sabato 28 maggio 2011

DALLA LIBIA CON AMOREFURORE

Tra Gheddafi e Mladic, l’onore di Tripoli, il disonore del “manifesto”



Torno da Tripoli, Libia, con nelle orecchie ancora lo schianto delle bombe che hanno incenerito, secondo la Nato, “otto navi da guerra di Gheddafi che sparavano sui civili di Misurata” che poi, quanto a quelle che ho visto esplodere e incenerirsi nel porto commerciale di Tripoli, erano due motoscafi della Guardia Costiera, fermi lì causa blocco navale Nato fin da quando li vedevo dal vicino albergo a metà aprile, e un cargo da trasporto pieno di rifornimenti per un popolo che si vuole gaza-izzare. Basta vedere le file chilometriche delle auto ai distributori di benzina, nel paese più ricco di petrolio di tutta l’Africa, per capire che paralisi e agonia tipo Gaza o Iraq è nei piani di chi dall’ONU era stato autorizzato soltanto a inibire voli e uccisione di civili. Le raffinerie erano già poche e ora sono in massima parte sotto controllo dei mercenari Nato di Bengasi. Si incomincia a non riuscire più a raggiungere la scuola, l’ospedale, il mercato, gli uffici, i parenti, il lavoro. E da fuori la grande armata Nato, che fa affogare i migranti in fuga dalla Libia perché l’aggressione gli ha fatto perdere lavoro, casa, scuola, sanità, dignità, blocca perfino la benzina per i trasporti privati (i mezzi armati corrono su nafta), come anche farmaci e soccorsi di ogni genere. Hanno imparato dall’assedio di Gerusalemme. Poi Goffredo da Buglione è entrato e ha ammazzato i morti di fame e di sete. Tutti.

E pensare che Gheddafi stava realizzando l’Ottava Meraviglia del Mondo, come la chiamavano i tecnici, pescando dal mare fossile sotterraneo di acqua dolce, con seimila chilometri di acquedotti a ragnatela su tutto il territorio, acqua d’irrigazione e potabile per sei milioni di libici e per mille anni. Già, sei milioni da decimare alla maniera di Graziani che, a forza di veleni nelle acque e iprite in testa, fece fuori un terzo della popolazione libica. Da decimare oggi quasi tutti, giacchè cinque milioni insistono a riconoscersi nel governo sovrano della Jamahiriya, repubblica popolare socialista delle masse, mentre solo un milione è sotto dominio dei tagliagole monarco-integralisti bengasiani che ogni due per tre, non avanzando di un metro causa deficienza di consenso popolare, invocano più bombe Nato sul proprio popolo. E di questo milione vai a sapere quanti di cuore e cervello e non per terrore da pogrom sostengono i vendipatria assoldati dai predatori planetari. Se è vero, come nessun organo d’informazione si è peritato di riportare, ma come abbiamo visto alla tv libica (voce da sopprimere), che a Bengasi è in corso una rivolta contro i “giovani rivoluzionari” del “manifesto” e che in tanti quartieri risventolano le bandiere verdi della libertà. Non è bastato, agli sgherri di Sarkozy e ai fantocci di Obama far fuggire 70mila persone dalla città, eliminare centinaia di famiglie che non condividevano una “rivoluzione” nel nome della Sharìa e di Bill Gates e sgozzare tutti i lavoratori neri incontrati per strada.



Viaggio verso casa e mi circondano gli spettri dei 19 morti ammazzati nel sonno la sera dopo il glorioso assalto alle barchette. “Colpito il compound di Gheddafi” con 15 incursioni in mezz’ora. Sarà. In quel caso hanno massacrato qualcuno delle migliaia di ragazzi, donne, patrioti, che ogni notte stanno lì a cantare e a sfidare nei luoghi-simbolo del loro leader, dove ovviamente non c’è più alcun bunker (quelli stanno tutti a Washington) e che è già stato sbriciolato ripetutamente, alla faccia di quegli impertinenti scudi umani. Ma, visto che il famoso compound, già bombardato dal pirata Reagan nel 1986, sta in mezzo alla città, magari hanno mirato proprio all’attraente agglomerato di case e di vite civili che lo circondano. Me lo fa immaginare, e nemmeno tanto a pene di segugio, quel palazzo polverizzato tra le cui macerie e disegni di bambini per terra e sugli alberi, tra le ultime mura sbrecciate ancora perpendicolari, avevo incontrato i resistenti Ali Mohamed Mansur, Nuri Ben Otman e Leila Salah Ashur. Il primo presidente del’Associazione di Amicizia Libia-Palestina, il secondo segretario dell’Associazione di Amicizia Italia-Libia (!), la terza presidente dell’Associazione delle Donne Libiche (“Con Gheddafi le donne di Libia sono diventate donne vere, da fantasmi che erano, sono diventate la componente di maggior peso della società”).

