sabato 27 novembre 2010

1968-2010


Non è necessario che, mentre vivo, io viva felice, ma è necessario che finchè vivo io debba vivere con onore.
(Immanuel Kant)

I popoli, al pari degli individui, tanto possono quanto sanno.
(Aristide)

Opponiti all’oppressore e sostieni l’oppresso.
(Imam Ali)

POLIZIA ASSASSINA, POLIZIA ASSASSINA
POLIZIA FASCISTA, POLIZIA FASCISTA
PADRONI, FASCISTI, POLIZIA
UNO PER UNO VI SPAZZEREMO VIA
Era lo slogan che, chi se lo può ricordare, percuoteva l’asfalto degli anni dal ’68 in poi. Andavamo in piazza un giorno sì e l’altro pure per alcuni anni, strappammo le vesti agli imperatori di destra e sinistra e, finchè non si raddobbarono a forza di mazzate e stragi, restarono nudi. Oggi vediamo da un capo all’altro d’Italia, dalle strade ai tetti, scene che, non fosse per il giubbotto al posto dell’eskimo, per l’assetto da guerra anziché il capottone grigioverde, assomigliano a quelle come gocce d’acqua. Che abbiano perlomeno la tenuta che avemmo noi, questi studenti, operai, monnezzati, esclusi, discriminati, respinti, espulsi, dall’ambiente squartato, dal futuro bruciato, o, se il popolo vuole, molta di più. Visto che dal fango non si esce se non strappandoselo di dosso, e nemmeno dalla dittatura senza rivoluzione. Qualunque forma le si voglia dare.

In quegli anni roboanti e succulenti scrissi questa canzone. Contribuiva a fare un po’ di quella musica che ci fece avanzare danzando. Scusate il linguaggio, un po’ adolescenziale, era l’età, erano i tempi…Ma la sostanza, a guardare negli occhi quelli al portone del Senato, o in cima alla Torre di Pisa, non parrebbe molto diversa. Perciò l’ho ricordata.
In fondo poi, c’è una specie di proclama di Nazim Hikmet. Anche quello non del tutto sbagliato. Poi, ancora sotto, c’è anche un estratto dal blog di Beppe Grillo, sia per rispondere a quelle brave persone che sbigottiscono davanti all’accusa di malafede al campione di malafede Saviano (“poveraccio, vive a trent’anni sotto scorta”, come se la santificazione ampiamente remunerata non servisse a compensare), sia per ribadire che il buono si prende dove si trova, anche in Grillo, (e l’errore si denuncia dove si trova), senza categorizzazioni apodittiche. Quanto alla buonafede del plagiatore professionista (anche Don Ciotti lo ha accusato di aver copiato da lui l’orazione di “Vieni via con me”), bisogna proprio aver tantissima buonafede per sostenere che uno che sta con Israele, con gli Usa, con tutti gli sbirri e propagandisti dell’impero e che nasconde le responsabilità dei politici nei rifiuti, sia in buonafede.



E tu oggi cosa hai fatto
mercenario poliziotto?
Ti sei messo elegante
per servizi da portiere,
un tantino degradanti,
alle case dei signori?


O hai corso in pantera
per schiaffarci in galera
e riportare al padrone
cento all’ora, entro sera,
l’osso tolto a colazione
da un dannato della Terra?


Ti sei messo in borghese,
un po’ ovvio, senza offese,
per servire da spione:
parrucchino e sulla pancia
pistolino e cravattone,
repression, ma con creanza?


O hai fatto il celerino,
robocop e aguzzino,
hai picchiato i pensionati,
hai sparato a un studente
e di fronte ai più incazzati
hai battuto dente a dente?


Poliziotto, servo, sgherro
Dentro nebbia e fuori ferro,
sei sfruttato e disprezzato,
dalla gente tua odiato
perché sei un traditore
e mai più un vincitore,
perché non sei mai insorto.
Se un dì sarai ucciso
ti si leggerà sul viso
ti si leggerà sul viso
che è morto un uomo morto.


Ti ricordi, poliziotto,
quel quartiere tutto rotto,
senza luce, acqua, cesso,
sotto ai denti fame a rabbia
e il destino degli oppressi:
un castello nella sabbia?


Ti ricordi quella scuola,
quella lunga e triste spola,
tra la noia e punizioni?
Sempre solo una lezione:
furberia, umiliazione,
o la fuga, emigrazione.





Tu ti sei dimenticato
Del tuo popolo piagato,
trenta luridi denari
per andar contro tua madre,
son bastati e per scordare,
per tradire figli e padre.


Hai voluto esser forte,
migliorare la tua sorte,
ma quell’arma che t’han dato
per salvare una classe jena
contro quei che hai rinnegato,
t’offrirà l’ultima cena.

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Io sono comunista
Perché non vedo una economia migliore nel mondo che il comunismo.
Io sono comunista
Perché soffro nel vedere le persone soffrire.
Io sono comunista
Perché credo fermamente nell’utopia d’una società giusta.
Io sono comunista
Perché ognuno deve avere ciò di cui ha bisogno e dare ciò che può.
Io sono comunista
Perché credo fermamente che la felicità dell’uomo sia nella solidarietà.
Io sono comunista
Perché credo che tutte le persone abbiano diritto a una casa, alla salute, all’istruzione, ad un lavoro dignitoso, alla pensione.
Io sono comunista
Perché non credo in nessun dio.
Io sono comunista
Perché nessuno ha ancora trovato un’idea migliore.
Io sono comunista
Perché credo negli esseri umani.
Io sono comunista
Perché spero che un giorno tutta l’umanità sia comunista.
Io sono comunista
Perché molte delle persone migliori del mondo erano e sono comuniste.
Io sono comunista
Perché detesto l’ipocrisia e amo la verità.
Io sono comunista
Perché non c’è nessuna distinzione tra me e gli altri.
Io sono comunista
Perché sono contro il libero mercato.
Io sono comunista
Perché desidero lottare tutta la vita per il bene dell’umanità.
Io sono comunista
Perché il popolo unito non sarà mai vinto.
Io sono comunista
Perché si può sbagliare, ma non fino al punto di essere capitalista.
Io sono comunista
Perché amo la vita e lotto al suo fianco.
Io sono comunista
Perché troppe poche persone sono comuniste.
Io sono comunista
Perché c’è chi dice di essere comunista e non lo è.
Io sono comunista
Perché lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo esiste perché non c’è il comunismo.
Io sono comunista
Perché la mia mente e il mio cuore sono comunisti.
Io sono comunista
Perché mi critico tutti i giorni.
Io sono comunista
Perché la cooperazione tra i popoli è l’unica via di pace tra gli uomini.
Io sono comunista
Perché la responsabilità di tanta miseria nell’umanità è di tutti coloro che non sono comunisti.
Io sono comunista
Perché non voglio potere personale, voglio il potere del popolo.
Io sono comunista
Perché nessuno è mai riuscito a convincermi di non esserlo.

( NAZIM HIKMET)

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Dal blog di Beppe Grillo
Ricevo e pubblico una lettera dell'oncologa Patrizia Gentilini sulle affermazioni fatte da Roberto Saviano nella trasmissione: "Vieni via con me" sulla camorra e i rifiuti.

"Caro Beppe,
la questione dei rifiuti in Campania è troppo importante perchè si possa permettere che vengano date informazioni distorte o comunque non rappresentative della realtà dei fatti. Per questo ti chiedo ospitalità nella speranza che questa mia arrivi all'attenzione di Roberto Saviano - che certamente stimo per tante sue testimonianze - ma che proprio per questo e per il ruolo che ha assunto, non può permettersi "scivoloni" di sorta. Affermare, come Saviano ha fatto in TV con 10 milioni di persone che lo vedono e scrivere su Repubblica (altri 2 milioni circa) che è la camorra colpevole del disastro dei rifiuti urbani in Campania è affermare una cosa non vera: nel processo in corso contro Bassolino e vertici di Impregilo&Fibe non vi sono imputati per reati "di camorra", ma per truffa e falso.
Qui le responsabilità non sono della camorra, ma della politica e se si assolvono gli amministratori e i politici che hanno combinato questo disastro si fa un favore lla camorra perchè la camorra si combatte asciugando l'acqua in cui nuota! Ed è bene sapere che le difficoltà a gestire nel modo giusto i rifiuti (raccolta domiciliare, centri di compostaggio e di riciclo) non vengono tanto dalla camorra quanto piuttosto da un intreccio perverso tra grandi interessi e politica, senza distinzione di parte, ne sappiamo ben qualcosa anche noi cittadini di una regione "rossa" quale l'Emilia Romagna...
Di certo poi Saviano non è aggiornato e non sa che non sono solo alcuni sparuti studiosi ad esprimere dubbi sulla innocuità degli inceneritori, ma intere associazioni scientifiche ed Ordini di Medici (come quello dell' Emilia Romagna o della Francia). Chi volesse farsi anche solo una idea del problema può leggere quanto pubblicato sul Sole 24 ore Sanità da parte del collega Pietro Carideo, od ancora la lettera aperta di noi medici ai cittadini di Parma, o le dichiarazioni fatte dall'oncologo francese , D. Belpomme, Presidente di ARTAC. E se ancora non bastasse riporto le parole del Prof. David Kriebel del Dipartimento Salute ed Ambiente del Massachussets che ha commentato un recentissimo studio - pubblicato sulla rivista Occup Environ Med - condotto da ricercatori dell’Università di Lione in un'area in cui sono attivi 21 inceneritori (studio che ha evidenziato su 304 neonati affetti da gravi malformazioni all’apparto genitale rischi statisticamente significativi -fino a quasi sei volte l’atteso - correlati all’esposizione alle diossine emesse dagli inceneritori).
Queste le parole del Prof Kriebel: “Lo studio.. suscita serie preoccupazioni in relazione ai rischi per la salute dovuti alle emissioni di impianti urbani di incenerimento dei rifiuti. Questo dato, combinato con l’evidenza di altri effetti negativi di questa tecnologia, dovrebbe essere di per sé determinante nella scelta della gestione dei rifiuti. Infatti, oltre ad essere molto pericolosi per la salute, tali impianti infatti:
1) provocano la produzione di ceneri pesanti e scorie tossiche comunque da smaltire
2) contribuiscono al riscaldamento globale
3) impediscono la riduzione dei rifiuti e il riciclaggio, poiché una volta che questi impianti costosissimi sono stati costruiti , i gestori vogliono avere garantita una sorgente continua di rifiuti per alimentarli".
Ripeto, non pretendo certo che Saviano sappia tutto di rifiuti , ma spero si renda conto che con il suo intervento - certamente suo malgrado - è stato funzionale alla promozione del "ciclo integrato", ovvero quello che prevede un'importante quota di rifiuti da incenerire e l'utilizzo successivo delle ceneri residue.... nel cemento!
Oggi - fortunatamente - è possibile il recupero pressochè totale della materia (compreso frazioni fino ad ora difficilmente gestibili come pannoloni/pannolini): non si sprecano risorse, si crea occupazione e soprattutto si salvaguarda salute ed ambiente. O vogliamo forse perpetuare la diabolica spirale della distruzione di materiali preziosi, della cementificazione del territorio, dell'immissione di veleni di ogni tipo con danni gravissimi alla salute e all'ambiente?" Patrizia Gentilini

martedì 23 novembre 2010

VOLTAIRE O ROBESPIERRE, VLADIMIR O REVOLUCION (dal Circolo della Tuscia)



Questa è una cronaca, diciamo ragionata e inquadrata nel contesto, di un significativo evento occorso nel piccolo paese di un grande paese dalle tante piccole realtà che tutte insieme potrebbero ridare al grande paese forza, intelligenza, coraggio, libertà di pensiero, direzione di marcia. Si è parlato di America Latina, di Cuba, di rivoluzioni e involuzioni, di dissidenti e mercenari, delle grinfie dell’imperialismo, di burocrati ottusi e di liberi pensatori. E si è pure cenato molto bene. Tutto merito di un vernacolare ma fortemente internazionalista e dunque fortemente impertinente e dunque fortemente criticato Circolo di Italia-Cuba. Quello della Tuscia. In fondo si trovano, come spesso in questo blog, interventi altrui che mi sembra valesse la pena diffondere. Uno è di Travaglio e mai nessuno si era espresso meglio su Bersani, l’altro è del prestigioso Centro antimafia “Peppino Impastato” e riguarda il nostro nuovo santo-subito Roberto Saviano.


