sabato 28 agosto 2010

CORIBANTI, CORIFEI, CORIMBI, CORNACCHIE...(Cuba, Obama, Wikileaks...)

CORIBANTI*, CORIFEI**, CORIMBI***, CORNACCHIE****
(Cuba, Obama, Wikileaks…)

* Celebratori di divinità con danze orgiastiche
** Promotori di cori
*** Inflorescenze parallele con i peduncoli fissati sull’asse principale
*** Uccelli gracchianti lo stesso verso monotonamente

E' scoraggiante pensare quanta gente è scioccata dall'onestà e quanta poca dall'inganno
(Noel Coward, commediografo britannico)

Chi inganna troverà sempre coloro che permettono di essere ingannati
(Nicolò machiavelli)

Il pericolo maggiore per i popoli è quando gli strumenti per demolire i loro diritti stanno nelle mani di coloro nei confronti dei quali nutrono meno sospetti
(Alexander Hamilton, 1757-1804)




Insomma quelli del titolo sono tutti soggetti che al culto dell’intelligenza, della critica, dell’autonomia preferiscono il culto di qualcuno e gracchiano anatemi contro chi si riserva la libertà di dubitare, valutare, dissentire. In questo paese, merito probabile di una nostra Chiesa paolina e contoriformista, mai sfiorata dai Lumi del libero arbitrio e della libera ragione, ne abbiamo il primato qualitativo e quantitativo. Saranno costoro i protagonisti di questo articolo, scritto in fretta per comunicarvi che, a dispetto di speranze, auspici, e voti, sono ancora vivo e relativamente cosciente, in transito tra una vacanza nel Nord e una missione nel Sud del mondo, dalla quale ci si augura si possa riemergere sani e salvi alla fine di settembre. Ma prima di svolazzare di fiore in fiore, meglio, di saio in saio, tra gli incensi di dogmi e devozioni, consentitemi la libertà di ricordare, sottolineare, incidere nel marmo della storia, alcune delle rare buone notizie che arrivano nella, o escono dalla, gabbia di polli nella quale andiamo starnazzando.
La migliore. La dipartita dai coglioni rotti e nauseati di molti milioni di italiani di quello che, insieme ad Andreotti e prima dell’avvento del guitto mannaro, è stato il massimo delinquente a sodomizzare il popolo di questo paese. Miserabile ascaro dell’Impero, ha assassinato, massacrato, castrato, con il classico cinismo gioioso e psicopatico del serial killer. Lo accoglieranno degnamente dall’altra parte le armate delle sue vittime, Giorgiana Masi e Aldo Moro in testa. Ributtante escremento dell’italiota e cattolica attitudine all’horror di terza classe, questo sottopanza di mano è stato ricompensato dai pupari interni ed esteri, Vaticano, massoneria, mafia e Usa, con un’ascesa fino al vertice dello Stato, ininterrottamente lubrificata dal sangue. Transeat per i soliti minchioni tra i lettori del “manifesto” che belano nel gregge di quelli che “i morti si lasciano riposare in pace”, anche se la tomba è costruita con le ossa degli spogliati di civiltà, libertà, vita. Ma il peggio del peggio l’ha espresso, non innaturalmente, Adriana Feranda nella sua eulogia su “Il Fatto” , dicendosi “unita a lui per la percezione limpida del dolore che si portava dentro, così diverso e così simile al mio”. L’omaggio di un sicario al capobanda.

La seconda. In Iraq, in simultanea con il finto ritiro di Obama, la Resistenza (strumentalmente insignita da destra a manca del logo del dipartimento CIA “Al Qaida”), ha dimostrato in queste settimane di non aver perso assolutamente nulla della sua forza, efficienza, partecipazione popolare, facendo saltare per aria, da Basra a Mosul, le strutture di dominio allestite dall’invasore con la bassa forza dei suoi sicofanti locali. Gli attacchi degli ultimi 12 mesi, una volta 15 in 24 ore, ai fantocci nelle caserme, pattuglie, stazioni di polizia, ai collaborazionisti di ogni specie, ai miliziani iraniani e ai marines, culminato con la splendida operazione coordinata del 17 agosto ai centri di reclutamento di mercenari in tutto il paese (96 militari o reclute uccisi, oltre 300 messi fuori combattimento, tutti prima ancora dagli occupanti consegnati al loro destino di disperati senzalavoro), ha riportato questo glorioso e indomabile paese ai fasti degli anni 2004-2008, quelli della liquidazione degli occupanti che ha costretto il magniloquente gabbamondo, successore dell’idiota autore, l’11/9, del più scalcinato e trasparente autoattentato della storia, a far finta di abbandonare la partita. Obama come il mentecatto Bush sulla portaerei: Missione compiuta. In entrambi i casi una vanteria e una stronzata. Oltre a un numero doppio di tagliagole privati, l’Obama nero (quello bianco, Vendola, intanto si fa i suoi giri di valzer ideologico-sanitari con Comunione e Liberazione e con Don Verzè, ben conscio di quanto gli fruttò la privatizzazione dell’acqua pugliese nel primo mandato), lascia tra ossa e macerie irachene 50mila killerincaricati, meramente, di addestrare gli ascari e di compiere operazioni “antiterrorismo”. E che sarebbero queste operazioni se non altre stragi, catture, lagerizzazioni, torture? 50mila non bastano per vincere, ma a questa bisogna bastano. Senza contare le anticipazioni profetiche del capo Gestapo Usa in Iraq e dei suoi generaloni felloni locali che assicurano come quel ritiro definitivo del 2011 stia proprio in grembo a Giove e dipenda dalle "condizioni di sicurezza". Vogliamo scommettere che non se ne andranno finchè non verranno cacciati come in Vietnam? L’Iraq rimesso in piedi? Si, attorno a qualche centinaio di lestofanti che si azzannano tra di loro per le briciole del bottino Usa-iraniano e dopo cinque mesi dal voto non riescano a mettere in piedi neanche un governo di rapinatori in seconda. In piedi, in questo paese affollato da tre milioni di morti ammazzati dal 1991, di cinque milioni di profughi e sradicati, della totale depredazione economica, culturale, professionale, archeologica, delle carneficine civili innescate da fuori, senz’acqua, senza elettricità, con i fiumi diventati fogne tossiche, con il 50% di disoccupati e sottoccupati, con le donne liquidate meglio che a Ciudad Juarez, in piedi in questa mission accomplished degli assassini seriali planetari ci sta soltanto la resistenza del popolo iracheno, guidata dal Baath. Soldatessa israeliana sbertuccia prigionieri palestinesi nel "momento più bello della mia vita"

