nel paese dai 7,5 milioni di abitanti (60% senza lavoro e sotto il dollaro al giorno), continuano a sfidare truppe e polizia, anche con il rinnovato coprifuoco (segno di crisi per la giunta), beccandosi ripetute fucilate e registrando un numero di morti e, soprattutto, di desaparecidos tra i leader della lotta, che nessun mezzo d’informazione o organo ufficiale si preoccupa di contare. Qui ci si dilania le vesti per l’uccisione in Cecenia dell’erede della giornalista filo-Usa e amica di Eltsin, Politovskaja, Natalia Estemirova (subito attribuita a Mosca a dispetto del fetore di provocazione Cia-Mossad), intima amica, come già la padrina, dei mezzi d’informazione occidentali di destra e oggi pianta rumorosamente da apripista delle destabilizzazione come le congreghe mediatiche prezzolate, i Radicali e Reporters Sans Frontieres del manutengolo Cia Robert Menard. E per la ragazza iraniana Mena, fatta martire “verde” nonostante sia stata uccisa da ignoti, lontana dagli scontri, mentre era in compagnia di associati Cia, si è strappato i capelli il mondo. Ma chi ha menzionato anche solo il fatto, se non il nome, di Isis Obed Murillo, ferito mortalmente dagli sgherri honduregni, di cui pure le foto sono apparse su tutti i giornali e in tutte le tv dell’America Latina? Neanche mezzo fiato enfisematoso viene sprecato per la chiusura in Honduras di tutti i giornali non golpisti e l’azzeramento dell’etere per ogni trasmissione non disciplinata, o per i giornalisti desparecidos denunciati dal neocostituito Fronte Nazionale di Resistenza.

L’altra forza sarebbe, appunto, l’isolamento internazionale, le sanzioni già adottate e forse a venire, e la pronuncia dei 192 paesi dell’Onu (a quando un risveglio del Consiglio di Sicurezza ?), le pressioni, anche militanti, dei paesi vicini, il Nicaragua tra tutti (per questo subito diabolizzato dal solito Beretta del "manifesto", simpatizzangte dei golpisti) ma anche Guatemala e Salvador, che temono a ragionissima il contagio. Intanto continuano a essere bloccate, da sindacati, associazioni professionali, donne organizzate, studenti di ogni ordine, gente comune, le maggiori strade che attraversano l’Honduras e lo collegano con il Nord e con il Sud, sta per partire uno sciopero generale ad oltranza e Tegucigalpa, come quasi tutti i centri del paese, è continuamente attraversata da masse bene organizzate con la parola d’ordine “con i golpisti non c’è niente da negoziare”. Il modello è quello affermatosi negli ultimi dieci anni in America Latina. Le masse indigene boliviane, minatori dinamitardi in testa, che, scesi dalle Ande e dalle terre basse, hanno retto gli scontri e le stragi del caudillo amerikano Sanchez de Lozada. Gli studenti, professionisti, lavoratori di Quito e gli indigeni dell’Amazzonia ecuadoriana che hanno, battuto gli sbirri a pietrate, invaso il parlamento e cacciato lo sciuscià amerikano Lucio Gutierrez. Il niagara sottoproletario che, unendosi agli studenti, si è riversato dalle favelas nel centro di Caracas, assediando il palazzo di Miraflores fino a quando reparti fedeli non hanno rimesso al proprio posto il presidente rivoluzionario democraticamente eletto. Tutti, nei limiti di un esercizio di forza che quando si tratta di rivoluzioni colorate è giudicato sacrosanto oltre che legittimo, ma che nel caso che infastidisca i padroni del mondo diventa “terrorismo”, hanno trionfato semplicemende bloccando lo Stato, chiudendogli i rifornimenti e le vie di comunicazione. Impedendogli di funzionare. Bella lezione per tutti.