Già, quell’edificio, a due passi dal mio albergo, sulla passeggiata del lungoporto e in pieno nuovo quartiere residenziale, scaturito dal piano “650mila nuove case popolari” del governo Gheddafi, ora interrotto dalla missione umanitaria “protezione dei civili”, era frequentato da gente così. Era il palazzo che ospitava alcune delle organizzazioni che da noi si chiamano della “società civile”. Ovvio obiettivo per chi punta a “strutture militari e governative”. Bersaglio da privilegiare per quel gaglioffo britannico, comandante in capo, che annuncia “e ora diamoci dentro contro le infrastrutture di Gheddafi”. Quali infrastrutture più strategiche che dei bambini, magari orfani, magari down, magari disabili? C’erano quelli della Palestina (e si capisce l’accanimento della Nato, braccio armato anche di Sion), quelli delle amicizie con altri paesi (compresi i paesi che gli stanno infilando pugnalate nella schiena a protezione degli amici in zona che tagliano gole), quelle delle donne, quelli degli orfani, disabili e down da assistere e istruire. Ho una ripresa che fa la panoramica dall’insegna “Istituto per l’avanzamento dei bambini con sindrome down” al fondo del corridoio nel quale si rovesciano le macerie dei tetti sfondati e dal quale si intravvede il giardino dei giochi, ora frequentato da palme spezzate e ferraglia contorta. Civili da salvare. Sento dire: “I nostri bambini non sono più qui, si sono dispersi, chissà come faranno ora. Ma noi restiamo qui, tra mobili sfasciati e mura pericolanti, nelle polvere delle macerie. Siamo legati a questo posto, non diamo a nessuno la soddisfazione di lasciarlo, anche se ci scagliano altre bombe in testa. I bambini presto o tardi torneranno”. Così si parla dalla parte di Gheddafi.

Appunto, c’è società civile e società civile. Quella nostrana è melma collaborazionista, quella loro sono 2000 capitribù, in rappresentanza di tutte le tribù libiche, che a Tripoli hanno confermato la loro fedeltà al governo legittimo, smascherato l’ipocrisia dei salvatori di civili, denunciato gli ascari del nuovo colonialismo. Quella loro sono le migliaia di donne riunite in assemblea per respingere ricatti e divisioni, resistere in difesa del loro paese e delle conquiste realizzate, e che poi sono marciate sul fortino della sparuta stampa internazionale presente (stanno tutti a Bengasi), l’Hotel Rixos, per esigere che la si smetta con le menzogne, le falsità, gli occultamenti. Rintanati tra i cristalli e gli stucchi del loro dorato e ben protetto rifugio, i peripatetici dell’informazione a la carte colonialista, non hanno scritto un rigo o emesso un fiato. In testa alla marcia delle donne libiche un’intemerata italiana, Tiziana Gamannossi, unica imprenditrice che non si è fatta coniglio, o traffichina vorace alle porte di Bengasi. Uno straccetto di bandiera italiana da non sfregiare.



Qualcuno è sfuggito all’operazione “Civili da salvare” lanciata dalla risoluzione ONU 1973. Li incontro nel modernissimo ospedale “Al Khadra”, anch’esso in pieno centro: c’è un giovane con le gambe tagliate al ginocchio, la foto di Gheddafi sopra il letto e le dita degli arti residui levati a V; una bambina, Leila, di due anni, intubata e rotta dallo stomaco alla gola, un ragazzo in coma, più bende che pelle, attaccato a una macchina che fa bip-bip lentamente. E proprio allora un altro schianto, vicino, un altro ancora, corriamo sul balcone, filmo a mezzo chilometro, tra case e alberi una gigantesca nuvola di fumo nero. Altri missili a difesa dei civili. Accanto a me infermiere e pazienti, come sempre, inesorabilmente, sparano al cielo il grido della Libia: “Allah, Muammar, Libya u bas”. Dio, Muammar, Libia e nient’altro. Così è. Così sarà, che al “manifesto” dei “giovani rivoluzionari di Bengasi” piaccia o no.


Torno da Tripoli, dopo aver visitato alcune delle 70mila famiglie fuggite ai mercenari Nato e ora sistemate alla meglio nelle case degli operai stranieri fuggiti dopo la chiusura delle loro imprese. Ne hoincontrato uno, Nasser Ali Sajer Attagag, 29 anni, da Misurata, catturato il 18 marzo della forze lealiste del “Popolo in armi”. Dead man walking, è un morto che cammina, ce l’ho ancora in pancia con la sua faccia spenta e i suoi racconti dell’orrore, dei soldati libici sgozzati, tagliati a fette, appesi davanti al palazzo di giustizia, chiusi nel congelatore di una macelleria, delle famiglie pro-Gheddafi pestate a morte, delle loro figlie sequestrate, consegnate ai “giovani rivoluzionari”, violentate, i seni tagliati, morte dissanguate nel corso della “festa della rivoluzione. Ascolterete tutto, vedrete i documenti, nel prossimo documentario “Maledetta primavera – rivoluzioni, controrivoluzioni e guerre Nato nel mondo arabo”. Un omaggio particolare a Rossana Rossanda e affini.



Torno da Tripoli e, non potendo fare a meno di leggere di Fincantieri e oscenità berlusconiane, scivolo sulla pagina-vomito del “manifesto”, redatta tutta da Tommaso de Francesco, a celebrazione della cattura di Radko Mladic, con tanto di box dedicato all’escort di Clinton e parca manidiforbice di Milosevic e della Serbia, Carla del Ponte, magistrato integerrimo del Tribunale Nato dell’Aja. Mladic e ancora l’infame balla di Srebrenica, a dispetto di tutte le prove che la smentiscono, a dispetto delle migliaia di ricomparsi dei presunti 8mila trucidati. Un soffietto di questo presunto difensore della Serbia a coloro che l’hanno sbranata, un gradino della scala al patibolo (lo faranno morire in carcere come Milosevic, incapaci di provare alcunché) per colui che, a differenza dei fascisti croati e bosniaci, cari alla marmaglia democratica sinistra-destra occidentale, non sterminava per accaparrarsi terre e beni altrui, ma difendeva l’unica vera autodeterminazione dei popoli di tutta la vicenda jugoslava. Mancano la parole. Se non per dire che tout se tien, le brigate internazionali invocate da Rossanda a sostegno degli sgherri Nato bengasiani, gli orgasmi sulla vendetta colonialista contro i patrioti della Jugoslavia socialista e sovrana, Vendola, il Forum Palestina, l’intera cloaca finto-pacifista e finto-dirittoumanista e le grasse risate della cupola necrocrata sul capolavoro finale del nostro taffazzismo.
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Analisi degli avvenimenti di Srebrenica


di Ed Herman, professore universitario americano, (ZMAG- USA)


