sabato 30 aprile 2011

'gna fanno!


Olocausti utili e olocausti inutili, stupri veri e falsi, necro-orgsami e cecchini Nato
Registriamo la vittoria, pur sotto il diluvio di missili e bombe stragiste Nato, delle forze patriottiche libiche nella riconquista dai briganti vendipatria di tutto il confine con la Tunisia e della zona sudorientale (Cirenaica!) della Libia con capitale Kufra. Segno, se ce ne fosse ancora bisogno, di quanto popolo stia con Gheddafi, a dispetto delle mattanze Nato e mercenarie, e quanto con i rinnegati jihadisti e corrotti Cia innescati dall'Impero a Bengasi. Registriamo, per la soddisfazione delle ginocrate finte femministe, tra lazzi e sghignazzi osceni quanto il soggetto, la dichiarazione di Susan Rice, ambasciatrice Usa all'ONU: " Gheddafi (che non ha niente di meglio da fare. N.d.r.) riempie di Viagra i suoi uomini in modo che possano stuprare tutte le donne che incontrano". Ovviamente è una tattica astuta di Gheddafi per guadagnarsi il consenso e l’amore delle masse.  A questo ha risposto lo stesso Gheddafi con il suo discorso di ieri alla TV di Stato libica (colpita alle spalle dai bombardamenti mentre lui parlava in diretta), un discorso condivisibile in tutto e per tutto e la cui ragionevolezza, dignità, giustezza riduce in cenere di cianuro i deliri tossici dei necrofagi occidentali. Che, nello stesso tempo, hanno ucciso a missilate Seif Al Arab, ultimo figlio di Gheddafi e i suoi tre figli piccoli, che erano rientrati all’inizio dell’aggressione per stare con il loro popolo. Erano civili che, così, vengono salvati dalla Nato.


tagliagole jihadista in Bosnia
Stupratori robot
Non vi ricorda qualcosa delle "300mila donne stuprate dai serbi in Bosnia", che dovevano coprire i 300mila serbi cacciati a ferro e fuoco dalle Krajine, i tagliagole di Al Qaida-Cia spediti in soccorso al fascista Izetbegovic, i 300mila espulsi a cannonate ed eccidi dai narcotrafficanti UCK dal Kosovo? Stupri per i quali fu calcolato che ci sarebbero voluti tutti i militari dell'esercito serbo per tutta la durata del conflitto, che non avrebbero fatto nient'altro che violentare donne ininterrottamente"? Fa il paio con l'onorata e famigerata ONG "Save the children" che, da Misurata, favoleggia di bambini massacrati, di genitori uccisi davanti ai figli, di donne stuprate davanti alle famiglie. E entra nella banda di briganti della maieutica satanica anche il pacifista zapatista già cartaceo e ora webista, Gigi Sullo, che arriva a paragonare Misurata, "città martire" per il trombettiere Nato, a Guernica. E, a proposito di media al cianuro sputtanati, vi indirizzo al link inserito da Rossoallosso nei commenti al mio precedente post, dove si trova un video che, ennesimo documento prodotto da chi non deve avere ontologicamente voce (sempre nel quadro della maieutica satanica), mostra cecchini sauditi che dai tetti sparano su folla e forze di sicurezza siriane. Semmai ci volesse una conferma, accanto all'aggressione dei necrofagi Nato (per ora in termini di sanzioni e di rapina dei fondi di Stato siriani all'estero), di chi muove contro il popolo e paese sovrani e antimperialisti i soliti mercenari da rivoluzione colorata, nonviolenta ma assassina. Inevitabilmente e con ottimo effetto chiarificatore sono usciti allo scoperto in Siria, i soliti Fratelli Musulmani che, come in Egitto, Libia e ovunque, si affiancano ai mercenari dell’Impero. Accreditandosi anche qui come proconsoli dell’auspicato ritorno coloniale, hanno fatto dichiarazioni di totale sostegno alla “rivoluzione siriana”.


Stupefacentemente e grottescamente, costoro si trovano affiancati e sostenuti, nell’assalto putschista al penultimo paese sovrano e antimperialista del mondo arabo, dai puristi assoluti del laico marxismo-leninismo-trotzkismo del Partito Comunista dei Lavoratori. Il 30 mattina i decerebrati del Partito di Ferrando (nel quale molti si rivoltano contro l’ottusità ignorante e arrogante della dirigenza) hanno fatto una chiassata contro il “criminale Assad” sotto l’ambasciata siriana a Roma. Nel loro delirante comunicato, metastatizzato da  uno stolto e succube eurocentrismo che vede perfino nella Libia degli sgherri Al Qaida-Cia e dei venduti al libero mercato coloniale, individuano felici un episodio della “rivoluzione araba”. Gente che spurga formulette astratte e autoreferenziali fino alla demenza, mentre ingoia senza problemi il veleno delle menzogne imperialiste.
Non poteva mancare nella brigata dei flagellanti, quale idiota e quale opportunista, l’arlecchino faccia di pongo Nichi Vendola. Copertosi di merda sionista e di sangue palestinese inneggiando a Israele davanti all’ambasciatore nazisionista, l’arrampicatore ha cianciato di “deserto fatto fiorire da Israele”, il più logoro e falso stereotipo del razzismo euro-sionista, basato sul transfert predatorio dalla florida società palestinese ai colonialisti della pulizia etnica di una  terra magnificamente coltivata, dell’acqua, delle strade, dei centri abitati, del futuro, della libertà. Sorpresa? Figurati, non è forse il trafficone famelico di potere che si è inserito alla tavola dei necrofagi diffamando Cuba, approvando la no-fly-zone mattatoio, frequentando Casa Pound, assimilando la tecnica dei brogli, appoggiando detriti fanghigliosi come Fassino, De Luca, Mortone (contro De Magistris, voluto dalla sua base), offrendosi a chiappe spalancate alla cosca della guerra e del capitalismo ultrà, da Bersani a Casini e Fini, regalando la sanità pugliese a Don Verzè, quattro inceneritori della Marcegaglia ai pugliesi, grossi appalti a Caltagirone? SEL: Sinistro Elemento Liquidatorio.

E mettano pure una croce su Beppe Grillo, gli illusi da Cinque Stelle di nonsense che vedono nel confuso e sbraitante forsennato la luce dell’alternativa ecologista e legalitaria. Uno che s’inginocchia davanti all’arnese Cia della più feroce delle superstizioni medievali, il Dalai Lama, ora si scatena larussianamente contro i ”dittatori arabi che rivoluzionari senza capi stanno spazzando via”. Il gestore del più aggiornato e ricco archivio del mondo, colui che fruga tra i peli del culo di Marchionne e Berlusconi, non sa una cippa da dove siano nate le rivoluzioni arabe vere e chi le guida, come non capisce un beneamato cazzo del complotto putschista allestito con i propri mercenari contro le consolidate  rivoluzioni anticolonialiste e antimperialiste e decentemente  (per il contesto) socialiste in Libia e Siria. Begli alternativi, begli antagonisti, begli antiberlusconidi abbiamo con questi che non hanno nemmeno praticato pallottoliere e abbecedario della epistemologia dei sistemi sociali, della storia e cultura dei popoli, e del conflitto alla morte tra ricchi e poveri



Intanto silenzio e niente interventi umanitari a Bahrein, dove, dopo il massacro degli sgherri sauditi, il satrapo Khalifa, custode della V Flotta Usa, ha preso a condannare a morte i manifestanti, questi sì non violenti, che chiedevano pane, lavoro, libertà e fine della discriminazione degli sciti. E disinvoltura leggiadra anche sullo Yemen, dove il burattino Usa-Saudita Ali Saleh continua a far uccidere a fucilate cittadini che dimostrano contro il despota e la miseria. Non basta questo per valutare correttamente quanto succede di vero e di finto nel mondo arabo? I santoni che si agitano contro la pena di morte (abolita da Gheddafi), dove si rintanano di fronte alle pene di morte di massa comminate dalla civiltà occidentale?

Furbetti e piagnoni
Simpatici questi ebrei liberal e critici di Israele, esibiti per ogni schermo e giornale come voce alternativa e di vera custodia dei diritti umani. Moni Ovadia riesce a riempire un articolo dell'Unità di compianto per l'eliminazione di Vittorio Arrigoni dal novero dei rivelatori di crimini nazisionisti tirando palle di fuoco contro "mandanti morali", "sgherri", e, ovviamente, "esecutori islamisti salafiti". Ma chi sono? Gli fosse sfuggita anche una sola volta la parola "Israele"! A sua volta il fine intellettuale comunista, Alberto Burgio (PRC), che, ai tempi dei fasti parlamentari bertinottiani, votò a favore della nostra guerra all'Afghanistan, riempie un paginone del "manifesto" per evocare olocausto, Eichmann e il processo al "male assoluto" in Israele, Hanna Arendt e le sue teorie sulla "banalità del male". Roba di un'attualità pressante. Altro che la nuova guerra del crimine organizzato occidentale, governo, parlamento e presidente italiani compresi, contro un paese libero e più giusto di qualsiasi Stato occidentale, altro che i prodromi, oggi, dell'apocalisse mondiale domani. Gli olocausti e nazisti di ieri mettono in ombra qualsiasi olocausto e nazista di oggi. Servono a questo. Su Arrigoni, lasciatemi dire che quel mio amico e costante interlocutore forse avrebbe preferito essere di nuovo a Gaza piuttosto che affogato nella melassa buonista di tutto il gregge di nonviolenti a senso unico che se ne sono impadroniti per fare del funerale e del martirio di Vittorio l’asta a cui appendere gli stendardi della propria ignavia. Aggiungo una precisazione, e non se ne abbia chi è della schiera di tribolanti per i quali nel nostro paese i morti sono tutti santi. Di Vittorio è stata eroico quanto fondamentale il lavoro di informazione da Gaza durante tre anni di vessazioni e sevizie israeliane. Coraggioso è stato il suo sostegno ai contadini e pescatori fatti bersaglio dai killer sionisti. Ma del tutto sbagliata era la sua valutazione di Gheddafi e di quanto avviene in Libia, appiattita sul cerchiobiottismo delle sinistre italiote e frutto di una formazione ideologica democraticistica ed eurocentrica stile PD. Tanto dovevo alla verità, anche perché è stato il tema della nostra ultima discussione. Per tutto quello che i Palestinesi devono a Vittorio e viceversa.




In gloria degli eredi divenuti i più ricchi del mondo grazie a pirateria, rapine ed eccidi
Ubriacatura planetaria su due orrende cafonaggini di distrazione di massa: il matrimonio tra i due coglionazzi da basso impero risolto in operetta, William e Kate, 2 miliardi di spettatori e qualche migliaia lungo il percorso; idem per la beatificazione di un satrapo vestito da imperatore bizantino da parte di un altro satrapo vestito da carnevale cinese. Entrambe le degradanti manifestazioni, offese alla dignità e all'intelligenza umane, ci ripropongono il messaggio del capitale putrescente nell'era del tardo imperialismo genocida: siamo tornati al protocapitalismo ottocentesco degli eccidi coloniali, dello schiavismo di fabbrica, delle sette della superstizione che vanno a civilizzare i selvaggi. Fra un po' i 20 milioni trucidati nel Congo dai sovrani belgi, le milionate massacrate di britannici nella guerra dell'oppio e in Asia e Africa, il genocidio dei libici operato da Graziani, ci sembreranno un bel ricordo davanti all'unica novità rispetto ad allora: l'olocausto nucleare. Già in atto, in forma strisciante e di bassa intensità, con l'uranio sparso da bombe e missili su mezzo globo. Quello per il quale servono le centrali nucleari con le loro scorie.
Dove non c’è body count

Ubriacatura mediatica da una parte, sobrietà assoluta, fino al silenzio tombale, dall'altra: un'altra notte di distruzione e stragi a Tripoli, proprio nella zona di Tajura, dove ero stato giorni fa a farmi dimostrare dalla popolazione che i presunti combattimenti con ribelli e relativi eccidi di Gheddafi, proprio quelli che servirono da pretesto per la risoluzione 1973 e l'intervento dei necrofagi, non erano mai avvenuti. Ma che le decine di vittime cadute allora e in queste due ultime notti di inferno Nato possono tutte addebitarsi unicamente alla "coalizione dei volenterosi", con dentro oggi anche i mercenari italiani spediti dal guitto mannaro che ieri baciava le mani e benedetti dalle più alte autorità costituzionale e religiosa. Gente da Norimberga. Ci facciamo sempre riconoscere come i più fetidi, dalla Crimea alle guerre mondiali, squallide prostitute purchè se magna.


