mercoledì 30 marzo 2011

EFFEMERIDI, tra “rivoluzionari” e “mercenari”

Il bisogno di anteporre la condanna di Gheddafi e la necessità della sua cacciata alla critica dell’intervento occidentale è un dazio pagato alla propaganda imperialista che depotenzia nei fatti ogni sera opposizione all’aggressione in corso… Anche se si trattasse di un regime molto peggiore di quello di Gheddafi noi ci schiereremmo anzitutto contro l’intervento militare e gli interessi del nostro Stato, come di quello delle altre potenze occidentali, per il banale motivo che confondendo i due livelli nella migliore delle ipotesi si mettono sullo stesso piano le responsabilità delle maggiori potenze occidentali con quelle di un regime che cercato di resistere a queste pretese. Ovvero tra chi domina e chi è dominato nella gerarchia mondiale.

(Red Link)


E’ sempre molto semplice tirarsi dietro il popolo, che sia una democrazia, una dittatura fascista, un parlamento o una dittatura comunista. Voce o non voce, il popolo può sempre essere portato a obbedire ai suoi capi. E’ facile. Tutto quello che gli si deve dire è che è sotto attacco e denunciare i pacifisti di mancanza di patriottismo e che espongono il paese a pericoli. Funziona in qualsiasi paese.

(Hermann Goering al Tribunale di Norimberga)


2 Aprile dei cerchiobottisti
Il 2 aprile terza manifestazione in 7 giorni contro la guerra, dopo quella di sabato in cui l'acqua ha affogato i timidi cartelli personali contro l'assalto Nato alla Libia. E, immancabilmente, Gino Strada (peccato!), Luigi Ciotti, Renzo Piano (devastatore di regime), Maurizio Landini (traviato), Massimiliano Fuksas (vedi Piano) e Luisa Morgantini (vestale nonviolenta del disarmo unilaterale dei palestinesi), firmano l'appello "Due aprile" mettendo in cima l'aporia UE-USA-Nato: "Gheddafi ha scelto la guerra contro i propri cittadini e i migranti". Imperativo categorico: a un simile soffietto a coloro che sbranano la Libia con il pretesto falso e bugiardo di un Gheddafi killer del "proprio popolo" (vedi precedenti pataccari di Saddam e Milosevic),io non partecipo. Io con i vari Sullo, Vendola, Cgil, Arci, voraci Ong, Rossanda, Morgantini, micro-e magno”comunisti” del pacifismo con riserva umanitaria, non marcio. Li lascio in compagnia del "manifesto" (salvo pochi resistenti) e della debenedettista "Repubblica", trainati dalle proprie lobby israeliane, i cui reportage scadono in bollettini del Comando Alleato, quanto meno per ciò che riguarda la demonizzazione del renitente alle rapine occidentali da abbattere, rispetto alla quale le lacrimucce sugli eccessi bombaroli non sono che la solita spampanata foglia di fico. L'invocazione della venerata maestra Rossanda a liquidare la Libia sovrana "con ogni mezzo, comprese le brigate internazionali tipo Spagna (fenomenale salto logico), ha fatto uscire allo scoperto la canea dei residui lettori del "quotidiano comunista", scatenati in lettere al tritolo contro i "gheddafiani" Parlato, Matteuzzi, Dinucci, in cui si accreditano e rinforzano, sulla scia tossica del vecchio mestatore e sparaballe Stefano Liberti da Bengasi, la mattanza dei libici nel nome della crociata contro "dittatore, pazzo criminale, assassino, vigliacco, terrorista, stragista" (così lo scriba imperiale, Alessandro Golinelli, ospitato sul “manifesto”. Scrive questo parodista del giornalismo, con i segni dei morsi dei vampiri Nato ancora sul collo, che "la tiritera antimperialista e l'insistenza sugli sforzi diplomatici sono moralmente indecenti". La sua è la decenza morale dei morti viventi nel cui baccanale necrofago notturno si aggira in compagnia di coloro che, visti inebriati di sé alla manifestazione per l'acqua bene comune, “acqua azzurra, acqua chiara” cantavano!, navigano leggeri e soddisfatti sull'onda di fango che travolge il bene comune Libia.


Il Day after che si aprirà domani sulle rovine di un paese e sul cadavere del suo leader cannibalizzati sulla tavola della globalizzazione imperialista, vedrà beni comuni un tempo assicurati a sei milioni di cittadini e due milioni di immigrati, come carburanti, acqua, luce, istruzione, salute, casa, contadini e studenti esentasse, magari anche dignità nazionale e protagonismo sociale, trasformati in beni comuni di Total, Boeing, Shell, BP, Halliburton, Monsanto, Veolia-Suez (vedi Iraq). Resteranno inceneriti dal macabro sole spento del Day after? E non potranno neanche più ricomporsi abbeverandosi al sangue che un tempo gli stillava da contratti equi e non marchionneschi con una Libia del rispetto per la parità tra partner: mobilità, riscaldamento, Pil… Gli canterà l’elogio funebre, dall’alto della corazzata “Quirinale”, il Caino che l’altro giorno all’ONU ha voluto riproporre, oltre al bianchetto sull’articolo 11 della Costituzione, guardata con occhio strabico alfaniano, il cantico delle creature che una cosa sanno fare dalla notte dei tempi: pugnalare alle spalle gli amici: Basta con i regimi delle menzogne, l’Italia si è assunta le sue responsabilità, vamos a matar. Anche lui con la sua foglia di fico: “Auspico che da tutti venga adottata la moratoria della pena di morte”. Osservazione di cattivo gusto che, a dispetto delle pugnalate alle spalle che ne svelavano la fetida ipocrisia, ha contribuito a far escludere l’Italia – quella delle basi d’attacco in casa sua subito concesse - dal video-vertice dei boia (Obama, Cameron, Sarkozy, Merkel). Non sorprendentemente, visto che in contemporanea costoro, con i loro Tomahawk e bombe all’uranio, stavano eseguendo per ogni dove in Libia e altrove pene di morte che il succitato Goering, con i suoi campi, lo avrebbero fatto impallidire.



EroiVa detto per primissima cosa che con ogni evidenza il popolo libico, con le sue forze armate, sapendo bene cosa è in gioco tra la Libia di questi 40 anni e la Libia irachizzata dalla “comunità internazionale, sta con il padre e difensore della patria, Gheddafi e che con il genocidio in atto dei revanscisti del colonialismo stanno un’accolita di venduti, fanatici della Sharìa e mercenari tenuti in piedi da teste di cuoio occidentali e missili all’uranio a cui, del resto, essi stessi e i loro figli sono destinati. Onore e plauso infiniti ai combattenti della Libia libera, sovrana e non domata, che eroicamente, quanto i partigiani iracheni e afghani, sotto l’assalto di turbe codarde e inette di briganti e le bombe dei cannibali, resistono, avanzano e, nelle città libere ribadiscono il loro impegno per la patria e il suo leader. Le maggiori tribù del paese continuano a schierarsi con Gheddafi, compresa quella più numerosa di tutti (1 milione), Warfalla, che ha annunciato una “marcia verde” della pace verso Bengasi e la lotta contro gli aggressori imperialisti, quella di cui è figlio Gheddafi, Gadadfa, quella che domina l’intero occidente, Tarhuna, e quella del Sud, Megarha. Dal che si può dedurre chi spara davvero sul popolo libico. E risulta ridicola la dabbenaggine di Tommaso de Francesco (“il manifesto”) che dà credito a una presunta lettera ed evidentissimo falso di una tribù del Jebel-Nefusa, che, sciorinando tutte i punti della demonizzazione di Gheddafi inventati a Langley, plaude alla conquista occidentale del proprio paese. Cosa che nessun libico non rincoglionito o venduto farebbe mai. Avrebbe fatto meglio, De Francesco, a pubblicare la lettera a Putin e Medvedev, scritta da alcune decine di medici russi tuttora in servizio volontario a Tripoli, che, testimoni diretti e inoppugnabili, denunciano l’apocalisse franco-Nato abbattutasi sui civili e descrivono un popolo in piedi accanto alla sua guida che sa di combattere per i diritti e il benessere acquisiti e contro chi gli vorrebbe far fare la fine dei 2 milioni di iracheni massacrati, dei 4 milioni sradicati, del resto ridotto all’”età della pietra. Mentre le loro ricchezze fanno viaggiare i Suv e scaldano le case dei loro boia.

Irachizzare? Balcanizzare?A Londra, prima i quattro decisori globali, senza ovviamente l’ex-socio italiano di Gheddafi da punire e depredare dei benefici acquisiti grazie ai rapporti con il colonello, poi i 40 ausiliari della “comunità internazionale” si sono riuniti essenzialmente per discutere le soluzioni A e B. A: prendersi tutta la Libia, ammazzare Ghedddafi e partire da lì alla riconquista dell’intero continente. Continente da castigare anche perché l’Unione Africana si è rifiutata di partecipare all’autoschiavizzazione, mentre però il santone Nelson Mandela, colui che ha consegnato il Sudafrica al dominio delle élites capitaliste bianche e nere, non ha voluto spendere una sola parola in difesa del governante che, pure, aveva contribuito in misura rilevante, alla liberazione del suo paese e di altri del continente. Il piano A avrebbe però comportato truppe a terra, con conseguenti perdite da aggiungere a quelle afghane e irachene, tali da provocare ulteriori defezioni dalla ”coalizione dei volenterosi” e suscitare perplessità arabe, africane e di tutto il Sud del mondo.

bombe intelligenti sulle case di Tripoli

mercenari  neutralizzati

Soluzione B: accontentarsi della Cirenaica, di quante installazioni e giacimenti petroliferi recuperate (e di gas nel mare tra Tunisia e Cipro, la cui parte palestinese davanti a Gaza è già stata rubata da Israele con l’operazione “Piombo Fuso”), di un regime compiacente a Tripoli e di un Gheddafi in esilio. La B verrebbe preferita se la pioggia di morte collettiva sulla Libia libera non riuscisse a decimare la popolazione resistente e una Libia tutta occupata susciterebbe quella resistenza di popolo che è costata agli Usa 8 anni di sconfitte in Iraq e 10 in Afghanistan. Va detto per inciso che la dabbenaggine del “manifesto” non si limita a T.D.F., e alla sconcia propaganda pro-“giovani rivoluzionari” spurgata da Liberti a Bengasi. Visto che Obama, intervenendo a reti unificate, proclama che gli Usa difenderanno in Libia e ovunque i propri “interessi e valori” (vale a dire depredazioni, devastazione e uccisioni in massa), uno sbigottito Marco d’Eramo, acclamato esperto di cose Usa, rimugina: “Chi avrebbe mai immaginato uno scenario simile nel novembre 2008, quando Obama fu eletto come candidato pacifista”. Chi? Evidentemente non tu, d’Eramo, né le ginocrate che ululavano di piacere per “l’uomo nero del cambio”, ma chiunque non fosse un boccalone radical.chic, imbevuto di ottusità e compiacenze borghesi e avesse presente l’immutabile strategia dei poteri, Wall Street, multinazionali, Pentagono, che finanziavano Obama e gli hanno fatto trovare il copione bell’e scritto sul tavolo della Sala Ovale.