(Traduzione dal francese di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)


Srebrenica. L'episodio è divenuto il simbolo del male, particolarmente del male Serbo. Viene descritto come “un orrore senza pari nella storia di Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale”, che ha visto l’esecuzione a sangue freddo “di almeno 8.000 fra giovani e uomini adulti musulmani.” [1]


Gli avvenimenti si sono svolti all’interno, o nei dintorni della città bosniaca di Srebrenica, fra il 10 e il 19 luglio 1995, quando la città è stata occupata dall’esercito Serbo Bosniaco (ASB), dopo aver combattuto e ucciso un gran numero di musulmani Bosniaci, dei quali non si conosce quanti siano morti nel corso degli scontri e quanti siano stati giustiziati.


È fuori dubbio che ci siano state delle esecuzioni, e che molti musulmani Bosniaci siano morti durante l’evacuazione di Srebrenica e nelle fasi successive.


Ma veramente quello che viene raramente messo in discussione, il problema più importante, è di sapere quanti fra quelli siano stati giustiziati, essendo dato che molti dei corpi ritrovati nelle sepolture sul posto sono di vittime dei combattimenti, e che una gran parte dei musulmani Bosniaci che erano scappati dalla città sono arrivati senza intoppi in territorio bosniaco musulmano. Alcuni cadaveri riesumati sono perfino dei numerosi Serbi ammazzati nel corso di razzie effettuate dai musulmani Bosniaci, mentre se ne andavano da Srebrenica nel corso degli anni che hanno preceduto il luglio 1995.


Il massacro di Srebrenica ha giocato un ruolo particolare nella politica occidentale di ristrutturazione della ex Jugoslavia, e più in generale nelle politiche di intervento.


Il massacro ha suscitato un ritorno di interesse in concomitanza con la commemorazione del suo decimo anniversario nel luglio 2005.


Viene citato costantemente come prova del “male Serbo” e delle volontà genocide della Serbia.


È servito per giustificare la punizione dei Serbi e di Milosevic, e nel contempo la guerra del 1999 della NATO contro la Serbia.


Inoltre ha fornito un alibi morale per le future guerre occidentali di vendetta, di proiezione di potere e di “liberazione”, dimostrando che esiste un male che l'Occidente può e deve sradicare.


Comunque, esistono tre elementi che avrebbero dovuto sollevare dei pesanti interrogativi a proposito del massacro, a quell’epoca e ancor oggi, cosa che non è mai avvenuta.
Il primo è che il massacro ha soddisfatto molto opportunamente le necessità politiche del governo Clinton, dei musulmani Bosniaci e dei Croati.
Il secondo è che già in precedenza si era tenuto conto, prima di Srebrenica (e si è continuato a farlo anche in seguito), di una serie di pretese atrocità serbe, rivelate regolarmente nei momenti strategici in cui si preparava un intervento violento degli Stati Uniti e del blocco della NATO, e perciò vi era la necessità di un solido sostegno dell’opinione pubblica e di relazioni pubbliche, atrocità che in seguito venivano dimostrate essere mai avvenute.
Il terzo è che le prove di un tale massacro, di almeno 8.000 fra giovani e uomini adulti, sono sempre state per lo meno poco attendibili.




Convenienza politica
Gli avvenimenti di Srebrenica, e le rivelazioni di un enorme massacro, hanno aiutato notevolmente il governo Clinton, la dirigenza bosniaca musulmana e le autorità croate.


Clinton, nel 1995, era stato incalzato allo stesso tempo dai mezzi di informazione e da Bob Dole per una azione più energica in favore dei musulmani Bosniaci, [2] e il suo governo ricercava attivamente la giustificazione per una politica più aggressiva.


Le autorità Clintoniane si sono precipitate sulla scena di Srebrenica per confermare e rendere di pubblico dominio le affermazioni di un massacro, come più tardi, nel gennaio 1999, veniva fatto da William Walker. La pressante relazione presentata da Walker a Madeleine Albright l’aveva fatta esultare, tanto da esclamare: “La primavera è apparsa presto, quest’anno!” [3]


Srebrenica, in quell’estate del 1995, ha permesso all’autunno di “apparire prima” all’amministrazione Clinton!


I leaders Bosniaco-musulmani si erano battuti per anni per convincere le potenze della NATO di intervenire più energicamente in loro favore, e ci sono forti indicazioni che loro erano pronti non solo a mentire, ma anche a sacrificare i loro stessi concittadini e soldati per ottenere l’intervento (problemi trattati nella seconda parte).