Se son rose… se son spine
Così Hamas e Fatah-ANP avrebbero raggiunto al Cairo un accordo su cinque punti che prevede elezioni entro otto mesi, la formazione di un “governo di tecnici indipendenti”, la riattivazione dell’OLP e la sospensione di colloqui di pace con Israele. Il processo ha indubbiamente subito la spinta propulsiva delle ripetute manifestazioni di giovani a Gaza e in Cisgiordania che chiedevano la fine della divisione e l’unità di fronte a aggressione e occupazione israeliana, ma anche delle manifestazioni antisraeliane dei rivoluzionari veri del Cairo (con assedio all’ambasciata dei nazisionisti), che hanno smerdato l’asserzione di utili idioti e amici del giaguaro secondo cui la rivoluzione egiziana non aveva connotati antisraeliane e, manifestamente, contro l’imperialismo Usa sostenitore di Mubaraq e ora sponsor della normalizzazione militare. Pressioni di rivoluzionari tanti indifferenti a Israele da imporre alla giunta militare di promettere l’apertura del valico di Rafah con Gaza, unica vera terra martire e, insieme a Tripoli, paragonabile a Guernica. E, sempre nell’aria che tira, un sondaggio del Pew Research Centre britannico, l’85% degli egiziani ha una visione negativa degli Stati Uniti, il 54% vuole l’annullamento dell’infame trattato di pace con Israele di Sadat e l’82% dice che preferisce migliori condizioni sociali e condizioni alla “democrazia di importazione occidentale”. Ed è di oggi la notizia che i rivoluzionari egiziani stanno preperando per il 13 maggio "La marcia di un milione per la Palestina" che chiederà l'apertura del valico di Gaza, la fine dei rifornimenti di gas a Israele, e si prepara ad allestire carovane di soccorsi alla popolazione della striscia. Questa è primavera araba!

Restano alcuni interrogativi. Come funzionerà sul piano politico un’unità tra chi ha sempre sostenuto e attuato la resistenza di popolo e armata della Palestina e chi vi ha totalmente rinunciato mettendosi al servizio del nemico occupante e del suo sponsor Usa? Quale sarà l’intesa morale tra una congrega di corrotti, speculatori, trafficoni, mafiosi e venduti e chi ha fatto dell’integrità la sua cifra principale? Come si confronteranno le forze di sicurezza patriottiche di Hamas con quelle dell’ANP, addestrate e finanziate dagli Usa, operanti sotto disposizione e mandato israeliani? Come faranno i gerarchi di Fatah e dell’ANP a mantenere il controllo su una popolazione affamata e repressa e i propri arricchimenti senza i finanziamenti di UE e Usa, dipendenti dall’esclusione di Hamas? Come potrà funzionare da vero governo uno che, con dentro Hamas, Israele ha rifiutato categoricamente? Quali libere elezioni si potranno fare in territori controllati palmo a palmo dalla brutale occupazione israeliana? Avete visto che razza di commedia degli inganni elettorali in Iraq sotto Al Maliki e in Afghanistan sotto Karzai? Pareva quella di Bush in Florida…
L’accordo del Cairo non ha ancora diffuso un documento con i necessari dettagli. Vedremo, ma con scarso ottimismo. Finchè non si spazza via dai vertici dell’ANP e di Fatah, ma anche di altre formazioni laiche, l’attuale cosca di rinnegati predatori, finchè non rispunta un Marwan Barghuti (tre ergastoli, appunto), finche non si muove una nuova intifada con una nuova dirigenza, personalmente la vedo difficile. C’è di buono che i grandi sommovimenti (autentici) che stanno terremotando l’intera nazione araba, possano nel tempo, se durano, imporre cambi strategici a politiche interne ed esterne, o, perlomeno, raddrizzamenti tattici dei vertici nei confronti di Israele (come l’apertura egiziana di Rafah e le belle esplosioni dei gasdotti per i quali fluiva gas a prezzo politico dall’Egitto a Israele). Farebbero uscire i palestinesi dal loro letale isolamento e rafforzerebbero la spinta alla liquidazione delle attuali élites stravendute.

************************************************************************************************************

Riceviamo e pubblichiamo su www.forumpalestina.org

BOICOTTA ISRAELE - BOICOTTA NICHI VENDOLA

comunicato del "Comitato con la Palestina nel cuore", Roma
Il comunicato stampa della Press Regione-Agenzia giornalistica sulle dichiarazione del Presidente della Regione Puglia Niki Vendola molto sinceramente non ci sgomenta, perché perfettamente in linea sia con il personaggio, sia con il manifesto sionismo della stragrande maggioranza del panorama politico italiano.
Con la scusa della cultura ebraica e del suo festival in terra di Puglia Niki Vendola parla di questioni concrete come “rapporti economici, commerciali, istituzionali”, quelli che realmente stanno a cuore allo Stato di Israele, e non a caso questo è avvenuto a margine di un incontro con l’Ambasciatore di quello stato, e non certo con l’addetto culturale.
Vendola prosegue poi nel panegirico di Israele citando esempi calzanti non nel campo culturale ma in quello dei rapporti economici, cita infatti la trasformazione di “aree desertiche in luoghi produttivi e in giardini”, dice che Israele è un “Paese che si confronta col tema mondiale del governo del ciclo dell’acqua, dell’energia, dei rifiuti con pratiche di avanguardia” ecc.
Facciamo un po’ di chiarezza intanto su queste affermazioni:
Israele ha trasformato il deserto in giardini grazie al furto sistematico e costante dell’acqua del popolo palestinese, della Siria (alture del Golan) e del Libano (area delle Fattorie di Shebaa), i palestinesi vivono al limite della disidratazione, altro che governo del ciclo delle acque!, per quanto riguarda i rifiuti invece se Vendola si riferisce al sistema di trattamento usato dalla ArrowBio che la giunta Polverini vuole adottare nel Lazio e che si sta cercando di installare presso il comune di Guidonia non c’è nulla di innovativo, questo sistema viene proposto ed installato anche da ditte italiane, e sarebbe certamente trasparente conoscere i costi delle rispettive proposte; per l’energia basti ricordare che il 40% del fabbisogno del gas di Israele viene fornito dall’Egitto al 25% del costo di mercato, ovvero rapinando il popolo egiziano di questa ricchezza, e non a caso recentemente c’è stato un secondo attentato al gasdotto in questione.
Vendola non ricorda, non condanna, non deplora 60 anni di occupazione israeliana delle terre palestinesi, Vendola non spende una parola sul muro dell’apartheid, Vendola non chiede la liberazione degli 11.000 prigionieri palestinesi racchiusi nelle prigioni israeliane, per la maggior parte senza processo ma con detenzione amministrativa, Vendola non spende una parola sull’assedio inumano a cui è sottoposta la Striscia di Gaza, no, nulla di tutto questo, Vendola fa il panegirico di Israele e pensa agli affari!!!
Dulcis in fundo chiede di effettuare una visita ufficiale in Israele per far giungere ad un punto di svolta le relazioni bilaterali.
Che tristezza, l’uomo che si propone come rinnovatore della sinistra che mendica un incontro per accreditarsi quale amico dei sionisti!!!. Ha capito che in Italia non si fa carriera senza l’appoggio e la sudditanza al sionismo, e da buon politicante quale è sempre stato si accoda prontamente, cosa sono 60 anni di sofferenze e miserie del popolo palestinese di fronte ad un luminoso futuro alla giuda della sinistra italiana?
In Italia è in corso, con crescente successo, la campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni dell’economia israeliana, proponiamo di inserire Niki Vendola ed il suo partito nella lista dei prodotti da boicottare, non facciamo più sconti a chi ammanta di bella retorica la propria sudditanza al sionismo.
Comitato con la Palestina nel cuore – Roma

giovedì 28 aprile 2011

BARBARIE CRISTIANE

Tripoli, l’altra notte


Direttamente dal vescovo di Tripoli, Giovanni Martinelli, che ho lasciato sotto le bombe appena 7 giorni fa, ho saputo dell’apocalissi scatenata sulla capitale libica la notte scorsa (dal 27 al 28 aprile). L’unica voce che è riuscita a penetrare occasionalmente attraverso la blindatura mediatica allestita dagli aggressori ancora una volta si è levata in difesa di un popolo attaccato e massacrato, della sua sovranità, della sua autodeterminazione, denunciando quello che viene taciuto dal mercenariato mediatico globale: che missili e bombe Nato colpiscono indiscriminatamente e uccidono civili. Al momento Martinelli non aveva ancora avuto notizie precise sulla portata delle distruzioni e sul numero di morti e feriti causati in ore e ore di terrorismo bombarolo, ma dall’angoscia delle sue parole, come anche dall’esperienza da me vissuta in giorni e notti di continui bombardamenti sulla città e sui suoi sobborghi e che allora – non ora – risparmiavano perlomeno la densità demografica del centro dove alloggiavo, è logico desumere le dimensioni della strage. Quella alla quale da ieri, come comunicato dal guitto mannaro senza minimamente curarsi di sottoporre alla presunta “centralità del parlamento” l’illegittima e criminale escalation rispetto alla risoluzione ONU 1973 e agli stessi impegni assunti precedentemente, partecipano “con razzi mirati” i mercenari del guitto mannaro, del pazzo ruttante, dei postcomunisti e dell’agente Cia che, tronfio sul Colle, si compiace di ridurre in melma la nostra Costituzione (altro che Bossi!) e fare ulteriori stragi di donne, bambini, uomini, civiltà, per il prestigio della nazione e l’elemosina dei suoi mandanti.