Nichi Vendola nel suo giro statunitense, d’obbligo per ogni candidato a svolgere un ruolo nella colonia, immagino col cappello in mano e l’inchino pronto di tutti i suoi predecessori politici impegnati nella captatio benevolentiae dell’establishment Usa, si è pure intrattenuto amabilmente con i boss delle Fondazioni Ford e Rockefeller. Fondazioni benemerite dello zannuto impero Usa in quanto tentacoli finanziario-sociali di Pentagono, Dipartimento di Stato e Cia, da un secolo impegnate nell’eugenetica (sterilizzazioni, intossicazioni, esperimenti chimici) praticata da Washington nei confronti dei popoli nativi, dei poveri e dei paesi da spopolare, come nella destabilizzazione bellica, economica, sociale, culturale, di Stati disobbedienti. Avendo preso i gradi in quella scuola, possiamo essere certi che allo Svendola è assicurato un luminoso futuro. Al prossimo giro, quello dei futuri caudilli, passerà per la Scuola delle Americhe, dove ci si forma per imprese latine. Per altre scuole di genocidio Usa, riservate agli asiatici, già passano gli ufficiali vietnamiti. Quelli del paese che qualcuno a Cuba vede come modello.

A Lisbona, Frattini, sostenuto da frattaglie berlusconiane varie, con gran fiuto del buongusto, ha consumato la lingua sulle schiene intere di Obama e Rasmussen, rispettivamente imperatore e capo dei pretoriani (Nato) dell’imperatore, nel preciso momento in cui costoro esufflavano nuove flatulenze imperial-militari. Già undici anni fa D’Alema, impegnato a trasformarsi da barbieruccolo coi baffi in grande statista nutrendosi di cadaveri serbi, metteva la firma di caporale di giornata all’espansione Nato in spedizioni “di pace” ovunque i barbari mettessero in discussione la cupola necrofaga occidentale. Così il trio della risata che ci seppellirà, Berlusconi-La Russa-Frattini, al vertice licantropico lusitano firmavano la promozione della Nato a padrona del mondo, o se no…. Naturalmente non un accenno di riprovazione dai solidalissimi PD-SEL-FDS. Messi in un angolo dai compari fedifraghi iraniani e dalla resistenza nazionale in Iraq, messi alla porta dall’America Latina, bastonati dall’insurrezione di tutto un popolo in Afghanistan e avviati alla stessa sorte in Pakistan e ovunque, a questa ciurma di farabutti interessa solo una cosa: continuare finchè possibile a rapinare a mano armata. Si disintegra l’economia capitalista, va a ramengo ogni ordine sociale, è sventrato o desertificato l’ambiente planetario, il clima ci arrostisce un giorno e l’altro ci annega, come fare in modo che questa necrocrazia dell’1% possa continuare ad alimentare le sue vene col sangue del restante 99%? Ecco la Nato, ecco lo scudo missilistico, ecco i vermiciattoli da amo italiani. Come diceva Sordi? Finchè c’è guerra c’è speranza. Non importa che si vinca, importa che duri, ormai in Af-Pak fino al 2014 e oltre (ricordate la exit strategy del supervendola Obama, da completare entro il 2011?). Non gli rende più niente l’industria delle vita? Ebbene, con questa Terza Nato prima dell’apocalisse ci sarà per i suoi sette cavalieri un ricco banchetto di morti. Prima che clima e uranio si portino via anche loro.



Siamo aggrediti da licantropi che hanno imparato a muoversi anche di giorno, seppelliti dalla spazzatura, lanciati in guerre di sterminio, affogati nel fango della volgarità, assediati dalle mafie, spiaccicati sotto il tacco degli Usa? Ma c’è anche un intero continente che spara anticorpi in tutte le direzioni. Milioni di anticorpi. A volte piccolissimi, quasi invisibili, ma vivi e reattivi. Ne basta uno per bucare la sfera di fuffa gonfiata da Obama quando fa quei suoi discorsi epocali che tanto arrapano i sinistri. Sabato 20 novembre, per esempio, si è materializzata una microscopica cellula di anticorpi a Manziana, biblioteca comunale, per iniziativa del Circolo della Tuscia dell’Associazione Italia-Cuba. E di quale catena di cromosomi poteva far parte se non di quella che, partita da Cuba, si è andata poi avvolgendo attorno a Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua e via latinoamericaneggiando? Vabbè che il borgo è selvaggio, la platea nobile ma non straripante, il relatore sul tema “Cosa succede in America Latina” giornalista e superesperto di un giornale che però annaspa ("il manifesto"), ma intanto c’era la cena a base di quel picadillo che ha sostenuto generazioni di fibre rivoluzionarie, c’era el son felicemente eversivo di Leonardo. E c’erano parole come “imperialismo”, “antimperialismo”, “sovranità”, “progressisti”, “rivoluzioni”, “giustizia sociale”. Insomma, per farla breve, Maurizio Matteuzzi, portabandiera di un’informazione corretta e competente sull’America Latina, e alcune dozzine di persone curiose e non rinscimunite dalla multinazionale delle bugie, se la sono vista per quattro ore abbondanti, picadillo, torte, tortini e libagioni compresi, con quel “continente della speranza” che, da Omero Ciai a Piero Ostellino a Angela Necioni a tutti i pennivendoli da angiporto, ci viene rifilato come un’accozzaglia più o meno omogenea di “paesi canaglia”, magari inclini al terrorismo.



Vasto il giro d’orizzonte su un’America Latina che, con passo differenziato, quale lungo, quale esitante, quale cortino e a volte con qualche inciampo (il Brasile del passaggio di 20 milioni dalla miseria alla povertà, ma anche della devastazione etico-ambientale dell’agrobusiness e dei necrocombustibili, come esempio), toltasi i paraocchi e il morso a stelle e strisce galoppa verso un’altra distribuzione della ricchezza e della sovranità. Roba da far ammattire Wall Street, il FMI, la Banca Mondiale e i loro terminali nella Casa Bianca e nel Pentagono, con al seguito le salmerie di Bruxelles. Tanto da presentarci come orchi e caudilli genuine espressioni di popolo, confermate e riconfermate in ineccepibili elezioni (altro che Messico o Afghanistan), quali Chavez, Morales, Correa i quali, quanto a sociale, democrazia e sovranità, stanno agli amichetti yankee, sauditi, egiziani o colombiani, come Garibaldi sta a Petain. E, a proposito di sovranità s’è sviluppata un’ampia e sorprendentemente consapevole (siamo o non siamo un anticorpo?) discussione con il pazientemente illuminante Maurizio su tempi, modi e contenuti del processo. L’anticorpo, fecondato dai racconti del bravo giornalista, ha ingravidato un frammento di Italia, tanto da scuotere il sonno dell’intera penisola con una frase dal sapore antico, ma immarcescibile, ispirata al “Patria o muerte” di Fidel, Hugo, Evo, Rafael e Daniel e sottratta alla polvere degli scantinati revisionisti: “Fuori la Nato dall’Italia, fuori l’Italia dalla Nato!”. Erano d’accordo 40 persone, ma se si pensa che a fare la rivoluzione che ha poi contagiato l’intero continente ne sono bastati una decina, c’è da lisciarsi i baffi.




Animate e urticanti, a conclusione, le considerazioni fatte da alterni valutatori su Cuba e sui rivolgimenti in atto nell’isola. “Strutturali” li ha definiti il relatore, sminuzzando la veste sacrale della mera e innocua “modernizzazione del socialismo” che gli irriducibili idolatri gli cuciono addosso. Idolatria col turibolo incorporato di cui quel nostro anticorpo non soffriva la minima traccia. Come avevo invano sperato sarebbe successo anche al Congresso Nazionale di Italia-Cuba, interrompendo e riscattando una processione di corifei, dal cervello appaltato a un altro tipo di “pensiero unico”, e dalle membra sparse sulle spiagge di Varadero, qui ci si è confrontati con quello che succede, oltre che con quanto era successo nel 1959. Al Congresso hanno fatto “Vladimir”, qui abbiamo fatto “rivoluzione”. Al Congresso sotto gli occhi tipo giuria di X Factor di Vladimir, commissario politico d’ambasciata, si sono celebrate le liturgiche novene del “Tizio ora pro nobis, Caio ora pro nobis, Sempronio ora pro nobis”. Al Congresso tonitruanti gerontocrati, in vladimiriana lista d’attesa per la periodica vacanza delle cuccagne, declamavano orazioni trasudanti allori e stereotipi. Vladimir compiaciuto applaudiva. A volte l’esuberanza oratoria gli strappava qualche standing ovation. Faceva eccezione qualcuno che deviava verso il problematico, da Vladimir sgradito assai. Azzardava qualche dubbio, qualche proposta di innovazione, di cambio di rotta anche per chi si deve dar da fare qui acchè le rivoluzioni non si inquinino aspirando arie stantìe. Erano pochini, erano gli amici veri del popolo cubano, della sua rivoluzione. Vladimir, seduto, batteva mani più lievi di ali di farfalla. Poi tutti si ritiravano a cena euforici e soddisfatti, proprio come succede alle convention del Sant’Egidio.


Nella nostra accogliente e intima biblioteca comunale, invece, abbiamo tutti infilato le mani nel frullatore. Chi, ottimista della volontà, fidandosi non senza qualche ragione della coscienza e determinazione delle masse cubane, ne ha estratto una Cuba in travaglio per merito preponderante dell’infame embargo, ma che resta tuttavia l’ispirazione primaria di tutto quello che in Latinoamerica s’è messo a far salti da canguro. Chi, con l’artiglio del pessimismo della ragione, ne ha ricavato la ripetizione di esperienze altrui che partite, come ora nella Cuba di Raul, da deregolamentazione del pubblico e ampliamento del privato, ripiegamento in “auto impieghi” (bancarelle?) di oltre un milione di lavoratori pubblici (parsimoniosa manodopera per future multinazionali, come in Vietnam?), campi da golf e porti per briatoreschi panfili, formicai turistici incastonati in torreggianti navi da crociera, crescita di un ceto di dollaromuniti saprofiti del turismo, da tutto questo partite sono poi arrivati…sappiamo dove. Non succederà, non potrà succedere. I cubani non sono tutti disponibili a buttare al macero 50 anni di fantastica resistenza al rettile privato, individualistico, burocratico. Non sono tutti Vladimir.