Alcuni personaggi autorevoli musulmano-Bosniaci hanno dichiarato che il loro presidente, Alija Izetbegovic, aveva loro comunicato che Clinton aveva avvertito che l’intervento avrebbe avuto luogo solamente nel caso in cui i Serbi avessero ammazzato a Srebrenica più di 5.000 persone. [4] L'abbandono di Srebrenica da parte di una forza militare ben più consistente di quella degli attaccanti, e la ritirata che aveva reso vulnerabile questa forza superiore e che aveva comportato moltissime vittime in combattimento o nelle rese dei conti, avevano permesso di arrivare a quelle cifre che corrispondevano, più o meno, al criterio di Clinton.


Esistono le prove che la ritirata di Srebrenica non derivava da alcuna necessità militare, ma corrispondeva ad una decisione strategica, secondo la quale le perdite incorse erano un sacrificio obbligatorio in favore di una causa più importante. [5]


Le autorità Croate erano entusiaste di vedere che si svelava un massacro avvenuto a Srebrenica, poiché questo stornava l’attenzione dallo loro devastante pulizia etnica nella Bosnia occidentale, avvenuta ben prima, a spese dei Serbi e dei Musulmani di Bosnia, (pressoché completamente ignorata dai media Occidentali). [6] E questo avrebbe fornito una giustificazione per l’espulsione già pianificata di molte centinaia di migliaia di Serbi dalla regione della Krajina, in Croazia.
Questa operazione di pulizia etnica massiccia è stata condotta con l’approvazione degli Stati Uniti e il loro sostegno logistico, appena un mese dopo gli avvenimenti di Srebrenica, e ha probabilmente causato la morte di molti civili Serbi, che non avevano nulla a che vedere con le uccisioni di civili Bosniaci musulmani, avvenute in luglio nel settore di Srebrenica.


La maggior parte delle vittime musulmano-Bosniache erano combattenti, dato che i Serbi di Bosnia avevano messo al sicuro donne e bambini convogliandoli su autobus, cosa che i Croati non hanno fatto, ottenendo come risultato la morte di molte donne, bambini e vecchi, massacrati da loro nella Krajina.[7]
Il cinismo dei Croati era impressionante : “Le truppe delle Nazioni Unite hanno osservato con orrore i soldati Croati trascinare i cadaveri dei Serbi lungo la strada che fiancheggia il centro dell’ONU, imbottirli di pallottole di AK-47 e quindi schiacciarli sotto i cingoli di un carro armato.” [8] Ma di questo non si è fatta attenzione, vista l’esplosione di indignazione e di propaganda in seguito a Srebrenica, grazie ai grandi mezzi di informazione, il cui ruolo bellicista giocato durante le guerre Balcaniche era già solidamente collaudato. [9]
Anche il Tribunale Penale Internazionale per la Jugoslavia (TPIY) e le Nazioni Unite hanno giocato un ruolo importante nel consolidamento della narrazione standard del massacro di Srebrenica.


Dopo il suo esordio, il TPI è stato il braccio giuridico delle potenze della NATO che lo hanno creato, finanziato, utilizzato come strumento di polizia e di informazione, e di cui in contraccambio hanno beneficiato dei servigi che si aspettavano.[10]
Il TPI si è concentrato intensamente su Srebrenica e ha raccolto sedicenti conferme importanti, indipendenti dalla realtà del massacro, accompagnate da affermazioni di “genocidio” pianificato “utilizzabili in ambito giudiziario”.


Le Nazioni Unite non sono di meno coinvolte nelle esigenze delle potenze della NATO, ma anzi hanno fatto loro eco e, nella questione di Srebrenica, hanno assunto le posizioni pretese dagli Stati Uniti e dai loro alleati.[11]


L'interesse politico del massacro di Srebrenica non prova naturalmente che la narrazione dei fatti da parte dell’establishment sia erronea. Ma implica la necessità di essere prudenti e di diffidare delle falsificazioni e delle affermazioni esagerate. Questa vigilanza ha completamente fatto difetto nei resoconti sui fatti di Srebrenica diffusi dai mezzi di informazione.




Le menzogne senza tregua prima e dopo Srebrenica
Ad ogni tappa dello smantellamento della Jugoslavia e della sua pulizia etnica, come prima e durante la guerra della NATO per la provincia serba del Kosovo nel 1999, le menzogne propagandistiche hanno giocato un ruolo molto importante nel sostenere il conflitto e la giustificazione degli interventi antiserbi. Ci sono state menzogne per omissione e menzogne che hanno propagato informazioni ed impressioni false.


Una delle più gravi menzogne per omissione è stata la presentazione sistematica di comportamenti criminali come una specificità serba, senza aggiungere che questi comportamenti erano caratteristici anche dei Musulmani e dei Croati, per non parlare del complesso del conflitto.


Caso dopo caso, i media hanno descritto le aggressioni e le atrocità serbe, senza menzionare gli attacchi preliminari lanciati contro i Serbi nelle medesime città, quindi facendo passare le risposte dei Serbi come azioni non provocate di aggressione e di barbarie. Questo è risultato evidente fin dall’inizio degli scontri importanti del 1991 nella Repubblica di Croazia. Ad esempio, nella loro copertura degli avvenimenti nella città di Vukovar, in Croazia orientale, i media (e il TPI) hanno insistito esclusivamente sulla presa della città, avvenuta nell’autunno del 1991 da parte dell’esercito federale jugoslavo, ignorando completamente il massacro di Serbi che vivevano in quella zona compiuto nella primavera e nell’estate precedenti da parte delle truppe della Guardia Nazionale croata e di paramilitari.