La linea statunitense è un continuum che assomiglia alla ripetizione negli evi, mutatis mutandis, delle puntate di Beautiful. Nel perseguire una secolare strategia colonialista, oscilla solo tra “operazioni Condor”, che ricordano l’analoga “Phoenix” vietnamita, nella quale si usano colpi di Stato, squadroni della morte, assassinii mirati, sparizioni, terrorismo e dittature militari, è il cosiddetto smart power, dove l’aggettivo sta, oltreché per “in gamba”, per “astuto”, “scaltro”, “paraculo”. Non è una novità in America Latina: cadute le dittature fasciste degli anni ’70 e ’80, si era passati alla parademocrazia delle oligarchie locali; rotta con le carneficine la resistenza popolare al brigantaggio di passo detto “neoliberismo”, sono arrivati i Menem, gli Uribe, i Carlos Andrés Peres, i Cardoso, i Lagos, insomma gli esperti di furto con destrezza, portati per mano da Fondo Monetario e Banca Mondiale. Ma smart blow significa anche “colpo micidiale”. Il tentativo di rovesciare Hugo Chavez nel 2002, di dimostrata matrice Usa, i complotti secessionisti e terroristici diretti a La Paz contro Evo Morales dall’ambasciatore Usa, poi espulso, l’analogo secessionismo di Guayaquil in Ecuador contro Rafael Correa e, due anni fa, l’attacco terroristico colombiano-statunitense contro i dirigenti FARC accampati in Ecuador, dove trattavano la liberazione della Betancourt, precedono il golpe di Roberto Micheletti come nel Cuba libre la coca-cola precede il rum. Solo che il pupazzo spaccatutto aveva fallito, mentre Obama c’è, per ora, riuscito. Smart power significa instupidirti di chiacchiere su dialogo, democrazia e diritti umani, mentre ti si mena, o si menano altri. Significa allestire catastrofi e voltarsi, corrucciati, dall’altra parte. Significa far sprigionare enormi ed eleganti volute di fumo che occultino gli arrosti di popoli e terre. In Afghanistan Obama ha raddoppiato fino a 70mila gli effettivi e ha lanciato un’offensiva tesa allo sterminio della popolazione di Helmand. In Iraq lascerà almeno 50mila nelle basi e, come “consiglieri”, in ogni anfratto dell’apparato statale, più 138mila “contractors”, delinquenti mercenari fuori da ogni legalità, tutti garanti che una sovranità vera l’Iraq dei fantocci non l’avrà mai.

La posta in gioco per coloro che hanno mandato alla Casa Bianca un nero dallo scilinguagnolo sciolto, come per tutti i corifei che gli marciano dietro in attesa di caduta di bocconcini, è enorme. Visto che si tratta dell’uomo del “cambio”, change inciso col martello pneumatico della propaganda nella coscienza di milioni di minchioni, che cambio sia, ma all'incontrario di quanto previsto: si torna alle maniere spiccie. Quelle per le quali l’Honduras è da sempre la base privilegiata per gli interventi Usa nella regione. Nel 1954 vi originò il colpo di Stato Usa contro il presidente progressista guatemalteco Jacobo Arbenz, Nel 1961 da lì fu lanciata l’invasione della Baia dei Porci a Cuba. Da lì si assaltò Grenada. Tra il 1981 e il 1989 gli Usa, con l’aiuto di Khomeini e del già allora fido premier Musavi, lì finanziarono e addestrarono 20mila “Contras” e gli squadroni della morte incaricati di macellare sandinisti, proprio con gli stessi personaggi ora riapparsi sul proscenio honduregno. Visto che la soluzione “democratica” concessa ai paesi latinoamericani non aveva soffocato le turbolenze politiche e sociali di popoli che incominciavano ad averne viste troppe e, anzi, il vulcano in risveglio stava incenerendo i presidi Usa e del Nord del mondo, c’era da rilanciare una strategia d’attacco meno inguantata. Fatte le prove in Honduras si poteva passare a provare in Salvador, dove hanno vinto gli antichi guerriglieri del “Farabundo Martì”, in Guatemala, dove c’è un presidente che pencola anche lui a sinistra e, naturalmente, a seguire, gli obiettivi grossi. Con Perù e Colombia in tasca, Argentina, Cile e Brasile che, già non un granchè socialdemocratici, ma insidiosamente gelosi della sovranità e solidali con il bubbone Cuba, paiono avviati a far vincere la destra alle prossime elezioni, restano i poco rilevanti e neanche tanto intemperanti Uruguay e Paraguay e naturalmente i quattro moschettieri nemici di Richelieu: Venezuela, Bolivia, Ecuador e Nicaragua. A quel punto circondati. E vista la tranquilla indifferenza con cui la “comunità internazionale”, sinistri inclusi, ha accompagnato il colpo di Stato che ha instaurato in America Latina un altro proconsolato fascista dell’imperialismo, fino a sperticarsi in apprezzamenti per il trucco della “mediazione tra le parti” affidata al valvassino Arias, si può prevedere che l’Honduras non resterà un caso isolato.

