domenica 29 novembre 2009

CLASSE, NAZIONE, IMPERIALISMO: UNO SCAMBIO










Se la tirannia e l’oppressione si abbatteranno su questa terra, sarà sotto forma della lotta contro un nemico esterno.
(James Madison, 4° presidente Usa)

Questa e nessun’altra è la radice da cui erompe un tiranno: quando appare si presenta come garante della sicurezza.
(Platone)

A proposito di lotta di classe sì o no: Meno male che il popolo di questa nazione non capisce il nostri sistema bancario, finanziario, monetario. Se lo capisse avremmo una rivoluzione entro domattina.
(Henry Ford)


Cari interlocutori e lettori del blog, avrei una marea di spunti per fabbricare nuovi post. Dallo spappolamento del mito delle sinistre Obama sotto la grandinata di crimini che va compiendo in giro per il mondo in prima o seconda persona, alle puttanate che scrive tale Moreno Pasquinelli del Campo Antimperialista, sodale dei trapanatori sciti di corpi iracheni, sulla secondo lui sacrosanta sconfitta di quella ”merda di resistenza sunnita irachena” (utilissimo servizietto, per quel che conta il filo-scita Pasquinelli, agli squartatori Usa-iraniani dell’Iraq); dallo scatenamento nazista dei coloni israeliani contro i traditi e abbandonati (anche da chi li degrada in oggetto di compassionevole Caritas) titolari millenari di quella terra, al ritorno di un’Operazione Condor 2 contro l’America Latina; dagli ululati fondamentalisti di fascisti cattolici contro la rimozione dell’orrido crocefisso, affiancati da chi invece la sostiene in nome di un Cristo “autentico”, buono e salvifico, ma che è personaggio inventato da una banda di delinquenti famelici di dominio mondiale, alla vexata questio “con Di Pietro-contro Di Pietro” e alle sinistre che, un tempo, volevano precipitarsi in massa a combattere il Pinochet originale o, come CGIL, quanto meno scioperavano e boicottavano e ora sonnecchiano ignavi davanti al Pinochet installato in Honduras dall’Operazione Condor 2, con intervento decisivo, qui come in tutto il continente dei carnefici Gestapo israeliani. Ma non ce la faccio. Appunto perché, fabbricando il nuovo documentario sul golpe e la resistenza in Honduras, con tutto quello che fa balenare sui destini dell’America Latina, spero di aprire qualche crepa in quel muro di stampo sionista. E fino a metà dicembre e passa non ho più tempo per inondarvi delle solite intemperanze.
Così, per non far piangere il piatto, ho pensato di inserire nel blog questo scambio con un corrispondente. Tocca argomenti che appaiono di sicura rilevanza, anche se qui interpretati con chiavi di lettura diverse e a volte opposte da quelle che paiono corrette a me. Spero che suscitino le riflessioni e eventualmente gli interventi che essi meritano. Parto con la mia risposta all’intervento di questo interlocutore a me sconosciuto, ma di cui si percepiscono i riferimenti comunitaristi. Non sapete chi sono i comunitaristi? E' gente che, appropriandosi di alcuni fondamentali comunisti e antimperialisti, li mescola con deviazioni radicali dagli assunti marxiani sul conflitto tra le classi. A questo sovrappone, sotanzialmente annullandolo, istanze nazionaliste che, lungi dal mettere in discussione l'imperialismo per sè, si indirizzano contro quello statunitense, anglosassone, israeliano, nel nome neanche troppo dissimulato di un imperialismo italiano, oggi sublimato in quello euroasiatico. Si intravvede una linea di continuità con i paradigmi di 80 anni fa che ci parlavano della demoplutocrazia. Lo spazio per simili riemersioni lo offrono i vuoti e le storture teoriche di chi, a sinistra, ha sempre guardato con sospetto, se non con aperta ostilità, alle rivendicazioni nazionali dei popoli sottomessi, identifcandole tout court con lo sciovinismo da declinazione fascista. Rivendicazioni che, così, trovano ampio spazio di espansione in movimenti spuri. Non meno di quanto la Lega faccia, a discapito del movimento dei lavoratori, con la sua mitologia padana e il suo razzismo localistico mimetizzato da intervento sul territorio in difesa delle comunità. Seguono quell’intervento e repliche.