Secondo Raymond K. Kent, “una parte considerevole della popolazione serba dell’importante città slavona di Vukovar è scomparsa, senza essere fuggita, e sono rimasti segnali di torture nelle vecchie catacombe austriache sotto la città, e ci sono prove di violenze e di assassini. I media occidentali, già fortemente impegnati nella demonizzazione dei Serbi, hanno scelto di ignorare questi fatti.” [12] Questo approccio tendenzioso e ingannevole è stata la pratica abituale dei grandi media e del TPI.
Altre menzogne per omissione sono state evidenti nell’aver messo in primo piano i campi di prigionia Serbo-bosniaci come quello di Omarska, descritti nei dettagli e con tanta indignazione, senza tenere conto del fatto che i Musulmani e i Croati avevano dei campi similari a Celebici, Tarcin, Livno, Bradina, Odzak e il campo Zetra di Sarajevo, fra gli altri, [13] con un numero di prigionieri e di installazioni del tutto confrontabili, ed un trattamento peggiore dei prigionieri. [14] Ma, a differenza dei Serbi, i Musulmani e i Croati hanno fatto ricorso ad agenzie competenti in relazioni pubbliche e si sono rifiutati di lasciare ispezionare le loro installazioni, e l’edificio di parzialità eretto ha fatto in modo che i media si interessassero solamente dei campi serbi. Folli affermazioni sulle condizioni di detenzione, tipo Auschwitz, nei “campi di concentramento” serbi sono state riprese dai giornalisti in servizi che hanno avvallato la propaganda diffusa dalle autorità musulmane e croate e dai loro incaricati in relazioni pubbliche.


Roy Gutman, che ha ricevuto il premio Pulitzer con John Burns per i suoi reportages sulla Bosnia nel 1993, si affidava quasi unicamente alle autorità musulmane e croate, a testimoni di dubbia credibilità e ad affermazioni inverosimili, ed è stato una fonte importante dello straordinario lavaggio dei cervelli, tendenzioso e menzognero, sui “campi di concentramento”. [15]


Il premio Pulitzer per John Burns si basava su una lunga intervista a Boris Herak, un prigioniero Serbo bosniaco, che era stato messo a disposizione sua, e di un cineasta finanziato da Soros, dai Musulmani di Bosnia. Qualche anno più tardi, Herak denunciava pubblicamente che era stato costretto a fornire la sua confessione altamente inverosimile e che aveva dovuto imparare a memoria pagine e pagine di menzogne. Proprio due delle sue presunte vittime sono risultate più tardi viventi.


Però, nel reportage su Herak, John Burns e il New York Times, (come pure il film finanziato da Soros), hanno trascurato di citare un particolare che sarebbe stato la rovina della loro credibilità : infatti, Herak accusava anche l’ex comandante dell’UNPROFOR, il generale canadese Lewis MacKenzie, di avere violentato una giovane musulmana in un bordello serbo. [16]


Questi due scandalosi premi Pulitzer sono la testimonianza della parzialità mediatica che regnava nel 1992-93.
In un recente attacco di curiosità, nel corso di una visita a Izetbegovic morente, Bernard Kouchner ha interrogato l’ex Capo di Stato della Bosnia sui campi di concentramento serbo-bosniaci. Izetbegovic gli ha reso la sorprendente confessione che l’informazione su questi campi era stata distorta allo scopo di ottenere dalla NATO il bombardamento contro i Serbi. [17] Questa confessione importante non ha avuto mai alcuna menzione da parte dei media americani o inglesi.


Una delle più spettacolari menzogne degli anni Novanta è stata quella riguardante il campo serbo di Trnopolje, visitato da giornalisti britannici della ITN nell’agosto 1992. Questi giornalisti hanno fotografato un certo Fikret Alic, mostrandolo emaciato e apparentemente rinchiuso dietro lo sbarramento di un campo di concentramento. In realtà, Fikret Alic si trovava in un campo di transito, era malato di tubercolosi ben prima di arrivare al campo, non rappresentava in alcun modo gli altri residenti del campo, e partiva poco tempo dopo per la Svezia. Inoltre, lo sbarramento circondava i fotografi, non venivano impediti i movimenti al fotografato. [18]


Ma questa foto particolarmente disonesta, che ha fatto il giro per tutto l’Occidente come prova dell’esistenza di un Auschwitz serbo, è stata accolta come prova di accusa dalle autorità della NATO, e ha fornito il fondamento per la creazione del TPI e della sua missione di combattere contro la malvagità dei Serbi.
Nel caso dell’assedio di Sarajevo, come nel caso dei conflitti intorno alle città “protette”, il governo musulmano bosniaco si è impegnato in un regolare programma di provocazioni contro i Serbi, condannandoli per le loro reazioni, mentendo sul numero delle vittime e cercando solitamente con successo di far addossare tutte le responsabilità sui Serbi.
Come ha dichiarato Tim Fenton : “Le asserzioni di massacri di musulmani Bosniaci seguivano subitamente come la notte segue il giorno : il più eloquente era il Primo Ministro musulmano Haris Silajdzic che affermava che le Nazioni Unite erano responsabili della morte di 70.000 persone a Bihac all’inizio del 1995, quando in quella zona non si avevano avuti praticamente combattimenti e il numero delle vittime era stato molto poco elevato.” [19]


Una rimarchevole caratteristica dello sforzo dei musulmani Bosniaci per demonizzare i Serbi, in vista di ottenere che la NATO corresse in loro soccorso con i bombardamenti, è stata la loro propensione ad ammazzare i loro stessi concittadini. L'esempio più eclatante è stato il bombardamento di civili di Sarajevo nel corso di tre massacri : nel 1992, il “massacro della panetteria”; nel 1994, il “massacro del mercato” di Markalé ; e nel 1995, il secondo “massacro del mercato”. Secondo la versione ufficiale, erano stati i Serbi i responsabili di queste atrocità, e bisogna ammettere che è difficile credere che le autorità musulmane abbiano trucidato il loro stesso popolo per ottenere un vantaggio politico, anche se i fatti sono tutti convergenti in questa direzione. Ma questi massacri sono stati l’oggetto di un “timing”, di una coordinazione temporale messa in atto per influenzare la decisione imminente degli Stati Uniti e della NATO per un intervento in favore dei musulmani Bosniaci.