Siamo in mano a pazzi criminali rispetto ai quali Muammar Gheddafi, come tutti, proprio tutti, i governanti, oggetto della montatura destra-sinistra che lastrica le rotte dei genocidi, fa la figura dell’eroe dei diritti umani, della libertà, della democrazia. Sul popolo che, girando in lungo e in largo per la maggior parte della sua presenza, ho constatato solidale al suo governo e alla sua guida e deciso a combattere contro i famelici detriti oscurantisti vendi patria e relativi padrini della “coalizione dei necrofagi”, si è abbattuta la Pasqua di pace e resurrezione della cristianità. Nella domenica di Pasqua la Nato ha effettuato 143 incursioni di cui 62 definite “sortite per colpire” (strike sorties): bombe e missili, tra cui quelli Hellfire dei droni appena lanciati dal Premio Nobel per la pace Obama visto lo splendido esito ottenuto con i 900 civili uccisi in Pakistan. A quella data, dal momento che la Nato aveva trasferito a sé il comando dall’Operazione “Alba dell’Odissea”,  sono state effettuate  3.725 sortite di cui 1.550 “per colpire”. Il 25 aprile quelle cifre erano salite a 4000 e 1.600 rispettivamente, a loro volta ampiamente superate la notte scorsa su bersagli a Tripoli, Misurata, Sirte, Mizdah e Zintan. “Questo è niente”, ha dichiarato in Olanda la virago tagliagole Hillary Clinton, ventilando le scadenze dei suoi porno-orgasmi, “sulla Serbia abbiamo bombardato per 78 giorni ”.
Santi cristiani

Frenesia mediatica di distrazione di massa, parallela a quella di distruzione di massa per la grande rivincita del colonialismo alla Graziani (un terzo dei libici gassati, sparati, impiccati), attorno alla beatificazione del peggiore degli ontologicamente pessimi papi e al matrimonio del gaglioffo anglomassonico William, collaudatosi degno erede al trono della sterminatrice Vittoria con con la partecipazione in ghingheri da guardia scozzese nel mattatoio Nato dell’Afghanistan. Soffermiamoci sulla prima, degna di collera quanto la seconda lo è di nausea. Anche perché a turlupinare, truffare, obnubilare e manipolare la gente sono stati quelli dei santi ad insegnarlo per primi, meglio di tutti e per duemila anni, alle cricche del dominio, dello sfruttamento e della morte. Vediamoli i meriti di Karol Woytila, papa nero e oscurantista peggio di Pio IX: distruzione manu militari della teologia della liberazione che affiancava gli esclusi nella ricerca della vita e della dignità; cospirazione in combutta con Cia, mafia, P2 e  reazione mondiale contro la Polonia sovrana e socialista, alla cui sovversione offriva i denari sottrattici “per il sostegno della Chiesa e delle sue opere di carità”; riabilitazione e connubio con la setta fascista-vandeana di Lefevbre; assalto al Nicaragua rivoluzionario in combutta con i briganti “contras”; apparizione sul balcone accanto a Pinochet, a sostegno della più stragista delle dittature latinoamericane; fraterna solidarietà e incarichi di massimo livello (Propaganda Fide) al delinquente cardinale Pio Laghi, sodale dei generali argentini dei desaparecidos; intima collaborazione e status di braccio armato del papa per la mafia cattolica dell’Opus Dei, cane da guardia del potere finanziario e contro le eresie laiciste; lancio degli speculatori e trafficoni di Comunione e Liberazione e della Compagnia delle Opere alla conquista di mercati, servizi e della spoliazione dei beni pubblici in consorteria con il peggiore malaffare nazionale e internazionale; sostenitore dei nazisti “Legionari di Cristo, in spregio – o per merito – dei suoi sodalizi con la criminalità politica e di un superiore generale pedofilo; occultatore fuorilegge di tutti gli episodi di pedofilia che infestano ranghi bassi e alti dell’edificio ecclesiastico; padrino e patrono del criminale mafioso e piduista, probabile assassino di Papa Luciani, cardinale Marcinkus; beatificatore di serial killer come il vescovo croato Stepinac, stragista ustascia al servizio della Gestapo e  due missionari battistrada del genocidio in Messico; cappellano militare dei fascisti croati responsabili del genocidio di serbi in Slavonia e nelle Krajine.
Beatificazione a furor di popolo decerebrato e di successore imperialista, con stile di marketing religioso finalizzato ad accreditarsi come partner politico, culturale e belligerante delle élites occidentali impegnate nella nuove crociate per lo sfoltimento dell’umanità e la dittatura sui sopravvissuti. Mentre il beatificatore non ha trovato, nei suoi perenni excursus nell’ipocrisia e nella farneticante superstizione,  mezzo minuto per apostrofare i responsabili della strage degli innocenti in Libia nel giorno di Pasqua, troverà tempi e agi e piaceri da dedicare al presidente dell’Honduras, Porfirio Lobo, installato grazie ai golpisti attivati da Obama e protagonista quotidiano della repressione sanguinosa di un popolo, martire vero, ma dal lato sbagliato. Responsabile diretto di uccisioni, torture, sparizioni forzate, stupri, cacciata di contadini dalle loro terre a vantaggio di una banda di latifondisti e delle multinazionali, Lobo sarà ospite d’onore, insieme ad altri esponenti del crimine politico occidentale, alla beatificazione del passatista facinoroso. Tout se tien.

Emergenze e non

Viva Gino Strada quando anatemizza i facitori di guerre. Viva un po’ meno quando se ne va a metter su ospedali esclusivamente nelle zone controllate dai mercenari Nato: Bengasi, Misurata, Adjabiya. Non crede che la popolazione decimata a Tripoli, o nei territori fedeli al governo legittimo libico meriti il beneficio di una Emergency che “non distingue tra vittime di una parte e dell’altra”? Chissà se la clinica di Emergency a Misurata, dalla quale ora quei sanitari sono fuggiti – Gino Strada: “Non si può operare sotto le bombe” – era collocata in quel complesso ospedaliero dal quale, come dimostrano immagini diffuse dall’inascoltata agenzia libica, cecchini professionisti integrati nelle bande ribelli sparavano sui civili?  Mi ricordo del discutibile episodio del suo precipitarsi a Kerbala, Iraq, sotto occupazione e sterminio alleato e dei fantocci, per mettere in piedi un ospedale e quando gli ottimi medici iracheni gli fecero presente che di eccellenti ospedali Saddam gliene aveva dati a iosa e che, semmai, servivano apparecchiature e farmaci, si ritirò insalutato ospite. Preferì promuovere il più redditizio, dal punto di vista dell’immagine, ospedale in Irbil, Kurdistan iracheno. Peccato che nella zona controllata dai capibanda filoisraeliani curdi tutto era tranquillo, mentre nell’Iraq del genocidio di sunniti arabi si veniva feriti e si moriva come le mosche. Mi ricordo anche di quel centro di eccellenza cardiologica tirato su a Khartum, Sudan, paese nel quale ci si ammala e si muore, più che per gotta o infarti, di malaria, tubercolosi, malnutrizione, carenze igieniche e guerra civile innescata dai colonialisti di ritorno. Ma forse non sono sufficientemente informato e ragioni buone per quelle scelte ci sono. Intanto ben venga l’unica voce civile che, assieme a quella del solitario Di Pietro, impreca contro la guerra, mentre la sinistra miagola contro le troppe bombe (l’ilare Rossanda preferisce le brigate internazionali) e latra contro il “pazzo criminale” di Gheddafi.  
Balle tribali
Con euforia mal collocata, mentre mantengono un rigoroso riserbo su civili trucidati dai padrini dei briganti Al Qaida-Cia di Bengasi, come anche sull’osceno frantumarsi nel lupanare di Bengasi di una coalizione di fanatici della Sharìa, fuorusciti assoldati dagli uccisori del loro popolo, delinquenti comuni estratti dalle carceri, mercenari dei satrapi del Golfo, teste di cuoio occidentali (che nelle prime 24 ore del golpe hanno fatto fuori gli utili idioti che la pensavano come quelli del Cairo o di Tunisi), i media trionfalmente comunicano che esponenti di 61 tribù libiche si sarebbero schierati contro Gheddafi. E’ come dire, fatte le debite proporzioni demografiche, che in Italia qualche migliaio di cittadini delle varie etnie appennino-alpino-mediterranee si sono pronunciate contro il proprio governo. Caspita, che debacle per Gheddafi. E non erano neanche capitribù, semplicemente “membri”. Facili da raccattare. Fanno il paio con i 230 iscritti al Baath siriano che vengono portati sugli allori della “rivoluzione anti-Assad” del popolo in catene. Al Baath sono iscritti più di un milione di cittadini e, se anche fosse vero questo immane dissanguamento, nel contesto di quella che si vorrebbe far passare per una guerra civile, confondendola strumentalmente e paradossalmente con le insurrezioni contro despoti affamatori al servizio dei vampiri occidentali in Yemen e Bahrein, non rappresenterebbe che la defezione di quattro gatti lusingati dalla prospettiva di una Siria in cui i servi del regime change, perseguito dalla “comunità internazionale” ovunque si trovino scogli alla marea del libero mercato di  obbedienza FMI e Wall Street, si accreditano a futuri proconsoli coloniali.
Siria, epilogo di mezzo secolo di assedio?

manifestazione a Damasco pro Assad
Bombardandola, spedendovi i killer del Mossad per far fuori dirigenti palestinesi, sanzionandola, accusandola dell’attentato Mossad al premier Rafiq Hariri in Libano (prima di spostare l’accusa, clamorosamente smentita da falsi testimoni pentiti, a Hezbollah), minacciandola perennemente dalle alture rubate del Golan, la Siria è sotto schiaffo USraeliano, quanto la Libia, da quando il partito panarabo socialista prese il potere nel 1963, prima con i marxisti-leninisti di Atassi e poi con Assad. Con la Libia di Gheddafi, dopo la caduta di Saddam Hussein, unico ostacolo tra Atlantico e Golfo alla normalizzazione imperialista chiamata Grande Medio Oriente, la Siria alleata dell’Iran, protettrice del Libano resistente, sostenitrice della Resistenza palestinese, spina nel fianco dei satrapi agli ordini dell’Occidente, ostile alla manomissione della propria sovranità da parte delle multinazionali, è finita nel vortice delle rivoluzioni colorate. Nonviolente e pacifiche, ma con tanto di bande armate che, munite di armi di ogni tipo arrivate da chissà dove, come in Libia, sparano dai tetti su folle manifestanti, istigate da religiosi integralisti, e sulle forze di sicurezza. 
Ai media occidentali, impegnati come sempre a spianare la strada al pianificato intervento armato della “comunità internazionale” e, nel frattempo, alla guerra civile per “libertà e democrazia”, interessano poco le manifestazioni oceaniche in appoggio al governo succedutesi in risposta alla sollevazione fondamentalista di Daraa, città all’insidioso confine con una Giordania collaborazionista di Israele e degli Usa. Non li spostano dalla linea della “rivolta contro la dittatura di Assad”, che pure avrà nelle sue fila qualche insoddisfatto di un parziale socialismo di Stato e, nell’attualità, del peso economico di un milione di iracheni in fuga dagli eccidi di occupanti e fantocci, le conferme degli 8 milioni di dollari ancora recentemente pagati dagli Usa a un fuoruscito dell’opposizione, dell’assegno di 300mila dollari del principe Saudita Turki Bin Abdul Aziz, già socio di Osama bin Laden, ai dirigenti della destra libanese perché provocassero agitazioni in Siria  e del solito aggregato di prezzolati dei servizi britannici attivato a Londra da quel Rifaat El Assad, fratello del presidente defunto, che dovette scappare dal suo paese accusato di traffico di droga, malversazioni di ogni tipo e collusione con il nemico israeliano.