commilitoni dei "giovani rivoluzionari" di Bengasi

“Giovani rivoluzionari”Qualcuno, a sinistra e non solo, uscendo da un lungo coma poco vigile, inizia a porsi la domanda che, fin dal primo momento dei casini bengasiani, avrebbe dovuto essere la prima e principale, tale da spazzar via le puttanate dei velinari sui “giovani rivoluzionari”. I primi caporioni installati sotto l’etichetta “Consiglio Nazionale di Transizione” erano due felloni del governo libico, cari alla Francia, il ministro della giustizia e quello degli interni, con cui Gheddafi aveva rotto in seguito a rapporti su atrocità contro detenuti, abusi e ruberie commesse da costoro. Trattavasi di esemplari classici del fantocciame imperialista, selezionati dagli infiltrati occidentali sul posto su indicazione di Parigi: delinquenti ricattabili alla Thaci, Karzai, Maliki, Mubaraq. Dopo essere serviti a proclamare uno sfaldamento dello Stato libico e un isolamento di Gheddafi, sono stati sostituiti da due arnesi tipo l’iracheno Chalabi, prezzolato fiduciario Cia che da Londra e Washington sparava fandonie su Saddam e sulle armi di distruzione di massa. Capo del nuovo Governo di Transizione è Mahmud Jibril, riunitosi giorni fa con i trucidatori del suo popolo, Hillary Clinton e Sarkozy. Uomo chiave di Washington e Londra, era a capo dell’Ufficio Nazionale per lo Sviluppo Economico (zeppo di aziende di consulenza anglo-statunitensi) che propugnava la penetrazione economica di Usa e UK promuovendo liberalizzazioni e privatizzazioni, fino a quando Gheddafi non l’ha neutralizzato. Docente di Pianificazione strategica e processi decisionali all’università di Pittsburgh, Jibril ha trascorso la vita a predicare, su imbeccata dei suoi padroni, il vangelo neoliberista in tutti i paesi arabi. Un cablogramma diplomatico rivela come, in tempi precedenti il colpo di Stato, Jibril avvertisse Washington della “crescente competizione per le risorse petrolifere libiche di Europa, Russia, Cina e India” e raccomandasse di buttarsi sulle “future privatizzazioni libiche di infrastrutture, sanità e istruzione”. L’ambasciata Usa descriveva Jibril come “interlocutore serio che sa cogliere le prospettive Usa”.

operai africani catturati dai ribelli

Quanto al neo installato comandante militare dei ribelli, si tratta di Hifter Khalifa, ex-colonello dell’esercito, da lunga pezza collaboratore della Cia. Giubilante, il destrissimo “Daily Mail” britannico lo ha definito “uno dei due astri della rivoluzione, recentemente tornato da un lungo soggiorno negli Usa”. Dove negli Usa? A Vienna, Virginia, a due passi da Washington e a 6 km da Langley, sede della Cia che ne ha finanziato la residenza dai primi anni ’90, quando disertò dalle forze armate libiche. Precisa il “Washington Post”, con riferimento ai famigerati “contras” antisandinisti finanziati dagli Usa con i proventi delle armi Usa e israeliane vendute a Khomeini perché divorasse l’Iraq: “Il leader della rivoluzione armata è il colonello Hifter Khalifa, capo di un gruppo tipo Contras chiamato Esercito Nazionale Libico”. “Le Monde Diplomatique” aggiunge che il mercenario fu catturato dalle forze ciadiane filo-Usa di Hisséne Habré mentre combatteva contro il filo-francese Idriss Déby e, dopo aver disertato, entrò nel gruppo Cia, Fronte di Salvezza Nazionale Libico. Significativa anche la scelta del nuovo ministro delle finanze, Tarhuni, cattedratico di economia all’Università di Washington che si definisce “perfettamente in linea con la mentalità occidentale”. Una garanzia per la City e Wall Street.

soldati libici catturati e poi giustiziati dai ribelli (come da video you tube)

Bengasi “liberata”Sotto la direzione di queste carogne vendipatria, si può immaginare come si comportano le bande di islamisti infoiati, mercenari e criminali che imperversano da più di un mese a Bengasi e poi nelle città temporaneamente “liberate”. Ce lo raccontano, non i sicofanti dei “ragazzi rivoluzionari” prodighi di atrocità gheddafiane ai cantastorie del “manifesto” e dei media occidentali, ma testimoni inascoltati e inviati di media conservatori e imperialisti angloamericani, Daily Mail, Daily Telegraph, Los Angeles Times, Reuters, che hanno mantenuto un minimo di, magari astuta, deontologia professionale. Bengasi sotto un controllo poliziesco in cui non si può girare se non sotto controllo stretto degli sgherri golpisti. La persecuzione, detenzione, esecuzione di ottomila cittadini usciti come non ribelli dagli archivi dell’amministrazione statale saccheggiata. La caccia all’uomo nei confronti di lavoratori africani neri immigrati, impiegati in ditte libiche o straniere e che vengono presi casa per casa, picchiati, carcerati, torturati, spesso uccisi. “Li abbiamo visti tirati fuori da celle sotterranee immonde fetide di urina ed escrementi, pieni di bende insanguinate, terrorizzati. Non appena ci esibivano i documenti che comprovavano il loro lavoro, venivano ricacciati in malo modo nelle celle, mentre il miliziano che ci guidava urlava:”Sono mercenari di Gheddafi!”. Nessuno ci ha voluto dire cosa ne avrebbero fatto. Ma gli obitori si riempiono di cadaveri pur in assenza di scontri. A noi risulta che migliaia di uomini sono stati prelevati dalle loro case nella Libia Orientale e poi uccisi. Spesso le loro mogli vengono stuprate, come ci ha raccontato un giovane operaio di una ditta cinese, pestato a sangue e riuscito a fuggire.

E perfino Human Rights Watch, la ONG di Soros specializzata in calunnie, per mantenere un minimo di credibilità ha dovuto esprimere preoccupazione per i massacri compiuti dai ribelli e raccontare episodi come quello del corpo di un civile nero appeso dai “ragazzi” a un gancio di macellaio. Non vi ricorda quanto gli Usa e l’Iran hanno incaricato i loro servi sciti di fare nei confronti della popolazione sunnita in Iraq?

Dove nascono i “giovani rivoluzionari” magnificati da idioti e malfattori mediatici? Le sigle: “Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia” (dotato di 7 milioni di dollari dai sauditi), Conferenza Nazionale dell’Opposizione libica, Gruppo di Combattimento Islamico della Libia (utilizzato anche in Kosovo, Bosnia e Cecenia), tutti gestiti e finanziati dai servizi sauditi, britannici, statunitensi. Una prima rivolta di natura integralista, nel nome dell’agenzia Cia Al Qaida (quanto aveva ragione Gheddafi!) la scatenarono a metà degli anni ’90 con una formazione chiamata “Al Jama’a al-Islamiyah al-Muqatilah bi-Libya”. Il massacro di cui blaterano gli avvoltoi fu la repressione di forze regolari che in simile evenienza sarebbero state impiegate in qualsiasi paese. I miliziani di questi gruppi erano stati addestrati da Israle e Usa in paesi dell’Africa centrale e occidentale. La parigina “African Confidential Newsletter” riferiva nel 1989 che gli Usa e Israele avevano allestito basi in Ciad e paesi vicini per addestrare 2000 ribelli libici catturati durante la guerra in Ciad. I fondi provenivano da Arabia Saudita, Egitto, Marocco e Israele. Il Fronte Nazionale partecipò poi, nel 2005 a Londra, a una conferenza nazionale dell’opposizione libica, in cui gli vennero assicurate risorse britanniche. Nel 2007 questo Fronte, composto da milizie di espatriati e da integralisti Al Qaida reduci dalla guerra contro i sovietici in Afghanistan, tenne il suo congresso nazionale negli Stati Uniti, quando gli fu affidata dalla Cia la lista delle atrocità e degli abusi da attribuire a Muammar Gheddafi e da incanalare verso la stampa occidentale. Gli furono anche commissionati una lunga serie di assassinii di militari e poliziotti libici. Un loro esponente di punta, Sufiyan al-Koumi era segretario del fiduciario Cia, Osama bin Laden, e aveva creato a Derna, estremo est, un “emirato islamico”. Catturato in Pakistan, gli Usa lo avevano spedito in Libia.

Arrivano i cari fratelliCome in Egitto e in Tunisia, ecco che anche all’orizzonte di Bengasi si materializza, sullo sfondo della storica componente salafita, la Fratellanza Musulmana. Con lo stesso scopo: in Egitto e Tunisia, dove collaboravano con i regimi vassalli dell’Occidente in qualità di opposizione di sua maestà, per riportare l’insurrezione popolare nell’alveo del controllo totalitario e dell’economia neoliberista; in Libia per candidarsi a gestore del dopo-Gheddafi, moderatamente islamico, accanitamente anti-laico e dotato di quadri meno rozzi e incompetenti dei teppisti oggi in auge, sotto l’egida dei padrini occidentali. Dall’inizio della rivolta membri della Fratellanza sono piovuti a Bengasi da tutti i paesi. Uno dei suoi massimi dirigenti, Abdulmonem Hresha, amnistiato da Gheddafi nel 2006 dopo una detenzione per sedizione e poi emigrato in Canada, si è candidato da Londra a interlocutore privilegiato degli aggressori. Un altro esponente di primo piano della Fratellanza, predicatore nel Qatar partecipe ai bombardamenti, ha emanato una fatwa che ordinava ai soldati libici di assassinare Gheddafi. Del resto, nulla da temere hanno i colonialisti dai fratelli. Hresha lo ha ribadito quando ha dichiarato alla BBC che i bombardamenti della Libia erano i benvenuti, che il sistema politico desiderato era quello di Canada e Regno Unito, e che i fratelli saranno sempre i migliori amici dell’Occidente. Questo, dunque, è il materiale umano che da Bengasi, dai deficienti o perfidi della “sinistra” al traino dei carri di guerra, ci viene rifilato come “giovani rivoluzionari”, “combattenti della libertà”, “protagonisti della democrazia”. C’è da urlare di rabbia. Prometeo incatenato al Caucaso e con l’aquila a strappargli il fegato non potrebbe urlare più forte.



UranioVediamo cosa avranno sulla loro coscienza delocalizzata i nostri capitani coraggiosi in lista d'attesa in coda alla Grande Armata che, mandata in avanscoperta la ciurmaglia dei bucanieri indigeni, si appresta a riservare al popolo libico - e arabo-africano in generale - la pulizia etnica riservata agli autoctoni d'America e, più recentemente ai serbi del Kosovo e alle genti titolari di Iraq e Afghanistan. Se nel primo giorno si sono abbattuti sulla Libia 112 Tomahawk, dopo un mese quanti ne sono piombati su quelle che, secondo testimoni anche occidentali, sono le case, gli ospedali e le scuole, oltrechè i carri armati e le caserme? Se a questi missili, aggiungi i Cruise, le bombe ad alta pentrazione, i 6mila proiettili al minuto sparati dagli A-10, quante dall'uranio polverizzati, quante divoratene da cancri futuri ad infinitum, saranno le vittime, compresi, come in Kosovo, i briganti assoldati per fare da apripista e alibi umanitario e soprannominati, come usa nelle mafie, con simpatici nomignoli depistanti come "giovani rivoluzionari"?