Per altro, numerose autorità dell’ONU e comandanti militari occidentali hanno affermato che esistono forti presunzioni del fatto che i tre massacri siano stati pianificati e messi in esecuzione dai musulmani Bosniaci.[20] L'ufficiale dell’esercito USA John F. Sray, che si trovava sul posto in Bosnia al tempo di questi massacri e dirigeva la sezione dei servizi informativi americani a Sarajevo, ha fatto le stesse considerazioni, che gli incidenti, e la probabile implicazione delle autorità musulmano-Bosniache, “meritano un’inchiesta approfondita del Tribunale Penale Internazionale”. [21] Inutile dire che non è stato dato corso a nessuna inchiesta.


In una parola, l’analisi di questi tre massacri non fa riferimento alla teoria del complotto, ma trae la giusta conclusione, fondata su molteplici e attendibili constatazioni, alla quale nello stesso modo non si fa richiamo nei resoconti tendenziosi della storia recente dei Balcani. [22]


Tornando al caso di Srebrenica, prima e dopo, la manipolazione delle cifre è stata una pratica corrente, che ha contribuito a sostenere il resoconto dei fatti dominante.


Per la Bosnia, nel dicembre 1992, il governo musulmano Bosniaco ha tenuto conto di 128.444 morti militari e civili, un numero che è salito a 200.000 nel giugno 1993, poi a 250.000 nel 1994. [23] Queste cifre sono state fagocitate senza batter ciglio dai politici occidentali, dai media e dagli intellettuali che esaltano la guerra, con Clinton stesso che citava il numero di 250.000 in un discorso del novembre 1995.


L'ex-responsabile del Dipartimento di Stato George Kenney ha fatto spesso riferimento a queste cifre, e si è meravigliato di constatare la credulità con cui i media le hanno accettate, senza la minima velleità di verificarle. La sua valutazione si è situata fra i 25.000 e i 60.000. [24]


Più di recente, uno studio patrocinato dal governo Norvegese ha fatto una valutazione di 80.000 morti, e una inchiesta del TPI stesso ha concluso su 102.000 vittime. [25] Ne’ l'uno ne’ l'altro di questi risultati è stato presentato dai mezzi di informazione USA, che avevano regolarmente infarcito i loro documenti con cifre all’ingrosso.
Una inflazione paragonabile è avvenuta nel 1999, durante i 78 giorni del bombardamento della NATO, con autorità americane di alto grado a fare menzione, in momenti diversi, di 100.000, 250.000 e 500.000 Albanesi del Kosovo trucidati da parte dei Serbi, ed utilizzare a sproposito il termine “genocidio” per descrivere le operazioni serbe in Kosovo. [26] A poco a poco, queste cifre sono state ricondotte a 11.000, e si sono fermate a questo livello, sebbene non siano stati trovati che 4.000 corpi nel corso di una delle più intense indagini condotte con metodi scientifici della storia, e che un numero imprecisato di questi corpi appartenevano a combattenti, a Serbi, o alle vittime dei bombardamenti americani.
Ma deve essere accettata come esatta la cifra di 11.000 morti, in quanto i membri della NATO e il TPI l'hanno dichiarata tale, e Michel Ignatieff ha dato assicurazioni ai lettori del New York Times che “la scoperta di questi 11.334 cadaveri dipendeva dal fatto che l’esercito e la polizia della Serbia li avessero o no rimossi.” [27]
Questo récital di sistematica disinformazione non prova necessariamente la falsità della versione ufficiale del massacro di Srebrenica. Ma richiama alla mente la necessità di esaminare con più attenzione le asserzioni, che tanto si sono dimostrate convenienti, un esame che i mezzi di informazione di massa si sono sempre rifiutati di fare.




Le affermazioni molto dubbie sul massacro
Al momento degli avvenimenti di Srebrenica del luglio 1995, lo scenario era stato ben collocato in modo tale che le affermazioni sul massacro sembrassero credibili.