Il Centroamerica e i Caraibi sono il ponte della droga tra Colombia e mercato nordamericano. Quel ponte frutta dazio ed è gestito da operativi della Cia che controllano la massima parte del traffico. Si contano a dozzine i gorilla impiantati per la bisogna nelle famigerate repubbliche delle banane. Basta pensare a quel Noriega, presidente narcotrafficante del Panama sotto padrone Cia, poi messosi in capo di far di testa sua e indi prelevato e chiuso a marcire in un carcere Usa. Sono frequenti gli incidenti ad aerei delle compagnie appaltate dalla Cia che, dopo cadute o atteraggi forzati, vengono trovati zeppi di cocaina. Fu decisivo il finanziamento da Khomeini e da cocaina che la Cia smistò alla Contra per la sua guerra ai sandinisti del Nicaragua. Con il fiduciario Uribe e i suoi paramilitari in Colombia la produzione e l’export sono garantiti. Resta da assicurarsi un salvacondotto statale oltre l’istmo, verso il sicuro Messico. Quale candidato migliore al rango di narcostatarello delle banane che il derelitto e spolpato Honduras, con al centro la più grande base e il più grosso contingente Usa del Centroamerica, con una casta militare coltivata nella Scuola delle Americhe e pronta da sempre a ogni nequizia ordinata dagli istruttori Usa? Non ricorda il Kosovo sotto controllo della nuova megabase Bondsteel, oggi posto di smistamento principale dell’eroina che sotto l’occupazione Usa dell’Afghanistan è arrivata a soddisfare il 90% della richiesta mondiale? Istituti seri come L’Osservatorio Mondiale della Droga calcolavano l’utile da narcotraffico mondiale, un lustro fa, in un trilione di dollari, quasi tutto finito nella voce “utili” dei moloch finanziari Usa che, si sa, per contenere il galattico debito pubblico si venderebbero pure mamma e figli. Volete che le banche statunitensi, svuotate dalle proprie bulimie speculative, si accontentassero dei due volte 800 miliardi regalatigli da Obama e rinunciassero a quella sorgente di vita? Cosa volete che conti la democrazia dell’Honduras, non fateci ridere. Si veda dunque come la partita Honduras, tanto schizzata dalle teste d’uovo di piccione impegnate a reincollare i cocci di un ceto politico sinistro spappolato, si inserisca in uno scenario planetario di guerra dei ricchi ai poveri, tramite mafia, dittatura, invasioni, genocidi, rivoluzioni colorate, papi e pacchetti sicurezza. Per l’America Latina, l’Honduras era l’anello debole da spezzare. Forse le masse scese in campo nell’occasione dimostreranno che l’anello non è poi tanto debole. Resta essenziale che Zelaya non molli.