Poi, esaminato con un certo sconcerto la liberazione a Cuba, per intervento della Chiesa cattolica (da sempre protagonista di controrivoluzioni), di detenuti che da “mercenari” erano passati a “politici”, senza peraltro ottenere in cambio un analogo intervento della Chiesa a difesa dei cinque cubani sequestrati negli Usa, si è aperto il fuoco pro e contro i “dissidenti”. Dissidenti infilati dagli uni sullo spiedo della pugnalata alle spalle del popolo per conto del boia incombente a 90 miglia, e dagli altri appesi sulla facciata del Campidoglio a fianco di Sakineh o Giuliana Sgrena. Altri ancora, forse pensando a come gli imperialisti si sono fatti la Serbia, hanno diffidato di aperture a dissidenti i cui giornali, radio, televisioni verrebbero ingrassati e resi prevalenti su tutti grazie a ricchi contributi finanziari e tecnologici del nemico imperiale. Tesi e antitesi che hanno trovato una corretta sintesi nel distinguo: dissentire si può, dissentire si deve, ma andiamo pure a vedere per conto di chi e per cosa si dissente. Se è per riportare il bimbetto cubano alla mercè di una sanità accessibile solo a quattro gatti e volpi pieni di zecchini d’oro, come puntuto rilevava Antonio, e se è perché al Fidel dell’epopea materialistica preferisci l’arcivescovo della salvezza dell’anima (nonché del controllo sulla vita dal feto alla carogna). Oppure, diversamente, se è perché stai dalla parte dei giusti, onesti e bisognosi e, come tale, difenderai con le unghie la sanità pubblica e ottima e gratuita, ma magari ti piacerebbe votare per un altro partito, o fare un giornale con le cazzate che stanno bene a te. E’ consentito anche questo, s’è concluso, ma, ha rilevato qualcuno, se poi hanno le mutande foderate dei dollari passatigli dall’Ufficio di Interessi Usa, per favore non chiamateli “detenuti politici”. Male che vada basta “detenuti”. C’era chi: “personalmente preferisco mercenari” e poi “i colpevoli di alto tradimento subiscono il massimo della pena in tutto il mondo”. Vero, gli Usa, addirittura, li fanno fuori sul semplice sospetto e con assassinii extragiudiziali.


Come sempre si sono materializzati, su un fronte, Voltaire, “non condivido, ma rispetto”, e, sull’altro, Robespierre, “via la testa ai controrivoluzionari”. E la dialettica, bellezza. Aspettiamo anche qui la sintesi. Alla bella serata ha poi posto il punto esclamativo uno che ha concluso: “Saranno trent’anni che vado consumandomi le scarpe per Cuba, ho scritto, parlato, manifestato, picchettato, presidiato, fatto cortei, campagne contro il bloqueo, per la liberazione dei Cinque, per la condanna del terrorista Posada Carriles, ho propagandato il verbo di Fidel, ho fatto cineforum cubani, ho appeso striscioni, attaccato manifesti. Ho speso barche di soldi per sostenere il turismo salvavita cubano. E ai cubani stava bene. Ora, per la miseria, voglio partecipare alla discussione. Coloro  che cercano portatori d’acqua la rivoluzione non sa nemmeno dove stanno di casa ”. Anche, se come molti hanno sperimentato, ad alcuni cubani questo  non sta proprio bene. Se la vedranno con il loro popolo.
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da Il Fatto Quotidiano, 17 novembre 2010
Marco Travaglio

Pubblichiamo la versione integrale delle liste dei valori di sinistra e di destra, peraltro intercambiabili, lette l’altra sera da Bersani e Fini a "Vieni via con me" e tagliate all’ultimo momento per motivi di tempo.

PIER LUIGI BERSANI. La sinistra è l’idea che, se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli, puoi fare davvero un mondo migliore per tutti (non vediamo l’ora di imbarcare Luca Cordero di Montezemolo e il banchiere Alessandro Profumo). Abbiamo la più bella Costituzione del mondo (infatti, con la Bicamerale del compagno Massimo, facemmo di tutto per riscriverne più di metà con Berlusconi). Ci sono beni che non si possono affidare al mercato: salute, istruzione e sicurezza (l’acqua invece no: quella si può tranquillamente privatizzare, e magari anche l’aria). Chiamare flessibilità una vita precaria è un insulto (non per nulla la legge Treu l’abbiamo fatta noi). Chi non paga le tasse mette le mani nella tasche di chi è più povero di lui (non a caso abbiamo approvato la riforma del diritto penale tributario, detta anche “carezze agli evasori”, che depenalizza l’evasione tramite la dichiarazione infedele fino a 100 mila euro e tramite la frode fiscale fino a 75 mila euro l’anno). Se 100 euro di un operaio, di un pensionato, di un artigiano pagano di più dei 100 euro di uno speculatore vuol dire che il mondo è capovolto (mica per niente abbiamo sponsorizzato speculatori come Chicco Gnutti e Giovanni Consorte). Indebolire la scuola pubblica vuol dire rubare il futuro ai più deboli (il primo ministro dell’Istruzione che ha regalato soldi pubblici alle scuole private è il nostro Luigi Berlinguer). Dobbiamo lasciare il pianeta meglio di come l’abbiamo trovato (tant’è che vogliamo riempire l’Italia di inceneritori e centrali a carbone). Se devo morire attaccato per mesi a mille tubi, non può deciderlo il Parlamento (del resto la legge sul testamento biologico mica l’abbiamo approvata). Per governare, che è un fatto pubblico, bisogna essere persone perbene, che è un fatto privato (ricordate il nostro ministro della Giustizia? Mastella). Chi si ritiene di sinistra e progressista deve tenere vivo il sogno di un mondo in pace e deve combattere contro la tortura (infatti abbiamo fatto guerra alla Serbia chiamandola missione di pace, poi abbiamo lasciato dov’erano le truppe di occupazione dell’Iraq e abbiamo pure messo il segreto di Stato per coprire le spie del Sismi imputate per aver sequestrato lo sceicco Abu Omar e averlo deportato in Egitto per farlo torturare per sette mesi).

GIANFRANCO FINI. Essere di destra vuol dire innanzitutto amare l’Italia (è per amore che le abbiamo regalato per 16 anni uno come Berlusconi). Apprezziamo imprese e famiglie che danno lavoro agl’immigrati onesti, i cui figli domani saranno italiani (vedi legge Bossi-Fini). Destra vuol dire senso dello Stato, etica pubblica, cultura dei doveri (non faccio per vantarmi, ma le leggi sul falso in bilancio, Cirami, Cirielli, Schifani, Alfano ecc. le abbiamo votate tutte). Lo Stato deve spendere bene il denaro pubblico, senza alimentare clientele (salvo quando c’è da salvare il Secolo d’Italia). Lo Stato deve garantire che la legge è davvero uguale per tutti (esclusi, si capisce, i ministri e i parlamentari, che abbiamo sempre salvato dalla galera e dalle intercettazioni). Chi sbaglia paga e chi fa il proprio dovere viene premiato (non a caso abbiamo approvato tre scudi fiscali e una quindicina di condoni tributari, edilizi e ambientali). Senza una democrazia trasparente ed equilibrata nei suoi poteri non c’è libertà, ma anarchia (pure la Gasparri che consacra il monopolio Mediaset e la Frattini che santifica il conflitto d’interessi sono farina del nostro sacco). L’uguaglianza dei cittadini va garantita nel punto di partenza (soprattutto alle suocere per gli appalti Rai e ai cognati per le case a Montecarlo). Dalla vera uguaglianza delle opportunità, la destra vuole costruire una società in cui merito e capacità siano i soli criteri per selezionare una classe dirigente (avete presenti i ministri Ronchi e Urso? No? Ecco, appunto).
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Il Mattino

Umberto Santino, presidente del centro di documentazione “Giuseppe Impastato” denuncia: «Quello che Saviano scrive su Peppino Impastato è falso ma non ci vuole rispondere».

«Quanto scrive Roberto Saviano, in merito alla storia di Peppino Impastato, nel libro “La parola contro la camorra” è assolutamente menzognero».

È quanto ha affermato ai microfoni di Radio Città Aperta Umberto Santino. Il 4 ottobre scorso il Centro Impastato ha inviato una lettera di diffida alla Giulio Einaudi, la casa editrice che ha pubblicato il libro in cui lo scrittore campano, tra le tante storie (Pippo Fava, Giovanni Falcone, Don Peppe Diana ecc.) cita anche quella di Peppino Impastato. Secondo Saviano il famoso film di Marco Tullio Giordana, “I cento passi”, avrebbe recuperato la memoria del militante politico e giornalista, assassinato dalla mafia la notte tra l'8 e il 9 maggio del '78, ma soprattutto contribuito alla riapertura del processo.

«Tutto falso - attacca Santino - le indagini, e non il processo come dice Saviano, sono state riaperte prima che il film venisse presentato al Festival di Venezia (31 agosto 2000). Il signor Saviano in poche righe riesce a cancellare più di trent'anni di lavoro portato avanti dai familiari, dai compagni e dal Centro, cominciato già il giorno dopo l'assassinio di Peppino. Un lavoro che è riuscito ad ottenere, seppur in ritardo, due risultati storici: la condanna di Badalamenti e del suo vice Vito Palazzolo. Anche su questo Saviano è totalmente disinformato perchè i processi erano due.

«L'altro secondo risultato, ottenuto grazie al nostro operato - prosegue Santino - è stato il riconoscimento da parte della Commissione Parlamentare Antimafia che tutto quello che noi dicevamo sul depistaggio operato dalle forze dell'ordine e dal magistrato Martorana. Anche su questo Saviano dà prova della sua ignoranza, perchè non è stata Cosa Nostra ad aver diffuso la voce che si fosse trattato di un attentato kamikaze ma il procuratore capo Martorana. Dal punto di vista giudiziario dunque, il film non ha avuto nessuna influenza».

Santino poi, ricordando che il giornalista freelance Simone Di Meo ha ottenuto dalla Mondadori l'inserimento solo dall'undicesima ristampa del libro "Gomorra" del suo nome, dopo aver intentato causa sempre contro Saviano per l'utilizzo nel suo libro di ampi stralci di inchieste condotte dal freelance senza citarlo, chiede che anche per il centro "G. Impastato" valga lo stesso principio. «Chiediamo la rettifica di quanto scritto su Peppino Impastato e il riconoscimento del nostro ruolo».

Prosegue Umberto Santino lamentando inoltre un totale silenzio da parte degli organi d'informazione sulla vicenda e su tutto il lavoro portato avanti in questi trent'anni dal Centro siciliano di documentazione “G. Impastato”. «Sembra esserci un silenzio stampa dei media, quotidiani che lottano per la libertà d'informazione come l'Unità, Il Fatto e Il Manifesto, ma che evidentemente hanno il mito di Saviano, non ci hanno degnato neanche di una breve. La Repubblica inizialmente pubblicò, solo dopo l'ennesimo sollecito, una nostra lettera in gran parte tagliata». Cosi come Radio Città Aperta questa mattina, anche in quell'occasione La Repubblica chiese allo scrittore campano di replicare. Al momento però Saviano non ritiene opportuno farlo.
«Il fatto che Saviano non ci risponda e non abbia accettato il confronto - conclude il presidente del Centro di via Villa Sperlinga a Palermo - dimostra che è un presuntuoso».