E siccome i goal dell’altro giocatore in campo sono per definizione da annullare, non turba i media l’apparizione nella tv siriana di cecchini che confessano di aver ricevuto armi dagli imam di certe moschee e da altre fonti misteriose e di averle usate, sia contro la popolazione che manifestava in forma pacifica, per potenziare una ancora limitata rivolta, sia contro militari e poliziotti uccisi a decine, in particolare durante i loro funerali, per innescare quanto potrà essere descritto come guerra civile. Ammissioni inconfutabilmente corroborate dalle orripilanti immagini di militari uccisi dai cecchini e poi seviziati a coltellate, con parti del corpo recise e gli occhi escissi. Il copione è quello dei ribelli di Bengasi, nella loro carneficina di libici e lavoratori migranti neri e renitenti al colpo di Stato. Militari tutti con un nome: Mohamed Ali, Ibrahim Hoss, Ahmed Abdallah, Nida al Hoshi, Mohamed Alla….
Affermazioni definite apoditticamente “poco credibili” sul “manifesto” perfino da Michele Giorgio che, pure, nei suoi ultimi servizi da Bengasi aveva saputo bene illustrare la natura di marmaglia corrotta, venduta e famelica del cosiddetto Consiglio Nazionale di Transizione e non aveva neppure trascurato gli elementi spuri ed eterodiretti della rivolta siriana. Cosa che avrebbe potuto indurlo a dare maggior credito alle valutazioni del governo siriano circa il ruolo dei fratelli musulmani, massima forza organizzata del paese e, come in Egitto, prona alle istanze occidentali, e circa l’identità di membri di organizzazioni terroristiche fondamentaliste dei provocatori confessi, ai quali gli sceicchi fornitori di armi avevano assicurato che coloro che uccidono forze militari e di sicurezza  e lottano per il cambio di regime sono martiri e che avrebbero avuto denari e armi e impunità purché si impegnassero nella jihad. Suona famigliare, vero? Suona come Al Qaida. E da quando Al Qaida, a partire dalla guerra contro i sovietici, poi in Bosnia e Kosovo, poi in Algeria e nel Maghreb e infine in Libia, non vuol dire Cia?
E poi dicono che Muammar Gheddafi è un pazzo visionario. 

venerdì 22 aprile 2011

TRIPOLI, BEL SUOL D'AMORE





Il parlamento è costituito fondamentalmente come rappresentante del popolo, ma questo principio è in se stesso non democratico, perchè democrazia significa potere del popolo e non un potere in rappresentanza di esso., L'esistenza stessa di un parlamento significa assenza del popolo. La vera democrazioa non può esistere se non con la presenza del popolo stesso e non con la presenza di suoi rappresentanti. I parlamenti, escludendo le masse dall'esercizio del potere e riservandosi a proprio vantaggio la sovranità popolare, sono divenuti una barriera tra il popolo e il potere. Al popolo non resta che la falsa apparenza della democrazia che si manifesta nelle lunghe file di elettori venuti a deporre nelle urne i loro voti. (Muammar Al Gheddafi)

I membri della sopcietà jamahiriyana sono liberi da ogni tipo d'affitto. La casa appartiene a colui che la abita... La dimora non può essere utilizzata per nuocere alla società. La società jamahiriyana è solidale. Assicura a ognuno una vita degna e prospera e uno stato di salute avanzato fino a giungere alla società delle persone sane. Garantisce la protezione dell'infanzia, della maternità, della vecchiaia e degli invalidi. La società jamahiriyana è la tutrice di coloro che non hanno tutela. L'istruzione e le cognizioni sono diritti naturali di ognuno, Ogni individuo ha il diritto di scegliere la sua istruzione e le cognizioni che gli si confanno senza costrizioni  o orientamento imposto... I membri della società jamahiriyana proteggono la Libertà e la difendono ovunque nel mondo. Sostengono gli oppressi e incitano tutti i popoli a far fronte all'ingiustizia,all'oppressione, allo sfruttamento e al colonialismo. Li incoraggiano a combattere l'imperialismo, il razzismo e il fascismo in conformità al principio della lotta collettiva dei popoli contro i nemici della Libertà. (Muammar Al Gheddafi) 

E non volete che un tipo così non dovesse venir fatto fuori?


l'autore di questo articolo (primo da sinistra) con membri della Delegazione "Civili britannici per la pace in Libia" a Tripoli nella conferenza stampa all'Hotel Rixos

Stavolta ce l’abbiamo fatta ad andare in Libia. E anche a tornare. E il mio non è un plurale majestatis. Anzittutto è un plurale di noi due, io e il mio AK-47, un Kalachnikov che di nome si chiama Sony e, anziché sparare cose, le acchiappa, le incamera perché poi si trasformino in grandine di vetriolo sulle menzogne. In questo caso, su quella planetaria che ha indotto un mondo di boccaloni, panciafichisti, felloni di sinistra, codardi, collusi, ad assistere tra il placido, i finti turbamenti e gli intimi sfrigolii, allo sbranamento di un grande paese, alla satanizzazione di un leader migliore di chiunque altro nel mondo arabo-africano attuale e neanche paragonabile alla feccia che governa la “comunità internazionale”, all’assalto alla vita di un popolo sovrano e libero. Ma quel noi plurale si riferisce anche, e di più, agli strepitosi cittadini britannici – British Civilians for Peace in Libya – che un po’ scudi umani, un po’ investigatori di fatti veri, un po’ combattenti per la pace, si sono mossi, primi assoluti, a superare il melmoso oceano di complicità, disinformazione, ferocia colonialista e collusione eurocentrica, per stare almeno per un po’ e con dirompente significato simbolico, accanto alle donne, agli uomini, ai ragazzi, ai bambini che resistono e che l’imperialismo, da Obama a Rossanda Rossanda, vuole morituri.


Subito dopo il 17 febbraio, quando i revanscisti del colonialismo sconfitto, mimetizzatisi tra i fiori di pesco della primavera araba, dettero ai propri ascari di Bengasi il segnale per il colpo di Stato contro l’ultimo frutto ancora vivo della prima liberazione, avevo caricato la Sony e chiesto il visto per la Libia, specificando: Tripoli. L’ambasciatore a Roma era uno di quella mezza dozzina di rinnegati e comprati dell’establishment libico che erano passati all’opzione della convenienza: “Se vuoi andare a Bengasi, subito. Per Tripoli non se ne parla”. A Bengasi, tra tagliagole Cia di Al Qaida, reduci delle missioni Usa in Bosnia, Afghanistan, Cecenia e mille altri luoghi delle provocazioni imperialiste, decerebrati o furbastri monarchici, terroristi dei servizi occidentali, mercenari egiziani, fuorusciti libici rientrati dopo decenni di addestramento e cospirazione Cia e MI6, sguazzava buona parte della consanguinea stampa occidentale. Aureolati di democraticismo e di vituperio per la tirannide, pendenti esclusivamente dalle labbra di chi, inetto per difetto di motivazione sul campo di battaglia, andava rastrellando, torturando e uccidendo in massa poveri operai africani immigrati, presentati ai media come “mercenari di Gheddafi” e talquali posti alla mercé del disdoro mondiale, noi avevamo squallidi pifferai, svergognati perfino dai colleghi di destra anglosassoni. Abili con le foglie di fico, costoro raccontavano anche le ombre nere dilaganti sui “giovani rivoluzionari” di Bengasi. Superavano le vette giornalistiche dei cinesettimanali “Luce” al seguito del conquistatore Graziani e si coprivano di gloria umanitario-democratica, personaggi come Lucia Goracci (TG3), e passi, o come i “sinistri” Stefano Liberti  e, ora, perfino Michele Giorgio, corrispondente del “manifesto”, che già con i due primi reportage dall’avamposto coloniale Nato, esaltato come culla di una nuovo “società civile” (solito ricettacolo di ogni schifezza collaborazionista, bulimica di pingue democrazia individuale), ha saputo disintegrare la reputazione guadagnata anni di coraggioso lavoro in Palestina. A stare con loro c’era da mettersi una tuta che neanche a Fukushima.
Aggregatomi ai 13 britannici della Spedizione di pace e di verifica dei fatti, passato dalla Tunisia in Libia e giunto a Tripoli dopo un viaggio notturno di alcune centinaia di chilometri, pesantemente rallentato da numerosissimi posti di blocco con militari e giovani civili, volontari per il controllo e la difesa di un territorio infestato da infiltrati e provocatori, ecco infranto e oltrepassato lo specchio deformante nel quale i Fuehrer di una globalizzazione della catastrofe umana, qui mai passata, riflettono la loro impostura, pirateria, necrofagia. Si, a Tripoli e per una buona parte della Libia libera siamo stati accompagnati da giovani funzionari del governo. Ma diversamente dagli embedded ontologici di Bengasi, dei quali solo qualche inviato britannico e statunitense ha la residua onestà di ammettere l’impossibilità di muoversi se non sotto il ferreo controllo degli sgherri del golpe, qui noi avevamo la libertà di recarci ovunque desideravamo, fermarci dove ci pareva opportuno, parlare con qualunque interlocutore scegliessimo per strada, nei mercati, nelle case, scuole, ospedali. In una conferenza stampa conclusiva, nell’Hotel Rixos, lussuoso usbergo della stampa estera, i quattro gatti residui della manipolazione mediatica britannica, berciato contro i dati da noi acquisiti e che ridicolizzavano gli stereotipi della propaganda colonialista, lanciavano alti lai contro chi ne impediva la libera circolazione. In guerra, con i bombardieri F-16 e i missili Tomahawk sulla testa e la quasi universale doppia qualifica di giornalisti e agenti dell’aggressione, questi tromboni di Murdoch e della BBC pretendevano di muoversi come fossero lì per un reportage sul futuro turistico del paese. Ricordo Belgrado sotto le bombe. La circolazione assolutamente libera consentitaci dall’ eccessivamente generoso “dittatore” Milosevic aveva messo sedicenti giornalisti e pacifisti in grado di comunicare ad Aviano quali fossero gli obiettivi più succulenti da colpire

Non c’è stato giorno in cui la “Coalizione dei volenterosi”, passata da “Alba dell’Odissea” a “Protettore Unificato”, non bombardasse Tripoli allo scopo di “salvare civili” dai massacri di Gheddafi. Soprattutto di notte, quando il nostro sonno, durissimo dopo giornate spremute allo spasimo per raggranellare fatti e verità, non ci faceva accorgere di nulla e i resoconti di chi aveva vegliato e quelli delle tv internazionali (tutte, anche le più nemiche e bugiarde) ci stupivano con gli elenchi delle distruzioni e dei civili salvati dagli eccidi di Gheddafi grazie al loro smembramento per mano Nato. La notte del rientro, quando i bollettini degli embedded asserivano una frontiera con la Tunisia in mano ai ribelli, mentre era tranquillamente presidiata da un popolo in armi, via dal paese mi accompagnavano gli spettri dei 7 civili appena trucidati dal “Protettore Unificato” nel sobborgo tripolino di Khellat Al Ferjan. Invocavano che, fuori, al mondo intorpidito dal rassicurante inganno umanitario, si dicesse che loro, almeno loro che avevano contezza delle loro ossa incenerite, erano stati salvati per il paradiso di Allah da un Rafale di Sarkozy. Erano donne e bambini.
Abbiamo incontrato il popolo libico. Studenti, donne, contadini, pastori, capitribù, operai, avvocati, magistrati, mercanti, ambulanti, ministri, portavoce governativi, un popolo di militanti della libertà. Per ogni dove, nei punti strategici di città e campagne, aggregazioni di volontari, giovani e meno giovani, spesso ragazze, tutti armati, concentrati in piccole tendopoli a presidio del territorio e a sfida di scudo umano. Al nostro passaggio, non preannunciato perché erratico a seconda delle nostre richieste, spontaneamente e con scatenata esuberanza si improvvisavano manifestazioni di determinazione alla resistenza, di vituperio per gli aggressori, di amore per Gheddafi e per la patria da lui costruita. 42 anni alla guida della Libia: scandalo antidemocratico! La dittatura borghese capitalista, quella che si innesta a partire dalla manipolazione delle menti fin da bambini, preferisce la propria continuità, altrochè quarantennale, espressa da un pensiero unico ma con facce diverse. Allah – Muammar – ua Libia- ua bas, lo slogan con cui una stragrande maggioranza di popolo, confermata tale anche dagli esiti militari, impegna la vita per i suoi tre valori costitutivi della Resistenza (“Dio, Gheddafi, Libia e basta”), è diventato la canzone d’amore di questo popolo, la colonna sonora di una tragedia che si è già trasformata in epica. “Tripoli, bel suol d’amore”, sottratta a camicie nere e ascari, oggi ha questo significato. Un amore che ride sui volti e vibra tra case, tende, scuole, deserto. Un amore che riesce a far volare la vita oltre la una domanda paralizzante che, nella sua infinita accoratezza, ci ha davvero sfregiato il cuore: “Perché ci fanno questo?” Al centro della domanda, l’Italia del baciamano, l’Italia delle colpe, l’Italia beneficiata. L’Italia i cui Tornado guidano i bombardieri sui beni e sui corpi dei figli dei 600mila massacrati da Graziani. L’Italia, i cui ratti di regime, con il pugnale del colpo alla spalla ancora sanguinante in mano, vanno a elemosinare petrolio e business ai gangster di Bengasi.