Ciao Piero. Sono ancora nel tritacarne del montaggio sull'Honduras e l'America Latina nella battaglia finale del continente e ne avrò fino a metà dicembre almeno, senza un minuto di tempo per altro, anche perchè mi tocca viaggiare ogni giorno in treno dal mio borgo a Roma, per complessive tre ore.
Ho dunque dato una scorsa rapida al tuo pezzo, ma vorrei considerarlo con più calma. Per adesso ti dico solo chenon è difficile trovarsi d'accordo con parte di quello che scrivi su globalizzazione, stati nazione e neoliberismo, ma, come prevedevi, nient'affatto sul No-B-Day. Ricordando che i conflitti oggi sono determinati in gran parte dallo scontro tra nazioni e blocchi di nazioni, cioè tra le loro elites, con masse rimbecillite al seguito, infliggi un ulteriore colpo alle teorie “moltitudinarie” dei fiancheggiatori Hardt e Negri. Il grande aiuto dato dalla sinistra post-autonoma all’imperialismo. Però non ti accortgi che, al pari delle fumisterie da amico del giaguaro di Toni Negri, tu ignori, e quindi abolisci, la lotta di classe, ponendoti così in sintonia più con coloro che dici di avversare, che con i popoli-classe che ne sono aggrediti. Negri la annega nelle “moltitudini” acefale lanciate contro una “globalizzazione” acefala. Tu la fai sparire dietro allo scontro geopolitico degli Stati-nazione e relative coalizioni. Cosa ha determinato la modernità e la prospettiva marxista: lo scontro tra la Francia di Napoleone e Regno Unito con imperi centrali, attorno a rotte e domini coloniali, o la rivoluzione delle masse nel 1989?

Non credo che la lotta di classe possa essere abolita e son anche stanco di stare a vedere come i conflitti oggi siano determinati tra comparti capitalisti-imperialisti, sopra le nostre teste, con le masse che stanno a guardare e a subire E’ verissimo tra noi, non per assenza di soggetti della lotta di classe, necessaria più che mai alla vista del fascismo di ritorno a livello planetario, ma per deficienza di organizzazione e direzione e, peggio, per irrimediabile invischiamento con le subalternità e collusioni introiettate dalle sinistre storiche di questo paese. Ma mi pare di aver visto in Honduras e ovunque le mie vecchie gambe mi trascinino – Palestina, America Latina, Somalia, Iraq, Afghanistan - che nella lotta dei popoli sono le classi subalterne a condurre le danze e a rappresentare la forza d'urto: pensa a Hamas e, per l'altro verso, ai bonzi e fighetti di Fatah della borghesia compradora palestinese. Con popoli proletari che, come ho sperimentato in Honduras, Venezuela, Bolivia, Ecuador, Brasile, Argentina, custodiscono nella loro coscienza l’istanza di liberazione nazionale perché prodromo e condizione sine qua non dell’emancipazione di classe, la lotta non può che essere di classe. C’è un intero continente di centinaia di milioni che avanza nella sinergia di lotta antimperialista e lotta di classe. Chi manovra questo conflitto, quale blocco di nazioni contro un altro armato? Poi non mi scandalizzano i termini "globalizzazione" o "neoliberismo": essendo i piedi di porco dell'imperialismo nordico, conviene addirittura usarli rovesciandone il presunto e falso significato. Come quando si dimostra che antisemiti sono gli ebrei, che non sono semiti ma artefici di olocausti di arabi... semiti. Penso che invece vada lasciata nel cassonetto dei rifiuti lo stolto e sterile automatismo di quasi tutte le sinistre radicali che si inalberano ogni volta che sentono la parola nazione, o nazionalismo. Pensa alla demonizzazione di Milosevic come “ultranazionalista” perché si opponeva allo sfacelo della Jugoslavia e, dopo, a quella del cuore jugoslavo, la Serbia. Nessuno di questi polverosi grilli parlanti ha mai imparato la lezione di Cuba o dell’Iraq o de nostri partigiani con il tricolore accanto alla bandiera rossa, per cui la rivoluzione o unisce le istanze di liberazione nazionale (Patria o muerte) a quella della vittoria delle masse escluse e sfruttate, o difficilmente se ne parla.