Gabriele Paglino - Radio Città Aperta

giovedì 18 novembre 2010

VAI VIA CON LUI e altre spigolature, Taliban compresi

Se persone che onestamente si sono sbagliate apprendono la verità, o smettono di sbagliare, o cessano di essere oneste.
(Anonimo)

Liberi pensatori sono coloro che sono disposti a usare la propria mente senza pregiudizio e senza timore di comprendere cose che urtano contro i loro costumi, privilegi o credi. Questo stato della mente non è comune, ma è essenziale per un pensiero giusto. Quando manca, la discussione diventa peggio che inutile.
(Leo Tolstoj, da me dedicato tra gli altri a Vladimir, diplomatico cubano, come a tutti gli idolatri acritici di Cuba)

Anche stavolta rubo un articolo. Lo troverete in fondo. E’ di Massimo Fini, giornalista di cui non condivido l’impostazione ideologica, ma cui riconosco conoscenza e indipendenza e del cui scritto in calce condivido ogni parola. E’ anche la risposta collaterale a un gentile interlocutore che, nel commento al mio post “A prescindere”, ha parlato di un “golpetto” trasformista del pool di Milano “per dare la stura all’ultraliberismo che dal 1989 ha dilagato” e si è chiesto “un gaglioffo come Di Pietro da dove salta fuori?”. A prescindere che l’ultraliberismo, complice il PCI, dilagava fin dal 1979, senza Mani pulite, dare del “gaglioffo” a Di Pietro mi pare abbastanza puerile e fuori bersaglio. Che ne facciamo dei gaglioffi che lui ha mandato in galera o a casa? Ed è più gaglioffo Di Pietro, o Vendola o Bersani?

Arlecchini


Orgasmi a sinistra, da Svendola al “manifesto”. Le primarie per il candidato del centro-sinistra (sinistra?) a Milano le ha vinte Giuliano Pisapia, quello del PRC, il “comunista”. L’esimio giurista che si lanciò a capofitto contro il pool di mani pulite, e contro l’eroica procura antimafia di Palermo, che fa il difensore di Carlo De Benedetti, che con orgoglio accettò da Mastella (da Mastella!) l’incarico di capo della commissione giustizia e si prestò a formulare una riforma della giustizia che ottenne il plauso di Berlusconi per aver voluto emasculare Gip e Gup. Il legislatore che fu incoronato da Berlusconi e berlusconidi emulo di Ghedini per aver giustificato e difeso i più smaccati tentativi e le più oscene realizzazioni di leggi ad personam. Con altissima sensibilità giuridica ed etica, nel 2006, quando tutto il centrosinistra promise di cancellare le leggi vergogna del guitto mannaro, si oppose sentenziando che il nuovo governo non “avrebbe dovuto perdere tempo con il passato” e che, anzi, si poteva decretare una moratoria su quegli obbrobri. Fu il puntello al primo Prodi, terminator sociale con Treu e anticipatore delle guerre a Jugoslavia e Serbia, quando, al tempo dell’unica salutare resipiscenza di Bertinotti, non condivise l’uscita da quella maggioranza e ribadì la fiducia a quel governo. Fiancheggiatore sinistro di Andreotti, Musotto, Cuffaro, quando incenerì col suo disdegno il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, tanto da votare solo per disciplina di partito e “con grande sofferenza” l’autorizzazione all’arresto di Cesare Previti. Svendoliano ante-Svendola, candidandosi al parlamento per il PRC, dichiarò che mai lo avrebbe fatto in opposizione al PDS di D’Alema, Veltroni e Fassino, come oggi mai lo farebbe contro l’UDC e, magari, Fini. Nemico mortale di Di Pietro – e qui rispondo anche a quel mio gentile interlocutore che, in un commento al post “A prescindere” definisce l’ex-pm un “gaglioffo” – si è speso in una difesa ad oltranza di gaglioffi veri come Craxi, Forlani, Gardini, deprecando la carcerazione di ladri e corrotti e accusando i magistrati di interferenze politiche. In tal modo facendosi anticipatore di tutti coloro che oggi, in angoscia di nemesi, bollano Mani Pulite di oscuro complotto per allestire un ricambio gattopardesco alla Prima Repubblica. Quegli stessi magistrati che, dopo la fogna politico-economica di allora, da Ligresti in giù, non hanno fatto che perseguire con la stessa tenacia e lo stesso coraggio i loro epigoni riverniciati. Habemus papam. Un moderato, come viene definito con letizia dai cultori dell’ineluttabile esistente e come è caro alla Milano “da bere” dei Ligresti e Dolce e Gabbana. Fino a quando l’alternanza mette in scena vocalist come Pisapia, Vendola, Renzi, o la bolognese prodiana della Caritas, Amelia Frascaroli, lorsignori restano col culo al caldo.

Vai via con lui




Vieni via con me. Nella seconda trasmissione di Fazio-Saviano si è celebrato, in un groviglio di zucchero filato, lo sposalizio tra Destra e Sinistra, tutti soffusi di indiscutibili e incontrastabili “valori”. Valore massimo, suppongo, quello proclamato da Fini quando, fascisticamente, ha espresso il suo commosso orgoglio per gli sterminatori di popoli in difesa della patria, impegnati in Afghanistan. Nessuno ha alzato un sopracciglio. Poi il reggicoda del pulitore etnico Netaniahu, Saviano, ha azzardato per la prima volta in vita sua di fare il nome di un politico, prendendosela con un oscuro traffichino ‘ndranghetista della Lega e facendosi così riconfermare il ruolo di eroe e martire dalla stizza di un Maroni che, tra un Saviano, giullare del crimine organizzato imperialista e sionista, e un Saviano che sbertuccia la Lega, per ovvii visceralismi familistici, se la prende con il secondo. Tra i valori sciorinati dal quartetto Fini-Bersani-Fazio-Saviano, da sussumere con la stessa fiducia con la quale ci si è impecoronati sotto quelli di Berlusconi, dalla “giustizia vera” al “milione di posti di lavoro” e ai miracoli di Napoli e dell’Aquila, all’albero della cuccagna di Vai via con lui erano appesi, un fugace barbaglio, i valori autentici del povero Englaro e della povera Welby. Una luce di verità nella nebbia delle ipocrisie. Ma sul finale se ne è aggiunto un altro: quel lampo sfolgorante della bomba a mano scagliata da Albanese-Berlusconi in faccia a Saviano, quando ha detto: “Ma come, hai scritto tanti racconti fantastici e a me non hai mai dedicato un rigo!” L’avevate capita?

Malthus a Haiti




A Haiti, dopo i 250mila almeno uccisi dal terremoto e dall'occupazione Usa, 1 milione senzatetto e quindi votati alla morte tra fogne a cielo aperto, fame, mancanza di assistenza sanitaria, fucilate degli sgherri della spedizione ONU esclusivamente contro i quartieri poveri da spopolare, siamo a oltre 1000 morti da colera (provocato). Un altro milione in dirittura d’arrivo. Per incoraggiare la popolazione, la forza di occupazione ONU – MINUSTAH, seguendo un copione scritto dagli Usa fin dal 2004, ha sparato sui civili incazzati, uccidendo. Nuovo capitolo del piano degli Usa, quando, consapevoli evidentemente del terremoto a venire, sono sbarcati il giorno dopo con una forza militare enorme, bell’e pronta, con tanto di apparato emergenziale contro i disastri naturali. Più bello ancora è che il giorno PRIMA del sisma, sia arrivato dalla Florida a Port Au Prince la squadra di superesperti di terremoti e disastri naturali del comando militare Usa per il sud, Southcom. Imperialismo all'opera nel nome di Malthus. Chiediamoci, l’arma meteorologica, con le sue mille antenne piazzate in Alaska e che sparano onde elettromagnetiche nella ionosfera dove si governano i fenomeni, è davvero una leggenda metropolitana?



Arundathi Roy

Sakineh, Suu Kyi… e Arundathi?
Mentre qui si lustrano la coscienza gli ascari di un impero genocida, trastullandosi con le infiltrate Sakineh, Aung San Suu Kyi, Neda e simili, tutte appassionate di “libertà” (da declinarsi come “di mercato”, cioè di sfruttamento dell’uomo sull’uomo), Obama è andato a sbaciucchiare la sanguinaria oligarchia indiana, a fornirle armi di distruzione di massa, a garantirle terroristi Cia-Mossad finto-pachistani, per nuove Mumbai da imputare al Pakistan da sbranare. L’India è il nuovo grande partner degli Usa in Asia: entrambi, il fatiscente e l’emergente, puntano a ridurre Afghanistan e Pakistan a un ossobuco col midollo da succhiare, a sabotare l’espansione economica e politica della Cina, rivale in capitalismo, a depredare delle loro risorse i paesi dell’Asia centrale. Per procedere indisturbata, l'India ha per corollario quello di tutti gli Stati colonialisti-imperialisti: massacra i suoi popoli nativi insorti, stermina i giovani lanciatori di pietre del Kashmir musulmano seviziato da 60 anni, criminalizza l’opposizione democratica, progressista, antimperialista, minaccia integerrimi intellettuali di rango mondiale come Arundathi Roy. Sulla grande militante dei diritti umani veri, che non cessa di denunciare le nefandezze antisociali e imperialiste della cricca di Nuova Delhi, si sta abbattendo la repressione. Avete udito un bisbiglio della “comunità internazionale” in sua difesa?
Ma a ovest e a est, oltre alle valorose forze combattenti in Iraq e Afghanistan, ci sono ancora due questioni irrisolte: l’Iran sovrano e impegnato a ostacolare, con la propria, l’egemonia USraeliana in Medio Oriente, e il Myanmar fortunatamente tuttora refrattario alle “rivoluzioni colorate” (a stelle e strisce) alla serba, tibetana, georgiana. Attenti a impietosirvi su uxoricide che nessuno ha mai sentenziato alla lapidazione, o su martiri verdi che poi rispuntano integre in Germania, o a idolatrare la signora di Myanmar, cultrice del libero mercato all'americana, con uffici del suo partito all'ombra della Casa Bianca. Del regime di Myanmar difficile dare un giudizio con conoscenza di causa. Ma la democrazia per la quale si impegnano i padrini di Arabia Saudita, Iraq, Afghanistan, Messico, Egitto, dei golpisti dell’Honduras, i macellai sociali del nostro emisfero, non risparmia il suo fetore tossico a nessun emisfero. E, a quanto pare, a pochissime narici.