Agli obamaniaci ricordiamo che il Dipartimento di Stato sapeva in anticipo del golpe e non ha mosso un dito. Lo hanno dichiarato i portavoce dello stesso Dipartimento in una conferenza stampa del 1. luglio. L’ambasciatore a Tegucigalpa, Hugo Llorens, di origine mafiocubana, coordinò l’espulsione del presidente Zelaya in combutta con il sottosegretario di Stato Thomas Shannon e il macellaio John Negroponte, oggi assistente di Hillary Clinton. Hugo Llorens, che arrivò negli Usa con l’Operazione Peter Pan, è un esperto di terrorismo e destabilizzazione che, alla vigilia del golpe contro Chavez, Bush nominò suo consigliere speciale per il Venezuela. Viene spedito in Honduras nel quadro di una serie di recenti nomine ad ambasciatore nei paesi vicini: Robert Blau in Salvador, dopo essere stato a Cuba accanto al cospiratore, incaricato d’affari, James Cason, all’epoca degli attentati e complotti della “dissidenza”; LLorens e Blau sono antichi compagni di merende sotto il patronato terroristico di Otto Reich; Stephen McFarland in Guatemala, un ex-marine che collaborò con l’ambasciatore William Brownfield in Venezuela nella preparazione dei vari tentativi di eliminazione di Chavez; Robert Callaghan in Nicaragua, dopo essersi fatto le ossa nell’invasione dell’Iraq e nelle sedizioni di destra in Bolivia, e dopo essere stato capo dell’Ufficio Stampa e Propaganda della Direzione Nazionale dell’Intelligence Usa. Un organismo che sta ai golpe e alle rivoluzioni colorate come la polenta sta alle salsicce. Dal primo giorno Obama e i suoi hanno nominato un “mediatore”, parlato di “parti in conflitto” e di “dialogo”, permettendo così il trinceramento dei golpisti e rigorosamente escludendo dai discorsi il termine “colpo di Stato”. Ovviamente con i cosiddetti “negoziati” tra ladri e derubati si puntava a screditare la figura di Zelaya agli occhi dei suoi sostenitori. Tutto l’apparato di Washington onora Roberto Micheletti del titolo di “presidente ad interim”, anziché di golpista, e lo riceve in pompa discreta. Massimo lobbista per il riconoscimento della cricca honduregna è tale Lanny Davis, principale avvocato di Clinton e intimo amico di Hillary. Quelli che hanno elaborato la sceneggiatura a Washington per i generali honduregni e il loro burattino presidente del Senato, sono Otto Reich, padrino di tutti i grandi terroristi latinoamericani, Posada Carriles compreso, e Robert Carmona-Borjas, un venezuelano collaudato nel golpe contro Hugo Chavez, parente e avvocato di quel Pedro Carmona, presidente della Confindustria venezuelana, che, sciolta l’assemblea nazionale, per 72 ore occupò il posto di Chavez. Se il giorno si vede da questo mattino…

E’ spettato ai soliti enti, definiti ong o fondazioni, preparare l’ambiente sociopolitico per il golpe in Honduras. Proprio il mese prima, con il patrocinio e i dobloni di NED, Freeedom House, International Republican Institute, UsAID e simili, si era formata una coalizione di varie organizzazioni non governative, associazioni imprenditoriali, sindacati gialli, frazioni politiche, i maggiori media, gruppi dei diritti umani e la Chiesa cattolica. Coalizione degli oligarchi intitolata, sul modello dei secessionisti di Santa Cruz in Bolivia, “Unione Civica Democratica”. Suo obiettivo, cancellare le riforme sociali di Zelaya, impedire la convocazione di un’assemblea costituente, uscire dall’ALBA (l’unione economica e sociale tra i paesi progressisti del Cono Sud), rompere con Chavez e Ortega. E all’ “Unione Civica” che NED e UsAid, gli stessi di Tehran, hanno indirizzato stavolta lo stanziamento annuale di 50 milioni di dollari per lo “sviluppo democratico” dell’Honduras. Un’informativa di UsAid afferma che, per “sostenere la credibilità di questa organizzazione come autentica e autoctona è necessario che UsAid mantenga un profilo basso e non faccia pensare a un braccio di UsAid”. Più chiaro di così.

Concludendo, in America Latina non c’è anima viva o morta, da Simone Bolivar e José Martì in qua, che non colleghi gli Usa a ogni dittatura, a ogni colpo di Stato, a ogni cospirazione reazionaria. Decenni di bagni di sangue, torture, assassinii, squadroni della morte, terrorismo paramilitare, guerre, tutti con il marchio Usa, hanno preceduto e ostacolato i progressi sociali, civili, politici finalmente realizzati. Per chiunque laggiù è impensabile che il golpe dell’Honduras abbia potuto attuarsi senza l’appoggio dei massimi vertici degli Stati Uniti, del suo apparato militare, di intelligence e politico. Ed è altrettanto impensabile che i golpisti abbiano potuto restare in sella senza quell’appoggio per tutte queste settimane, dal 28 giugno, di fronte all’ostracismo internazionale, la sanzione di 2,3 miliardi di dollari dell’OSA, e la grandiosa resistenza del popolo honduregno, pur massacrato dalla repressione armata. In Latinoamerica si sa che questo esperimento, se funziona, potrebbe incoraggiare gli Usa ad estenderlo ad altre nazioni. Nel momento di una crisi gravissima e probabilmente irrisolvibile con i metodi tradizionali, in una fase di collasso dell’ordine economico capitalista, ci si può attendere di tutto dalla belva ferita. Nel frattempo c’è da osservare che il confronto diseguale tra le forze armate e la popolazione in Honduras dimostra una volta di più che i popoli sono indifesi davanti a colpi di Stato, governi di polizia e militari sediziosi. In Venezuela e Bolivia l’hanno capita e hanno saputo prevenire un esito che si dava per scontato attraverso la formazione all’autodifesa, il rafforzamento delle organizzazioni di base, il volontariato militante e l’intensificazione e l’allargamento della solidarietà internazionale.