Quanto a Di Pietro, la pratica che ho appreso dai popoli in lotta di mescolare il sangue col fango quando l'uso congiunturale permette di perseguire il mio scopo, mi hanno finora evitato, non sbagli, ma qualcosa di peggio: la torre d'avorio del perfezionismo autoreferenziale. Di Pietro si muove contro l'attuale rompighiaccio del mondo militarizzato e mafizzato? Difende una legalità costituzionale che è stata conquistata dalle masse in lotta e dai partigiani in guerriglia, anche se non è ancora la legalità rivoluzionaria dei proletari? Sto con lui in questo. Primum: difendere le posizioni conquistate. Sto contro di lui quando parla di Saddam e lecca i piedi al Dalai Lama. Non mi dice chi sta dietro alla crisi? Lo so io e lo comunico alle masse che gli vanno dietro in buonafede e anche perchè non c'è nessuno al di fuori di quella Piazza del Popolo. Dai vecchi comunisti irrimediabilmente PCI, da me come sai pervicacemente sottoposti a ludibrio, ho però imparato una cosa buona e imprescindibile: stare sempre dove stanno le masse. Sofri, il cialtrone rinnegato, faceva bene a mandarci, noi di Lotta Continua, alla rivolta di Reggio Calabria, anche se guidata dalla destra. Le ragioni della gente erano sacrosante, bisognava indirizzarle nella direzione giusta. Leggevo giorni fa una velenosa tirata trotzikista contro Hugo Chavez. Non aveva ancora abolito la proprietà privata e sottoposto tutta l'industria e la distribuzione alla gestione operaia. Aveva strappato al latifondo SOLO quasi tre milioni di ettari di terra per darli ai contadini, ma non l'aveva ancora abolito, il latifondo. Aveva garanetito istruzione e sanità gratuita a tutti, ma lasciava sopravvivere le scuole cattoliche e le cliniche private. Sparata che si affianca ai bombardamenti mediatici e ai complotti di destabilizzazione e aggressione messi in atto dall'imperialismo. C'è sempre un grillo parlante che raccatta qualche banda di ottusi scontenti e ne fa la forza di complemento della Cia e del Mossad, ambedue massicciamente all'opera in tutta l'America Latina in vista del resoconto finale. Così "rivoluzionari" indigeni, sacri alle nostre pietose ONG, ma paragonabili alle nostre infiltratissime ed eterodirette Brigate Rosse, in Bolivia contro Morales, in Ecuador contro Correa, in Nicaragua contro Ortega. Meglio rovinare tutto per l'orgasmo delle proprie pippe? In ogni caso, ripeto, senza vedere il mondo sotto la specie della lotta di classe e vederlo agitato esclusivamente da potenze geopolitiche contrapposte, con le quali o ci si schiera o si sta a guardare, mi pare apra la strada a infiltrazioni spurie di ogni sorta finalizzate alla sussunzione di ogni istanza di liberazione in una regia che le è irrimediabilmente ostile. E' questa la pratica dei femigerati comunitaristi, pesce pilota degli utili idioti del Campo Antimperialista. E non servono citazioni gramsciane a correggere questa vera e propria degenerazione destrorsa. Comunque, la discussione è aperta.