Nei secoli infedeli 

Dopo 17 giorni a Brescia i migranti sono scesi dalla gru, per evitare altre mazzate ai loro solidali. A Brescia il 28/5/1974 è saltata in aria una piazza. Misteri d'Italia? Col cazzo: il capitalismo all'opera. Allora a Piazza Fontana, con l'Italicus, le bombe del '93, Capaci e via d'Amelio. Oggi annichilendo lavoratori immigrati per arrivare ad annichilirli tutti. Niente misteri, solo strategia. Siamo il paese dove tutto è cospirazione: dal complotto cristiano di Paolo alla massoneria, dall’invasione Usa, facilitata dalla mafia in cambio di garanzie perpetue di compartecipazione al banchetto economico mondiale, a Gladio, dallo stragismo perpetrato da servizi e manovalanza fascista su ordine Cia-Mossad, all’infinocchiamento stalinian-togliattista delle nostre masse con finta prospettiva rivoluzionaria, dal complottismo ontologico del sistema finanziario, ai paradisi e agli inferni, alla P2-P3-Saviano, ai sub prime, alla lobby ebraica. E noi ancora ci mettiamo in ginocchio davanti alla liturgia dell’11 settembre e seguenti, e ancora sciogliamo inni a uno scrittore Matrix come Umberto Eco che, favorendo tutto questo, sforna un’epistemologia (“Il cimitero di Praga”) intesa a metterci sugli occhi maiali interi. Guai a provare di scrutare quali siano le rotte e le manovre di quella Grande Armada di israeliti e paratali che, per pura combinazione, si trovano in capo ai principali organismi di persuasione occulta, controllo, finanza, repressione, Dai, Eco, dacci dell’antisemita e convincici che quelli stanno lì, al New York Times come negli squadroni della morte latinoamericani, da Goldman Sachs come nella Casa Bianca, solo perché più intelligenti di tutti gli altri. Anche se l’affermazione avrebbe un sapore, questo sì, vagamente razzista.
Tutti assolti a Brescia, otto persone disintegrate e cento mutilate, Moro assassinato da brigate rosse che prendevano il caffè con agenti Mossad, l’Italia butterata di attentati perché non si azzardasse a pretendere un ruolo anche solo di parziale sovranità e iniziativa internazionale, di protagonismo delle sue masse lavoratrici… Pasolini sapeva, ma lo Stato, giudiziario, politico, mediatico, no. Ovvio, quando lo Stato è il terrorista – e lo è sempre solo lui – non ci possono essere né verità, né castigo. Ne sono l’emblema i militari Usa, tutti immuni, ovunque calpestino terre e popoli, da Lozano ai carnefici dell’Afghanistan. Come i preti pedofili. Il potere non si giudica. Si abbatte.
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Massimo Fini
L’uomo e la macchina
Nei talebani io non difendo solo il diritto elementare di un popolo, o parte di esso, a resistere all’occupazione straniera, comunque motivata. In ciò che accade in Afghanistan io vedo, simbolicamente e concretamente, la lotta dell’uomo contro la macchina. Da una parte gente che si batte con i propri corpi, il proprio coraggio, fisico e morale, con armi del secolo scorso, dall’altra i robot, i Dardo e i Predator, aerei senza equipaggio, i missili che colpiscono a distanza di 300 chilometri e, più in generale, un apparato tecnologico sofisticatissimo dove la parte del combattente è ridotta al minimo.

In ciò che accade in Afghanistan io vedo, simbolicamente e concretamente, la lotta dell’uomo contro il denaro. In Afghanistan alcuni dei Paesi più ricchi del mondo hanno aggredito uno dei più poveri, ma non ce l’hanno fatta a piegarlo. Abbiamo cercato di comprarli in tutti i modi, i talebani, ma non ci siamo riusciti. Sulla testa del Mullah Omar, dopo la sua rocambolesca fuga in moto, pendeva una taglia di 50 milioni di dollari. Con una cifra simile, da quelle parti, si compra tutto l’Afghanistan e anche un po’ di Pakistan. Ma non se n’è trovato uno solo che tradisse Omar. Quando Abdul Salam Zaeef, ex ambasciatore talebano in Pakistan, fu catturato e imprigionato, venne sottoposto al consueto trattamento tipo “Abu Ghraib”, spogliato nudo dai militari americani, uomini e donne, e deriso mentre un commilitone scattava fotografie (sono i metodi della “cultura superiore” totalmente estranei a quella afghana, del resto i talebani non hanno mai torturato i prigionieri, li hanno sempre trattati con rispetto).

Racconta Zaeef (“My life with the Taliban”) che gli americani volevano da lui una cosa sola: delle indicazioni per trovare il Mullah, in cambio gli offrivano la libertà e molti soldi. Zaeef rispose: non si vende un amico e un compagno di battaglia per la libertà e tanto meno per denaro. La Cia, toccando il fondo dell’ignominia e del ridicolo, non sapendo cos’altro fare per “conquistare i cuori e le menti degli afghani” è arrivata a offrire ai capi tribali, che hanno più mogli, il viagra. Gli americani sono convinti che tutto si possa comprare col denaro. Invece non si può comprare chi è disposto a morire per le proprie idee, giuste o sbagliate che siano (“Ni se compra ni se viende el cariño viertadero“, non si compra e non si vende l’amore vero dice una vecchia canzone spagnola). Non si può comprare chi non fa del denaro la propria priorità.

Omar, quando era al potere, viveva in un ufficio amministrativo di sette stanze, zeppo di funzionari che lo aiutavano nel suo lavoro e le sue tre mogli e i cinque figli hanno continuato ad abitare nel poverissimo villaggio della sua giovinezza, Sungesar, senza cambiare in alcun modo il loro tenore di vita, né Sungesar ha ricevuto alcun vantaggio dal fatto che uno dei suoi “enfants de Pays” era diventato il capo del Paese. La rivoluzione talebana è interessante anche per altri motivi. Si apparenta, in un certo senso, alla Rivoluzione francese che spazzò via il mondo feudale per imporre poi all’Europa, sulla punta delle baionette di Napoleone, un unico diritto. Anche i talebani spazzarono via il mondo feudale afghano, quello dei “signori della guerra”, e al posto dell’arbitrio imposero, nel loro Paese, un’unica legge, la Sharia. La differenza è che mentre la borghesia guardava in avanti, i talebani guardano indietro, a un mondo regolato, sul piano del costume, da leggi arcaiche risalenti al VII secolo arabo-musulmano senza però respingere alcune, poche e mirate conquiste tecnologiche della modernità. Una sorta di “Medioevo sostenibile” che a me pare più innovativo e comunque più interessante del nostro “sviluppo sostenibile”.

sabato 13 novembre 2010

A PRESCINDERE



Guerra: un massacro di persone che non si conoscono per il profitto di persone che si conoscono.(Paul Valery)In ogni citta si trovano questi due opposti partiti, sorgenti dal desiderio del popolo di sottrarsi all'oppressione dei potenti e dal desiderio dei potenti di commandare e opprimere il popolo... Giacchè quando la nobiltà vede di non essere in grado di resistere al popolo, si unisce nell'esaltazione di uno dei suoi e lo fa principe, in modo da poter attuare i propri progetti sotto il manto dell'autorità.Niccolò Machiavelli, Il Principe) Spero che la morte mi trovi vivo.(Vittorio Gassman)
Grillo e grullo
Stavolta (vedi in calce) rubo un acuto contributo al discutibilissimo Beppe Grillo, relativo alla continuità imperitura della nostra classe dirigente e alla coerenza con cui sceglie i suoi sciagurati protagonisti. E’ una selezione fatta, sappiamo, per condurre contro classe operaia, lavoratori, proletari, intellettuali, giovani, il popolo, una lotta di classe che all’altra parte è stata sottratta da una sinistra di infami, a partire da Togliatti. E aggiungo qualcosa di mio.

Manca, nella genealogia dinastica del sottostante Grillo un figuro tanto meschino quanto spocchioso, tanto inetto quanto infido: l’opusdeista, probabile massone e certo traffichino,
Massimo D’Alema. E hai voglia, Svendola, Asor Rosa ed ecumenici ad oltranza vari, a invocare una sinistra “diversa”. Quella è una pianta tossica, saprofita, innestata sessant’anni fa sul tronco sano del nostro variopinto, ma nei combattenti onestamente antisavoiaccio, rivoluzionario Risorgimento, della rivoluzione d’ottobre, della scissione del ’22, dei partigiani rossi e repubblicani. Alla faccia del carcerato Gramsci, grande favore da Mussolini fatto a Togliatti e Stalin, analogo a quello reso a chi sappiamo noi dagli esecutori boliviani del Che. Manca anche nelle sue invettive – e qui il grillo si fa grullo – l’indicazione del burattinaio che, dal 1945 – accordo strategico mafia-DC-massoneria-Vaticano-Usa – manovra questi suoi burattini. Come dovrebbe essere lampante per uno che si picca di essere uno zannuto ricercatore, che le storture che denuncia in fatto di ambiente, consumismo, mercificazioni, ruberie, corruzione, spese militari, sono tutte costole manovrate da una colonna vertebrale che si chiama capitalismo e che fa capo a un cervello a stelle e strisce. E così che quest’arguto e giustamente rabbioso personaggio finisce col darsi martellate sui coglioni quando si inginocchia davanti a un Dalai Lama, o inghirlandisce la subdola figura liberomercatista e filo-Usa di Aung San Suu Kyi, l’uno erede e l’altra fautrice “dirittoumanista” esattamente di quello sfruttamento dell’uomo e del pianeta che a lui strappa tante puntuali catilinarie.

Affannata a pestarsi i piedi a vicenda e ad aggrapparsi con i suoi rami parassitari a un qualche tronco finanziario-parlamentare, la sinistra-sinistra, occhieggiata con invidia livorosa anche dalla sinistra-sinistra-sinistra, spunta un giorno sì e l’altro pure con appelli
disperati, sempre pro domo sua, all’unione salva-repubblica, chi con Fini e Casini-Cuffaro dentro, chi con costoro in anticamera. Restano in ogni caso fuori al gelo meteo-politico le donne, i bambini, gli uomini della solidarietà con i migranti di Brescia, i disperati sui tetti, i morituri di Terzigno, gli sventrati dalla TAV, associarsi ai quali potrebbe significare essere
bollati vuoi “estremisti”, vuoi “camorristi”, e beccarsi quelle bastonate e quelle denunce che sono diventati il modo istituzionale del regime di rapportarsi al popolo sovrano. Avete visto in settimane e settimane di lotta felicemente eversiva di questi comuni cittadini apparire una sola bandiera, un solo esponente di queste sinistre dell’unificazione tra bonzi? Avete visto l’ombra di un sindacato che assolvesse al suo compito di riunire in vertenza nazionale questi ribollii di solfatara per far esplodere tutto il vulcano? Quale indelicatezza sarebbe stato turbare le pratiche di affettuosa omofilia tra Camusso e Marcegaglia!

Cuba, senza se e con qualche ma
Gli idolatri hanno aperto un secondo fronte. Ne va della loro sopravvivenza. Ne è stata emblematica espressione il recente congresso nazionale di Italia-Cuba. Svuotata di un po’ di senso la battaglia cinquantennale, tuttora comunque necessaria, contro i farabutti che vogliono strangolare l’isola per impiantarci il modello messicano, o iracheno, ecco che nuove ragioni di culto feticista vengono forniti da coloro che di fronte ai cambiamenti in atto da quando è arrivato Raul Castro con i suoi militari si permettono interrogativi, perplessità, riserve. Tanto più che dal vecchio nemico arrivano tremuli dubbi e perfino qualche apprezzamento, ovviamente assai interessato, sulle “aperture” in corso nell’isola della “sanguinaria dittatura collettivista”.