La terza. Hassan Nasrallah, comandante della forza di popolo che ha ridicolizzato il quarto esercito del mondo, ha fatto a pezzi il complotto politico, mediatico, giuridico, con il quale Israele, sostenuto dalla “comunità internazionale” e dai suoi arnesi giuridici chiamati corti o tribunali penali internazionali, ha voluto spostare la propria responsabilità dell’assassinio nel 2005 del premier Rafiq Hariri, su Siria e Hezbollah. Il 10 agosto ha presentato le prove, corredate da sicari pentiti, della responsabilità del Mossad, massimo specialista di stragi e assassini extragiudiziali, chiara da sempre per chi non avesse gli occhi foderati dall’unanimismo coloniale destra-sinistra. Il tribunale dei giudici venduti all’imperialismo insisterà nelle sue immaginifiche facezie, come Obama sulla “guerra al terrore”, ma ora la partita resta aperta (e qui va un elogio al corrispondente del “manifesto” da quell’area, Michele Giorgio, degno emulo dell’indimenticato Stefano Chiarini, astro giornalistico nella notte nera di velinari e lobbisti). La quarta. Sfidando i fucilatori nazisionisti che, per impedire lo stormo di navi amiche che si susseguono alla volta dell’Auschwitz Gaza, aveva massacrato 9 attivisti del contrattacco internazionale e della giustizia, la “Liberty” e la “Free Gaza” hanno saputo raggiungere le sponde di Gaza. 46 campioni della solidarietà e dello sputtanamento dello Stato del Terrore sono stati accolti nel porto di Gaza, sgretolato dalle bombe e con sul fondo le salme delle decine di pescatori ammazzati dall’”esercito più morale del mondo”, da migliaia di palestinesi in giubilo, con in testa Ismail Haniyeh, capo di Hamas e tuttora legittimo primo ministro di Palestina. Le zanne dei nazisionisti sono rimaste nel fodero, rinchiusevi dalla rivolta politico-morale e dall’indignazione di un pezzo di mondo che ha cessato di farsi imbonire e intimidire dalla tracotanza dei falsari di un’entità senza legittimità. Il valore non solo simbolico di questa vittoria è incommensurabile. Ad majora! Il mostro è ferito.

La quinta. E’ lo sgretolamento della campagna di Julian Assange (quello di Wikileaks, a volte biondo, a volte canuto) “santo subito”, portata avanti dai salmodianti chierici di ogni truffa messa in campo dall’imperialismo. Io, notando come al cuore dell’operazione Wikileaks ci fosse la demonizzazione del Pakistan e dell’Iran, presunti gestori e armatori della rivolta dei Taliban, avevo detto che questa mi puzzava. Sono soddisfatto che ora lo stesso concetto, “qualcosa puzza nella pubblicazione dei documenti ‘segreti’ di Wikileaks”, viene adoperato da William Engdhal, uno dei saggisti e analisti più autorevoli dello schieramento antimperialista. Confortando la logica con le dichiarazioni di Hamid Gul, l’ex-capo del servizio segreto pachistano. SIS, defenestrato perché sgradito agli Usa per la sua opposizione ai macelli in Afghanistan finalizzati al petrolio, agli oleodotti, all’accerchiamento di Asia centrale e Cina e all’oppio, Engdhal constata come attorno all’osso del filmato in cui elicotteristi Usa uccidono giornalisti e civili in Iraq e dei documenti che ci ricordano risapute nefandezze degli aggressori, ci sia la ciccia dell’incriminazione del Pakistan, nucleare ahiloro, e soprattutto del SIS, come vero motore della “ribellione” dei “terroristi islamici” afghani. La delazione Wikileaks di presunti collaboratori indigeni della Cia, legati però ai servizi pachistani, è calcolata disinformazione a beneficio dell’intelligence indiana, israeliana e statunitense nel loro accerchiamento del Pakistan, realizzato dalla Cia con innumerevoli stragi da droni e attentati dinamitardi di manipolati “estremisti islamici. In più, i documenti di Assange coltivano due dei paradigmi fondamentali della “guerra al terrore” di Bush, allargata da Obama: Osama Bin Laden, dimostrato morto ripetutamente nel dicembre del 2001, è vivo e lotta insieme ai “ribelli” afghani; l’attentato dell’11 settembre è ovviamente opera di 19 sbalestrati “terroristi islamici”, capaci di funambolismi aerei da svergognare tutti gli assi della storia aeronautica, nonostante abbiano fallito i corsi di pilotaggio per apparecchietti Piper. E nonostante che Washington spenda 50 miliardi di dollari all’anno per le sue 11 agenzie di intelligence, senza che ore dopo l’attentato si fosse ancora levato in volo unsolo intercettore dell’ Air Force. Risultato voluto? Se la campagna di sterminio del popolo afghano va male è colpa di quei rinnegati “alleati” pachistani. I fantocci insediati dagli Usa a Islamabad, osceni complici nello squartamento imperialista del proprio paese, non sono stati capaci di bloccare la collera antiamericana del proprio popolo e neanche di tappare la bocca a un Hamid Gul che insiste a denunciare e documentare fatti, imprese e personaggi del traffico Usa di eroina dall’Afghanistan. Bisognava accelerare, Obama ha attaccato il Pakistan e Wikileaks è giunto a proposito.