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Caro Fulvio,

1. Il 5 dicembre prossimo si terrà il No Berlusconi Day.
Superando la nausea per queste espressioni americanoidi (che dicono molto di un clima culturale), sembra proprio che si stia profilando un Halloween politico.
Se non si aderisce al dolcetto della manifestazione, si avrà come scherzetto la solita serie di improperi: “cripto-fascista”, “passato dall’altra parte”, ecc.
Io non ci sto: non parteciperò e mando anticipatamente a quel paese i soliti confusionari che si dedicheranno agli scherzetti idioti.
Perché non ci andrò?
Partiamo dall’appello Ferrero-Di Pietro.
L’incipit è sconfortante: “La crisi economica sta determinando una sofferenza sociale sempre maggiore”.
Dopo di che non si dice nulla di cosa sia questa cosiddetta “crisi economica”.
E’ un evento naturale? Deriva da troppe ruberie a livello globale? Dagli spacciatori internazionali di titoli tossici? Dall’ingordigia di alcuni? Dalla caduta tendenziale del tasso di profitto? Dall’avvicinarsi dell’allineamento planetario previsto dai Maya?
Boh!
Dopo di che si passa a una breve descrizione delle malefatte del governo: tagli al welfare, disoccupazione, compressione degli stipendi, ecc... . Cose che conosco benissimo dato che sono un metalmeccanico in mobilità.
Diciamo subito che l’alternanza dei governi di centro-destra e centro-sinistra della Seconda Repubblica, hanno visto solo un accumularsi bipartisan di tagli, un accumularsi bipartisan di tasse e un accumularsi bipartisan della pressione sugli stipendi, sull’occupazione, sulle pensioni ecc. Questo è un punto che riprenderemo dopo, quando cercheremo di immaginarci un post-Berlusconi.
Il punto principale rimane quello precedente: che diavolo è questa “crisi”?

2. La sinistra tutta, da quella riformista a quella radicale ha curiosamente introiettato l’elaborazione di Hardt e Negri dell’impero acefalo (variamente chiamato “globalizzazione”, dai più riformisti, o “imperialismo delle multinazionali”, dai più radicali), che a sua volta curiosamente introiettava la visione ideologica che i protagonisti economici e ideologici della globalizzazione e della finanziarizzazione davano di questi fenomeni.
A nulla servì la precoce ammissione di Henry Kissinger “Globalizzazione è un altro termine per supremazia statunitense”. L’interpretazione era ormai data: la globalizzazione era uno “stadio” del capitalismo, ottimo per alcuni, funesto per altri.
La crisi mondiale a questo punto poteva essere vista solo come un errore di percorso (ingordigia, mutui subrime, titoli tossici vari, perdita di contatto con l’economia reale - per alcuni nostri blasonati economisti di sinistra la crisi era addirittura dovuta all’incapacità dell’americano medio di calcolare il montante quando chiedeva un mutuo; e non sto scherzando!). E’ quanto fece e fa la sinistra moderata (e la destra).
In alternativa i più audaci la vedevano e la vedono come una crisi del capitalismo tout-court. Ovvio: essendo la globalizzazione uno stadio del capitalismo, la sua crisi è la crisi del capitalismo. Di riffa o di raffa si è tornati all’idea di “fase suprema del capitalismo”.
Per cui basta rispolverare la lotta di classe e ci siamo.
L’imperialismo, ovvero lo scontro di blocchi geograficamente distinti di stati-nazione, non esiste più nell’orizzonte politico. Lo spazio politico mondiale è liscio, come ci hanno insegnato Gilles Deleuze e Toni Negri, ergo le sole striature sono di carattere sociale.
E’ solo in quest’ottica che si possono sostenere gli yuppies di Teheran contrabbandandoli per “giovani, donne, studenti e lavoratori” senza altre qualifiche sociali. E’ solo in quest’ottica che ci si può dimenticare in pochi mesi del massacro di Gaza per concentrare il proprio sdegno sulla visita ufficiale non di Lieberman, non di Netanyau ma del colonnello Gheddafi. E’ solo in quest’ottica che ci si può dimenticare bellamente del golpe fascista in Honduras orchestrato dalla coppia di serpenti Obama-Clinton, che invece si vorrebbe come rappresentante della presa di coscienza che, per l’appunto, lo spazio politico mondiale è liscio.
Rifacciamo allora un passo indietro di dieci anni, e vediamo cosa ci diceva allora senza peli sulla lingua il tre volte Premio Pulitzer e falco democratico, Thomas Friedman:

«La mano invisibile del mercato globale non opera mai senza il pugno invisibile. McDonald's non può prosperare senza McDonnell Douglas, il costruttore degli F-15. E il pugno invisibile che mantiene sicuro il mondo per il fiorire delle tecnologie della Silicon Valley si chiama Esercito degli Stati Uniti, Marina degli Stati Uniti, Aviazione degli Stati Uniti, corpo dei Marines degli Stati Uniti. [...]
Questo è troppo facilmente dimenticato oggi. Per troppi executives della Silicon Valley [ma anche per troppi “rivoluzionari” nostrani. Nota mia], non ci sono più né geografia né geopolitica. [...]
Lì ci sono executives che si vantano dicendo: “Non siamo una compagnia statunitense. Siamo IBM-USA, o IBM-Canada, o IBM-Australia, o IBM-Cina”. A loro dico “Ah si? Bene, allora la prossima volta che avete un problema in Cina chiamate Jiang Zemin perché vi aiuti. E la prossima volta che il Congresso liquida una base militare in Asia - e voi dite che non vi riguarda, perché non vi interessa quello che fa Washington - chiamate la marina di Microsoft perché assicuri le rotte marittime dell'Asia. E la prossima volta che un congressista repubblicano principiante chiede di chiudere più ambasciate statunitensi, chiami America-On-Line quando perde il passaporto”.

(“A Manifesto for the Fast World”. New York Times Magazine, 28 marzo 1999)

Poco dopo iniziavano i bombardamenti sulla Serbia con cui l’amministrazione di “sinistra” di Clinton apriva le danze che sarebbero continuate con le guerre infinite di Bush Jr. che ora stanno passando la necessaria revisione (o “assessment” nelle nuove e meno favorevoli condizioni) da parte del novello idolo della sinistra, Barack Obama.

3. Ma lo spazio politico mondiale non è liscio: al contrario si sta striando sempre di più. E allora occorre molta prudenza nelle azioni e nei giudizi.
La crisi attuale non è la “crisi del capitalismo”. La crisi attuale è la crisi di una particolare configurazione del potere mondiale emersa dai conflitti tra stati-nazione generati in continuazione dal fatto che il capitalismo è un rapporto sociale conflittuale basato su differenziali di sviluppo non solo tra classi, ma anche tra nazioni.
In specifico sono in crisi i rapporti di potere emersi dalla II Guerra Mondiale, l’evento che concluse la lunga crisi dell’egemonia sui meccanismi di accumulazione mondiali che era stata esercitata nel XIX secolo dalla Gran Bretagna e fece emergere il ciclo di accumulazione coordinato ed egemonizzato dagli Stati Uniti.
Neo-liberismo e globalizzazione sono stati tentativi di gestire la crisi di questo nuovo ciclo, innanzitutto da parte della potenza globale, in carica ma in declino, e in subordine da parte dei suoi vassalli (ed è quanto Kissinger e Friedman dicono nei loro rispettivi linguaggi).
Non ha quindi alcun senso parlare di “crisi del neo-liberismo come sintomo della crisi globale del capitalismo” come fa il 90% della sinistra da quella riformista a quella cosiddetta radicale. Questo è puro economicismo, dove i rapporti sociali (intrinsecamente conflittuali) escono di scena. Ovvero: il contrario di quanto ha cercato di insegnarci Marx.