Di fronte a una Cuba in travolgente mutazione di quello che qualcuno degli idolatri già chiama disinvoltamente “mercato del lavoro” (mercato!), di ricambio radicale della classe dirigente (a favore dei più vecchi), di apertura al privato nel quale dovrebbero infilarsi, non si sa bene come, centinaia di migliaia di lavoratori espulsi dallo Stato (magari messi a disposizione di qualche Marchionne come nell’ex-socialista Serbia), di forbice salariale allargata, di paniere delle necessità basilari in corso di abolizione, della ciliegina sulla torta che è l'introduzione del transgenico, tutto quello che s’è visto e annusato al congresso è stato un forsennato agitar di turiboli paritariamente al vecchio come al nuovo. Cos’è, codardia, opportunismo, ottusità, o fede a prescindere?

Qui fino a ieri si difendeva alla morte un modello di società e oggi, a modello semirovesciato, non ci si discosta di un millimetro da quella liturgia. Quello che il piccolo padre fa, va bene in ogni caso. C’è forse il rischio di mettere a repentaglio, insieme alle
proprie catatoniche certezze, qualche ospitata a Cuba o, peggio, la ragioni stesse della propria esistenza, della propria consolatoria comunità di naviganti, non volendo rendersi conto che forse la nostra Potiemkin non è altro che la zattera della Medusa? A prescindere che prostrarsi è scomodo, indecoroso e ti rende vulnerabile, è umano, è coerente, è corretto, è rivoluzionario, è onesto, prostrarsi prima davanti a un papa e poi al suo contrario, davanti a Giovanni XXIII e poi a Nazinger? Senza provare il minimo turbamento intellettuale e di coscienza di fronte a due proposte assai diverse? Cosa spinge certe persone a farsi sentinelle comunque, sia davanti un ospedale di Emergency, sia davanti al San Raffaele di don Verzé?

Sia detto con rispetto e in benevola, per quanto tormentata, attesa degli eventi. Stavolta, diversamente da quanto avvenuto con la subitanea rimozione della maggior parte di dirigenti ai quali era dovuta assoluta devozione per decenni, il cambio d’abito viene proposto a migliaia di convegni e assemblee in tutta l’isola, per farne poi qualcosa di definitivo al congresso che, dopo 13 anni, si terrà finalmente nel prossimo aprile. Non ci era piaciuto per niente il comunicato del sindacato cubano, integralmente e eulogisticamente appiattito sulle proposte governative. Possibile non ci fosse qualcosa da rivedere, da ridire, per chi dice di rappresentare i lavoratori, compresi quelli che finiscono sulla strada per “autoimpiegarsi”. Non ci erano sempre dispiaciute le “cinghie di trasmissione”, non è per noi la dialettica l’alfa e l’omega dell’avanzata? Ora c’è da augurarsi che il popolo cubano, come del resto ha dimostrato in questi anni assai meglio dei corifei nostrani, sappia dire fortemente la sua a proposito di quanto di nuovo, di vecchio?, di diverso, gli verrà cucito addosso. Non è che gliene manchi la capacità, acquisita in mezzo secolo di formazione rivoluzionaria. A esso tutta la nostra fiducia.
A coloro, però, come certi italia-cubanisti o certi notabiloni diplomatici di
cui ho riferito in apposito post, che si vantano del democratico dibattito cubano, anche fortemente pro e contro, fiorito in questo passaggio di una rivoluzione di cui vogliamo un passo in avanti, come succede in America Latina, e che ritualmente ammettono come tante cose a Cuba non andassero bene, burocrazia, corruzione, inefficienza, privilegi, per poi farsi ottusi zdanoviani o pavloviani in Italia e criminalizzare chi con parole e fatti sta con quei cubani vivi, a questi fiducia zero. Se passo avanti sarà non servono.


Ucci ucci, sento odor di cristianucci
Così la superiore e infinitamente pietosa civiltà cristiana si avventa, tramite killer Cia-Mossad travestiti da Al Qaida, sui propri confratelli, segno di una strategia del vittimismo giudaico-cristiano che avanza a forza di terrorismo dinamitardo e bombarolo. Escalation del bushian-berlusconian-nazingeriano scontro di civiltà che a Obama non è servito a vincere le elezioni di medio termine, ma che ora serve perché il necro-orco militar-industriale si convinca a fargli guadagnare il secondo mandato, dopo l’analogo servizio fatto al complesso petrol-famaceutico-finanziario con una macelleria sociale senza precedenti dai tempi delle donne bruciate vive in fabbrica e del nostro Bava Beccaris.

Obama, uomo del cambio, caspita se il cambio l’ha fatto! E il vecchio marpione deficiente Bush tanto è roso dall’invidia da pubblicare un’autobiografia che esalta la sua corsa da terminator per il mondo, rivendica di aver voluto maciullare anche Siria e Iran, si gloria di aver salvato sicurezza ed etica occidentali con waterboarding e assassinii extragiudiziali. C'è un episodio di ieri, eloquente, occorso in Germania. Nello Stato della Saar è stato arrestato un presunto "terrorista islamico": aveva spedito in giro videominacce di sfracelli dinamitardi. Cerca e ricerca, come ancora usa in qualche recesso giudiziario della Germania, è ci si imbatte in un funzionario della polizia che avrebbe istigato il malcapitato idiota a rafforzare la psicosi terrorismo islamico a sostegno della celebrazione di qualche ulteriore eroe martire della Bundeswehr in Afghanistan, nonchè, di passaggio, delle perlopiù ignote vittime dei suoi macelli. Nessuno ricorda, come mai?, le auto imbottite di esplosivo condotte nei mercati di Baghdad da agenti britannici delle SAS travestiti da arabi? O Calipari, fatto fuori perchè aveva scoperto che i rapimenti venivano fatti, nè dalla Resistenza, nè da Al Qaida, anzi proprio da quell'Al Qaida agita dall'Occidente perchè gli consenta di papparsi il mondo?

L’apprendista supera lo stregone e c’è un sacco di gente, dal “manifesto” a Saviano e al PD, che corre a portargli gli ingredienti per il calderone della soluzione finale. Un tempo allestivano i sabba delle streghe per tagliere di mezzo un po’ di gramigna umanamente umana. Oggi quel sabba dall’11 settembre lo hanno esteso al pianeta e lo chiamano Al Qaida.
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Dal sito di Beppe Grillo
Correva l'anno 1994 e Bottino Craxi fuggiva a Hammamet. Era diventato imbarazzante, un personaggio impresentabile per i poteri che lo sostenevano. Che si erano già riorganizzati per tempo, da almeno un anno, con la creazione di Forza Italia. Nel Paese apparivano infatti da alcuni mesi misteriosi cartelloni pubblicitari con un bambino che gridava: "Foooza Italia!". Craxi venne sostituito dal suo compare, amico, beneficiario, Silvio Berlusconi. Un tizio ricattabile, pieno di debiti, così vicino a Bottino da essere presente nella sua stanza di albergo di Roma, il Raphael, prima del lancio delle monetine all'uscita. Craxi si prese gli insulti, Berlusconi il governo presentandosi come uomo nuovo. Tutto cambiò perché nulla cambiasse. Lo psicoporcello imbarcò nel governo i craxiani e continuò la politica precedente. I finanziamenti ai partiti aumentarono, le leggi ad hoc si moltiplicarono, i regali alla Confindustria sotto forme di concessioni statali pure, il debito pubblico continuò la sua corsa e la mafia rimase come sempre al suo posto di comando insieme alla massoneria. L'italiano andò a votare il delfino di Craxi convinto di voltare pagina. L'opposizione non si oppose, creò una gioiosa macchina da guerra e lanciò il suo ruggito del topo con la controcontrofigura di Berlinguer, un uomo chiamato Occhetto. Proporre come alternativa un comunista dopo il fallimento mondiale del comunismo, ripudiato persino da Gorbaciov, e il crollo del muro di Berlino fu una mossa di facciata. Il neocraxismo doveva vincere e vinse. La struttura di potere che lo sostenne fu, come sempre, salva.
Corre l'anno 2010 e Berlusconi non è ancora fuggito ad Antigua. E' diventato imbarazzante per le sue frequentazioni femminili, un personaggio impresentabile per i poteri che lo sostengono. Che si sono già riorganizzati da almeno un anno con la creazione di un nuovo leader, Gianfranco Fini. Un uomo nuovo, un ex fascista sdoganato da Berlusconi nel 1993, quando lo propose come sindaco di Roma. Da allora suo alleato, esecutore dei suoi ordini, sostenitore delle sue leggi ad personam, silenzioso sui suoi processi, solidale nello smantellamento piduista della democrazia come nel caso della legge elettorale porcata di Calderoli sulla quale non emise un fiato, complice nella sua occupazione dei media. Insomma, l'alter ego politico di Emilio Fede. I giornali di sinistra lo hanno accolto come Cesare nel trionfo romano dopo la conquista delle Gallie. L'opposizione lo ha salutato come il cavaliere bianco in fez e ha messo in campo anch'essa un uomo nuovo, Nicola Vendola, parte della nomenklatura dei partiti dal 1985, quando entrò nella segreteria nazionale della FGCI, un signore che non ha alcuna speranza di vincere e per questo può essere il prescelto e ottenere le copertine sia dell'Espresso che di Chi. La somma dei voti dei partiti del cartellone del centrodestra dopo l'apparente uscita di Fini aumenterà, cresceranno la Lega e FLI che catturerà i voti di chi vuole il rinnovamento morale del Paese. Il PDL rimarrà stabile. Dopo la parentesi di un governo tecnico, indispensabile per evitare il default, si tornerà alle elezioni. Il neoberlusconismo deve vincere e rivincerà e la struttura che sosteneva Berlusconi e oggi lo scarica, sarà come sempre, salva.

mercoledì 10 novembre 2010

BUBBONI

Argentina
Crepa a 84 anni l'ammiraglio Eduardo Massera, membro della giunta militare installata per determinazione degli USA (immutabili nei secoli) nel 1976 e rimasta a massacrare il paese e il suo popolo fino al 1983, quando, a neoliberismo installato, si poteva procedere con governi, sempre vassalli, ma dalla vernice democratica. Purtroppo, a dispetto del buon lavoro fatto dai Kirchner, presidenti marito e moglie, per cancellare la vergogna dell'immunità garantita agli stragisti e torturatori dal berlusconide Menem, l'orrido personaggio, corresponsabile dei
30mila desaparecidos, ha potuto terminare i suoi luridi giorni in un ospedale di Buenos Aires. Possibile che non ci fosse nessun sopravvissuto dell'ERP, o di altre formazioni eroicamente resistenti alla dittatura, che gli avesse potuto rendere pan per focaccia?