Praticamente nessuno aveva smentito l’incessante serie di menzogne dei media, i processi di demonizzazione e di manicheismo “bene-contro-male” erano stati ottimamente collaudati, il TPI e i dirigenti dell’ONU osservavano alla lettera il programma degli USA e dei loro alleati, e i media seguivano pedissequamente le orme del loro bellicismo. Pertanto, sarebbe stato facile svelare le incrinature del contesto.
Un primo elemento del contesto avrebbe potuto essere quello di “zona protetta”, non altro che una frode : si supponeva che queste zone fossero disarmate. Ora non era vero nulla, e con la connivenza dell’ONU. [28] I musulmani Bosniaci le utilizzavano, a Srebrenica e altrove, come trampolini di lancio di attacchi contro i villaggi serbi dei dintorni. Nel corso dei tre anni che hanno preceduto il massacro, più di 1.000 civili Serbi sono stati ammazzati dalle forze musulmane in un gran numero di villaggi devastati. [29] Ben prima del luglio 1995, il comandante musulmano di Srebrenica Naser Oric aveva fatto vedere con fierezza ad alcuni giornalisti occidentali dei video che mostravano alcune delle sue vittime decapitate, e si vantava di questi assassini. [30]
Testimoniando davanti al TPI, il 12 febbraio 2004, il comandante militare delle Nazioni Unite in Bosnia nel 1992-93, il generale Philippe Morillon, ha ribadito la sua convinzione che l’attacco a Srebrenica era stato una “reazione diretta” ai massacri dei Serbi compiuti da Naser Oric e dalle sue forze nel 1992-93, massacri di cui Morillon era perfettamente a conoscenza. [31]


La testimonianza di Morillon non è stata di alcun interesse per i media occidentali, e quando il 28 marzo 2003 il TPI si è finalmente deciso a mettere sotto accusa Naser Oric, probabilmente per costruirsi una immagine di imparzialità giuridica, quest’ultimo è stato imputato per l’assassinio di soli sette Serbi che erano stati torturati e picchiati a morte dopo la loro cattura, e di avere distrutto alcuni villaggi della zona circostante presi a casaccio. Benché si fosse vantato apertamente con i giornalisti occidentali di avere massacrato dei civili Serbi, il TPI “non ha riscontrato alcuna prova di vittime civili durante gli attacchi a villaggi serbi nel suo teatro di operazioni”. [32]


Quando i Serbi di Bosnia si sono impadroniti di Srebrenica nel luglio 1995, veniva riferito che il 28.esimo reggimento dell’Esercito Musulmano Bosniaco (AMB), costituito da parecchie migliaia di uomini, se ne era già andato dalla città. [33] I media non si sono proprio domandati come una forza tanto importante potesse trovarsi in una “zona protetta” disarmata. Inoltre, avendo ignorato le angherie perpetrate in precedenza, promosse a partire dalla zona protetta, i media potevano adottare la versione ufficiale di un “genocidio” di una indicibile crudeltà, piuttosto che quella di una ritorsione, che i media hanno comunque ammesso per giustificare in parte la violenza esercitata dalle “vittime che vanno loro a genio” (come quella degli Albanesi che danno luogo ad espulsioni e ad uccisioni dei Serbi e dei Rom, dopo l’occupazione del Kosovo da parte della NATO).
Un secondo elemento del contesto è stata la possibile ragione politica della evacuazione di Srebrenica da parte di una forza in buona posizione difensiva, superiore numericamente all’attaccante Esercito Serbo Bosniaco (ASB), nel rapporto di sei o forse otto contro uno, ma che batteva in ritirata prima dell’assalto, e prima di tutto venivano ritirati i suoi comandanti da parte del governo musulmano Bosniaco. [34] Questa ritirata ha lasciato la popolazione senza protezione, e ha reso i quadri dell’Esercito AMB vulnerabili nel momento in cui si ritiravano in disordine verso le linee musulmano-Bosniache. Si trattava di una nuova manovra di auto-sacrificio da parte dei leaders in vista di produrre delle vittime, poteva essere per raggiungere l’obiettivo dei 5.000 morti fissato da Clinton, e indurre così la NATO ad un intervento più energico? I media non si sono mai posti questo interrogativo.


Gli avvenimenti di Srebrenica presentano sicuramente degli aspetti che rendono “plausibile” la versione della esecuzione di 8.000 fra “uomini adulti e giovani”. Fra questi aspetti vi è la confusione e l’incertezza rispetto alla sorte dei soldati musulmano-Bosniaci in fuga, alcuni erano riusciti a raggiungere Tuzla sani e salvi, altri erano finiti uccisi nei combattimenti, altri ancora erano stati fatti prigionieri. La cifra pari a 8.000 è stata fornita di primo acchito dalla Croce Rossa, basata su una rozza valutazione che l’ASB aveva catturato 3.000 uomini e che 5.000 dovevano essere considerati “scomparsi”. [35] È stato ben dimostrato che migliaia di “scomparsi” sono arrivati a Tuzla sani e salvi, o sono stati uccisi in combattimento. [36] Ma in una straordinaria trasformazione che testimonia dell’ardore di situare tutto il male dalla parte dei Serbi e di fare dei Musulmani delle vittime, per i mancanti all’appello sono state ignorate le categorie “arrivati sani e salvi” o “morti in combattimento”, e tutti i dispersi sono stati considerati come giustiziati!
Questa ingannevole conclusione è stata rinforzata dalla Croce Rossa, quando, facendo riferimento ai 5.000, li definisce come “semplicemente scomparsi”, non ha corretto questa qualificazione politicamente tendenziosa e non ha mai sottolineato, quantunque l’avesse riconosciuto, che “molte migliaia” di rifugiati erano arrivati nella Bosnia centrale. [37] Questa qualificazione ha ricevuto rinforzo anche dal rifiuto delle autorità musulmano-Bosniache di fornire i nominativi e il numero delle persone che si erano salvate senza intoppi. [38] Ma, nell’establishment occidentale esisteva una spiccata propensione non solo a non tenere conto di questi che erano giunti a buon porto, ma di ignorare perfino i morti in combattimento e a considerare tutti i cadaveri come vittime di esecuzioni.
In questo caso, la fede cieca è senza limiti : il reporter David Rohde ha visto un osso emergere da un sito di tombe nei pressi di Srebrenica, e ha saputo d’istinto che si trattava delle vestigia di una esecuzione e la prova effettiva di un “massacro”. [39]