Massimo Zucchetti, autorevole esperto di impianti nucleari al Politecnico di Torino, ci spiega che ogni missile contiene fino a 400 kg di uranio. Nel complesso si tratta già il primo giorno di 400 tonnellate, 40 volte quanto sparato sul Kosovo (nostri militari compresi), l'equivalente di tutta la prima guerra del Golfo. Gli ordigni disintegrano ogni cosa, producono 5000° gradi di calore, spargono nell'etere polveri invisibili di particelle di ossido d'uranio e, dopo la strage iniziale, ne producono una strisciante nei secoli: pandemie di tumori, patologie respiratore e neurologiche, distruzione dell'apparato riproduttivo, malformazioni di generazioni di neonati. Se, come me, li avreste visti in Iraq, questi neonati senz'occhi o con gli occhi sulla schiena, con il cervello fuori dalla scatola cranica, con due teste e sei arti, o senza del tutto, privi di organi sessuali, o con quelli maschili in corpi femminili, avreste un'idea di cosa dovrebbe pesare sulla coscienza dei nostri e altrui capitani coraggiosi. "Dovrebbe". Ma hanno gli antidoti. Grazie al sangue spremuto da papi e sovrani ai subordinati, uno se ne sta in 300 stanze di tappeti persiani, opere del Caravaggio, boiserie Luigi 14, broccati di Damasco sui letti, in cima al Colle e guarda dall'altissimo folle adoranti; un altro, con 42 milioni di reddito, è il più ricco di tutti i cittadini e delinquenti e si allieta di zoccole travestite da poliziotte e infermiere, fottendosene di tutti e di tutto Poi ci sono, a scendere, nell'elenco dei più ricchi politici, primo La Russa, secondo Tremonti, terzo Brunetta, tre capisquadra della banda bassotti nazionale cui si devono i più massicci trasferimenti di ricchezza della nostra storia dal basso verso i signori della guerra. Militare e sociale. Cosa volete che gliene freghi dell'uranio. Sono gli sguatteri dei tecnici della globalizzazione imperiale. Si bombardano i primitivi, li si fanno fuggire disperati e affamati, in parte se ne fa una minaccia mortale al nostro modo di vivere, squallidino ma ancora sostenibile, in parte si approfitta della loro disponibilità alla schiavismo per marchionnare gli autoctoni. Le prove le si erano fatte in Europa Orientale, dopo la gloriosa caduta del muro. E c’è ancora chi, magari la biologa rumena che pulisce i nostri appartamenti, rimpiange Ceausescu e maledice chi glie lo ha portato via, insieme a salute, lavoro, casa, scuola.

Salvare i civili uccidendoli"Gheddafi bombarda il suo popolo. Bisogna salvare i civili". E la "no-fly-zone" deliberata dall'ONU si trasforma in una settimana (finora) di diluvi di missili all'uranio su tutta Tripoli e altre città in mano al governo legittimo. A Tripoli si mostrano decine di cadaveri intrisi di sangue fresco, ma Nigro di Sion- "Repubblica" sospetta che siano "corpi di ribelli ammazzati da Gheddafi". Infatti i missili non polverizzano nel raggio di centinaia di metri e l'uranio non uccide per millenni, tutt'altro, spargono democrazia e violette. Nigro fa il paio con quello Stefano Liberti del Sion-"manifesto" che da settimane insulta l'intelligenza dei lettori e insozza la deontologia giornalistica riferendo unicamente le sconce balle dei "giovani rivoluzionari" (leggi mercenari e criminali) di Bengasi. Robert Gates, ministro dell'Offesa Usa, che aveva diramato quell'ordine di servizio ai suoi falsari mediatici, ringrazia e conferma: "Non sono gente frantumata dai nostri missili, ma vittime di Gheddafi". Vedete come funziona oggi la sinergia, via via perfezionata con sempre più arruolati - a sinistra e pertanto più credibili dei guerrafondai -, tra primo potere genocida e quarto potere che fa da "palo"? Falsi campi di concentramento di Milosevic, falsa strage di Razak e falsa pulizia etnica serba; falsa Al Qaida, falsi massacri di curdi, falsi bambini strappati dalle incubatrici nel Kuweit, false fosse comuni in Iraq, false armi chimiche esibite da Powell all'ONU; razzi-carta di Hamas, "pirati somali" che difendono le loro acque e terre dalle predazioni e dai rifiuti tossici occidentali; "Al Qaida" accreditata dalla Cia e dal Centro Nazionale Antiterrorismo Usa nello Yemen da sottrarre alla rivoluzione: sono le "pistole fumanti" dell'imperialismo, dei suoi sgherri europei, oggi per la Libia in lotta fratricida per dividersene le spoglie, e anche dei sinistri vasellinatori di Tornado e F16. Sabato 26 marzo, alla serena e trasversale processione per l'acqua, contro il nucleare e quasi per niente contro la guerra (su quella gli scaltri sinistri si sono spezzettati in ben tre manifestazioni nazionali in ben 7 giorni!), il mio amico e compagno Piero Bernocchi (portavoce Cobas) mi ha voluto convincere che a Bengasi ci stanno "anche" i veri rivoluzionari. Lo scombiccheriato "Partito del né-né", tappetino rosso degli "interventi umanitari" fin dal "né con la Nato, né con Milosevic", cresce e si moltiplica. E puzza di morte.

L'agenzia svizzera WCTI-TV, citando il capitano Timothy Patrick del 26° Reparto Marines US, comunica che 2.200 marines sono sulle coste libiche (a terra?) e difendono la città Ajdubiyah (massimo complesso petrolifero) dagli attacchi di Gheddafi. Meno male che avevano spergiurato "Mai truppe di terra" (salvo i pitbull francesi), come se avessero mai pensato che l'accozzaglia di mercenari, venduti e senza motivazione che quella degli sciacalli, avesse potuto sconfiggere il popolo libico che lotta in difesa della sua sovranità, del suo benessere e dei suoi diritti antiglobalizzazione! Quei tagliagole e serial-killer di marines sono l'avanguardia di coloro che in Iraq hanno trucidato un paese e due milioni di abitanti e, dopo 8 anni, non ce l'hanno ancora fatta a domare il popolo iracheno in armi o in piazza. Sono quelli che in Afghanistan fanno ciò che i videogiochi di morte e sopraffazione gli hanno opportunamente insegnato fin dalle elementari: giocare al tirassegno contro civili e poi seccarne peni, naso o dita e appenderseli al collo. Il popolo libico verrà squartato, ma come ha resistito per trent'anni all'occupazione genocida italiana, non si lascerà sconfiggere neanche da quella in atto. E pensare che gli avvoltoi che imperversano sulla Libia hanno anche piume rosse...Senza le quali sarebbero polli. Per chi non intende, le piume rosse - si fa per dire - sono quelle dei né-né, collaudati fin dai tempi osceni del "né con Milsoevic, nè con la Nato" e ora in grande spolvero con "nè con Ghedddafi, nè con la guerra". Miserevoli e vili cerchiobottisti, campioni di Ratzinger e Obama.

Angela Merkel reprobaGli ultrà sionisti di "Repubblica" sbeffeggiano gongolanti Angela Merkel per la sua sconfitta alle regionali del Baden Wuerttemberg e del Rheinland-Pfalz. Giuggiolano anche, inusitatamente per il vessillifero debenedettiano di tutti gli inquinamenti, per l'avanzata dei Verdi. Lo attribuiscono, questi quaquaraquà della guerra, alla mancata partecipazione tedesca al mattatoio libico. E s'illudono sapendo di mentire e mentirsi. La botta la Merkel l'ha avuta grazie all'esplosione nucleare in Giappone, visto che troppo tardi ha sospeso il prolungamento delle sue centrali. E per lo stesso motivo ne hanno aprofottuto gli antinuclearisti verdi, loro, sì, pitbull di guerra, dal cialtronesco sionista Cohn Bendit in giù. Ma la trombetta sionista di Mauro non vede che disertori di guerre sante giudaico-cristiane. E li sbeffeggia gongolante. Compresa la coppia tentenna Berlusconi-Bossi, sotto schiaffo israeliano, mica perchè ruba e fascisteggia, anzi, ma perchè s'è intrattenuta con il penultimo arabo non sionizzato e ne ha tratto benefici. Anche per il paese. Così impara a mettersi la kefiah insieme alla kippa. Ne sanno qualcosa anche Moro e Andreotti.



In Argentina pagano i progenitori dei golpisti di BengasiGigantesca sfilata di popolo a Buenos Aires, con in testa le abuelas de Plaza de Mayo di Estela Carlotto e le Madres di Ebe Bonafini, nel 35° del colpo di Stato e dei boia della P2: 30mila desaparecidos e, da quando ci sono i Kirchner, 169 genocidi torturatori condannati, 856 processati. Quando parliamo di Libia, prima sciacquiamoci la bocca delle scelleratezze compiute dagli italiani in quel paese, poi ricordiamoci che chi l'assalta oggi, sotto copertura dei mercenari, "rivoluzionari" solo per allocchi e complici, sono gli stessi che misero a capo dell'Argentina, di tutta l'America Latina gli aguzzini Usa dell'Operazione Condor. I banditi vendipatria di Bengasi forniranno a Obama, equipollente di Kissinger, gli equivalenti di quelli. E da noi la stessa P2 che puntellava i generali argentini, oggi puntella i carnefici della Libia. Ad affilare la mannaia, i mentecatti codardi delle "sinistre".

manifestazione per Assad

Avvoltoi sulla SiriaQuesti si sono detti: caspita, le masse arabe ci stanno rovesciando i nostri pupazzi-boia e osteggiando i nostri modelli di dominio e rapina. Buttiamo qualche pupazzo (non quello del Bahrein, chè lì c'è la nostra flotta da usare contro l'Iran), vediamo di castrare le rivoluzioni con qualche nuovo burattino e approfittiamo della situazione per buttare all'aria due governi che non ci obbediscono e rifiutano la nostra globalizzazione deregolamentatrice, privatizzatrice, rapinatrice: Libia e Siria. Ovviamente la sinistra, codina, ottusa e masochimbecille, si adegua di corsa per far bella figura umanitaria, travolge le esitazioni di un governo che non ha più una lira da spendere per una società esasperata e, con Napolitano alfiere, si pone in testa ai peones d'assalto comandati dall'Impero. E Bashar Assad e Muammar Gheddafi, utilizzando veline Cia e Mossad, vengono messi alla gogna accanto a Mubaraq, Ben Ali, Ali Saleh. Che sarebbe come mettere nella stessa zuppa broccoli e la Digitale Purpurea. Così i morti della repressione di Assad passano nel giro di due giorni da 8 a oltre 100, secondo il manualino per cui in Libia, a 24 ore dall'inizio del colpo di Stato, si era a 10mila morti (probabilmente quelli che le bande di mercenari di Bengazi hanno fatto fuori nella loro caccia al gheddafiano e al lavoratore africano nero immigrato e fatto passare per "mercenario", come riferiscono da quella città giornalisti meno fetidi di Stefano Liberti del "manifesto" e degli immancabili infiltrati di "Peace Reporter").

La "rivoluzione" in Siria è fasulla ed eterodiretta come quella libica. Si spegnerà in un paese dove nessuno è povero, che ha accolto un milione di vittime irachene del genocidio USraeliano, che da 45 anni si sa mutilato e assediato dal mostro nazisionista coperto da compari e padrini feudal-imperiali. Ma è propedeutica all'assalto israeliano via Libano, una volta che il teatrino dei pupi chiamato Tribunale Speciale per il Libano avrà svolto il compito, assegnatogli dai massacratoiri di Jugoslavia, Iraq, Libia, Somalia, Pakistan e Afghanistan, di spostare la colpa - vera - israeliana dell'assassinio Hariri su Hezbollah e, quindi, sulla Siria. Insomma, è un'operazione davvero strabiliantemente schifosa: mentre le masse arabe in rivolta minacciano di sottrarre al Nuovo Ordine Mondiale gli avamposti consolidati da anni, armi e dollari, la narco-petrol-uranomafia USraele-UE cerca di recuperare posizioni disintegrando e massacrando Libia, Siria e Libano. Operazione che poi sarà l'apripista per l'assalto alll'Iran, stavolta non più nucleare strisciante come in Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia, ma nucleare col botto. Intanto si susseguono le testimonianze di chi a Damasco, Latakia e altre città ha notato personaggi estranei fomentare la rivolta e a volte sparare sulla gente. Qualcuno ne è stato catturato e alla tv di Stato ha ammesso di essere al servizio di misteriosi ufficiali pagatori occidentali. Qualcosa di simile era successo quando il Tribunale Speciale sul Libano, prima di volgere le sue attenzioni su Hezbollah, aveva tentato di accusare la Siria dell’attentato Mossad contro Hariri. Passò poco tempo che alla tv si succedettero falsi testimoni pentiti, che ammisero di essere stati istigati dal procuratore tedesco del tribunale, noto giudice dei processi voluti dagli Usa. E martedì a Damasco e in tutte le città siriane un clamoroso ceffone a tutti gli sciacalli delle autentiche rivolte arabe contro i modelli politici ed economici imposti dall’imperialismo l’hanno dato i milioni di siriani scesi in piazza per difendere il loro governo. Un governo che ospita e nutre un milione di profughi iracheni, fuggiti dal destino che ora i cospiratori contro la Siria vorrebbero imporre anche alla Libia. Paragoniamo la Siria all’Italia di Lampedusa e dei Cie. E poi parliamo.