“Perche ce  lo fanno?” Ve lo fanno, fratelli libici, perché non vi siete lasciati globalizzare, perché all’élite di tagliagole che  tiranneggia il mondo e ne succhia il midollo non avete lasciato campo libero per depredarvi impunemente. Perché avete conversato e trattato con gli altri alle vostre condizioni, condizioni che non dovevano compromettere quello che per l’ONU era stato il più alto Indice di Sviluppo Umano del continente e il primato nel rispetto dei diritti umani: istruzione, sanità, casa, lavoro, anziani, maternità, infanzia, donne. Perché avete tenuto fuori dalle palle chi veniva con la pretesa di sostituire la dittatura dei consigli d’amministrazione alla vostra forma di democrazia socialista. Perché siete quelli che ai fratelli africani e di altre parti non garantivano CIE e affini, discriminazione, esclusione, razzismo, ma lavoro e dignità. A due milioni e mezzo su sei milioni di autoctoni. I quattro scalzacani felloni che si sono venduti alla schiavitù politica, economica, sociale e morale dell’imperialismo e che oggi “governano” a Bengasi, sono i transfughi della Cia, già spiaggiati a Washington e Londra da decenni per coltivare la presa della Libia da parte del “libero mercato”. E sono i due ex-ministri che oggi si fingono statisti del Consiglio di Transizione che, a partire dal 2005, entrarono in attrito con Gheddafi e si videro smantellare i progetti di libero mercato, liberalizzazione, privatizzazione, globalizzazione della miseria, fine dello Stato sociale, per i quali avevano lungamente brigato con governi e multinazionali. Un attrito che nel 2010 divenne scontro aperto tra la fazione “neoliberista” e i fedeli alla linea del socialismo come da Libro Verde.



Bab el Aziza, in piena capitale, era la casa di Gheddafi. Fu bombardata da Reagan nel 1986, 100 vittime innocenti, tra cui la piccola figlia adottiva del leader. Oggi è un rudere massiccio, con urlanti ancora tutti i segni della barbarie occidentale. Allora si doveva punire un paese che, guidato da chi ne aveva capeggiato rivoluzione, riscatto dal colonialismo italiano e dall’asservimento a Londra, inserimento nella comunità dei popoli sovrani e delle società giuste, si era costruito in nazione, riferimento, dopo Nasser e con algerini, iracheni, siriani e palestinesi, per il rinascente movimento per l’unità araba. Abbattuto Saddam, relativamente normalizzata l’Algeria, minata da tradimenti la resistenza palestinese, accerchiata la Siria, isolato, bombardato, squartato il Sudan, consolidate con  le armi e la repressione le oscene satrapie arabe vassalle, la Libia aveva volto lo sguardo al suo retroterra geografico e, già sostenitrice fattiva dei processi di liberazione nel sud del continente, con l’Unione Africana era diventata il motore del rifiuto alla nuova colonizzazione. Ma Bab el Aziza  è stata nuovamente bombardata, ridotto in macerie il nuovo edificio, colpiti i quartieri tutt’intorno. Se non fosse stato  per un grande uomo, Giovanni Martinelli, vescovo di Tripoli e vicario apostolico per la Libia, non avremmo saputo di neanche un morto dell’apocalisse scatenata sulla Libia, a partire dai 40 civili qui uccisi nell’Alba dell’Odissea.
Abbiamo visto e frequentato gli scudi umani di Bab el Aziza, quelli “comandati lì da Gheddafi”, quasi che l’uomo più amato della Libia avesse adottato il modello israeliano dei ragazzi legati ai carri armati in marcia su Gaza. Lo stesso transfert usato per attribuire a Gheddafi, forte della militanza di un intero popolo, quel mercenariato che è invece praticato, con i killer seriali della Blackwater, dagli esportatori di democrazia. In Libia non c’è bisogno di mercenari. Un popolo in armi fa sei mesi di servizio di leva, un mese all’anno di aggiornamento e addestra i suoi ragazzi e le sue giovani, fin dalle scuole, alla difesa della patria. C’erano anche questi nella grande spianata di Bab el Aziza, sotto le palme e tra i ruderi dei palazzi devastati. E c’erano coloro che erano venuti da lontano, dal deserto, con i loro tamburi, nelle loro tende da settimane, c’erano donne a migliaia, di ogni età, ragazze velate accanto ad adolescenti in blu jeans, la gente dei sobborghi, professionisti, studenti, nomadi delle cabile. A sfidare i serial killer del cielo notte dopo notte, un’immensa folla tumultuante, un grande palco per le canzoni di lotta e d’amore, per gli interventi e gli appelli, ogni tanto un’esplosione di slogan, foto di Muammar  innalzate da sorridenti matrone con i bimbetti in braccio. Dappertutto i concatenamenti in danze antiche. Devo riandare ai primi tempi della rivoluzione bolivariana, attorno a Hugo Chavez, per ritrovare un simile concentrato di forza, di positività, di entusiasmo, di determinazione, costi quel che costi. 

La rivelazione più clamorosa e inconfutabile delle criminali frodi inflitte all’opinione pubblica internazionale a giustificazione di colpo di Stato e aggressione Nato, l’abbiamo avuta nelle cittadine sul mare della periferia tripolina; Suk Jamal, Tajura, Fajlun. Qui, secondo i cialtroni dei media e i delinquenti della guerra, c’era stata la pistola fumante che rendeva inevitabile e improcrastinabile l’intervento umanitario a difesa dei civili sterminati da Gheddafi. Qui ci sarebbero state rivolte di massa, soppresse nel sangue dal “pazzo sanguinario”. Sono centri di decine di migliaia di abitanti, sfolgoranti di luci, fervide di attività, con spiagge sconfinate a orlare un mare incontaminato, miraggio di turisti che i villaggi turistici delle tirannie petrolifere rischiavano di perdere a favore di luoghi più raggiungibili, meno artificiali e inquinati dalla corruzione e dagli antiestetismi del vacanzierato occidentale. Con il plusvalore dell’accoglienza di genti autentiche, ospitali, incredibilmente cordiali e rispettose. Non è solo il petrolio e la porta all’Africa che ha solleticato il tradimento interventista dei fratelli monarchi del Golfo. Abbiamo percorso questi luoghi in lungo e in largo, a nostro piacimento, fermandoci presso chi volevamo, girando per i mercati della ricca agricoltura sviluppata nei decenni del recupero di acque sotterranee con acqua a tutti, entrando nelle case, ascoltando i racconti dei congiunti delle vittime, riprendendo le distruzioni di abitazioni.

 I responsabili con i loro mercenari
C’era la nonna in lacrime per la morte del nipote sedicenne che andava in moschea, c’era l’ambulante che riparava scarpe, il bancarellista delle melanzane, la signora con l’jiab, il dentista di ritorno dalla nottata a Bab el Aziz, l’omino del caffè in jalabiya, l’agricoltore la cui fattoria era stata devastata da missili e  da raffiche ad personam dal cielo, i capi delle tribù locali che, nella figura, nell’espressione, nelle vesti, ricordavano Omar al Mukhtar, l’eroe della trentennale resistenza antitaliana, impiccato per ordine di Mussolini. A Tajura, Fajlun, Suk Jamal non c’è mai stata rivolta, mai un solo colpo sparato dalle forze lealiste. Tutto inventato. Come le armi di distruzione di massa e l’eccidio dei curdi con i gas in Iraq, come la pulizia etnica, Sebrenica, le bombe al mercato di Sarajevo e la strage di Razac in Jugoslavia, come Osama in Afghanistan, come l’11 settembre di Al Qaida… Neanche un foro di pallottola a prova di uno scontro tra ribelli ed esercito, solo crateri e impatti dal cielo “no-fly”. Ci raccontavano in tanti come in quei giorni di metà marzo, quando nel mondo si blaterava di “Gheddafi che uccide il suo popolo a Tajura, Fajlun e Suk Jamal”, da ogni dove amici e parenti terrificati chiamavano per assicurarsi di una sopravvivenza che minacciava di annegare nella mattanza gheddafiana. E, stupefatti, gli veniva risposto che non era successo niente, che tutto era calmo. La stessa risposta non l’avrebbero più potuta dare allorchè, pochi giorni dopo, a salvarli dalla carneficina, giunsero dal cielo i primi 110 missili all’uranio, ormai divenuti migliaia con la media di 150 incursioni al giorno, e le raffiche dei 6000 colpi al minuto, tutti all’uranio, dai C-10 e C-130. Armi di distruzione di massa da far operare per secoli su popoli in eccesso. E se ci vanno di mezzo anche i mercenari di Bengasi, chissenefrega. Domani in Libia, come in Iraq, o Afghanistan, non ci saranno che gli scagnozzi spendibili dell’élite.
Nel profondo Sud, tra dune rosse e distese coltivate, a Beni Walid, ci accolgono i capi della più grande tribù libica, i Worfalla, schierata integralmente con il governo legittimo, come tutte le altre tranne qualche defezione in Cirenaica e di minoranze sparse. Superano il milione e mezzo, quasi un quinto della popolazione e si dicono pronti alla difesa all’ultimo sangue, fosse anche, come probabilmente sarà, in una guerra di lunga durata, Ne hanno la memoria, la coscienza e la determinazione, ereditate dai trent’anni di indomata lotta al colonizzatore giolittiano e mussoliniano e dalla rivolta contro il monarchico fantoccio insediato da Churchill, il cui erede ora, da Londra, conta sulla restaurazione vaticinata dalle bandiere “rivoluzionarie” dei rivoltosi. Il nostro pranzo e poi il confronto con gli anziani dei Worfalla richiama qualcosa tra lo sgranato repertorio dei cinegiornali Luce e la trasposizione cinematografica della vita e lotta di Omar al Mukhtar nel “Leone del deserto”. Sui cuscini lungo le pareti della grande aula magna dell’Istituto di Alta Tecnologia Elettronica, tutte armate di fucile le figure ieratiche di antichi beduini, dai volti come scolpiti nel legno dei loro ulivi, ci accolgono con la dignità dei forti e dei consapevoli, quella che non si separa dal calore e dall’affettività. Immaginiamo un raffronto con una parata di notabili alla Montecitorio.  Ed è ancora un racconto di  resistenza, di inimmaginabile e sofferto stupore per “l’amica Italia”, di non prevalebunt all’indirizzo degli avvoltoi che si affacciano sulla Libia e si vorrebbero lanciare sulle sue spoglie. Qualcuno, anziano, ricorda con affetto un maestro italiano dell’epoca coloniale. Lo fa per gentilezza, per attenuarci la vergogna che abbiamo espresso sui crimini del nostro paese. Un connazionale imbecille se ne fa forte per cianciare di colonialismo italico benefico, di “italiani brava gente”. Un terzo del popolo libico ucciso nei lager e con i gas lo mette a tacere.
Ci portano nella sede della locale squadra di calcio e sulle bocche saltellano i nomi di Baggio,Totti, Cassano, della Roma, della Juventus. Ci regalano le maglie della squadra, seconda in serie B. I giocatori si son fatti attivisti del soccorso ai profughi di Misurata, città martire dell’ostinazione colonialista degli intrusi e dei loro ausiliari locali. Di là dal mare non si parla che di civili sparati dai “miliziani” di Gheddafi. Ma non è da costoro che sono fuggite queste 400 famiglie di Misurata. Piuttosto dalle incessanti incursioni a casaccio sulla città e dai barbuti salafiti  che dagli umanitari giunti nel porto ricevono soccorsi sotto forma di lanciarazzi e mortai. Negli spogliatoi della squadra si accumulano i viveri e il vestiario portati ai profughi dagli abitanti della zona.
Scuole primarie, scuole superiori, scuole con ragazzi e con ragazze. Non perdono un’ora di lezione, neanche sotto la gragnuola di bombe, i grandi sono in divisa, hanno tutti fatto un corso di addestramento alla difesa, sanno tutti maneggiare armi leggere e pesanti. Curiosamente, in ogni scuola è una donna, anche abbastanza matura, che tiene questi corsi. Non ce n’è uno che non si dica pronto a difendere il paese. “Che scendano a terra e se la vedranno con tutto un popolo”. Lo sanno cosa li aspetta, quelli della neocostituita truppa d’invasione europea, Eufor, che si apprestano ad assicurare “corridoi umanitari” per l’occupazione militare e lo squartamento della Libia? La Russa ha pronto i tricolori da bara e il raglio da compianto per nuovi nostrani “difensori della pace” e “guardiani contro il terrorismo” che rientrano con i piedi avanti? All’uscita, nel tripudio delle scolaresche, nella loro foga giubilante, ma anche disperata, per convincerci della verità, saettano dalla canna dell’istruttrice raffiche di colpi. Tanti punti esclamativi al cielo.