I generali argentini sono fuorigioco da tempo. Chi rimane in gioco, anzi in prima linea, soprattutto in America Latina, è la Chiesa cattolica. Proseguendo nel suo millennario e attualissimo spargimento di infamie per tutto il pianeta, le vera fonte etica di ogni terrorismo insiste anche oggi nel sostegno alla criminalità organizzata politica, che sia di regime o di opposizione fascista, dall'Honduras alla Colombia, dal Messico al Guatemala. Incancellabile la vergogna di un cardinale, nunzio apostolico in Argentina dal 1974 al 1980, che, non solo ebbe frequentazioni amicali con Massera, partner sui campi da tennis, dopo la colazione di qualche chiodo conficcato negli occhi di detenuti, ma difese ed esaltò il regime più sanguinario della storia latinoamericana fino all'ultimo dei suoi giorni. Amato, stimato e protetto, di conseguenza, dall'oscurantista e fascistoide papa Woytila, ne fu nominato guida della Congregazione per l'Educazione Cattolica. Chi meglio di lui, del resto, poteva occuparsi di educazione, alla luce delle esperienze fatte giocando a tennis a due passi dalle segrete in cui giovani cattolici rapiti dalle scuole venivano istruiti e sminuzzati fisicamente e psichicamente dagli aguzzini del suo compagno di giochi? Il papa polacco santo-subito ribadì poi il ruolo e le preferenze della sua Chiesa danzando sottobraccio con il dittatore Pinochet su un balcone che guardava sulla spianata di croci allestita in tutto il continente dal duo Nixon-Kissinger. Quando Laghi si tolse dai coglioni, alle soddisfatta età di 86 anni, Napolitano inviò espressioni cordoglio.
Qui un estratto dal manifesto pro-generali argentini compilato da Pio Laghi:

Il Paese ha un’ideologia tradizionale e quando qualcuno pretende di imporre altre idee diverse ed estranee, la Nazione reagisce come un organismo, con anticorpi che fronteggiano i germi: così nasce la violenza. I soldati adempiono al loro dovere primario di amare Dio e la Patria che si trova in pericolo. Non solo si può parlare di invasione di stranieri, ma anche di invasione di idee che mettono a repentaglio i valori fondamentali. Questo provoca una situazione di emergenza e, in queste circostanze, si può applicare il pensiero di san Tommaso d’Aquino, il quale insegna che in casi del genere l’amore per la Patria si equipara all’amore per Dio”. Questa la dichiarazione ufficiale d’appoggio al genocidio espressa dal nunzio apostolico Pio Laghi, intimo nonché compagno di tennis preferito dell’ammiraglio Emilio Eduardo Massera (tessera P2 numero 478), uno dei membri del triumvirato (con i generali Jorge Rafael Videla e Orlando Ramón Agosti) che instaurò la dittatura col golpe silenzioso del 24 marzo 1976.


Myanmar
Non abbiamo, nessuno fuori da quel paese ha, la più pallida idea come stiano le cose e come si siano svolte le elezioni di domenica scorsa. Sappiamo però che ex-colonialisti, dall' irrinunciabile spirito revanscista, ce l'hanno con Myanmar che, dal "manifesto" a "Il giornale", colonialisticamente, vittorianamente e razzisticamente insistono a chiamare "Birmania". Ed è già un bel segnale. Sappiamo però per certe alcune cose. Che il Myanmar sta sul cazzo all'imperialismo USA-UE perchè non riescono a frantumarlo e sottometterlo, come Iraq, Afghanistan, Yemen, Honduras, Messico, a dispetto delle "rivoluzioni colorate" che fanno allestire ai soliti monaci buddisti, perlopiù spediti a far casino dalla vicina Thailandia. E anche perchè è stretto partner commerciale e strategico della Cina, crimine massimo. Sappiamo che Pannella da anni rompe le scatole al Myanmar sollecitando alla rivolta armate arretrate tribù di stampo leghista. Sappiamo che il Myanmar è straricco di risorse minerarie e che al largo si sono scoperti ampi giacimenti petroliferi e che, logicamente, la cupola mafiosa multinazionale del petrolio ne vuol fare un nuovo Iraq. Sappiamo che l'unanimente venerata, in Occidente, Aung San Suu Khi, ha gli uffici della sua organizzazione a due passi dalla Casa Bianca e condivide con i suoi fautori Usa la celestiale visione di un libero mercato sul quale far troneggiare Exxon, Lockheed e Monsanto che non cessano di foraggiare la sua Lega Nazionale per la Democrazia (ultimamente afflitta da una scissione di chi vedeva nel sabotaggio delle elezioni un segno di impotenza). Infine vediamo che sul Myanmar, anzi sulla Birmania, c'è totale concordia e unanimità di giudizio dall'estrema sinistra all'estrema destra. Segno, come sempre in questi casi, che la destra l'ha messo in quel posto alla sinistra. E questo ci basta. Tanto più che da neanche un fringuellino di questo "Eden democratico" si è sentito un bisbiglio su elezioni modello come quelle di Arabia Saudita, Messico, Afghanistan, Iraq, Honduras...

Usraele
Agli Usa non bastava la totale identificazione di Barack Obama con le sanguinarie e nazisioniste ragioni di Israele. Dava noia addirittura quel suo inarcare leggermente il sopracciglio sinistro di fronte alla cannibalizzazione ebraica delle terre arabe di Palestina, Gerusalemme compresa, espressione adottata unicamente per salvare le apparenze di fronte a un'opinione pubblica sempre più atterrita alla vista del sistematico terrorismo di Stato di quel carcinoma planetario.
E così hanno mandato al Senato Marco Rubio, stella sfolgorante del movimento neo-Ku-Klux-Klan "Tea Party", che da una vita si proclama militante sionista e militarista, e di conseguenza, è stato eletto nello Stato della Florida, quello che rubò due volte le elezioni a favore di Bush, quello in mano alla criminalità organizzata della mafia cubana e di tutti i fuorusciti dei paesi antimperialisti latinoamericani, quello che onora confessi terroristi e serial killer come Orlando Bosch e Posada Carriles. Gli affini s'incontrano, il cerchio si chiude, l'internazionale neonazista, vero Pacifici, Alemanno, Saviano, Nirenstein?, onora il suo capofila. "La sopravvivenza di Israele, per non menzionare il suo successo, è nientemeno che un miracolo... Un Iran nucleare sarebbe devastante. Improvvisamente, organizzazioni terroristiche come Hamas, Hezbollah e Al Qaida avrebbero un volenteroso fornitore di armi nucleari da usare contro Israele e gli Stati Uniti e qualsiasi altro "infedele" che si metta in mezzo al loro piano di stabilire un califfato islamico globale".

Così parlò Marco Rubio , un post-cubano che ti fa precipitare in difesa di Cuba qualsiasi cosa faccia, comprese gli autodafé politici, economici e sociali di Raul Castro. Così parlò, mentre in Palestina un civile arabo viene ammazzato ogni giorno, nella Gaza-Auschwitz ci si deve estinguere lentamente, nelle carceri si torturano palestinesi anche minorenni, anche donne, gli SS delle colonie bruciano terre e manomettono vite, la coppia Netaniahu-Lieberman chiude le sue giornate agitando turiboli davanti alle immagini di Hitler e Himmler. E i nostri israeliti alla Lerner o Colombo si voltano dall'altra parte e s'indignano contro la persecuzione dei rom. Mentre il paraisraelita Saviano furoreggia su tutti gli schermi e giornali in difesa della libertà e dei diritti umani. Chissà dove ha imparato che la migliore arma d'attacco alla verità e alla giustizia è il vittimismo?


Criptoberluschini
Piero Sansonetti, estrema defecazione (scusate l'ìmmagine, ma calza) di Bertinotti, nei talk-show di destra e di criptodestra è ospite principe. E' la munifica sorte riservata ai transfughi. Quale soddisfazione maggiore di quella che ti viene da uno che dalle stelle (presunte) ti arriva nelle stalle dei porci con la coda tra le gambe e l'acquolina in bocca? Dopo il lustro a dirigere il fogliettino del Bertisconi "Liberazione", (se ne ricorda l'urlo una prima pagina, al tempo di un altro gaglioffo sull'Isola dei famosi, "Forza Vladimir!"), cacciato da una rivolta dei pur tollerantissimi redattori e lettori, tentò l'avventura trasformista con una roba chiamata "L'altro" che, però, fu sommersa istantaneamente dalla sua totale insipienza, insignificatezza e inutilità. Infatti l'uomo non sa neppure fare il suo mestiere, tanto prevalgono altre urgenze. Così è finito in un angolo assai oscuro, allusivamente metaforizzando, di una regione altrettanto oscura e oscurata (a scapito di tanti suoi luminosissimi cittadini), a dirigere "Calabria Ora". Subito si è tolto dalle palle, ovviamente grazie all' intuito geniale su chi si dovesse favorire da quelle parti, il giornalista Lucio Musolino, inviso al picchiatore fascista e ora presidente calabro Peppe Scopelliti e sopratutto alla 'ndrangheta, contro la quale il temerario Lucio aveva sparato bordate non da poco.

Inghirlandato di allori locali per quest'impresa, il soggettone dalle chiome svolazzanti come le sue ideologie, ha scalato un altro piano verso il paradiso della benevolenza di chi conta, accettato e poi dribblato un amichevole incontro con Roberto Fiore di Forza Nuova, annunciando un convegno intitolato nostalgicamente"Boia chi molla", nientemeno. Riscattando la jacquerie mafiofascista del 1970, l'ominicchio impreca contro coloro, compagni, sindacati non normalizzati, democratici, che si precipitarono allora a Reggio, a costo di morti ammazzati, per contenere quell'ennesimo rigurgito fascista sotto l'ombra di Gladio e degli Usa. Che si tratti del controcanto alla manifestazione contro la 'ndranghetta organizzata dal rivale perbene "Quotidiano della Calabria", come sospetta argutamente Silvio Messinetti sul "manifesto"? Comunque, ragazzi, non c'è da preoccuparsi, se c'è uno che sa mandare in vacca qualsiasi impresa giornalistica è Piero Sansonetti. E anche qui il cerchio si chiude: Bertinotti, Sansonetti, Vendola... Come si vede dura minga.



lunedì 8 novembre 2010

SERBIA, VOCI DAL SEPOLCRO

D'Alema, Clinton, Kohl, Chirac, Blair sventrano la Serbia La giovinezza non è un periodo della vita, e uno stato d'animo, che consiste in una certa forma della volontà. In una disposizione dell'immaginario, in una forza emotiva nel prevalere dell'audacia sulla timidezza, della sete dell'avventura, sull'amore per le comodità. Non si invecchia per il semplice fatto di aver vissuto un certo numero di anni, ma solo quando si abbandonano i propri ideali. Se gli anni tracciano i loro solchi sul corpo, le rinunce all'entusiasmo li traccia sull'anima. Essere giovane significa conservare a sessanta, a settant'anni, l'amore del meraviglioso, lo stupore per le cose sfavillanti e i pensieri luminosi, le sfide intrepide lanciate agli avvenimenti, il desiderio per insaziabile del fanciullo per tutto ciò che è nuovo, il senso del lato piacevole e lieto dell'esistenza. Resterete giovani finché il vostro cuore saprà riceve i messaggi di bellezza, di audacia, di coraggio, di grandezza, di forza che vi giungono dalla terra da un uomo o dall'infinito. Quando tutte le fibre del vostro cuore saranno spezzate e su di esso si saranno accumulate le nevi del pessimismo e il ghiaccio del cinismo è solo allora che diverrete vecchi e possa Iddio aver pietà della vostra anima.
(Albert Sabin)

Riporto qui, in calce a qualche mia considerazione, contributi di Alessandro Di Meo, un militante esemplare della causa dei diritti umani e dei diritti dei popoli da anni impegnato in un coraggioso, indefesso, solitario lavoro di informazione sulla tragedia jugoslava, come determinata dall’imperialismo euro-statunitense, e in particolare sulla catastrofe del Kosovo, dove i delinquenti occidentali sono riusciti a capovolgere il rapporto carnefici-vittime. Devo precisare che la mia stima per Alessandro non è estendibile alla sua associazione, Un Ponte per… , nella quale lui brilla come una rara perla, ma che io ho conosciuto e respinto per le sue ambiguità politiche divenute nel caso iracheno veri collaborazionismi. Basta ricordare, le comparsate di fantocci dell’occupazione allestite in Italia, o la vergognosa farsa della liberazione delle due Simone e l’uso propagandistico fattone successivamente dai complici della distruzione e della verità dell’Iraq.