Dopochè madama Rossanda ha fatto richiamare da Tripoli l'onesto Matteuzzi del "manifesto", a Bengasi hanno mandato Stefano Liberti, uno pseudogiornalista inquadrato nella riconquista coloniale dell'Africa che, privo di ogni capacità di analisi di fatti e retroscena, ci spara da una settimana esclusivamente le sanguinolenti balle dei briganti quinte colonne delle SS Nato. Un infame. Ci racconta che Gheddafi ha minacciato di uccidere porta per porta gli abitanti di Bengasi. Falso. Ha detto che cattureranno tutti i mercenari armati. Nessuno ci racconta che gli ascari razzisti della Nato a Bengasi stanno facendo la caccia all'uomo di lealisti e soprattutto di africani neri: catturano, violentano, torturano, uccidono. Fonte: giornalisti sul luogo che non sono al servizio dei colonialisti.

TerroristiDa tre giorni i nazisionisti, approfottendo dell'attenzione sulla Libia, attaccano con droni e bombardieri il territorio inerme di Gaza. Nessuno ne parla, nessuno ci racconta i bambini e le donne trucidate. Tutti parlano della donna israeliana uccisa per rappresaglia da un ordigno a Gerusalemme. Solo i nostri amici hanno il diritto di praticare il terrorismo. Quelli che se ne difendono sono criminali... Distratti scientificamente dai macelli Nato in Libia, sorvoliamo su 9 civili di Gaza ammazzati da tank e aerei nazisionisti. Nessun intervento umanitario, neanche in difesa dei 40 ammazzati dai nostri alleati in Bahrein e dei 50 in Yemen. Intanto salviamo vite in Libia bombardando a tappeto con uranio ammazza-generazioni. Centinaia di civili uccisi, ma sono ovviamente solo mattoni della caserma di Gheddafi.

mercoledì 23 marzo 2011

PAZZI SANGUINARI


manifestazione per la Libia libera

Il popolo libico prenderà le armi, le bombe, gli arsenali, Armeremo le donne, venite a combattere contro le nostre donne, banda di codardi. Siamo pronti a una lunga guerra… Sappiamo che i popoli di Africa, Asia, America Latina e anche dell’Europa stanno con noi.
(Muammar Gheddafi)


Gli Stati Uniti vogliono impadronirsi del petrolio libico, non gliene fotte niente dei popoli della regione. Quando gli importò della vita dei popoli che continuano a bombardare in Iraq e Afghanistan? Non hanno ucciso solo con le bombe, ma con la fame e la miseria miliardi di esseri umani. Agli Stati Uniti non importa niente della vita di nessuno su questo pianeta!
(Hugo Chavez)

Non si può dire che la civiltà non avanza. In ogni guerra ti uccidono in modo nuovo.
(Will Rogers)

La mia idea della nostra civiltà è che si tratta di roba scadente, miserabile, piena di crudeltà, vanità, arroganza, avidità e ipocrisia.
(Mark Twain)

La stampa è tanto potente nel suo ruolo di costruttore di immagine da poter far passare un criminale per vittima e la vittima come fosse il criminale. Questa è la stampa, una stampa irresponsabile. Se non stiamo attenti, i giornali vi faranno odiare gli oppressi e amare coloro che opprimono.
(Malcolm X, 1964)



scemo sanguinario

Che qualcuno che può stramaledica i guru, le santone, i cagasotto e gli infami (categoria che i rivoluzionari e i carcerati conoscono bene e gli strateghi della provocazione sanno bene utilizzare) spurgati in vetta alla massa amorfa, ma almeno un tantino raziocinante e dubbiosa, del cosiddetto popolo di sinistra. Hai visto mai che non possa funzionare in un paese da quasi duemila anni soffocato dalle spire della superstizione, degli iettatori e dei malefici. E’ questo il grido della rabbia, della disperazione e della nausea di chi se ne sta aggrappato, con altri quattro gatti (onore alla Rete dei Comunisti e a pochi altri nuclei di chiaroveggenza), a una zattera aggredita e squassata da uno tsunami di vergogne, ipocrisie, falsità, protervia, scatenato da quel mare nel quale, tra vele immacolate, pensavamo di navigare verso terre migliori. Terre finite in condizioni paragonabili alla devastazione che ci illustrano le immagini dal Giappone. Chi hanno di fronte i becchini della verità, i necrofori dei macelli bellici, gli stupratori di popoli da spolpare ed estinguere? Chi dovrebbe opporsi, disarmarli, smascherarli, saldarsi ai pezzi di umanità che lottano? Questa accozzaglia di eurocolonialisti, razzisti, assolutisti del pensiero unico predicato dai pulpiti di una chiesa dogmatica, proterva e corrotta quanto quella dei satrapi post-San Pietro, che a quell’altro pensiero unico sono sconciamente speculari? Falsari di monete riciclate, narcisi onanistici che tra sé e la realtà pongono il diaframma di uno specchio riflettente solo la propria immagine, liftata per la centesima volta, perfettamente integrata nella scenografia allestita dai battitori di quelle monete. Tale è la teppaglia intellettuale saprofita che pretende di guidare alla liberazione gli umiliati e oppressi offrendosi vuoi come palo, vuoi come pornosguattera, alla lapdance del bordello capitalista.



E un pensierino non può non andare alle ginocrate che si pretendono vindici delle donne perché generatrici di vita e dunque intrinsecamente portate al bene e alla pace: davanti a un Obama finto tentennante, pensieroso del suo elettorato antiguerra e del debito da bancarotta inflitto a un popolo mazziato da guerre, padroni e banche, si sono erte, digrignando i missili all’uranio, sei sado-donne allupate di orgasmi di sangue: Hillary Clinton, segretario di Stato, Susan Rice, ambasciatrice all’ONU, Samantha Power e Gayle Smith, direttrici del think-tank di guerra National Security Council, Nancy Pelosi, ex-speaker, Janet Napolitano, responsabile sicurezza interna: guai se il gigolò di Parigi ci dovesse precedere nel furto con scasso della Libia e, magari, dell’Africa! E sono partiti i Tomahawk. A questo sestetto di Gorgoni viperochiomate vanno aggiunte le prefiche italiane, foglie di fico lacrimanti sulla guerra, ma sodali nell’anatema al “pazzo sanguinario”, che di quella guerra è addotto a pretesto. Da Rossanda, equipollente per spocchia e toppate di D’Alema, alla correa delle devastazioni urbanistiche di Rutelli e Veltroni, Patrizia Sentinelli, dall’annebbiata Concita de Gregorio (L’Unità), fazianamente concorde sul “pazzo sanguinario”, a certe sciacquette pseudo-giornalistiche convocate da Gad Lerner, in fregola bellico-sionista quanto l’ospite prediletta, Bonino, perché arricchissero i latrati anti-Gheddafi di una trasmissione deontologicamente imperfettibile per non dare mai voce a un solo rappresentante della parte da smerdare (e pensare che, oltre ai transfughi libici acquisiti ai valori occidentali, onnipresenti all’ “Infedele”, si aggirano per Roma decine di studenti libici che, pur maltrattati dalla polizia, insistono a manifestare in difesa del loro legittimo governo). Tutta gente che s’infioretta con le roselline del no alla guerra, legato indissolubilmente alle spine del no a Gheddafi. Il quale, infatti, si toglierà di mezzo grazie ai pii voti dei barbari ante portas.

embedded in Sion
Un capo dello Stato, venerato dalle “sinistre”, custode dinastico dei piani della P2, ma anche, sulla carta, dell’articolo 11 della Costituzione, il quale, da capo di forze armate che bruciano vive masse di esseri umani, ora anche in Libia, dunque primo responsabile istituzionale dell’ennesimo crimine genocida ordinato dai suoi mandanti ed eserguito dai suoi subordinati, si erge tonitruante, blaterando:“Non siamo entrati in guerra. Si tratta di intervento di pace in soccorso a popolazioni minacciate, autorizzato dal Consiglio di Sicurezza ” (fedele alla linea fin da quando, nel 1941, disse: “L’operazione Barbarossa civilizza i popoli slavi ”. Il nostro “sicuro alleato è lanciato alla conquista della Russia ” e occorre “un corpo di spedizione italiano per affiancare il titanico sforzo bellico tedesco ”, per “far prevalere i valori della Civiltà e dei popoli d’Occidente sulle barbarie dei territori orientali ”).

custode della costituzione...Nato
Apologeta delle glorie italiche, questo autonominato “migliorista” si potrà così pregiare di essere rimasto nel solco tracciato dalla spada che nel 1915 ha mandato 600mila concittadini e chissà quanti vicini a un macello reso inutile dall’accettazione austriaca delle condizioni di Roma, ma estremamente utile ad Agnelli e alla nascente industria degli armamenti. Un solco che si allunga fino al 1940, quando, come oggi al seguito dei predoni della Libia, per raccattare briciole del festino imperiale ci precipitiamo dietro ai nazisti a pugnalare alla schiena la cara sorella Francia. Tradizione eletta, gagliardamente difesa dal presidente. E’ suo, idealmente, il salotto postribolare nel quale, bevendo tè di Ceylon o mangiando bufale degli amici casertani, venerande maestre e intoccabili guru si scambiano eleganti e astuti distinguo tra “pazzi sanguinari da eliminare” e “guerre da evitare”, dove il secondo termine dell’equazione viene svuotato dall'invocazione per una “solidarietà europea alle forze che esprimono i bisogni sociali e di democrazia politica, accogliendo le domande di aiuto con denaro e mezzi e forse anche con qualcosa di simile alle brigate internazionali ” (Rossana Rossanda su “Il Fatto quotidiano”, 21/3/11). Insulto sanguinoso postumo a quelle brigate che, se oggi ci fossero, da tutt'altra parte si schiererebbero, con buona pace della veneranda maestra.

generatrice di vita e di pace
Esprimendosi su uno dei fogli più atlantici e filosionisti, dopo aver preso a scudisciate sul suo “manifesto” gli ultimi resistenti di un’informazione libica corretta, la nonna nobile del “quotidiano comunista” si esibisce in un carpiato con avvitamento da standing ovation imperiale, attribuendo a Muammar Gheddafi la scissione della Cirenaica, la scelta delle armi e della guerra civile. Sarà l’aria di Parigi, da anni aspirata dalle nobili narici: Sarkozy non avrebbe saputo fare meglio. A reggerle lo strascico di lino di Fiandra, occasionalmente inzuppato di sangue, tutto il caravanserraglio della sinistra “pacifista” di rincalzo bellico, Tavola della Pace, Arci, Cgil, Ong dalla vista lunga sugli affari della solidarietà, gli imbecilli del Campo Antimperialista, turibolanti vari di una democrazia che, comunque, è privilegio della “civiltà superiore”, anche se ti stravolge il voto, ti cancella la conoscenza, ti ruba i diritti, spadroneggia sul tuo corpo, ti affama, ti bastona se manifesti e va a sterminare con le bombe chi la soffre e la pensa come te. A chi ancora fa fatica a sciogliersi dalle volute della fuffa vendoliana, regaliamo questo esempio di rigore morale e coerenza logica del privatizzatore della Puglia e santo subito dell’opportunismo nazionale: “Dobbiamo impedire che Gheddafi completi la sua macelleria civile, ma dobbiamo anche vigilare con cautela che l’opzione militare non si trasformi in qualcosa di imprevedibile “ (ma quando mai!, garantisce Hillary Clinton). Poi, guardato nelle bocche aperte dei suoi sbigottiti chierichetti, questo gommoso prelato pugliese ha preso qualche centimetro di distanza dalla carneficina, rimediando però subito, grazie alla provata disinvoltura con cui amministra i voti, con la scelta napoletana anti-De Magistris e pro-sindaco-Morcone, prefetto di ferro, militarizzatore di incazzatissimi vigili urbani. Predilezione per il poliziotto coerente con la fedeltà al partito “d’opposizione” appena corso in sostegno a una maggioranza bellica minata dagli scaltri mal di pancia della Lega (gas, petrolio e infrastrutture libiche a puttane, orde di infedeli in arrivo).