4. Ritorniamo a questo punto all’appello congiunto Ferrero-Di Pietro.
Un appello senza un contenuto sociale, senza una parola sui conflitti geopolitici che l’hanno generata e che essa a sua volta rigenera.
Un appello che limitandosi all’antiberlusconismo ha un solo effetto: qualora la mobilitazione, per puro caso, riuscisse a dare una spallata parziale o sostanziale a Berlusconi, tutti i benefici politici andrebbero innanzitutto a quel signore (Di Pietro) che si augura per l’attuale premier la fine di Saddam Hussein (magari aprendo lui stesso la botola della forca e comunque facendo vedere apertamente di che caratura giustizialista sia fatto e soprattutto da che parte stia nelle aggressioni statunitensi).
In secondo luogo i vantaggi andrebbero a quelle forze e a quei personaggi politici come il PD, D’Alema, Casini, Fini e compagnia, che dopo aver devastato il Paese e specialmente i suoi strati medi e popolari con le “riforme” neo-liberiste a maggior gloria e vantaggio della finanza e dell’economia statunitense, dopo aver fatto passare, vuoi nascosti da belati buonisti vuoi anticipati da ululati più o meno mannari, razzismo, intolleranza, ingordigia, sopraffazione, inganno - insomma quelle qualità etiche che definiscono in senso pieno la totale mercificazione della società a partire fin dai suoi principi biologici - dopo aver portato a buon punto questo compito, adesso si ergono come paladini della solidarietà, dell’accoglienza, della democrazia, dell’equità sociale.
L’orizzonte della sinistra radicale è sempre lo stesso: per non finire azzerati perché giustamente puniti per evidente inanità politica, si spera di ridare vita a una “colazione di volenterosi” (come avrebbe detto il cretinoide Bush Jr) purchessia, pronti ad allearsi nuovamente con personaggi come D’Alema, che per servire al meglio l’imperialismo statunitense fece, lui massimo e primo, definitivamente carta straccia del nostro patto costituzionale, mandando i nostri bombardieri sulla Serbia. Dopo di che si parla di “difesa della Costituzione”: alla faccia!
Una coalizione che sfanculata dal popolo, evidentemente “sovrano” sì ma per qualcuno anche bue, ha come uniche possibilità di rivalsa l’azione giudiziaria (ergo extraparlamentare) pilotata, come avvenne con Mani Pulite, e la rivoluzione colorata e ben prezzolata da chi non ha in uggia assolutamente le politiche antipopolari, razziste o xenofobe del nostro premier (contestate solo sul palcoscenico dei teatrini della politica dall’altra coalizione), bensì la sua eterodossia geopolitica (Russia, South Stream, Libia, Algeria, politica araba, ecc...).
Eterodossia che in un momento di approfondimento delle striature geopolitiche mondiali non è tollerabile, perché qui si gioca la partita dell’egemonia mondiale prossima futura (if any).

Nossignori! Dato che solo questi, ahimè, possono essere gli effetti, tenetevi il vostro dolcetto e al diavolo i vostri scherzetti. Tanto anche Gramsci già doveva scrivere nel 1921, per anticipare le scemenze della sinistra di allora (cioè i Socialisti): «E’ ormai certo che alle ingiurie di: “bergsoniani, volontaristi, pragmatisti, spiritualisti”, si aggiungerà l’ingiuria più sanguinosa di “futuristi marinettiani”!».

Si parva licet vorrei mettermi nel mucchio insieme al fondatore del Partito Comunista d’Italia.