Pensierino: ma è mai possibile che le recente catastrofi ambientali, le inondazioni che hanno sommerso un quarto del Pakistan, gli incendi che hanno incenerito mezza Russia e buona parte della Bolivia, alluvioni e frane in Cina, ora terremoti in Iran, siano andate tutte a colpire paesi invisi all’imperialismo e oggetti delle sue attenzioni destabilizzatrici? Che si tratti di guerra meteorologica, come quella sperimentata dai laboratori ionosferici in Alaska, o di scossoni di un ecosistema mandato in malora da produzioni-consumi-devastazioni dell’Occidente capitalista, l’imputato rimane sempre lui, l’Occidente. Ma né della guerra meteorologica, né delle falsi fondamenta per la moltiplicazione delle guerre infinite di Obama, né dei crimini dei nazisionisti, recordmen mondiali di delinquenza politica e morale, a Wikileaks gliene cale. Gliene cale invece, per concludere, di assalire, tramite una consociata in Tailandia, “Wikicong”, il governo tailandese che è appena riuscito a sventare una “rivoluzione colorata” portata avanti da bande in maglietta rossa agli ordini del locale berlusconide Thakson Shinawatra e di un efferato signore della guerra caduto nella rivolta. Pezzo forte dell’operazione, lo sputtanamento dell’erede al trono, Vajiralongkorn, più vicino al settore progressista, tramite un video sulla sua vita privata.
Vorrei concludere c on un'osservazione: In Pakistan, paese islamico e dunque rejetto al punto che nessuno scuce un decimo di quanto offerto ad Haiti, è come se fosse esplosa qualche bomba atomica. Un paese quasi per intero sott'acqua e demolito per decenni, venti milioni in affanno e fuga, cinque milioni senza tetto, bimbetti che crepano di fame e colera, una roba che neanche 70 cavalieri dell'Apocalisse, un detrito umano e ambientale da finalmente ridurre a quella ragione che droni e bombe false flag erano riusckiti ad imporre solo a un reistretta cerchia di notabili assoldati. Avete visto comer il giornale comunista, umanitarista per definizione, tratta questa epocale tragedia? Trafiletti. L'addetta all'area, Marina Forti, con il supporto dei compatibili di Lettera 22, ha avuto modo di stirare chili di piombo su inverecondi paginoni collaborazionisti quando in Afghanistan o Pakistan si trattava di evidenziare le efferatezze degli "estremisti islamici" o quando si trattava di singhiozzare sull'atroce destino di false mutilate e di inesistenti lapidate, o semplicemente di oscurate dal velo. Sulla distesa oceanica di vittime del malaffare militare o ambientale occidentale in Pakistan, trafiletti. Del resto non aveva diramato la Cia pochi giorni fà l'invito a chi ne riceve le disposizioni di "insistere sulla questione delle donne in Afghanistan e Pakistan"? Sulle famiglie decimate in casa e sul paese perduto al 90 per cento, zitti e mosca.



CORIBANTI….CORNACCHIE
Dopo il mio recente post su Cuba, che gettava lo sguardo su insuperate contraddizioni, carenze, ritardi, delle istituzioni isolane e su apparenti divergenze tra un Raul Castro “aperturista” e “riformista” e un Fidel radicale, divergenze che con ogni evidenza alimentano anche la discussione politica all’interno della rivoluzione, l’arcipelago della solidarietà a Cuba e gli stessi rappresentanti cubani se ne sono rimasti in, spero pensoso, silenzio. Solo quattro gatti si sono scatenati e mi hanno lanciato due Cruise. Il primo è questo (non mi si nomina, ma il destinatario è implicito) e si commenta da solo. Lo stile è quello dell’anatema contro chi ha commesso lesa maestà. Il secondo è il documento che segue.