Tutta questa teppa geneticamente modificata e abbeveratasi al glifosato Cia, regala ai cleptocrati maltusiani della reggenza e del vassallaggio imperiali l’avallo della satanizzazione del nemico da abbattere e del paese da sbranare. Le bande armate e assassine di Bengasi, istruite e foraggiate dal compare egiziano e dai servizi occidentali (lo ha dichiarato ieri lo stesso “comandante” dei rivoltosi), con al miserando seguito turbe di invasati religiosi e di poveri ingenui minchionati, imbandierate dei vessilli di chi sta per fotterli, sono la “società civile”, “il popolo libico”, “la folla inerme macellata dal pazzo sanguinario”. Muammar Gheddafi, l’uomo che riscattò un paese decimato dai precursori fascisti dei terminator democratici, gli diede dignità, benessere, diritti sociali e di partecipazione politica che neanche ci sogniamo, che si batté per l’unità araba e poi per quella africana contro il revanscismo colonialista, che seppe trattare in piena sovranità con un mondo insofferente alla parità nei rapporti, escludendo dagli affari gli avvoltoi Usa e francesi, è stato deformato in carceriere e stragista del suo popolo, in aguzzino di migranti, in pagliaccio con la tenda e la guardia del corpo femminile (pensate da che pulpito!). E quando la stragrande maggioranza di quel popolo aveva sbaragliato i consapevoli o inconsapevoli mercenari di coloro che nel continente vogliono ripetere all’ennesima potenza le razzie e i genocidi d’antan, francesi, britannici, italiani, Usa (che ora si azzannano sull’osso tra di loro), quando folle di famiglie sono salite sui tetti di Tripoli per opporre la loro dignità ai missili degli “a volte ritornano”, Gheddafi è stato unanimemente proclamato, appunto, pazzo sanguinario che uccide la sua gente, che la utilizza come scudi umani a difesa della sua satrapia.



Non c’è un governante della “coalizione dei volenterosi”, della “comunità internazionale”, come si sono manifestate in questi decenni, che sia migliore dei Gheddafi, Milosevic, Saddam, Mullah Omar. Non c’è una sedicente “democrazia” occidentale che possa guardare dall’alto in basso i regimi demonizzati. Non c’è nessuno che abbia ammazzato e contaminato in giro per il mondo quanto la presunta civiltà occidentale. Nessuno degli Stati aggrediti e disfatti aveva un assetto sociale terrificante come il nostro campione di democrazia e diritti umani: il 5% più ricco degli Usa controlla il 72% della ricchezza del paese. L’80% in basso ne controlla il 7%. I 400 statunitensi più ricchi hanno insieme più ricchezza di tutti gli altri 150 milioni di persone. La “crisi” da loro fabbricata ha fruttato alle imprese Usa i più alti utili di tutti i tempi. L’80% dei guadagni realizzati negli ultimi trent’anni sono andati all’1% più ricco. Confrontate questo modello, per imporre il quale si distruggono popoli e paesi, con le condizioni di vita dei libici sotto Gheddafi, quelli del più alto Indice di Sviluppo Umano sancito dall’ONU. I pazzi sanguinari stanno tutti quanti dalla nostra parte, sghignazzano sorseggiando il tè da madame Rossanda, ne pettinano lo scudiscio praticato sulla testa dei colleghi reprobi che alla questione libica si sono avvicinati con la consapevolezza che lì si stava per abbattere la mannaia dei boia dell’Iraq, dell’Afghanistan, della Jugoslavia, della Somalia, dell’Honduras, del Messico, del Ruanda, dei settanta assalti o colpi di Stato assestati dall’Occidente ai popoli dalla fine della seconda guerra mondiale. Ogni volta compiendo il crimine supremo contro l’umanità come sancito a Norimberga.



Li potete vedere sgranati lungo questo scritto, gli autentici pazzi sanguinari. Quelli provati e documentati. Quelli che, se non li chiudiamo in un manicomio criminale, ci faranno fuori fino all'ultimo arabo, ultimo africano, ultimo latinoamericano, ultimo asiatico, ultimo proletario, ultimo umano. E andassero a svergognarsi, i frodatori e idioti che comprendono nello stesso schieramento i rivoluzionari arabi all’attacco della globalizzazione imperiale e dei suoi despoti “democratici” con i vandeani al soldo straniero in Libia, andassero a istruirsi a Piazza Tahrir, da dove la virago ruffiana Hillary Clinton è stata cacciata con ignominia, dove al maggiordomo Ban Ki-moon a pedate è stato detto cosa pensa dell’ONU e delle sue risoluzioni la primavera araba vera. Andassero a Tunisi e al Cairo a sentirsi chiedere quando la “comunità internazionale”, già sodale dei Mubaraq e dei Ben Ali, vorrà effettuare il suo intervento umanitario contro chi sta massacrando centinaia di veri inermi e veri giusti a Bahrein, in Yemen, in Arabia Saudita, nella Repubblica Araba Saharaui. Contro i mostri massimi, quelli di Piombo Fuso e di un olocausto iniziato nel 1948 e non ancora finito.Andassero e poi confrontassero quei volti e quei vessilli con la bandiere francesi, britanniche e statunitensi issate dai “rivoluzionari democratici” di Bengasi, ansiosi di Hillary e Sarkozy, magari mentre, urlando e sparacchiando per aria, schiacciano sotto i desert boots Timberland, come si è visto in distratte riprese tv, le facce dei patrioti caduti a Bengasi in difesa dall’unità e della sovranità della Libia.



Sono cultori della simbologia delle date, gli occultisti della ”guerra al terrore”. 11 settembre 1973, Pinochet, 11 settembre 2001, Torri Gemelle e Pentagono, 11 marzo 2004, attentato al treno a Madrid, 11/11 2005, salta l’albergo di Amman con dentro un incontro cino-palestinese, 26/11 2008, 150 morti a Mumbai… E’ del 19 marzo la carneficina “volenterosa” di Tripoli. Era del 24 marzo la pioggia di bombe sulla Belgrado innocente del “dittatore sanguinario” Milosevic e io osservavo con orrore i bimbi nelle incubatrici senza più corrente, i maciullati nell’ambasciata cinese e nell’hotel Intercontinental, proprio accanto all’albergo dove ero arrivato sottraendomi a un TG3 che rinfocolava le missioni da Aviano. Finirono sulla Serbia e sul Kosovo, “da salvare” come oggi la Libia, 23mila tra bombe e missili all'uranio. Migliaia di morti, neanche un soldato Usa.

Era il 19 marzo 2003, quando, nel paese del “mostro sanguinario” Saddam, il primo missile “volenteroso” fece sbattere il mio autista contro un pilone sull’autostrada Amman-Baghdad. E’ di cosa possa essere l’inizio un primo missile, in gran parte l’ho vissuto in diretta, per cui un minimo di credito mi può essere dato se azzardo una previsione su cosa ne seguirà per la Libia (e poi per l’Iran, per l’attacco al quale vettori nucleari sono attualmente al collaudo sulla Libia con i missili all’uranio ammazza-generazioni). Tre milioni di morti (accertati) e quattro milioni di sradicati e profughi, 500mila vedove, 2 milioni di orfani, la culla della civiltà incenerita e depredata, una nazione frantumata in feudi rivali, industria, agricoltura, infrastrutture del più avanzato paese della regione rase al suolo, fame, sete, addiaccio, per un “volgo disperso che nome non ha” (ma, va detto contro tutti gli occultamenti, che ogni giorno il volgo quel nome continua da 8 anni a stamparlo sui corpi e beni di occupanti e loro fantocci). I miei amici e compagni, decoro di una frequentazione di trent’anni, dissolti nel turbine della mattanza bellica, negli eccidi degli squadroni della morte israeliani, nelle decimazione di sunniti e resistenti di ogni confessione ed etnia, ma tutti iracheni. I loro figli e figli dei figli, per secoli e millenni, devastati e deformati dalle armi chimiche e radioattive che gli invasori, loro sì, avevano e usavano (in Giappone gli stessi necrofagi che radioattivizzano bimbetti libici sono partiti alla grande, con 21milla morti e passa tra tsunami e bombe a tempo delle centrali atomiche, ottimo presagio per uno sfoltimento di popolazioni che s i prolunga in tempi che sono evi e per un ulteriore trasferimento di ricchezze alla cupola. Intanto l’apocalisse libica è servita anche a distogliere da quella giapponese e a mutare il nostro terrore in compiacimento “umanitario”).



Per essere degni dell’attenzione della “comunità internazionale” occorrono alcune condizioni, alle quali quanto resta di nazioni libere e autodeterminate farebbe bene a rinunciare. Avere idrocarburi, le sue reti di distribuzione e una posizione geostrategica interessante; voler mantenere il controllo sulle proprie risorse naturali e umane; avere un assetto sociopolitico partecipativo, distribuire la ricchezza e guardarsi dai modelli neoliberisti; azzardarsi a promuovere l’integrazione del Sud del mondo in funzione antimperialista; una composizione di etnie e confessioni unitesi in nazione, ma suscettibili di essere divise e dominate; la nazionalizzazione delle proprie ricchezze strategiche; essere oggetto della demonizzazione dei media internazionali e deformati dalla disinformazione; ove reso possibile dall’umanitarismo democratico delle sinistre, smarrire la solidarietà internazionalista tra sfruttati e oppressi. Visto il quadro complessivo, per la Libia la vedo proprio male. Anche perché ho visto altre cose: vicini sahariani ricchi di uranio nei quali spuntano inusitati terrorismi Al Qaida da reprimere (altra pistola fumante per un’invasione), a est un Egitto normalizzato nell’alveo USraeliano da una giunta militare, diretta emanazione del Pentagono, a ovest una Tunisia che ancora resiste a un recupero analogo, tutt’intorno una Lega Araba che appoggia la massima offesa alla presunta legalità ONU e del diritto internazionale operata dalla stessa ONU, salvo dolersi, ma con sussiego, di una salvezza dei civili che diventa strage di civili.

pazzo sanguinario inglese
Ma, soprattutto, ho visto un Sudan già a fianco dell’Iraq nel 1991 e nel 2003 e perciò ripetutamente bombardato dai pirati di Washington, poi scopertosi vasto giacimento di petrolio e ospite del più lungo corso del Nilo. Le sopraelencate condizioni il Sudan le ha tutte. E dunque il divide et impera, alternativa alla destabilizzazione tramite quinte colonne chiamate “rivoluzioni colorate”, s’è mosso appena dopo l’ìndipendenza del 1956. Le briglie perdute dai colonialisti britannici passarono nelle mani di israeliani, statunitensi e dei penetratori comboniani del Vaticano, che vi guidarono convogli di armi e dollari verso il Sud. Il Sud era ancora analfabeta,, ma nero, cristiano-animista e… ricco di petrolio, miniere, foreste, biodiversità, che uno Stato improvvido e ingenuo aveva, nazionalizzandolo, reso patrimonio di tutti. Ci misero 50 anni, ma ce l’hanno fatta: il Sud Sudan è indipendente. Allora si sono mossi verso ovest, altro deposito di risorse appetibili e tormentato da una contesa per l’acqua tra musulmani nomadi e musulmani agricoltori stanziali. Con il fuoristrada di un insolitamente bravissimo ambasciatore d’Italia andammo a distribuire misere quantità di acqua agli insabbiati di una migrazione di disperati, mentre il governo cercava di rimediare alla catastrofe provocata dai crimini climatici dell’Occidente componendo i contrastanti bisogni con i mezzi di un paese sotto embargo e ostracizzato dalla "comunità internazionale".