Autodifesa, solidarietà internazionale, imperialismo, che roba è?

4 commenti:

Nove Novenove ha detto...

Complimenti! Mi specchio in Lei!
Ho molto da imparare ancora è ovvio... ma i chickens li conosco e so in anticipo dove vogliono andare a parare! Del resto conoscono solo 3 mosse... se fai loro la 4a ... si strabuzzano!
I semprestati fascionazi Usa-piagno
ni pazzicriminali di sion ora sono con le pezzealkulo ed anche baracca hussein insana non ci ha ingannati! Da dove lo hanno tirato fuori? Fosse 1 attorucolo di pollywood? Le donne non dovrebbero associarsi con la cia! visto poi che fine fanno le politoskoioniche?
Che ne pensa della A H1N1? E' spagnola o bufolata?
Con molta molta ammirazione 999

Anonimo ha detto...

Neda, non Mena.
Articolo davvero interessante e fuori dal coro, meno male.
Grazie Francesco

davide ha detto...

i democretini di casa nostra, in prima fila un giorno sì e l'altro pure a chiedere le dimissioni del presidente del consiglio,per motivi di poco opportune compagnie femminili,si arrampicano sui vetri per difendere il loro Obama principe di bel air,l'ipocrisia della democrazia da rapina occidentale,le rivoluzioni colorate per distruggere sistemi di vita diversi da quelli occidentali.
D'altronde il movimento dei diritti civili,lontano da una visione che includa il comunismo e il suo metodo di intendere i diritti civili,è figlio del senso di colpa ,di una ribellione morbida,anche se a parole chi è democretino talora è anche una scimmia urlatrice da centro sociale una birra e via,abili nel sostenere quei regimi che si trovano in casa
D'altronde uno dei padri del comunismo Trockji,definiva l'anarchia e gli anarchici come agenti della borghesia,lo stesso discorso vale oggi per i democretini.
Sperando che si facciano indicare da Martov la strada per finir nella spazzatura della storia.

Anonimo ha detto...

Gentile Fulvio Grimaldi,
trovo il suo blog estremamente interessante e molto utile per chi è stanco di sentire le solite farlocche versioni ufficiali dei fatti. Concordo praticamente su tutto: i giochetti della CIA in sudamerica e nel mondo, il nazisionismo che è una nuova versione della lotta di classe ricchi contro poveri, la costruita demonizzazione dell'islamismo... sull'11 settembre ho molti dubbi e nessuna certezza. Insomma avevo creduto di trovare una fonte dalla quale attingere per conoscere un po' di più la geopolitica planetarie e i trucchetti dell'impero. Devo confessare però che quando ho letto della "bufala nixoniana del primo uomo sulla luna" mi si è gelato il sangue. La prego, mi dica che non è anche lei un complottista... mi dica che non crede ai rettiliani, ai cerchi nel grano, ai tanker delle scie chimiche, alla fantapolitica degli Illuminati... la prego. Tra la giustificata e condivisa lotta contro l'imperialismo USA e tutta la costellazione complottista ho sempre creduto ci dovesse essere il fossato del buon senso. Basta un niente per scivolare dalla controinformazione sacrosanta alla paranoia. Dov'è il confine tra quello che si crede e la realtà?
Vorrei sinceramente capire.
Saluti
Massimo Villivà