Ai confusi, agli incerti e...ai supercomunisti!
13 agosto 2010
A chi s'affanna tanto a darci le sue opinioni come verità consolidate, a chi pensa d'aver capito tutto ..fidando sulla propria immane intelligenza ...senza neanche uno sforzo di umiltà per prima leggere, domandare, pensare e studiare, a chi scrive grossolane falsità totalmente lontane dalla realtà cubana senza mai darci fonti dirette perché noi poveri lettori si abbia gli strumenti per autonomamente capire.... diamo uno strumento di conoscenza.
Ma soprattutto lo vogliamo fornire a chi veramente vuol capire e conoscere in onestà.
E' molto importante. Speriamo abbiate interesse e pazienza per leggerlo.
E' uno scritto lungo, perché il tema dell'agire della Rivoluzione cubana è tema complesso.
Complessa è la costruzione del socialismo, ancora più complessa quando va fatta in lotta contro le aggressioni, esterne ed interne, dei nemici e degli "amici".
Agli amici pessimisti, confusi in questa mortale società di morti in cui viviamo, diciamo di aver fiducia nell'intelligenza umana, di aver fiducia in se stessi e nell'unità dei popoli, di cercare in sé la forza e la coerenza per praticare i sogni....
Direttivo AsiCubaUmbria

Se vi prendete la briga di riandare al mio articolo su Cuba “Fratelli Coltelli?”, noterete che nè i coribanti polemisti, nè il saggio attribuito a un “cittadino cubano” che odora lontano un Caribe di funzionario del sistema (e che troverete nel sito di Asicubaumbria) si curano minimamente di entrare in uno dei numerosi argomenti sollevati dal mio pezzo, come anche dal vivace dibattito in corso nella sinistra latinoamericana. Trattasi di dichiarazione di fede. Padre Pio per gli uni, il piccolo padre, il presidente nero, il capo rivoluzionario, per gli altri. In perfetta buona fede, ovviamente, e in altrettanta rinuncia a quelle facoltà del raziocinio che ci preservano da bischerate logiche, politiche, storiche e da ottusità. Quanto al contributo del signore cubano, beh raramente mi è capitato, se non incontrando quei tromboni burocratici cubani che mi fanno sempre correre a ritrovare i bravi medici, gli appassionati studenti, gli onesti contadini, gli intellettuali liberi, la gente di strada a Cuba, una trombonata più vuota, retorica, demogagica e sprezzante di questo scritto. E mi chiedo se questo urlatore rivoluzionario abbia mai letto, capendone qualcosa, i saggi di Fidel, così densi di fatti, valutazioni, problematiche, oggettività, sostanza. Lo schemino è meccanico ed è sempre quello dei nefasti burocrati che vorrebbero mangiarsi l’isola con dogmi e ruberie: si parte riconoscendo “giuste preoccupazioni per le difficoltà e i pericoli che sta affrontando il processo rivoluzionario cubano... deficienze, errori...” . Segue una bella rimozione di queste deficienze, pericoli, errori, del resto mai specificati, attribuendoli eminentemente al blocco Usa, alla storia passata, alla prostituzione che imperversa nel mondo. Un discorso di tutta genericità, di proclami apodittici, di un’incredibile arroganza che bacchetta coloro i quali osano dall’esterno a intervenire su cose che loro, gli autoctoni, sanno sempre e comunque meglio di chiunque. Per la verità qualche accenno al concreto c’è: si parla di “ambienti di marginalità, delinquenza, anomia, consumismo, disuguaglianza e privilegi...”
Ma subito, in carattere più grosso e neretto si sancisce: “Colpevolizzare la Rivoluzione per queste escrescenze più che un atto di ingiustizia è una suprema miopia politica”. Ah no? E chi vogliamo “colpevolizzare”, Batista? O quei fetentoni congeniti di fanuelloni cubani? Il bello è che poi l’autore rimprovera gli esterni di dar corpo a qualche responsabilità per quei difettucci che, se non invochiamo forze demoniache, ci sarà pure: “la burocrazia, i dirigenti inetti, la doppia morale, la corruzione, le politiche economiche” (fallimentari). Solo che per lui la denuncia di queste cose, incontrovertibili per chiunque guardi a Cuba con occhi di rivoluzionario e di solidarietà col suo popolo, è solo la “moda di una certa letteratura di sinistra... sempre con uno sguardo esterno". Per dar compiuto sfogo al suo livore contro chi osi menzionare quelle cose e magari parlare di una prostituzione anche minorile mai debellata, delle aspettative sociali di tanta parte del popolo disattese, delle ville dei burocrati e della fatiscenza di Habana Centro, delle privatizzazioni e deregolamentazioni nella scala salariale, della deprimente storia dei detenuti rilasciati per merito della Chiesa, il “cittadino cubano” passa alle vie di fatto, sempre in neretto: “Sarà solo per modestia che certi super-rivoluzionari di casa, non fanno mai riferimento a quello che hanno fatto prima o dopo, a quello che fanno nel proprio quartiere, nel loro luogo di lavoro, nel seno della società civile cubana”. E qui siamo alla denigrazione del critico che, per definizione, è un malnato e farabutto. Ricordo, da giornalista e da comunista, qualcuno che la sapeva assai più lunga e che ci raccomandava che al potere vanno fatte le pulci sempre e ovunque. Pare sentire Berlusconi. Io so’ io e voi nun siete ‘n cazzo. Ce ne sarebbe ancora da citare delle rampogne di questo classico esempio dell’intolleranza e protervia burocratica, ma per il bene di Cuba soprassediamo. Quella Cuba della resistenza al degrado, del rilancio rivoluzionario, della denuncia dei parassiti, della voce di Silvio Rodriguez e di tanti come lui che un personaggio come il sedicente “cittadino cubano” lo prenderebbero per le orecchie eSe libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alle persone ciò che non vogliono sentire lo terrebbe a bagno in un qualche stagno della Sierra Maestra fino a quando non tornasse a udire gli spari che fecero fuori altri come lui, seppure diversamente inquadrati. Lusingare è facile, paga, ed è irresponsabile. George Orwell diceva invece: “Se libertà significa qualcosa, significa il dititto di dire alle persone ciò che non vogliono sentire". E questo lo metto in neretto anch’io.