Sospinti dal benefico soffio della vulgata, entusiasticamente condivisa dalle solite sinistre di pace e democrazia, secondo cui il regime sudanese macellava a centinaia di migliaia insorti inermi, arrivarono le armi, gli istigatori e istruttori, e, naturalmente, tutta la brigata spionistica delle Ong. E Omar el Bashir, presidente sudanese legittimamente eletto in elezioni pluripartitiche, divenne “tiranno sanguinario” e fu accusato di genocidio dal Tribunale Penale Internazionale. Così Gheddafi, che non è neppure presidente (lo è il Congresso del Popolo), ma solo “pazzo sanguinario”: incriminato da quel bel tribunale super partes (pare inventato dal guitto mannaro) e assicurato da Hillary Clinton e giustizieri vari all’esecuzione prima che il Tribunale debba scomodarsi a fingere una qualche indagine sul posto. E un altro tribunale di questa impeccabile giurisdizione è quello sul Libano, che, a dispetto delle responsabilità logiche e acclarate del Mossad, briga per rovesciare su Hassan Nasrallah, leader della Resistenza libanese, la paternità dell’assassinio del premier Rafiq Hariri, coinvolgendovi il primo governo non prono a USraele creato dalla buona volontà dei libanesi. Gli israeliani già si leccano le bombe a grappolo e pregustano la rivincita. Dopodichè toccherà alla disobbediente Siria, dove qualcosa di molto simile alla farsa pseudo-rivoluzionaria libica, o alle sceneggiate verdi di Tehran, sta già serpeggiando. Notare: quel Tribunale Penale, paradossalmente non riconosciuto dagli Usa che pure lo manovrano, si è finora occupato solo di due governanti del Sud del mondo, sgraditi alla “comunità internazionale”. Chissà come, gli sono sfuggiti carnefici patentati e criminali di guerra come Mubaraq, i golpisti honduregni, i satrapi sauditi, i massacratori di Baghdad e Afghanistan, gli assassini di Serbia, Somalia e Colombia, Bush, Clinton, Blair, Obama fino, giù giù, a D’Alema. Gente che magari conta sul Nobel per la pace.

Il popolo libico si difende alla grande, con il coraggio che dimostrò nel resistere per decenni ai precursori italiani degli assalitori di oggi. Ma ha contro il mondo e in culo le sinistre democratiche. Salvo un miracolo per cui il saggio Putin neutralizza il gorbacioviano Medvedev e con Cina, America Latina, India, Germania, riesce a imporre un cessate il fuoco e la mediazione, fin dal primo giorno proposta da Venezuela e paesi dell’Alba, tra i protagonisti, la Libia come l’abbiamo conosciuta e stimata noi non esisterà più. Come sotto Giolitti e il fascismo, le dune e le tende beduine genereranno resistenti, ma saranno impregnate di molto sangue prima dell’avvento dell’inevitabile riscatto. Il paese verrà disintegrato e la nazione distrutta. Un altro “ritorno all’età della pietra”, come quello promesso agli iracheni dal vero pazzo, Cheney. La sua struttura sociale verrà smantellata per far posto a mercati, speculatori, ladri e missionari: scuole, acqua, case, infrastrutture industriali che non servono alla rapina delle risorse, ospedali, case del popolo, tutti servizi e diritti già garantiti, ma incompatibili con la globalizzazione wallstreetiana. Gli effetti collaterali su donne e bambini sono già iniziati, i masnadieri alla Karzai e Al Maliki che i colonialisti imporranno al vertice del paese, ne prolungheranno l’effetto nel tempo. Che non è solo l’estinzione progressiva da uranio, ma il saccheggio del patrimonio storico, Cirene, Leptis Magna, la fine delle scuole gratuite, anche per sordomuti e ciechi (arriveranno i comboniani?). La “comunità internazionale” stanzierà fondi sottratti ai beni sequestrati allo Stato libico per una ricostruzione affidata a gente come Halliburton, Impregilo (se una briciola resterà all’Italia), Raitheon, Carlyle, Veolia, che intascheranno profitti e lasceranno agli stracci abitazioni, acquedotti, rifornimenti energetici, mobilità, istruzione, alimentazione. L’avanzatissima industria petrolifera verrà sottratta al suo titolare e produrrà nuovi utili ai predatori Usa e francesi, fin qui tenuti alla larga. Lo strato in alto della “comunità internazionale” serrerà il pugno sul rubinetto degli idrocarburi e “Greenstream”, il gasdotto che ci avrebbe riscaldato e illuminato per decenni, detestato dagli Usa, verrà sostituito da tubature che vanno in direzione diversa.
La Libia giacerà in rovina.

Cgil -Camusso elmetto in testa, bava alla bocca

Ci saranno le Sgrena, le Rossanda, le Camusso, i Carotenuto, i Bersani, i Fazio, i Saviano, i Vendola che, uniti ai Casini, ai La Russa, ai Fini, ai Berlusconi con rispettive mignotte, ai Ratzinger con relativi prelati dell’assalto umanitario, ai vari pifferai diritto umanisti delle Ong, all’intera rasserenata schiera degli utili idioti e degli amici del giaguaro, che inneggeranno alla rimozione del “pazzo sanguinario”. Insieme al noto cronista Stefano Liberti (“il manifesto”), destabilizzatore africano oggi al lavoro a Bengasi tra i suoi “giovani rivoluzionari”, più efficace della migliore testa di cuoio britannica, plauderanno ai vincitori. Fino al momento in cui si succhieranno il pollice e guarderanno dall’altra parte quando i vincitori semineranno di detriti libici il sacro suolo europeo, bruceranno altri pezzi di continente e segheranno altri rami sui quali stanno seduti gli azionisti di minoranza europei. Con gli equi rapporti economici tra paesi africani e Russia, Cina, India, Brasile, il continente stava proseguendo la sua uscita dal saccheggio coloniale e dal vampirismo neocolonialista. L’Unione Africana voluta da Gheddafi e promossa con i proventi del petrolio, proprio come fa Chavez nei confronti dell’arco di paesi antimperialisti latinoamericani, era il primo spiraglio di luce visto da quei popoli dopo i secoli dell’oscurità eurocolonialista e il breve risveglio anticolonialista con tanto di Che Guevara. Era una forza in grado, se non di neutralizzare, di condizionare gli eccessi filo-imperialisti dei despoti di Uganda, Ruanda, Kenya, Etiopia, Marocco, Ciad (con la Costa d’Avorio il colpaccio non gli è ancora riuscito: Gbagbo, anche lui "dittatore sanguinario" poichè legittimo presidente vincitore sull’emissario FMI dei monopoli capitalisti, Uttara, sta ancora lì). L’Unione Africana passerà sotto il cappello dell’Africom, comando Usa per la conquista del continente. In conseguenza si abbatteranno sull’Europa milioni di disperati, di vittime di un destino iniziato con la caduta di Muammar Gheddafi. E se l’Europa piangerà, gli Usa, dal fondo della loro bancarotta fatta pagare ad altri, potranno ridere. E pensare che, in assenza della complicità con gli aggressori e con le sue falsità, e in presenza delle contraddizioni che dilaniano la banda dei rapinatori, ascoltando con coerenza democratica il 70% degli italiani contrari alla guerra, chissà quanto avrebbe potuto una mobilitazione di massa voluta da sinistri e centrosinistri! Che qualcuno li stramaledica!



Ogni corpo spogliato e devastato, ogni bambino mutilato o fatto a pezzi, ogni vedova alla mercé, ogni orfano, ogni anziano abbandonato, ogni giovane derubato di futuro, ogni ragazza finita nel mercimonio del consumo democratico, ogni guerrigliero resistente torturato o ammazzato, avranno scritto nel loro sangue la hybris della nostra civiltà, i nomi dei paesi che li hanno annichiliti. E i nomi di chi, cianciando di pace, gli ha negato quanto sacrosantamente dovuto: la difesa della verità. Verità che avrebbe significato sopravvivenza e giustizia. Possano le armate di spettri strappati a milioni di corpi in Vietnam, Iraq, Afghanistan, Jugoslavia, Libia, mondo, riunirsi a incontenibile e imbattibile nemesi degli uccisori di umanità. E delle loro cortigiane.

A volte ritornano. Anzi sempre.

vertice di pazzi sanguinari

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Caro Fulvio,

sono disgustato dall'atteggiamento della cosiddetta "sinistra radicale" sulla Libia. L'arrogante Sullo, l'arrogante Rossanda, degni compari di Kouchner e Cohn-Bendit. Quei confusionari del Campo Antimperialista che danno un colpo al cerchio e uno alla botte. Che orrore.


Dovremo quindi vedere l'ennesimo scempio di una nazione sovrana che ha avuto l'ardire di non mettersi a pecora davanti agli imperialisti.

Con una sinistra radicale così non c'è nemmeno bisogno della verminosa destra che abbiamo al governo.

Sono sulla stessa lunghezza d'onda. A dire il vero sono addirittura più conseguentemente filoimperialisti a sinistra che non a destra. La sinistra ce l'ha sempre avuta a morte con Gheddafi (La Sapienza docet).

A destra vediamo all'opera da par suo questo governo di vili e voltagabbana che dopo aver ratificato il trattato di amicizia con la Libia se ne lavano il culo su semplice richiesta di Obama.

Degni di Casa Savoia, di cui si diceva che non aveva mai finito una guerra dalla stessa parte dove l'aveva iniziata, a meno che non avesse cambiato fronte un numero pari di volte.

Sono affranto e disgustato.

Adesso vado a Piazza Farnese, perché hanno iniziato i bombardamenti.


Piotr.

mercoledì 16 marzo 2011

VIVA L'ITALIA, L'ITALIA DEL '48-'49, DEL 20 SETTEMBRE, DEL 25 APRILE, DEL 12 DICEMBRE, DEI FRATELLI CERVI, DI VALLE GIULIA, DI FRANCESCO LORUSSO, FRANCO SERANTINI, SAVERIO SALTARELLI, GIORGIANA MASI, MARIO LUPO... (e c'è anche Bakunin)



Tirannide indistintamente appellare si deve ogni qualunque governo,
in cui chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle,
distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto eluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono o tristo, uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammetta, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.
E siccome, là dove ci è patria e libertà, la virtù in sommo grado sta nel difenderla e morire per essa, così nella immobilmente radicata tirannide non vi può essere maggior gloria, che di generosamente morire per non viver servo.
(Vittorio Alfieri)

Gli italiani, gli intellettuali, gli artisti, sono poco coraggiosi? Sì, lo sono sempre stati. Sono stati vent’anni sotto un governo fascista, ridicolo, con un pagliaccio che stava lassù... Ci ha mandato l’Impero, le falangi romane lungo Via dell’Impero; ha fatto le guerre coloniali, ci ha mandato in guerra... il grande imprenditore ha detto: «Lasciatemi governare, votatemi, perché io mi sono fatto da solo, sono un lavoratore, sono diventato miliardario, vi farò diventare tutti milionari». Ormai nessuno si dimette, tutti pronti a chinare il capo pur di mantenere il posto, di guadagnare. Pronti a sopraffarci, a intrallazzare. Non c’è nessuna dignità. E’ la generazione che è corrotta, malata, che va spazzata via. La speranza è una trappola inventata dai padroni, quelli che ti dicono "State buoni, zitti, pregate, che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà... sì, siete dei precari, ma fra 2-3 mesi vi assumiamo ancora, vi daremo un posto". Come finisce questo film? Non lo so, spero che finisca con quello che in Italia non c’è mai stato: una bella botta, una bella rivoluzione. C’è stata in Inghilterra, in Francia, in Russia, in Germania, dappertutto meno che in Italia. Ci vuole qualcosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto... che è schiavo di tutti. Se vuole riscattarsi, il riscatto non è una cosa semplice. E’ doloroso, esige dei sacrifici. Se no, vada alla malora – che è dove sta andando, ormai da tre generazioni.
(Mario Monicelli)

In questo post si varieggia tra la Ballata della Fiat, canzone del '69 che integra "Bella Ciao" ed è oggi incredibilmente attuale, l'Inno di Garibaldi e perfino Bakunin. Non è difficile trovare cosa hanno in comune. La volontà di una patria, sì, ma quella degli uguali, liberi e giusti. Li dedico a un Risorgimento che è stato la nostra Baia dei Porci, la nostra Rivoluzione Bolivariana, la nostra resistenza palestinese, la nostra primavera araba, la nostra Comune di Parigi, il nostro risveglio da un sonno di secoli, risveglio grazie a coloro che avevano continuato a vegliare. E peste colga chi lo denigra



17 marzo, 150 anni dall'Unità d'Italia.