Fra qualche settimana nello pseudo-Stato Kosovo, disconosciuto da tutti i paesi non del tutto sodomizzati dai colonizzatori e che è essenzialmente il patio trasero, il cortile di casa, della base Usa Bondsteel, la più grande costruita dopo il 1945, si torna a votare. Le bande mafiose, trafficanti di stupefacenti, organi, donne, bambini, cui gli occidentali hanno affidato la gestione “statale” della droga dall’Oriente, alla stregua del modello Messico per la cocaina colombiana, si sono azzannate e hanno provocato la crisi del “governo” del serial killer, narcotrafficante, gigolò di Madeleine Albright (allora Segretaria di Stato Usa), Hashim Thaci. Le cosche chiamate Partito Democratico del Kosovo (dell’ex-terrorista UCK Thaci) e Lega Democratica del Kosovo (di Fatmir Sejdiu, fondata dal trafficante caro all’Occidente, Rugova) si sono spaccate sulla spartizione del bottino cadutogli nelle fauci grazie allo sterminio o alla cacciata dalla provincia serba di metà della popolazione (quella non albanese e non prona al brigantaggio locale e internazionale). Dietro alla crisi anche la volontà dei colonizzatori e dei loro sgherri di sabotare il ruolo che si doveva assegnare alla Serbia in questioni bilaterali e a protezione della comunità serba sopravvissuta alla pulizia etnica Nato-UE-UCK: commercio, comunicazioni, energia, servizi postali, acque.

Bombe ai serbi, da Aviano

Dobbiamo la creazione dell’ennesimo narco-nonstato, accanto a Colombia, Honduras, Messico, Afghanistan (ora puntano a Haiti e Myanmar), oltreché al criminale di terza classe D’Alema e al pifferaio nel suo taschino, Adriano Sofri, alle sinistre ufficiali tutte, ottusamente, opportunisticamente, infamemente, suicidamente, solidali con le colossali – e rasserenanti – menzogne della propaganda degli assalitori. Mistificazioni clintoniane, pannelliate, woytiliane, tedesco-revansciste, universalmente bevute, sui cattonazisti croati, sui mafioislamici bosniaci, sui patrioti serbi a partire da Milosevic, Karadzic, Mladic, sulle invenzioni al curaro, tipo stragi serbe a Razak o Sebrenica. Soprattutto sui difensori serbi della sovranità e della giustizia sociale contro i licantropi etnicisti e confessionali scatenati dall’imperialismo, dove i primi diventavano “ultranazionalisti” e i secondi rivendicatori dell’”autodeterminazione” (sotto il tacco dello stivale straniero).

La Jugoslavia è stata disintegrata, la Serbia disossata e scuoiata, messa in mano a uno scagnozzo rinnegato come Tadic, gettata alla mercè di vampiri alla Marchionne, divenuta scuola di mercenari da utilizzare nella “rivoluzioni colorate” della destabilizzazione imperialista. Il Kosovo, madrepatria serba, terra delle sue radici quasi millenarie, spogliata della sua componente umana e affidata a farabutti di lurida tacca che dessero profondità strategica alla fortezza del Pentagono, base d’assalto e centro segreto di tortura, in cambio dei margini di guadagno nel narcotraffico internazionale. Traffico che serve alle banche ed economie occidentali per non precipitare nel baratro dei loro meccanismi demenziali.


Noi, la Serbia e i suoi martiri li abbiamo dimenticati. Ce li hanno ricordati l’altro giorno i 13 temerari, fuori dal contesto melmoso di chi a sinistra piagnucolava sulle bombe stragiste ma condivideva il paradigma tossico della “guerra umanitaria ai nazionalisti serbi”, che il 13 maggio 1999, sotto il consolato del padrone Usa, insieme a tanti manifestarono contro la guerra “umanitaria” e furono massacrati di botte dai celerini di D’Alema. Anni dopo, in perfetta e logica continuità con il barbiere bombarolo di Gallipoli, un pezzo di magistratura devota al Berlusconi d’Iraq condannò a 7 anni questi sacrosanti difensori della verità, della giustizia e della pace. Il 5 novembre scorso la corte d’appello gli ha concesso le “attenuanti”, bontà sua, che così hanno fatto scattare la prescrizione. C’era stato il solito cucuzzaro del pacifismo aveugle, Enzo Mazzi, Gino Strada, Paolo Beni (Arci), Paul Ginsborg (Girotondi), Ugo Biggeri e altri tremila, che avevano diffuso un appello contro la sentenza definita, udite udite, “sproporzionata”. Ma che bravi, con tutto rispetto per altre cose buone che costoro fanno. Infatti il giudice ha “concesso” le attenuanti. Attenuanti del cazzo! Quei 13 andavano decorati col Nobel per la pace, altro che l’Obama messo lì dai tagliagole per coprire di nero le loro scimitarre!

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Propaganda e disinformazione
Oggi ho aperto il sito de "la repubblica" e, in prima pagina, ho trovato una bella sorpresina, un articolo degno del peggior nemico dei serbi: la propaganda, unita a quella disinformazione pianificata e lucida, segno dei tempi che corrono, che sono corsi e che correranno davanti ai quali ben poco resta da fare a noi, poveri, tristi e solitari Don Chisciotte che andiamo dietro alla pretesa di giusta e corretta informazione e, soprattutto, di verità (ah, questa sconosciuta!).
Così, inutilmente certo, ma cocciutamente comunque, ho voluto scrivere una lettera al direttore, alla rubrica delle lettere e alla redazione de larepubblica.it. Ve la riporto qui,anche perchè difficilmente la leggerete altrove.

"Posso dirlo che avete da tempo superato la soglia dell'indecenza, per quanto riguarda l'approccio al tema ex Jugoslavia?
Oggi questo articolo in prima pagina (http://www.repubblica.it/esteri/2010/11/05/news/tadic_vukovar-8766359/) sulle scuse di Tadic, così come tanto spazio avete dedicato al simbolo del male (sottintendendo male uguale Serbia) Ivan il terribile e non una parola sulle scuse del presidente croato Josipovic per eccidi compiuti dai croati neosecessionisti, precedenti a Vukovar. Scuse fatte in contemporanea alla visita di Tadic!
E tutto questo dopo aver dedicato zero spazio alla notizia del terremoto di ieri l'altro, che non sarà stato Haiti, per fortuna (ma magari qualcuno fra di voi, della scuola di Adriano Sofri, a questo punto credo se lo auguri) ma che almeno per rispetto al dovere dell'informazione un comune lettore si aspettava di trovare.
Davvero senza speranza e senza più parole (e da oggi, anche senza più alcun interesse per il vostro lavoro che se è in malafede qui, può esserlo sicuramente anche altrove).".
Alessandro Di Meo
Pubblicato da Alessandro Di Meo a 16:40 1 commenti
MERCOLEDÌ 3 NOVEMBRE 2010
I serbi sono soli
E certo, non c'era mica il famigerato "Ivan, il terribile" da mostrare alle televisioni, coi suoi tatuaggi celtici e cetnici da "Grande Serbo", "violento e massacratore", "pulitore etnico a denominazione d'origine controllata!". No, non c'era Ivan, c'era solo un terremoto, con due morti nel villaggio di Grdica, dove vivono famiglie profughe dal Kosovo che dopo tanti anni, con tanta fatica, si sono rifatte una casa dove provare a far crescere i propri figli. Case oggi crepate, di terremoto, ma chissenefregherà mai?
No, nessuna televisione ha mostrato qualcosa di questo terremoto di una intensità pari a quello che ha sconvolto L'Aquila, con povere case fatte di mattoni che hanno resistito molto meglio di case dello studente fatte con l'approvazione delle italiche concessioni edilizie! I serbi non valgono queste notizie, i siti di giornali come La Repubblica (e non solo...) non hanno degnato di un trafiletto quei morti e quei feriti e quelle tante case danneggiate per gente che dovrà affrontare il terribile, quello si, inverno balcanico, aggiustando crepe e tetti, rinunciando alla legna per il riscaldamento, rinunciando a molte di quelle cose normali al nostro mondo.
Non meritano i vostri articoli, mentre li merita Ivan il terribile, corrispettivo ideologico di chi si permette di affermare che i serbi sono la schifezza di questo mondo (vero Sofri?) tralasciando di commentare le loro disgrazie.
I serbi sono soli, a questo mondo. Sono soli e lo sanno. Lo so da tempo, anche io. I serbi sono soli, noi che ci sbattiamo per loro, siamo soli. Siamo già in due.


L’Urlo del Kosovo

di Alessandro Di Meo

Storie vere da cui è impossibili fuggire.
L'urlo che la propaganda non riesce a coprire.
Voci che spezzano il coro allineato del pregiudizio che è letale per le persone tanto quanto le scorie della "guerra umanitaria".

Il Libro
Il libro vuole essere una denuncia del dramma vissuto da migliaia di persone, in prevalenza serbe, cacciate da quella terra, il Kosovo e Metohija, dove hanno da sempre vissuto e convissuto con altre etnie. Le ingerenze esterne dovute a interessi di potere, politici e, soprattutto, malavitosi, hanno tolto la parola alle persone per consegnarla alla propaganda e alla menzogna.
L’autore, attraverso le storie narrate, cerca di spostare l’attenzione sui veri protagonisti della triste e drammatica vicenda: le persone in carne e ossa, facendosi testimone della loro tragica vicenda per una ricostruzione dei fatti meno condizionata da propaganda e luogo comune.

Il DVD
Il documentario è un viaggio tra le conseguenze dei bombardamenti che nel 1999, per 78 giorni, hanno colpito quel che rimaneva della Jugoslavia. A oltre 10 anni di distanza, i problemi e le contraddizioni che la cosiddetta “guerra umanitaria” voleva risolvere si sono, in realtà, moltiplicate. L’insorgere di malattie sempre più gravi, dovute a inquinamento ambientale e uso indiscriminato di uranio impoverito; la chiusura delle fabbriche con conseguente perdita del posto di lavoro; la drammatica situazione dei serbi rimasti nei villaggi del Kosovo, di fatto ghettizzati; lo stato dei monasteri ortodossi, patrimonio culturale e storico dell’umanità, a rischio distruzione. Un viaggio nella Serbia di oggi, ancora troppo devastata nel cuore e nell’anima.

si può richiedere l'edizione completa di libro e dvd a:
http://www.unponteper.it/bottega/description.php?II=315
Codice prodotto: 02084
nome: L'Urlo del Kosovo (Libro+DVD)
Durata: 52'
contributo richiesto: euro 18.00
Spese di spedizione: euro 3.00