Intanto arrivano in Spagna, per fila inquadrate, altri detenuti “politici” rilsciati dall’Avana per intervento di Chiesa Cattolica e UE. E subito si mettono all’opera, interrotta nel 2003, quando furono impediti dal continuare a fare i vendipatria e i terroristi al soldo del nemico mortale: munificati di cellulari, microfoni, telecamere e taccuini non emanano respiro che non sia accompagnato da contumelie, diffamazioni, queste sì, e inviti a “liberare” Cuba.
Ultimo, tale Omar Ruiz Hernandez che prendeva la paga mensile dall’Ufficio d’interessi Usa per restituire la sua gente a miseria, ignoranza, roulette e bordelli del patronato Usa.
Questi delinquenti si sono addirittura lamentati di non essere stati trattati con la dovuta pompa e fastosità dalle autorità spagnole. Dice il Ruiz: “Se sono libero lo devo unicamente al cardinale che ha sfidato la dittatura” e i suoi rigurgiti sono stati subito onorati di titoloni e articolesse dall’intera stampa europea. Bel risultato. per la sovranità rivoluzionaria. Altro che gli infami che “criticano dall’esterno”.

CORIMBI
C’è qualcosa che unisce, pensate un po’, Fidel Castro al “manifesto”. Ed è Obama. Un Obama da salvare a tutti i costi. Con giudizio, Fidel. Del tutto sbracata, Ida Dominijanni, che del soggetto si occupa da anni con irriducibile libidine. Fidel, dopo aver plaudito all’Obama Premio Nobel, augurandosi che questo virgulto di Wall Street e del Pentagono, il riconoscimento se lo andasse a meritare, ora scrive che Obama rischia di essere ucciso “come Martin Luther King". Paragone sconcertante, lo ammetterete. E lo invita a proteggersi, quando quattro quinti del mondo, su cui Obama lascia le improntedei suoi artigli, vorrebbero vederlo appeso all’albero più vicino a casa. Dice Fidel: “Sono ottimista, perchè Obama non è cinico come Nixon, non è un imbecille pazzo come Bush, non è un ipocrita come il padre di Bush... non è neanche come Roosevelt o Carter, ma è meglio di loro due”, perchè nero. Santa generosità. Ma insomma, Fidel, tu che fai delle analisi storiche e geopolitiche talmente argomentate e precise e più di qualsiasi leader ci avverti giorno per giorno dei pericoli mortali che l’imperialismo capitalista fa incombere sull’umanità! Ma come si fa!.



Con la Dominjianni, portavoce del “manifesto” nei salotti televisivi, non siamo all’inciampo, siamo al delirio. Questa signora, dai maturi bollori per il taumaturgo di Chicago, ancora getta al terminator mondiale di classi subalterne e popoli, allevato fin dall’università nella scuola Cia e Wall Street dello stupro di verità e diritti umani, ciambelle di salvataggio. Nel suo inno del 17 agosto, Obama diventa eroe da guerre stellari che sfida ogni bruttura del mondo: Al Qaida (lei scrive, con perizi poliglotta, Al Quaeda), il centro moderato Usa, oppositori e sostenitori, i fanatici dello scontro di civiltà, gli umori delle masse, la pancia del paese. Obama, scintillante guerriero del bene, per gli americani "troppo europeo, troppo socialdemocratico, difensore del diritto in punta di principio, che si affida alla razionalità politica, che non demorde dall’obiettivo strategico di archiviare il discorso dello scontro di civiltà, che cerca l’interdipendenza del mondo globale, soluzioni condivise, il multiculturalismo, senza restare prigioniero delle ferite del passato, puntando a un nuovo inizio, all’uscita dalla guerra dell’Iraq e dell’Afghanistan, alla soluzione del conflitto israelo-palestinese, ai rapporti con l’Iran, ai diritti fondamentali, le libertà femminili, il dialogo interreligioso, l’investimento nell’istruzione e nello sviluppo... Insomma, l’arcangelo Gabriele è una pippa al confronto.

C’è nei due corifei di Obama il seme comune del culto della personalità, del capo,
alla quale, dimentichi della lezione di Marx, dalla sinistra staliniana vengono attribuiti facoltà, poteri e volontà autonome e indipendenti dal conflitto di classe e dal controllo –invece assoluto – delle forze che dominano economia, armi, droga, lavoro. Il discorso del Cairo è l’alba di un’era di armonia e convivenza tra Islam e Occidente, subito seguito dall’incondizionato appoggio al genocidio sionista e dalla definitiva archiviazione dei diritti palestinesi tramite colloqui diretti tra chi ogni minuti spazza via un palestinese e una sua casa o terra e chi ha intascato i trenta denari per cancellare vita e dignità del proprio popolo. Il discorso dulla moschea a 300m metri da Ground Zero è la fine degli orrori dello scontro di civiltà, subito seguito, come d’uso, da un ripensamento alla Berlusconi: “Non intendevo pronunciarmi sull’opportunità di costruire lì quella moschea”. Insomma fuffa. Il classico demagogo imbonitore che annebbia il gonzo alla Dominjianni con denti smaglianti, toni appassionati, catarsi in arrivo, vuoto pneumatico di impegni e fatti, il tutto immediatamente concretizzato in incursioni stragiste in Somalia e Yemen, in rilancio della “guerra al terrorismo” ( che per definizione è islamico, appunto “di civiltà”), elargizioni ai banditi bancari amici e sottrazione di lavoro e sopravvivenza a milioni di lavoratori statunitensi, nulla osta alle forze speciali della Cia di andare in giro ad assassinare cittadini Usa e stranieri”sospettati di terrorismo”, processi militari a Guantanamo – sempre aperta – a ragazzini “terroristi” a 15 anni... insomma ce n’è da tirare avanti fino alle calende greche. E io devo partire.
Ma chi ci salverà da coribanti e corimbi?