Festeggiamo l’unità d’Italia? Senz’altro, anche se meglio sarebbe stato farlo per un'altra ricorrenza piuttosto che quella della proclamazione del cialtrone Vittorio Emanuele II a re d’Italia, aspetto massimamente negativo di quell’unità e di tutto il Risorgimento, oltre tutto quando ancora mancavano alla famiglia nazionale sia Venezia che Roma. Un giorno migliore sarebbe stato il 20 settembre, quando l’unità di quanto prima era spezzettato tra insignificanti e rissosi possedimenti totalitari di conti, principi e sovrani di taglio vandeani, trovò compimento con la conquista di Roma, l’abbattimento del papa-re, la dissoluzione dello Stato Vaticano, la fine, col potere temporale, della dittatura cattolica, l’eliminazione del carcinoma che aveva metastatizzato gli italiani per oltre mille anni.

E’ indubbiamente un passo avanti che milioni di italiani sventolino oggi la bandiera che la rivoluzione repubblicana e anticlericale regalò alla Repubblica Cisalpina liberata. E non c’importa una cippa che nostalgici, reazionari, ignoranti agitino del Risorgimento il vittimismo degli spodestati, le sofferenze inflitte dai piemontesi savoiardi e cavouriani al Sud. Le rivoluzioni, ammonisce Mao, non sono un pranzo di gala. E poco ci cala se in quella ritrovata comunità nazionale si insinuino i rottami di regime, vendipatria e ascari del dominatore straniero dal 1922 a oggi. Parassiti di una dignità e di una consapevolezza popolare dentro la quale cercano di occultare la propria resa ai predatori esterni, insieme agli ottusi e spesso non innocenti sicofanti della frammentazione e dell’egocentrismo municipale, nel nome della presunta fine dello Stato nazione. Sicofanti che oggettivamente sono quinte colonne disgregatrici al servizio degli Stati nazione più grossi e più feroci. Vendipatria che, da Togliatti e De Gasperi ai maramaldi e coglionazzi di oggi, hanno offerto a burocrati mafiosi non eletti la sovranità legislativa e monetaria, alla banda di briganti USA-Israele-UE la sovranità politica e militare, ai terminali delle elites mondiali FMI, BM, WTO, BCE, la sovranità economica e finanziaria, con il denaro che dovrebbe essere a dispozione della comunità attraverso lo Stato messo alle dipendenze della buona volontà (rapinatrice) dei capitali privati internazionali.



E, comunque, cosa c’entrano coloro che, da padre Dante ad Alfieri, da Cola di Rienzo a Mameli, Saffi, Armellini, Dandolo, Bandiera, Mazzini, Garibaldi, Cattaneo, a tutti i giovani repubblicani e progressisti che diedero la vita per il migliore ideale possibile in quei tempi, con quanti, dai Savoia al Mussolini della subalternità concordataria e al padrone nazista, l’unità l’hanno pervertita in dittatura e complicità colonialista? Cancellando l’era di libertà di pensiero, di coscienza e di fede aperta dagli avi audacemente precursori. Li avessimo oggi, al tempo di rigurgiti feudali e bigotti come Bersani, Berlusconi, Vendola, Ratzinger. Come dimenticare che l’unità d’Italia è stata fatta contro il sanfedista Pio IX che, lo sottolinea Vera Pegna sul “manifesto”, non riconobbe lo Stato Italiano, ne scomunicò re, parlamento e governo e volle risolvere in un bagno di sangue la Questione Romana. Con alle spalle le potenze del Congresso di Vienna, come noi avremmo poi avuto quelle di Yalta e dell’esproprio atlantico.

Rispunta tra chi inalbera la bandiera contro coloro che, fuori e dentro il paese, del popolo fanno preda e vittima degli interessi globalizzati di elites cleptocrate e necrocrate, il filo rosso che unisce i rivoluzionari del ’48 ai mille di Garibaldi, ai partigiani e alla generazione del ’68-’77. Certo, avevano limiti ideologici, dettati dal tempo e dai rapporti geopolitici di forza, quei combattenti delle Repubbliche di Roma, Venezia, Napoli, delle insurrezioni di Genova e Milano, i garibaldini cacciatori delle Alpi nel Trentino, il Garibaldi fondatore della Prima Internazionale Operaia con Bakunin e Marx e difensore della Comune di Parigi, anti-monarchico e antipapalino sull’Aspromonte, il Mazzini dell’uguaglianza sociale nella Repubblica, della internazionalissima Giovine Europa, i bersaglieri che abbatterono a Porta Pia il più criminale potere sui corpi e sulle menti dai tempi di Roma.



E' il filo rosso dal quale si dovrebbe snodare il nostro avvenire di esseri umani definiti da una storia, una cultura, una vicenda politica, dolori e umiliazioni, conquiste e cadute. Di esseri umani che hanno per patria la solidarietà e, nella loro pluralità, il proprio originale contributo unitario alla felicità e alla giustizia, Leonardo, Dante, Garibaldi, Francesco Lorusso, i fratelli Cervi. Chi avrebbe saputo far meglio dei nostri risorgimentali nelle circostanze date? La loro rottura con l’esistente oppresso e schiavistico è forse qualcosa di più radicale di quanto oggi i migliori di noi riescano a immaginare e ambire. Paragonare, a detrimento della seconda, la Rivoluzione d’Ottobre con la rivoluzione repubblicana e unitaria è come denigrare Spartaco a fronte di Che Guevara. E il Che Guevara del volgo disperso che nome non ha, proprio come quello di Cuba, è stato al di là di tutti i distinguo Giuseppe Garibaldi. Non ligio a nessuna Chiesa, accorso a sostegno di istanze di liberazione e di giustizia per gli uomini ovunque nel mondo, patriota con l’intelligenza e la grandezza della visione internazionalista.



Facciamo tanta festa, ci commoviamo, per le insurrezioni a costo della vita delle masse arabe e, pochi di noi, anche per un popolo libico che, sotto la guida di chi lo ha liberato e ha contribuito alla liberazione dell'Africa, si batte per la seconda liberazione da sciacalli interni e avvoltoi lontani. Pretendono, questi popoli, di uscire da un concerto globale che campa sulla rapina, la guerra, il genocidio, la dittatura in tutte le sue forme evidenti o mimetizzate. Come i nostri partigiani, come noi del ’68, come Garibaldi e Goffredo Mameli riprendendo un anelito vecchio di un millennio e che fu proprio del popolo esattamente come lo è oggi in Egitto, Tunisia, Bahrein, Giordania, Yemen, Marocco, la parte migliore dell’America Latina.

Sorridiamo del clamore enfatico dei versi del nostro inno, come se un’espressione dello spirito del tempo dovesse aggiornarsi di epoca in epoca, a seconda dei gusti letterari e dell’aria che tira. Alla stessa maniera, si potrebbe sghignazzare del "garzoncello scherzoso di codesta età fiorita" e aggiornare Leopardi in chiave rap. Sprezziamo un vessillo nato dalla rottura con l’esistente, anziché rivendicarlo a un’Italia liberata delle sue scorie borghesi, clericali, capitaliste, vassalle, concedendolo in appalto a chi vi avvolge il suo obolo tossico versato alla servitù a stelle e striscie e al despotismo del grumo parassita europeo, Yalta e Washington, Sigonella e Wall Street, Maastricht e Lisbona.

Sarebbe interessante vedere che faccia farebbero i martiri della Repubblica romana, napoletana, veneziana, dei vespri siciliani e dei Mille, delle Cinque Giornate di Milano, non solo a vedere questa fetecchia di Italia attuale, ma come coloro sulle cui spalle graverebbe il compito di fare un'Italia dell'unità, libertà, sovranità e dignità, onorano chi questo discorso ha iniziato quasi due secoli fa e per esso ha dato la gioventù e la vita. Scrive Gianpasquale Santomassimo: "Vorrei che qualcuno ricordasse che Goffredo Mameli era morto per una repubblica democratica, quella romana, dalla costituzione modernissima e in tema di cittadinanza molto più moderna delle legislazioni successive.

E non ci vengano a scassare i marroni quelli che saltano la distinzione elementare tra principio di nazionalità e "nazionalismo", tra clima culturale del primo Ottocento e quello del secondo. Nacquero con Garibaldi e Mazzini la Prima Internazionale, la Giovine Italia e la Giovine Europa, ci si batteva nell'ottica della libertà di molte nazioni, in fratellanza e non in competizione e prevaricazione. Quella tale di Lecce che si scandalizzò del titolo "Patria Palestina" di un mio documentario, definendolo maschilista e violento, abbia l'umiltà e la curiosità di aggirarsi tra palestinesi senza patria, cubani patrioti in cammino verso la società senza classi (almeno fino a poco fa), comunisti Vietcong, iracheni uniti per millenni e disintegrati nel nome di un Ordine Mondiale, popoli del Sud del mondo che unendo la volontà di essere nazione con quella di una società e di un mondo di uguali e liberi, hanno potuto sottrarsi ad anacronistici domini imperiali. Se è vero che ci sono forze numericamente infime e moralmente senza scrupoli che preparano una tirannide mondiale, di cui vediamo i prodromi nei superconglomerati militari ed economici, negli organismi antidemocratici sovranazionali, come non rendersi conto che la saldezza delle unità politiche, sociali, culturali, formatesi nel travaglio e nella volontà delle genti di superare le frammentazioni e gli isolazionismi di clan e tribù, di contadi e campanili, siano il primo ostacolo a tale progetto?

Non ci ha insegnato nulla, a due passi da noi, la Jugoslavia, protagonista del progresso e della giustizia globale, ridotta in affastellato di ringhiosi paesuccoli criminogeni, alla mercè di mute di predatori, di nessunissimo rilievo nella vicenda del riscatto umano? Idioti di sinistra ripetevano l'anatema di "ultranazionalisti" contro chi difendeva una patria nella quale gli egoismi particolaristici, potenziati dai divide et impera imperiali, erano stati sconfitti da quanto univa e rendeva forti, rispettati e ascoltati.

Forse quella sinistra che ha gettato alle ortiche la bandiera rossa, facendone il tappeto rosso per una destra vendipatria, questa sì antinazionale e a condizionamento leghista, per sua natura serva e tramite delle forze che di noi fanno uso e scempio, nel garrire di questa bandiera tricolore, dalla dominante rossa, potrà trovare la forza per un'unità che sia di avanzata e non di ripiegamento e connivenza. Fuori la Nato dall'Italia, fuori l'Italia dalla Nato. Senza di che, niente rivoluzione




Inno di Garibaldi
Si scopron le tombe, si levano i morti
i martiri nostri son tutti risorti!
Le spade nel pugno, gli allori alle chiome,
la fiamma ed il nome d'Italia nel cor:
corriamo, corriamo! Sù, giovani schiere,
sù al vento per tutto le nostre bandiere
Sù tutti col ferro, sù tutti col foco,
sù tutti col nome d'Italia nel cor.