Anche nell’incontro con il viceministro degli esteri, Khaled Khaim, con i medici dell’Ospedale, con competenti giornalisti dalla sapienza geopolitica e giuridica al paragone della quale tanti dei nostri fanno la figura dei peracottai, con i rappresentanti delle associazioni nazionali dei magistrati e degli avvocati, con il brillante  e popolarissimo portavoce ufficiale del governo, Mussa Ibrahim, il messaggio che ci viene chiesto di universalizzare è quello della pace, del dialogo, della conciliazione. Perchè non arriva ancora quella maledetta commissione d’indagine, dell’ONU o di qualsiasi gruppo di buona volontà, ad accertarsi di vittime vere e vittime false, di ragioni buone e di ragioni cattive e di cosa vuole la gente? Quella commissione che, sventrando la muraglia di bugie dei media, avesse la decenza giuridica primordiale di accertare fatti che si vorrebbero meritevoli di punizioni letali.  Di Gheddafi nella zona oscura del pianeta si riportano solo “le minacce”. Alcuni dei più potenti eserciti del mondo minacciano e poi attaccano un paese sovrano, facendosi scudo delle truculente quanto grottesche accuse di una banda di vendipatria prezzolati, ma sarebbe Gheddafi che ci minaccia, magari lasciando andare ai nostri sacri e incontaminati lidi coloro cui aveva dato lavoro e benessere e che dalla guerra Nato sono stati trasformati in animali da soma del libero mercato.  A Tajura abbiamo incontrato un capannello di migranti dai paesi sub sahariani. Non erano mai stati rinchiusi in lager, avevano perso il lavoro per la chiusura delle imprese nazionali ed estere, spesso cinesi, aspettavano un modo per fuggire alla guerra, chissà dove. Erano preoccupati e impauriti. Serpeggiavano tra la gente, riferivano, sentimenti diversi dalla cordialità e fraternità con cui erano stati accolti. Frutto dei traumi di chi si sente improvvisamente bandito, diffamato, osteggiato, isolato dal mondo e perfino dai governi di questi migranti, rimasti, quale impassibile, quale complice, davanti al manifesto progetto di distruggere un paese pacifico e libero.

Padre Giovanni Martinelli, vescovo di Tripoli, è stata l’unica voce, riportata con volume assai basso dai media falsi e bugiardi e solo perchè prete e cattolico e vicario del papa, che ci ha parlato delle stragi di civili per mano nostra, occidentale. Testa quadrata da contadino della montagna, occhi vispi e sorridenti, eloquio tutto fuorchè profetico, ma altrettanto appassionato, ci accoglie nel giardino della sua grande cattedrale, punteggiata da tanti San Francesco. Pochi giorni prima era successo un fatto senza precedenti: dal rappresentante della chiesa cattolica, vicario di un papa che se non aveva benedetto il crimine di guerra, neanche si era espresso in difesa della Libia, si erano recate decine di donne musulmane a chiedergli un intervento per la pace, a fidarsi di lui perché raccontasse al mondo una verità, un’afflizione, una speranza, che tutte venivano calpestate dai trombettieri dei “cani di guerra”. Martinelli ci conferma una volta di più che i conclamati massacri di Ghedddafi non c’erano mai stati, che giornalmente gli veniva dato conto degli sforzi dell’esercito di non coinvolgere civili nella battaglia e che proprio questo determinava ritardi e difficoltà nella riconquista dei centri occupati dai ribelli. I morti a Misurata erano 285 in oltre un mese di scontri, dei quali solo pochissime donne. In attacchi indiscriminati su centri abitati la media delle vittime donne è statisticamente il 50%.  Non avanzava cautele curiali, questo sacerdote innamorato del suo popolo, cristiano o islamico che fosse e da 40 anni al suo servizio, nel descriverci Gheddafi e la sua Libia. Un paese che non aveva accettato di sottomettersi, che si era impegnato per l’unità dei popoli, fuori da ogni manomissione e dominio esterni, che aveva garantito a tutti benessere, sicurezza, dignità e una capillare partecipazione ai processi decisionali. Gheddafi avrà potuto fare errori, magari attribuibili a un entourage non ben selezionato, ma nessuno poteva negargli il riconoscimento di aver cacciato reazione e reazionari, colonialisti e neocolonialisti e di essersi dedicato al suo popolo con una generosità e un’intelligenza che nella regione dei servi e proconsoli dell’imperialismo non ha il più lontano paragone. Come non ce l’ha, aggiungo, con proprio nessuno dei democratici capi-regime della “comunità internazionale”. E questo è quanto basta per sapere dove schierarsi.

L’Unione Sudafricana è intervenuta con una concreto e credibile piano di pace. Così hanno sollecitato fin dall’inizio i governi non contaminati dell’America Latina. Così hanno ribadito con la forza del loro peso economico e demografico, i BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Gheddafi ha proposto un cessate il fuoco supervisionato da osservatori internazionali, corridoi umanitari veri, elezioni per verificare la volontà del popolo. Voci, proposte, della razionalità, della giustizia, della pace, che non hanno neanche lambito le froge dei cavalli dell’apocalisse. La voce dell’altra parte è una non-voce. Anche per Rossana Rossanda. Hanno risposto insistendo sulla rimozione di Gheddafi, su un suo esilio là dove potrà più agevolmente raggiungerlo il solito sicario del Mossad.

Non si illudano i fautori della rinuncia di Gheddafi e del suo esilio. Un leader non può rinunciare quando è un popolo a chiedergli di restare. Ma, a parte questo, Gheddafi non è tipo da arrendersi, è un beduino, combatterà fino alla morte”. Con lui, la Libia, vedrete. Il piccolo prete dalla testa quadrata di contadino e dagli occhi sorridenti ha congedato un gruppo di visitatori in lacrime.   
Il resto più in là, soprattutto nel nuovo documentario
 “MALEDETTA  PRIMAVERA- Arabi tra rivoluzione e controrivoluzione”
 in uscita a fine maggio.

giovedì 14 aprile 2011

Ghibli

Vittorio Arrigoni, vittima della Gestapo

pubblicata da Fulvio Grimaldi il giorno venerdì 15 aprile 2011 alle ore 6.29
E' stato ucciso. Era mio amico, avevo avuto il privilegio di vivere con lui un pezzo della sua lunga, dolorosa, sanguinante e resistente Gaza. Era la voce di passione e coraggio che fondeva il castello delle menzogne mediatiche sull'inversione tra vittime e carnefici durante l'operazione nazi "Piombo Fuso". Aveva ripreso questa missione di verità con l'agenzia Guerrilla Radio che, quasi unica, dava conto a un mondo distratto, ignavo, autosoddisfatto, impegnato nella solita missione di rovesciamento della realtà in Libia e ovunque, della spaventosa escalation terrroristica dei nazisionisti a Gaza, prodromo di una nuova strage occultata sotto altre vicende dell'imperialismo imperversante nella regione. Era insostituibile e cruciale, uno scudo della Palestina. E gli israeliani lo sapevano e non lo potevano tollerare. Hanno sguinzagliato i loro terminali "estremisti islamici" e hanno chiuso una bella, valorosa vita. L'ottusità del morto vivente non gli fa capire che anche questo gli si ritorcerà conto, che Vittorio sarà un osso assai più duro nelle fauci del mostro, che gli farà saltare molti denti. Ci sia d'esempio.
Fulvio

Ciao ragazzi, ciao. Per un po’ non impesterò la vostra posta. Ma cercherò di leggervi. Poi vi racconterò…
Fulvio

Uno Stato totalitario davvero efficiente è quello in cui l’ultrapotente Esecutivo dei boss politici e dei loro battaglioni di manager controlla una popolazione di schiavi che non hanno bisogno di essere costretti, poiché amano la loro servitù. Il compito assegnato da questi Stati ai ministeri della propaganda, agli editori dei giornali, ai dirigenti scolastici, è di farsi amare da loro… Grande è la verità, ma, da un punto di vista pratico, più grande è il silenzio sulla verità. (Aldous Huxley, 1894-1963).