Caro Fulvio,

sì, pensavo che mi avresti risposto suppergiù così. Ma io non ricerco la torre d'avorio del perfezionismo. Non mi farebbe paura nessuna alleanza: figurati, Lenin difendeva persino il ruolo oggettivamente antimperialista del "reazionario sultano dell'Afghanistan".
Il problema non è fare i puri o no (ché la risposta sarebbe, ovviamente, "No"). Il problema, per me, è che non vedo nessuna forza politica o sociale che in questo momento possa essere anche minimamente assertiva e usare alleanze. Vedo solo la possibilità di essere usati.
Se Lenin diceva che bisognava sostenere Kerensky come la corda sostiene l'impiccato, io purtroppo non vedo nessuna corda in giro, se non quella al nostro collo.
Ho ben visto questa rincorsa al ricompattamento antiberlusconiano a cosa porta. Ho visto le alleanze che portano i compagni della "sinistra radicale" un giorno a manifestare contro il massacro di Gaza e un altro giorno in piazza con la Santanché contro "il regime terrorista di Teheran"; un giorno in piazza contro le guerre di Bush e un altro giorno in piazza tutti insieme contro "il dittatore Gheddafi", un giorno palpitare per la nostra Costituzione e il giorno dopo cercare l’alleanza con chi ne ha fatto per primo apertamente carta da cesso (D’Alema e compagni) per poi magari stracciarsi le vesti perché il giustizialista Travaglio è rimasto ai margini del teatrino mediatico (e forse è meglio così, perché quando non è ai margini riesce a sostenere i massacri di Gaza e il suo "Fatto quotidiano" afferma, è il caso proprio dell'altro giorno, che "l'Europa sta perdendo la guerra dei gasdotti", per il semplice motivo che non la sta vincendo l'America).
Dopo decenni e decenni di militanza so bene che bisogna stare dove "stanno le masse". Ma dove stanno adesso? Siamo sicuri che staranno più al No Berlusconi Day che non al raduno di Pontida?
Sicuri che le masse non abbiano già visto che i posteriori di quelli che sventolavano la bisaccia del mendicante e che esse seguivano erano ornati dei vecchi blasoni feudali, come diceva Marx della sinistra dell'epoca sua?
Lo so che è disperante non poter andare in piazza per togliersi di dosso, con una vera azione di massa, questo governo e le sue politiche populiste, xenofobe, razziste, opportuniste, volgarmente presuntuose e arroganti (e dato che sono un metalmeccanico in mobilità e ho subito il razzismo fin dentro la mia famiglia, so bene di cosa sto parlando).
Ma non vorrei disperarmi di più come è succeso dopo che avevo votato per il dannato governo Prodi II, dopo che avevo votato per le Menaguerre, per i parolai populisti ("Anche i ricchi piangono"!) e per questa sinistra embedded fino al collo nell'imperialismo americano.
Non fu un incidente di percorso da parte della sinistra: fu la continuazione, anche se ormai raffazzonata e litigiosa, di una scelta politica latente (a partire almeno da Berlinguer sotto l'ombrello protettivo della NATO) e maturata con la Bolognina.

Mi chiederai: ma allora tu cosa proponi di fare?
Non lo so mica tanto, caro Fulvio.
Mi sento più tranquillo quando denuncio e scendo in piazza contro il golpe in Honduras (benché fossimo quattro gatti - incidentalmente: non mi è passato per la testa di fare il purista anche se c'erano delle forze politiche alle quali tirare le orecchie).
Mi sento più tranquillo quando mi mobilito contro la repressione dei contadini nel Bengala Occidentale attuata dal governo del Fronte delle Sinistre con a capo il Partito Comunista Indiano (Marxista) o quando denuncio la cosiddetta "Operation Green Hunt" contro, questo è il motivo ufficiale, la guerriglia maoista in India.
Sarà perché lì, come dici tu, la lotta di classe è più palpabile. Sarà perché ho le idee poco chiare qui in Italia, ma mi sento molto meno tranquillo a prendere certe decisioni di mobilitazione nel nostro Paese, dove non vedo attualmente nemmeno un piccolo nucleo da cui partire con la possibilità di potersi fare carico di compromessi senza cadere nella compromissione.

Un carissimo saluto.

Piero

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Va benissimo se pubblichi il mio pezzo e la tua risposta. Ti pregherei anche di pubblicare poi di seguito questa mia di sopra e, se credi, una tua ulteriore "contromossa".
Dato che, come ti ho detto, non ho nessuna verità in tasca e mi muovo solo a fiuto (Palestina, Honduras, America bolivariana, India, qualche macro-mossa geopolitica tipo gasdotti - anche perché me ne sono occupato in "Alla conquista del cuore della Terra" che pubblicai all'indomani dell'attacco all'Iraq con Punto Rosso di Milano, se ne trovo una copia te lo regalo, Iran, ecc...), posso solo dire "Che mille fiori fioriscano, che cento scuole contendano".

Fammi sapere quando hai finito l'editing del documentario, perché vorrei farne pubblicità al meglio delle mie possibilità.

Ancora un caro saluto.

Piero

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