Refrain:
Va' fuori d'Italia,
va' fuori ch'è l'ora!
Va' fuori d'Italia,
va' fuori o stranier!

La terra dei fiori, dei suoni e dei carmi
ritorni qual'era la terra dell'armi!
Di cento catene le avvinser la mano,
ma ancor di Legnano sa i ferri brandir.
Bastone tedesco l'Italia non doma,
non crescono al giogo le stirpi di Roma:
più Italia non vuole stranieri e tiranni,
già troppi son gli anni che dura il servir.

Refrain.
Parole di e su Ippolito Nievo, garibaldino
A riconfortare lui e gli altri, del resto, bastava la sola presenza di Garibaldi, per il quale egli concepì una dedizione assoluta: “Ei nacque sorridendo / né sa mutar di stile. / Solo al nemico e al vile / E' l'occhio suo tremendo. // Stanchi, disordinati / Lo attorniano i soldati; / D'un motto ei li ristora, / Divide i molti guai, / Gli scarsi lor riposi, / né si fu accorto mai / Che fossero cenciosi. // Conscio forse il cavallo / Di chi gli siede in groppa, / Per ogni via galoppa / né mette piede in fallo. / Talor bianco di spume / S'arresta ad ambi i lati / Fa plauso al loro nume / La folla dei soldati. // Chi no'l vide talfiata / Sulle inclinate teste / Passar con un'occhiata / Che infinita direste?” .

Anche il morale del poeta si ridestava, nell'azione: “Quando il cannone da vicin rimbomba, / Penso alla patria, e le pistole appronto. / Quando all'assalto odo sonar la tromba, / Penso alla patria, ed ogni rischio affronto. / Quando nel fumo fischiano le palle, / Penso alla patria, e i passi e i colpi affretto. / Quando i nemici volgono le spalle, / Penso alla patria, e dietro lor mi getto.” .

I Cacciatori entravano così vittoriosi in Bergamo (8 giugno 1859), e in Brescia (13 giugno 1859), fra l'esultanza di quelle popolazioni; quindi l'avanzata garibaldina riprendeva, preceduta dalle guide a cavallo: “Cavalieri improvvisati / Senza sacco e senza affanni, / A combatter siamo andati / Le falangi dei tiranni, / Noi di guerra fummo araldi, / Fummo guide e scorridor: / Viva, Viva Garibaldi, / Presto in sella, o cacciator!... Quando il bianco, il rosso, il verde / A Verona sien sbocciati, / Mostrerem come si sperde / La semenza dei Croati. / Non più rocche, non più spaldi / I Tedeschi avranno allor. / Viva, viva Garibaldi, / A carriera, o cacciator.” .

La delusione provata dai volontari è dal poeta confermata: “La primizia dei Veneti allori / Chi ci vieta, chi indietro ci caccia, / Noi che primi dei Barbari in faccia / Femmo l'itala spada brillar? // Tra gli oppressi e i fugati oppressori / Qual fantasma di tregua compar? // Fu destino. Un comando dall'alto, / Un arcano comando è venuto, / Che seguendo il cammin già battuto / Colle nevi ci manda a pugnar.” . Così, in Valtellina, si addestravano le giovani reclute: “Ieri avanzavasi / In Valtellina / Un'accozzaglia / Garibaldina / Pezzente ed ilare / Come Gesù. // Chi colla sciabola, / Chi col moschetto, / Chi colla tunica, / Chi col farsetto, / Tutti son laceri / E scalzii più. // Tai delle Esquilie / Alle pendici / Venner di Romolo / I primi amici, / Padri di Consoli / Di Imperator... Fuori che i sandali / Non hanno ai piedi; / Quanto a voi simili sono gli eredi, / Sol ricchi d'anima / Di gioventù!”; anche i discendenti di Roma dovevano comunque imparare a marciare: “Presto, stringetevi / Giberne e sacchi; / Fate sul lastrico / Sonare i tacchi!” / Grida un ironico Caporalin. / “Chi tacchi battere / Scalzo non seppe, / Li farà battere a Cecco Beppe!” / Risponde un diavolo / Garibaldin.”.

già all'inizio, poneva l'interrogativo, che si erano posti e si ponevano in molti: “Si chiede, si ciancia / Se provvido o infesto / L'aiuto di Francia / Si debba chiamar / Se a un ibrido innesto non possa menar.”.

E il calice dell'amarezza, al colmo, traboccava: “Cianciar di diritti, / D'allori, di storia! / Mendici sconfitti / D'un cencio di gloria, / Piuttosto parliamo / Di quello che siamo. // Diritti ed allori, / Cambiato viaggio, / Ci vengon di fuori, / Si pagan di omaggio; / Inchini e milioni / Or fan le nazioni!”.

L'Italia centrale era ancora in armi con Garibaldi; e Nievo non poteva non essere là e incitare: “Italia! Italia!| / Dall'Alpi al mare / Sola a regnare / Noi ti vogliam... Sorgi! Le lacere / Membra rauna, / Libera ed una / Sorgi all'imper!...Duchi e Pontefici / Lottano invano / Col tuo Romano / Soffio guerrier. … Trento, Venezia, / Palermo e Roma / La fronte han doma, / Servono ancor. / Ma in pugno a un popolo / Folto e Gagliardo / E' lo stendardo / Dei tre color. / Ma in armi stringonsi / Dieci milioni / Contro due troni / Contro un altar... Altar sacrilego / Porpore abiette / Vili vendette / non vogliam più // Resti un sol popolo / Sotto il tuo cielo / E un sol Vangelo: Quel di Gesù. // Italia! Italia! / Dall'Alpi al mare / un solo altare / S'erge per te. // Iddio, la patria / Sovr'esso stanno, / Non il tiranno / né il Papa-Re!”.

Alla fine, il 1859 si chiudeva con mezza Italia ancora irredenta; un cruccio assai difficile da sopportare per Ippolito: “Ma a me, che ancora – piego i ginocchi / Dinanzi al fango – che m'insozzò, / A me che resta? - Tergermi gli occhi / Se di vergogna – morir non so!”.
Patria e Nazionalità Michail Bakunin

Lo Stato non è la Patria; è l’astrazione, la finzione metafisica, mistica, politica, giuridica della Patria;ma si tratta di un’amore naturale, reale; il patriottismo del popolo non è un’idea, ma un fatto; e il patriottismo politico, l’amore dello Stato, non è la giusta espressione di questo fatto, ma un’espressione snaturata per mezzo d’una menzognera astrazione, sempre a profitto di una minoranza che sfrutta. La Patria, la nazionalità, come l’individualità è un fatto naturale e sociale, fisiologico e storico al tempo stesso; non è un principio. Non si può definire principio umano che quello che è universale, comune a tutti gli uomini; ma la nazionalità li separa: non è, dunque, un principio. Principo è, invece, il rispetto che ognuno deve avere pei fatti naturali, reali o sociali. E la nazionalità, come l’individualità, è uno di questi fatti. Dobbiamo, dunque rispettarla. Violarla è un misfatto e, per parlare il linguaggio di Mazzini, diviene un sacro principio ogni volta che è minacciata e violata. Ed è per questo ch’io mi sento sempre e francamente il patriota di tutte le patrie oppresse.
L’essenza della nazionalità. La Patria rappresenta il diritto incontestabile e sacro di tutti gli uomini, associazioni, comuni, regioni, nazioni, di vivere, pensare, volere, agire a loro modo e questo modo è sempre il risultato incontestabile di un lungo sviluppo storico. Pertanto, noi ci inchiniamo innanzi alla tradizione e alla storia; o meglio la rispettiamo, e non perché ci si presenta come astrazione elevata a metafisica, giuridicamente e politicamente per intellettuali e professori del passato, bensì perché essa ha incorporato di fatto la carne e il sangue, i pensieri reali e le volontà delle popolazioni. Se si parla di una certa regione - il canton Ticino (in Svizzera) per esempio - essa apparterrebbe evidentemente alla famiglia italiana: la sua lingua, i suoi costumi e le sue particolarità sono identiche a quelli della popolazione della Lombardia e, di conseguenza, dovrebbe passare a far parte dello Stato Italiano unificato.
Crediamo che si tratta di una conclusione radicalmente falsa. Se esistesse realmente una sostanziale identità tra il canton Ticino e la Lombardia, non ci sarebbe dubbio alcuno che il Ticino si unirebbe spontaneamente alla Lombardia. Ma non è così, e se non si sente il grande desiderio di farlo, ciò dimostra semplicemente che la Storia reale - quella in vigore generazione dopo generazione nella vita reale del popolo del canton Ticino, è la dimostrazione della sua contrarietà all’unione con la Lombardia - è cosa completamente distinta dalla storia iscritta nei libri.
D’altra parte, bisogna dire che la storia reale degli individui e dei popoli non solo procede verso uno sviluppo positivo, bensì molto spesso verso la negazione del suo passato e per la ribellione contro di esso; e questo è il diritto della esistenza, l’inalienabile diritto di questa generazione, la garanzia della sua libertà.
La nazionalità e la solidarietà universale. Non c’è niente di più assurdo e al tempo stesso più dannoso e mortifero per il popolo che erigere il principio fittizio della nazionalità come ideale di tutte le aspirazioni popolari. La nazionalità non è un principio umano universale. E’ un fatto storico e locale che, come tutti i fatti reali e innocui, ha diritto ad esigere la sua generale accettazione. Ogni popolo fino alla più piccola unità etnica o tradizionale possiede le proprie caratteristiche, il suo specifico modo di esistenza, la sua maniera di parlare, di sentire, di pensare, e di agire; e questa idiosincrasia costituisce l’essenza della nazionalità, risultato di tutta la vita storica e sommatoria totale delle condizioni vitali di questo popolo.
Ogni popolo, come ogni persona è quello che è, e per questo ha un diritto ad essere se stesso. In questo consistono quelli chiamati diritti nazionali. Però se un popolo e una persona esistono di fatto in una determinata forma, non ne consegue che l’uno e l’altro abbiano il diritto ad elevare la nazionalità in un caso e l’individualità nell’altro, come principi specifici, e nemmeno si debba passare la vita discutendo sopra la questione. Al contrario, quanto meno pensano a se stessi e più acquisiscono valori umani universali, più si rivitalizzano e più si caricano di sentimento, tanto la nazionalità quanto l’individualità. La responsabilità storica di tutta la nazione. La dignità di tutta la nazione, come dell’individuo, deve consistere fondamentalmente nel fatto che ognuno accetta la piena responsabilità delle sue azioni, senza cercare di colpevolizzare altri. Non sono molto stupide le lamentele lacrimose di un fanciullo che protesta perchè qualcuno lo ha corrotto e condotto nella cattiva strada? E quello che è improprio nel caso di un ragazzo lo è certamente anche nel caso di una nazione, cui lo stesso sentimento di autostima dovrebbe impedire qualunque intento di imputare ad altri la colpa dei propri errori.
Patriottismo e giustizia universale. Ognuno di noi dovrebbe elevarsi sopra questo patriottismo piccolo e meschino, per il quale, il proprio paese è il centro del mondo, e che considera grande una nazione quando è temuta dai suoi vicini. Dobbiamo porre la giustizia umana universale sopra tutti gli interessi nazionali e abbandonare una volta per tutte il falso principio della nazionalità, inventato recentemente dai despoti della Francia, Prussia e Russia per schiacciare il supremo principio della libertà. La nazionalità non è un principio, è un diritto legittimo come l’individualità. Ogni nazione, grande o piccola ha l’indiscutibile e medesimo diritto ad esistere, a vivere in accordo con la propria natura. Questo diritto è semplicemente il corollario del principio generale della libertà. Tutti quelli che desiderano sinceramente la pace e la giustizia internazionale devono rinunciare una volta per sempre a quello che si chiama la gloria, il potere la grandezza della Patria, a tutti gli interessi egoisti e vani del patriottismo.