Devi emanciparti dalla schiavitù mentale. Solo noi stessi possiamo liberare le nostre menti. (Bob Marley)

Venite senatori e deputati / vi prego ascoltate l’invito / non state in mezzo al portone / non bloccate l’ingresso / perché chi verrà ferito / sarà colui che s’è fermato. / C’è una battaglia la fuori / e sta infuriando / presto farà vibrare le vostre finestre / e scuotere le vostre pareti / perché i tempi stanno cambiando. (Bob Dylan)

Yes, we can

Manifesto, che mi combini?
E’ sconsolante, deprimente, irritante, drammatico. Ho sotto gli occhi la prima pagina del “manifesto” di alcuni giorni fa. Un ossimoro, un’ oscenità. La foto di un bandierone dei nostalgici libici di monarchia e colonialismo, integralisti fanatici, voraci di prebende multinazionali, rinnegati e traditori degli africani, degli arabi, dell’umanità, della patria, della sovranità e libertà e tagliagole razzisti di lavoratori immigrati neri, mortaretti di carnevale sospinti da missili all’uranio Nato. E, sopra, mani ovviamente femminili con le dita a V. In vetta al simbolo di questa gente che invoca morte e distruzione di imperialisti sul proprio paese, il titolone: “Fermiamo le armi”. Paradosso? Ossimoro? O sciagurata doppiezza salva-capra e ammazza-cavoli del “quotidiano comunista” che, sotto questo logo, che si vorrebbe rivoluzionario, inalbera i vessilli e i gesti della controrivoluzione e della reazione vandeana, dell’invocazione del padrone-predone imperialista. Ma, a dispetto dei pochi redattori sopravvissuti alla scomparsa di Stefano Chiarini, e magari anche di Luigi Pintor, rimasti incastrati tra radical-choc, ginocrate saccenti e ignoranti, infiltrati delle lobbies ebraica e cattolica (questi impegnati allo spasimo a criminalizzare la Resistenza afghana, a esaltare i parassiti collaborazionisti e a ignorare, sotto le mentite spoglie della “ricostruzione” e della “sicurezza”, le atrocità e le carneficine biologiche, ambientali, morali, sociali e culturali dell’occupazione imperiale) e a dispetto anche delle sagge parole di alcuni valenti collaboratori in carenza di outlet nel mondo mediatico berlusconiano e paraberlusconiano, c’è una continuità a peggiorare in questo foglio. Se la cavano con qualche excursus moraleggiante, denunciano il regime (ma qui è più bravo Il Fatto Quotidiano), sbertucciano Marchionne e sostengono operai e precari. Poi precipitano negli esteri della spocchia eurocentrica, democraticistica, doppiopesista e s’infiammano per qualsiasi aggregazione che colmi una piazza, o se la prenda con un leader. Che si tratti si decerebrati e amici del giaguaro, o di masse per la rottura rivoluzionaria progressista e liberatrice. Qualunque massa sia, se ne abbevera il loro intiepidito sistema circolatorio. E se ne rafforza la benevolenza, che so, di un Geronzi.




Mi torna in mente un’analoga sbandierata dell’ottobre 2001, quando una prima pagina sghignazzante annunciava, su foto di teppisti: “Belgrado ride” (non meglio “Liberazione”: “La primavera di Belgrado”). La vidi con raccapriccio in rete, perché ero a Belgrado a godermi la risata di una teppaglia di plebi drogate da menzogne e di giovinastri fichi che, devastata Belgrado, le sedi dei sindacati e dei partiti e media di sinistra, picchiati chi ci si trovava, bruciavano le schede elettorali nel parlamento, per oscurare il fatto che Slobodan Milosevic era arrivato al ballottaggio. Ballottaggio che, rischiando di vincerlo lui e la Serbia devastata ma libera, non doveva svolgersi. Qualche giorno dopo il difensore della Jugoslavia, della Serbia, della multi- nazionalità, multiconfessionalità e del suo socialismo, quello che Casarini e Diliberto andavano chi demonizzando, chi bombardando su mandato Nato, fu arrestato e mandato a morte nel tribunale-postribolo dell’Aja. Quella per la quale si esaltava “il manifesto” era la risata da Barbablù, in questo caso l’Otpor foraggiato da Soros e dalla NED e tecnologizzato e istruito da generali Usa e Cia (anche per le future imprese in Georgia, Ucraina, Venezuela, Honduras, Libano, Kirghizistan…). Tutto questo lo si poteva capire benissimo solo poco dopo: il “dittatore” che era il più democratico e pluralistico governante d’Europa, la pulizia etnica soltanto dai serbi subita in Kosovo (con annessi furti di organi da serbi vivi), la manomorta delle multinazionali e di Marchionne su società e lavoro, la patacca di Sebrenica ripetutamente smascherata, la guerra Usa contro l’Europa, la guerra d’Europa contro se stessa, quella del Vaticano



per i fascisti croati, dei wahabiti sauditi e di Al Qaida (Cia) per la Bosnia islamista, dei tedeschi per i loro appetiti di egemonia l’avvio della guerra infinita Usa-Nato… Ma avete voi mai scorto un attimo di resipiscenza, di ravvedimento tra le duchesse e i baronetti del “quotidiano comunista”. La questione si fa vieppiù tragica per la circostanza che questo giornale, unico nel panorama dell’universale inganno che sia nato e stato da noi nutrito per separarsi dalle connivenze, compromissioni, collusioni con il quadro di potere in cui opera, si trascina appresso un sacco di gente, per dabbenaggine, pigrizia, delega, ignavia, comodità. Della miriade di monadi e nuclei di monadi che infestano il panorama organizzativo della sinistra, a volte gagliardamente e roboantemente comunista, ne ho contato appena tre espressioni documentali o comunicative che non fossero stile “manifesto”. Che dessero a Bengasi e alla “comunità internazionale” quello che è di Bengasi e della “comunità internazionale” e a Gheddafi e alla Libia quello che è di Gheddafi e della Libia. Invece no: abbasso, a petto in fuori, il tiranno sanguinario e abbasso, a petto in dentro, pure le bombe. Scivolano via, innocui alla guerra e perniciosi per giustizia e verità, intrisi di autocompiacimento per come si annidano bene nei “valori occidentali”, lungo la scia di sangue in cui i cavalieri dell’Apocalisse stritolano il pianeta. Stanno con i precari di qua, e con i precarizzatori di là. Acrobati.

Poliziotti siriani colpiti da cecchini


Siria e gli altri
In Bahrein e Yemen le rivolte di massa contro i despoti e i loro padrini continuano giorno dopo giorno ad essere annegati nel sangue da truppe mercenarie, a volte fantoccio, a volte saudite, a volte aeronautica e teste di cuoio occidentali. 400 arresti a Bahrein, torture, sparizioni, esecuzioni. Centinaia di falcidiati nello Yemen, studenti, tribali, contadini, patrioti, donne. In Siria il governo produce filmati e testimoni che dimostrano come unità di armati infiltrati sparino sia sulla folla, per produrre vittime da “intervento umanitario”, sia su agenti dell’ordine (due giorni fa uccisi 9), per scatenare una repressione incriminante. Si ripete la farsa “regime change” di Bengasi, Tehran, Kiev, Beirut, con le solite vivandiere della democrazia al traino. Nessuno dà voce a chi è legittimato, ma solo ai soliti gaglioffi mediatici che si abbronzano al sole della benevolenza carrieristica padronale. Né dà spazio alle sue immagini, ovviamente truccate, anche quando mostrano centinaia di dimostranti anti-governativi e milioni in piazza per Bashar el Assad. Il guaio è che costui non si è lasciato globalizzare, si difende da Israele, protegge i rifugiati palestinesi e ne sostiene la Resistenza, ospita un milione di iracheni (evidentemente infidi perché scappati alla democrazia di Al Maliki e dei trapanatori sciti), e impedisce a Israele di mangiarsi il Libano. Un vero “pazzo criminale”. Ah, ma che orrore quella legge emergenziale dal 1963! Già, ma vi siete mai trovati in una casa assediata per decenni da tutte le parti, con piromani che vi appiccano fuoco, che ne bloccano viveri e acqua, che ne strappano muri, che vi lanciano bombe, sanzioni, spie, killer Mossad e agenti provocatori vari, che corrompono a milionate e minacce alcuni vendipatria imboscati in soffitta? Avete mai provato a difendere la vostra famiglia in circostanze simili? Chiamano emergenza quelle dei campionati mondiali di nuoto. E questa cos’è? E parliamo noi che ci trasciniamo dietro e potenziamo e corrediamo di impunità in alto le leggi emergenziali dell’immarcescibile Oronzo Reale? Intanto la “coalizione dei volenterosi”, genocidi vittoriani e napoleonici in testa, sancisce la necessità, “disperatamente invocata dai rivoltosi”, di intensificare le azioni di forza contro le truppe di Gheddafi, per impedirne i “massacri”. Chiodo scaccia spillo. Massacrando sul serio. Anche perché così ne arrivano di meno, nel nostro paese di Bengodi. E dei citrulli.


Iraq, intervento umanitario?
In Iraq il governo dei carcerieri collusi-collisi Iran-Usa deve sostenere da metà febbraio, accanto a una formidabile ripresa della guerriglia patriottica che semina morte e distruzione nell’apparato proconsolare e torna anche a eliminare occupanti Usa, un’ondata oceanica di proteste popolari in tutto il paese, ferocemente represse dalle forze fantoccio del governo nazionale e dei capibanda curdi. Da Baghdad a Kirkuk, da Samarra a Sulmanieh, da Tikrit a Mosul e a Basra non c’è giorno senza azione guerrigliera contro caserme, pattuglie, stazioni di polizia, burocrati e palazzi di regime, rinnegati del famigerato e ormai svaporato Consiglio del Risveglio, messo su dagli Usa per minare la resistenza con il pretesto di proteggere i sunniti dai terminator agli ordini di Tehran. E non c’è venerdì da due mesi a questa parte che non veda decine di migliaia di persone chiedere luce, gas, pane, casa, servizi, acqua, addirittura scuole e biblioteche come ce li avevano, pur sotto embargo e bombe, con Saddam e come la democrazia arrivata sulle ali della liberazione glie l’ha negati, accaparrando ogni cosa per le multinazionali e per i locali papponi e prostitute. Hanno fatto fuori decine di manifestanti, rastrellano e torturano come insegnato da Negroponte, sono tornati a mettere bombe in moschee piene e mercati affollati (specialisti provati gli SAS britannici e il Mossad) per depistare nuovamente la collera sociale e nazionale in conflitto confessionale e cianciare di Al Qaida. Perfino Amnesty ha emesso qualche borborigmo. Da noi nessuno fiata, nessuno vede, nessuno sente l’urlo di 25 milioni di iracheni massacrati da vent’anni peggio dei palestinesi, nel loro paese raso al suolo insieme a passato, presente, futuro, ma che in questa apocalissi umanitaria occidentale, trova ancora la forza per una resistenza armata e di massa indomabili. Non se ne parla. Pare che questi sconsiderati brucino bandiere Usa e inneggino a Saddam.

Free Palestine. Free Libya no?
Riparte la flottigiia Free Palestine. Ed è un bene per Gaza e un merito per chi ci va. Non per tutti, perchè se ci si va da cerchiobottisti dei due pesi e delle due misure, non si fa che ipocrisia e danno. Le due associazioni che si occupano della parte italiana sono il Forum Palestina e l'International Solidarity Movement, ma molti dei partecipanti alle spedizioni non ci stanno più e criticano le due imprese sul piano politico e organizzativo. Personalmente ricordo la nostra prima entrata a Gaza, via terra, subito dopo Piombo Fuso, dal quale trassi il documentario "Araba Fenice il tuo nome è Gaza". C'erano quelli del Forum Palestina, arrivarono, passarono 24 ore e tornarono. Nel frattempo si erano fatti riprendere mentre consegnavano una somma all'ospedale del FPLP, e avevano evitato qualsiasi contatto con quelli di Hamas, pure espressione della maggioranza della popolazione e della Resistenza. Vagamente settario e divisorio. Una posizione simile nei confronti dell'Islam politico è anche quella dell'I.S.M e vi si può accompagnare anche un incongruo protagonismo dei personaggi in vista. Tutto questo si aggiunge a qualcosa di peggio. Entrambe le organizzazioni, annunciando trionfali spedizioni di pace (che Berlusconi si è affrettato a proibire), emettendo comunicati e allestendo assemblee di preparazione, nelle stesse occasioni spapagalleggiano le stesse identiche stronzate su Libia, "giovani rivoluzionari democratici" e il "dittatore Gheddafi. Si massaggiano una palla e si picconano l'altra. Lastricano la strada dell'inferno. E se qualche obnubilato o opportunistico palestinese è loro suggeritore ed emulo, ebbene vuol dire che anche tra i palestinesi c'è qualche stronzo, come quelli che dilagano nella "sinistra" italiana, sdrucida e sgangherata come quella.
Mi ero iscritto alla flottiglia. Mi hanno rifiutato. Ci avevano già provato l'altra volta. Meglio così: c'è sempre la spedizione di George Galloway, che certi micidiali entrismi doppiogiochisti non li fa.