Hasta luego.

martedì 3 agosto 2010

DALLA ZATTERA (con una premessa cubana)


Ma non fia per questoche da codardo io cada: periremo,ma glioriosi, e alle future gentiqualche bel fatto porterà il mio nome.(Iliade XXII, 304-305)

E tu onore di pianto, Ettore, avrai, ove fia santo e lagrimato il sangue per la patria versato, e finchè il sole risplenderà su le sciagure umane.
(Ugo Foscolo, “I sepolcri”)

Premessa cubana. Non sarà sfuggito ai raziocinanti non bigotti quanto fosse accorato il mio precedente post su Cuba e sulle clamorose contraddizioni che vi si sono aperte. Tanto da dare nuova dignità ad assonanze screditate e logorate dai poetastri e canzonettisti che infestano questo paese: amore, dolore, cuore. Erano queste le corde dello strumento che ha suonato la mia canzone su Cuba, queste, ma anche quella che non può non vibrare in ogni espressione di chi si vuole giornalista. Si chiama ragione. Sennò è meglio che si imiti Guido da Verona. Quell’articolo, “Fratelli coltelli”, riprendeva e cercava di analizzare e spiegare quanto va agitando da qualche tempo, da destra a sinistra, tutto il mondo di chi osserva l’isola della rivoluzione. Ma anche gran parte dei suoi cittadini posti di fronte a novità inusitate, attese, sperate, temute, che hanno portato per la prima volta alla luce del sole, cubano ma non solo, divergenze di fondo su come portare avanti il processo che ha fatto di Cuba l’ispirazione di un intero continente e oltre. Ebbene alte si sono levate le grida, nei commenti sul blog e fuori. Chi approvava, chi disapprovava da destra per non avere il pezzo sotterrato Cuba, per quanto da qualcuno avviata al riformismo, sotto una tempesta di improperi. Chi disapprovava da sinistra, perché si è osato mettere in dubbio la saldezza di una specie di trinità liturgica, per definizione impeccabilmente rivoluzionaria: Fidel, Raul, il popolo, incrinatura del resto trasparsa a chiunque non avesse sugli occhi fette di fede assoluta, ma che cuore e amore, appunto sine ratione, escludevano dal reame del possibile. Tra i compagni a me più cari c’è stato addirittura chi ha equiparato il mio a testi “provenienti da schieramenti opposti ai nostri”, denigrando uno spirito di legittimo e indispensabile internazionalismo rivoluzionario, del quale ogni comunista è sacrosanto attore, in “ingerenze”, “azzardate analisi”, “controproducenti e pericolose”. Il vizio dell’obbedienza cieca e assoluta, innestatoci dal carcinoma apparentemente inestinguibile della fede monoteista, che vede ogni contributo fuori dal catechismo di chi in quel momento detta la linea una pugnalata alle spalle, non cessa di fare vittime. Vittime di quella verità che, da giornalista, prima ancora che da rivoluzionario, ho il dovere di non occultare dietro ai fumi anche dei più sacri dei turiboli. Compagni di Cuba, contro tutti e chiunque, militanti della rivoluzione, ma ascari di nessuno.

Cari interlocutori, il lancio di macigni da questo blog, così pesanti di quantità e aspri di spigoli, che in questi mesi hanno rubato alla vostra generosa disponibilità tempo e forse pazienza, viene ora sospeso per ben due mesi. Prima di inoltrarmi oltre le colonne d’Ercole che, da un lato, ci rinserrano nella prigione del nostro euro-provincialismo
a-internazionalista, ma dall’altro ci spalancano gli orizzonti luminosi di altra vita oltre i nostri stagni, andremo per un po’, novelli Filomene e Bauci, condotti per zampa dal bassottarello Nando, a riossigenarci dai fetori italioti, rovistando nelle foreste germaniche a me care.



Sarà l’occasione anche per dare la caccia, certamente non ad alcun essere vivente non umano, ma a quegli umanoidi di ascendenze naziste che, sotto forma di elfi, gnomi, goblin, gremlin, maghi, gollum, hanno ingarbugliato i neuroni dell’adolescenza bianca, cristiana, occidentale. Tanto da trasformare la perdita della cultura del limite, della finitezza, della fragilità, del rispetto, in una specie di isola felice e narcotica, paese dei balocchi, kindergarten con i nanetti. Temo, però, che la spingarda resterà silente, data la consistenza fallacemente esoterica e dunque inconsistente, dei soggetti in questione. Rimedieranno ampiamente alla loro assenza felci, mirtilli, ciclamini, muschio, tigli e quelle querce sotto le quali comunità antiche si riunivano per dialogare con fauni e ninfe, amorose creature che ci sorridevano e ispiravano all’ombra di dei benevoli con i giusti. Questi, diversamente da quelli, non schierati in armate contrapposte che, nei romanzi di Tolkien (signori degli anelli e delle guerre) come nei film di Hollywood, intendevano reclutarci nella battaglia universale tra “bene” nostro e “male” altrui. In quella seria, delle battaglie tra il bene nostro e il male altrui, mi caccerò ancora una volta più in là, andando a cercare angeli e demoni in uno dei buchi più neri del pianeta e dell’umanità. Spero di riportarvene la “narrazione” (orrendo termine vendoliano, subito ripreso e rilanciato dalla penna e gola di chi per propria vocazione ha scelto quella del corifeo. Lo uso per sbertucciarlo).

Dal meraviglioso quadro di Gericault, che vedete in apertura, naufraghi disperati levano grida e braccia alla vista della terra, per quanto lontana e incerta. Ci racconta, la zattera, quelli che siamo e dove insistiamo a volerci dirigere. Il messaggio è un augurio a tutti voi, a tutti noi. La terra è promessa. Da chi non è decrepito come il corrusco e bugiardo Jehova, ma da chi, giovane di contemporaneità e di futuro, nel 1848 e seguenti, lacerò definitivamente il telo millennario dell’ignoranza e della rassegnazione che religioni e poteri utilizzarono per avvolgere e mummificare l’umanità.




Ancora Wikileaks
Tuttavia non vi risparmio, dopo questo roboante e pretenzioso finalino, ancora una chiosa polemica, a saluto di quei miei cortesi e vivaci corrispondenti che continuano a fulminarmi per aver messo in dubbio, quando non in dileggio, il paracadute di un’ostinata fiducia in qualunque fenomeno di giornata che prometta, a pari dei falsi miraggi che ai marinai paiono salvezza dal naufragio, di sollevarci dalle nostre responsabilità e affidarci a qualche superman. Si tratti di Vendola o di Saviano, di Obama o del guru Raineesh, di Padre Zanotelli o del Dalai Lama, di Mandela o di… Wikileaks. Senza più entrare nel dettaglio, avendo ormai constatato, con lo strumento della ragione più che della fede e della speranza, a chi le rivelazioni di Wikileaks siano convenute, quali vantaggi ne abbiano tratto coloro che da nuove criminalizzazioni traggono giustificazione per nuove e peggiori aggressioni e quali strumenti ne siano venuti, invece, a chi delle “rivelate” malefatte già tutto avrebbe potuto sapere solo che si fosse informato dalla parte giusta.

La fonte primaria degli scoop di Wikileaks era l’analista dell’ intelligence Usa, Bradley Manning. Ora arrestato. E l’arresto potrebbe, ma non dovrebbe, dargli qualche credito. Gira per il mondo e non è (ancora?) stato arrestato il biancochiomato titolare del sito, Julian Assange che, invece, compete con il noto Saviano per presenze sugli schermi del caleidoscopo mediatico mondiale. Di curioso c’è questo. Che il buon Manning ha rivelato a un collega di aver trasmesso ad Assange un file ben più corposo di quelli fin qui pubblicati, contenente mezzo milione di eventi, soprattutto sulla guerra all’Iraq dal 2004 al 2009. Assange, Wikileaks, non hanno mai detto nulla in proposito e nemmeno di aver ricevuto quel Cache. Di più, Manning si è anche chiesto che fine abbiano fatto un secondo video (dopo quello degli ammazzamenti dall’elicottero) spedito ad Assange, nel quale si vedono militari Usa sterminare, non la decina di iracheni presto archiviati (Abu Ghraib era peggio e chi ne parla più), ma cento civili nel villaggio afghano di Garani. Come sarebbero scomparsi 260.000 dispacci del Dipartimento di Stato, pure inoltrati.

E questo è un messaggio arrivatomi da un amico, conoscitore dell’Afghanistan per esserci stato durante questi anni, che pare rinnovare i sospetti sul clou , ampiamenti pubblicizzato, delle rivelazioni di Wikileaks: il rifornimento ai Taliban di missili terra-aria, ovviamente SAM. Perché SAM? Ma perché quelli che chiamiamo SAM sono inevitabilmente di produzione “nemica”, un tempo sovietica e ora solo o cinese, o nordcoreana, magari trasferiti da quell' ISI, infido servizio segreto pakistano, inviso a Usa e India, ai compari terroristi Taliban. Il bersaglio è centrato. Certo, “rivelare” che i missili terra-aria, magari Stinger statunitensi, in Afghanistan ci sono da quando gli Usa si diedero a fare a pezzi questo paese, non avrebbe avuto lo stesso effetto.