Giovani Comunisti
Mi sono trovato ieri, in un circolo del PRC, a discutere con alcuni giovani compagni di Libia. E’ stata una gran bella sorpresa scoprire che almeno una dozzina di ragazzi pensanti non se l’erano bevuta, la mitologia tossica degli aggressori bulimici di farsi la Libia (La Costa d’Avorio i francesi se la sono rifatta ieri, con i mercenari Liocorne e dell’ONU, che hanno catturato il legittimo e antimperialista presidente Laurent Gbagbo e il loro fantoccio, Uttara, spedito dal FMI, gli farà fare la fine di Saddam.Il fatto è che questi giovani comunisti, diversamente dai loro fogli, spesso collaborazionisti, e dal loro ceto dirigente, facevano uno sforzo di analisi geopolitica e, soprattutto, erano mondi del cancro eurocentrico e colonialista. Su una cosa, però, dissento, perché ci ritrovo accenti retrò, anche insidiosi. Quando si dice che il grande movimento della pace va costruito inserendosi con cautela in uno schieramento eterogeneo, quello della “guerra è brutta, ma anche Gheddafi è brutto” (le criminogene e belluine teorie da salotto parigino di una Rossana Rossanda che, tanto per il “perseverare diabolico”, si abbatte zannuta su firme del “manifesto” non sufficientemente innamorate dei briganti monarchici e Nato di Bengasi). I Grandi Movimenti per la Pace sono stati sconfitti e ineffettivi soprattutto per questo cerchiobottismo. Cosa volete, che una mobilitazione abbia tenuta e crescita, quando, invocando una pace astratta e strepitando simultaneamente contro governi, regimi “dittature”, di cui non capisce il contesto storico e le ragioni d’essere, ma solo gli ipocriti stereotipi diffamatori eviscerate dalle dittature borghesi? A suo tempo non facevamo tanti distinguo,: si stava con Lumumba, Ben Bella, Ho Chi Minh, Fidel, Nasser, Arafat, Kenyatta, gli eritrei (oggi demonizzati a fini di conquista coloniale), Mugabe, perfino Peron. E non bastava una manifestazione annuale con cenci colorati. Le bandiere erano quelle dei fedayin combattenti e sventolavano nel tempo, con tenuta, in mille attività, pressioni, scontri, tanti da tirarsi dietro l’allora meno sclerotizzata sinistra. Si capiva che, o ci si schiera, o si fa fuffa: nessun nemico è più mortale per tutti dell’imperialismo. Sempre con chi lo combatte, sotto qualsiasi regime. Tanto ai dittatori nazisti, Pinochet, sionisti, ci pensa la “comunità internazionale” e, spesso, il Vaticano. E’ questo il messaggio che, contro tutti i venti, va soffiato nella gente. Per quante botte si possano prendere. Il Berlinguer buonanima, del “mi trovo meglio sotto la Natol”, peccato originale, va definitivamente sepolto.


La Intendance
L’Africom, nuovo comando Usa per la riconquista dell’Africa e annesse risorse fondamentali per le rapine capitaliste, sta operando alla grande. Sotto con la Libia, cappello del continente e modello di resistenza, di giustizia sociale, di volontà unificatrice, colpevole storicamente di aver sostenuto tutti i movimenti di liberazione, di aver combattuto contro l’Apartheid e per la liberazione di colonie africane come Namibia, Zimbabwe, Congo. Sotto con la Somalia che si era illusa di essersi liberata del colonialismo italiano, di essere sovrana, di poter cacciare a calci un tiranno ladrone infeudato agli Usa e ai rifiuti tossici italiani e ricostituirsi in attore libero e sovrano della comunità umana. Sotto con il nilotico Sudan, riottoso e ricco Stato arabo-africano, da spezzettare in più parti colonizzate tramite turbe manipolate e armi e soldi israeliano-euro-statunitensi-vaticani. Sotto, di fronte, con lo Yemen, sponda dell’irrinunciabile Mar Rosso e Oceano Indiano, dove alle folle inferocite contro il satrapo burattino dell’Occidente e giorno dopo giorno killer seriale dei suoi cittadini, si oppone l’invenzione di un’Al Qaida nella Penisola Arabica che possa solleticare l’intervento dei tremebondi sauditi e giustificare, anche lì, prima un po’ di missilli all’uranio e poi il corpo di spedizione umanitario con Kipling e Rossanda a seguire con l’intendance. Sapere, dunque, a cosa serve terrorizzarci o commuovere, o scandalizzarci, a seconda del destinatario, con le migrazioni bibliche? Comunque, aspettate di vedervi arrivare in casa qualche alluvione di libici che, da scuole, case, sanità gratuite e da lavoro decentemente retribuito, saranno umanitariamente passati alla nostra globalizzazione, ma, istruiti da Vespa, da Amici, da Bersani, dal Grande Fratello, crederanno che da noi ci sia “democrazia”. Chissà se si rallegreranno di essere passati dal “dittatore  pazzo sanguinario” al benefico “Pensiero Unico”.




Guitti mannari e guitti venerandi
Il guitto mannaro, totalmente sbroccato, confessa che pagava una collaudata prostituta (minorenne per l’anagrafe) perché non facesse la prostituta (se non con lui?), dato che era la nipote di Mubaraq, come l’armata corrotta di cortigiani e mafiosi in Parlamento conferma. A nessuno è passato per la mente che qualsiasi figuro, anche meno bislacco e arrapato, l’avrebbe indirizzata a suo zio per evitare che una sua progenie facesse marchette tra pervertiti, perlopiù cristiani. Indica come suo successore Torquemada che manda in discarica le vittime dei crimini economici e industriali dei suoi bonzi. Contemporaneamente il manichino Upim di Jago a Doha incita la canea di necrofagi “volenterosi” a ripetere contro la Libia il genocidio di Giolitti (“Governo della Malavita”), quello di Graziani ((regime fascista), con quello del Governo della criminalità organizzata. Alle bombe e ai missili all’uranio della Nato tirati addosso alla gente tutta, compresi gli spendibilissimi ascari e i mercenari dell’Eufor in arrivo (quanti italiani bruciati dall’uranio in Kosovo e Iraq?), che disintegrano per millenni (e la cui polvere radioattiva insegue migranti a Lampedusa e magari arriva ad Arcore), seguirà una globalizzazione a morire: privatizzazioni, liberalizzazioni, esclusione, miseria, depredazione,un fantoccio ladro e torturatore a fare da quisling e garantire il dominio coloniale con campi di sterminio (veri, non quelli inventati di Gheddafi, quelli di Graziani e Balbo). Lo Stato italiano attuale, costruito con le bombe di mafia degli anni ‘90 e anticipato dal terrorismo mafiodemocristiano degli anni ’60-’70, Stato fallito, se non nella struttura criminale (vedi Kosovo o Colombia o Messico), galleggia confortevole su una palude sociale che non sa né indignarsi, né odiare. Non sarebbe non-violento,  poco democratico, poco cattolico, poco radical-chic. Ma l’ancora di salvezza ce la lancia dal “manifesto” il solito Venerando Maestro, Alberto Asor Rosa, che collocati nel cesso gli insegnamenti di Marx, suggerisce: “La salvezza verrà solo dall’alto (intendendo il Capo dello Stato, QUESTO Capo delle Stato!)... stato di emergenza, carabinieri, polizia di Stato, congelamento delle Camere, sospensione delle immunità parlamentari, d’autorità nuove regole, risolvere per sempre il conflitto d’interessi… grazie anche al prevedibilissimo appoggio europeo“.Ragazzi, siamo salvi! Mo’ ci pensa il plurinquisito geneale Burno Ganzer, capo berlusconianamente dei Ros, agli ordini di un migliorista firmaiolo accanito di ogni turpitudine di coloro che d’autorità, con un golpe, dovrebbe rimuovere. Vittorio Emanuele del ’22 ne pare il modello. O Hindenburg nel 1933, nel disfacimento di Weimar. A’, Alberto, ma di che razza di spacciatore ti servi? Perché non dai un’occhiata a Piazza Tahrir, sia per vedere un po’ di masse spazza-tiranni, sia per constatare con chi stanno poliziotti e militari?


Le particelle radioattive di Fukushima esplosa, dove ci nascondono che i quattro nuclei sono fusi, il mare è avvelenato, e il livello di disastro nucleare è arrivato al massimo, 7°, quello di Cernobyl, ha colpito anche la costa occidentale degli Usa e quindi un po' per volta l'intero genere umano. Ai signori dell'atomo e del mondo gli porta solo un po' d'imbarazzo. Basta che la crisi petrolifera creata ad arte ci privi di benzina e di luce e vedremo come le folle correranno a votare per il nucleare. Tocca ricordargli che di quelle centrali l'uso più interessante per i mostri della guerra ai popoli e del genocidio strisciante è quello delle scorie che finiscono sotto forma di uranio letale addosso ai libici e a tutti coloro che non abbassano la testa.
********************************************************************************************************************
Qui sotto un edificante quadro di democrazia da esportare
Vivo a Milano 2, in un quartiere costruito dal Presidente del Consiglio. Lavoro a Milano in un’azienda di cui è principale azionista il Presidente del Consiglio. Anche l'assicurazione dell'auto con cui mi reco a lavoro è del Presidente del Consiglio, come del Presidente del Consiglio è l'assicurazione che gestisce la mia previdenza integrativa. Mi fermo tutte le mattine a comprare il giornale di cui è proprietario il Presidente del Consiglio. Quando devo andare in banca, vado in quella del Presidente del Consiglio. Al pomeriggio, quando esco dal lavoro, vado a far la spesa in un ipermercato del Presidente del Consiglio, dove compro prodotti realizzati da aziende partecipate dal Presidente del Consiglio. Alla sera, se decido di andare al cinema, vado in una sala del circuito di proprietà del Presidente del Consiglio, e guardo un film prodotto e distribuito da una società del Presidente del Consiglio: questi film godono anche di finanziamenti pubblici elargiti dal governo presieduto dal Presidente del Consiglio. Se invece la sera rimango a casa, spesso guardo la TV del Presidente del Consiglio, con decoder prodotto da società del Presidente del Consiglio, dove i film realizzati da società del Presidente del Consiglio sono continuamente interrotti da spot realizzati dall'agenzia pubblicitaria del Presidente del Consiglio. Seguo molto il calcio, e faccio il tifo per la squadra di cui il Presidente del Consiglio è proprietario. Quando non guardo la TV del Presidente del Consiglio guardo la RAI, i cui dirigenti sono stati nominati dai parlamentari che il Presidente del Consiglio ha fatto eleggere. Quando mi stufo navigo un po’ in internet, con provider del Presidente del Consiglio. Se però non ho proprio voglia di TV o di navigare in internet leggo un libro, la cui casa editrice è di proprietà del Presidente del Consiglio. Naturalmente, come in tutti i paesi democratici e liberali, anche in Italianistan è il Presidente del Consiglio che predispone le leggi che vengono approvate da un Parlamento dove molti dei deputati della maggioranza sono dipendenti ed avvocati del Presidente del Consiglio, che governa nel mio esclusivo interesse, per fortuna! PS.: Tutte le persone che ricevono la presente comunicazione hanno l'obbligo civile e morale di trasmetterla ad almeno altre cinque persone: non sia mai che qualcuno lo votasse di nuovo... Autore Anonimo
Publicado por: FERRO EMANUELA | 06/04/2011 8:01:56