Caro Fulvio,

dalla mia esperienza in Afganistan nel 2005 con Emergency ricordo bene la questione dei famosi missili terra-aria stinger.
I missili stinger furono dati dagli USA al generale Massud per combattere i sovietici e i talebani.
Se la notizia (da fonte Wikileaks) sarà confermata significa che i tazgichi, unica etnia fino a ieri non ostile agli USA (Alleanza del Nord) si è schierata con gli eterni nemici pashtun (del sud), a maggioranza talebana.
L'alleanza del Nord ha sempre tenuto i missili in custodia in Panshir, a scopo deterrente e non fidandosi degli USA, malgrado il Pentagono ne abbia chiesto la restituzione dopo l'invasione nel 2001 e ciò ha creato tensioni a più riprese tra tazgichi e americani.
L'unione tra nord e sud (se si sta verificando) cambierà radicalmente lo scenario bellico (nessuno è mai riuscito a invadere il Panshir) e l'intervento degli stinger in appoggio alla resistenza offrirà un appoggio tecnologico inedito.
Buon lavoro e un buon agosto
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Bene, potrei chiudere qui. Ma voglio aggiungere qualcosa che risponde a chi, che si tratti di Wikileaks, o di coloro che, dandomi del dietrologo, evidentemente al limite della paranoia, mi rimprovera di “vedere la Cia dappertutto”. Quanto a Wikileaks, mi coprirò di cenere per aver sbagliato tutto (cosa sempre possibile) il giorno in cui le bombe informative di quel sito scoppieranno anche su Israele, dandoci conto, alla mano di fatti (che magari noi già conoscevamo, come quelli dei 90mila documenti, ma che abbiano lo stesso impatto sui media), dell’incommensurabile carattere criminale di ogni aspetto dello Stato nazisionista. In attesa posso continuare a sospettare, da buon dietrologo, che quella di Wikileaks possa anche essere uno scherzetto israeliano, diciamo un avvertimento mafioso, fatto ai soci di minoranza statunitensi per strappargli le ultime remore controTehran delenda est. C’è un asse Usa-UE-Israele-India, contro il Terzo Mondo e contro Russia e Cina e c’è, di fronte, un’asse Pakistan-Iran-Turchia-Siria-Latinoamerica. Mi pare che l’ordigno Wikileaks sia deflagrato in questo secondo campo.

Quanto all’ossessione di chi “vede la Cia dappertutto” (me la stigmatizzò anche Salvatore Cannavò, caporedattore di “Liberazione”, quando gli documentai che Otpor lavorava per la Cia. Ora tace), basta questa breve lista di organizzazioni a disposizione della Cia, tratta da una di centinaia di voci raccolte e analizzate dal più prestigioso sito di controinformazione latinoamericana www.resumenlatinoamericano.org ? Potete buttare tutto quello che è uscito sul mio blog, ma non questo bignamino di una sconfinata enciclopedia. E neppure il quadro di Gericault.
Buone, stimolanti, allegre vacanze!


SOCIETA’, AGENZIE, ORGANIZZAZIONI CHE LAVORANO CON LA CIA
American Federation of Labor (AFL/CIO), USAID, American Geographic Society, Associazione dei giornali USA, Associazione degli editori USA, Croce Rossa USA, ANSA,
ARAMCO, Associazione degli amici del Venezuela (e analoghe del Myanmar, dell’Iran, del Tibet, dello Xinjang, del Darfur, dell’Eritrea, di Israele… ), Associazione Berlinese per l’assistenza all’istruzione nei paesi in via di sviluppo, Boeing, Boy Scout USA, Girl Scout USA, Comitato cittadino tedesco per la politica estera, CARE, Fondazione Cattolica del Lavoro USA, Organizzazione cattolica universitaria USA, Televisione CBS, Televisione Fox, Trasporto Civile Usa, Università Columbia, Lega delle Cooperative Usa, Liberi Sindacati dell’Ecuador, Unione Nazionale degli Studenti Usa, Council of Foreign Relations, Council on Economic and Cultural Affairs (due autorevolissimi think tank Usa), Consiglio Rivoluzionario Cubano, Confederazione sindacale dell’Uruguay, Confederazione sindacale del Messico, Lega Tedesca degli artisti, Sindacato Usa dei lavoratori dello Spettacolo, First National Bank, First National City Bank, Guide di viaggio Fodor’s, Associazione della Stampa Estera (Usa), Fondazione Ford, Divisione Stampa Free Europe, Radio Free Europe, Radio Liberty (quelle per cui lavorava la Politovskaja), Freie Universitaet (Libera Università), General Electric, General Motors, Gulf Oil Corporation, Harvard University, Federazione Internazionale dei Giornalisti, Federazione Internazionale della Gioventù Cattolica, Commissione Internazionale dei Giuristi, Confederazione Internazionale dei Sindacat Liberi, Federazione Internazionale degli Editori, Accademia Internazionale della Polizia, ITT, Lega Internazionale dei Liberi Giornalisti, Reporters Sans Frontieres, Federazione Sindacale del Kenya, Comitato Tedesco per le Relazioni Internazionali, Comitato Tedesco per l’Indipendenza del Caucaso, Comitato Tedesco per l’Autodeterminazione, MIT, McCann-Erickson, Mobil, Associazione Nazionale per l’Avanzamanto della Gente di Colore (NACCP, Usa), NASA, Associazioni studentesche in tutti i paesi del Sud, Organizzazione degli Stati Americani (OSA), Peace Corps, RCA, Rand, Fondazione Rockefeller, Shell, Standard Oil, J. Walter Thompson (pubblicità), Time, Chiesa dell’Unificazione, Chiesa Metodista, US News and World Report, le università di California, Chicago, Cincinnati, Houston, Illinois, Kentucky, Maryland, Miami, Michigan, Oklahoma, Pennsylvania, Utah, Vermont, Washington, Wisconsin, Yale, YMCA, YWCA,
Watch Tower Movement (Testimoni di Jehova)….

Per il resto vedi www.resumenlatinoamericano.org, e Tribuna Popular (Venezuela).
Dei paesi europei hanno elencato purtroppo solo la Germania. Forse per l’Italia mancava lo spazio.