La pratica corrente dei media è stata quella di passare dalla constatazione riconosciuta di migliaia di scomparsi, o dalla notizia di una esumazione di corpi in un sito, alla conclusione che così veniva dimostrata l’esecuzione di 8.000 persone. [40]


Con 8.000 esecuzioni e alcune migliaia di caduti in combattimento, si avrebbero dovuti trovare enormi siti di seppellimenti, e si sarebbero dovute accumulare tramite satellite le prove delle esecuzioni, dei seppellimenti ed eventualmente delle rimozioni dei corpi. Ma le ricerche nel settore di Srebrenica hanno avuto riscontri “dolorosamente deludenti”, con la scoperta, per tutto l’anno 1999, di soli 2.000 corpi, compresi quelli dei morti in battaglia e anche di Serbi, alcuni morti già prima del luglio 1995.


La scarsità di questi risultati ha condotto all’idea che i corpi fossero stati rimossi e riportati in altri luoghi, ma era un’idea difficilmente convincente, visto che dopo il luglio 1995 i Serbi erano stati sottoposti ad un’intensa pressione militare. Era il periodo in cui la NATO bombardava le posizioni serbe e gli eserciti musulmano e croato sviluppavano un’offensiva in direzione di Banja Luka. L'ASB era sulla difensiva ed era carente in modo preoccupante di equipaggiamenti e di rifornimenti, compreso il carburante. Mettere in piedi un’operazione di tali dimensioni di esumazioni, del trasporto e della risepoltura di migliaia di cadaveri sorpassava di molto i mezzi che l’esercito Serbo Bosniaco disponeva a quell’epoca. Di più, mettendo in esecuzione un programma di tale ampiezza, non potevano sperare di passare inosservati da parte del personale dell’OCSE, dei civili locali e delle osservazioni da satellite.


Il 10 ottobre 1995, ad una sessione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza, Madeleine Albright ha mostrato delle foto satellitari, come parti di un dossier accusatorio dei Serbi in Bosnia. Una di queste foto mostrava delle persone, indicate come musulmani di Bosnia delle vicinanze di Srebrenica, radunate in uno stadio, ed un’altra, presumibilmente scattata poco dopo, che mostrava un campo nei pressi, con il terreno “rivoltato”. Queste foto non sono mai state rese pubbliche, ma anche se fossero state autentiche, non avrebbero potuto costituire una prova, ne’ di esecuzioni, ne’ di seppellimenti. Inoltre, benché il TPI assumesse come reale il “tentativo organizzato e globale” di dissimulare i cadaveri, e che David Rohde parlasse di un “gigantesco sforzo da parte dei Serbi di nascondere i corpi”, [41] ne’ la Albright, ne’ chiunque altro hanno mai mostrato uno straccio di foto satellitare di esecuzioni di persone, di seppellimenti o di dissotterramenti per spostare i cadaveri, o di camions che trasportassero da altre parti migliaia di cadaveri. Ossia, una mancanza flagrante di documentazione, malgrado gli avvertimenti di Madeleine Albright ai Serbi : “Noi vi terremo d’occhio !”, e malgrado che a quel tempo, durante l’estate 1995, i satelliti facessero almeno otto passaggi quotidiani e che i droni geostazionari potessero piazzarsi sopra la Bosnia e prendere fotografie ad alta definizione. [42] I grandi mezzi di comunicazione hanno considerato che queste lacune non interessavano per nulla.
Un gran numero di corpi erano stati ammassati a Tuzla, qualcosa come 7.500 cadaveri o più, molti in pessimo stato o a pezzi, la loro raccolta e la loro manipolazione incompatibili con le norme scientifiche professionali, la loro origine incerta, i loro legami con gli avvenimenti del luglio 1995 a Srebrenica lontani dall’essere provati e persino improbabili, [43] e la causa della loro morte generalmente non ben definita. È interessante notare, allorquando i Serbi venivano di continuo accusati di nascondere i corpi, che nessuno abbia suggerito che i musulmani Bosniaci, incaricati da lungo tempo della ricerca dei cadaveri, e per questo in grado di mettere in atto falsificazioni, potessero spostare dei corpi e quindi manipolare le informazioni.


È in corso un tentativo di utilizzare l’ADN per riunire i resti a Srebrenica, ma questo solleva numerosi problemi : a parte quelli delle procedure di investigazione e dell’integrità dei soggetti da esaminare, sarà di difficile risoluzione la differenziazione fra un’esecuzione e una morte in combattimento.
Inoltre, esistono degli elenchi di scomparsi, ma sono pieni di errori, con dei doppioni, con nomi di persone decedute prima del luglio 1995, che si erano allontanate per evitare di servire nell’Esercito Serbo di Bosnia, o che, in seguito, nel 1997 si sono iscritte nelle liste elettorali, e gli elenchi comprendono anche i morti in combattimento, i nomi di superstiti che si erano messi al sicuro o che erano stati fatti prigionieri, e che si sono fatti una nuova esistenza da altre parti. [44]


Per di più, la cifra di 8.000 è incompatibile con l’aritmetica elementare applicata a Srebrenica, prima e dopo il luglio 1995. Le persone che si sono spostate da Srebrenica, vale a dire i sopravvissuti al massacro che si sono fatti registrare all’inizio dell’agosto 1995 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dal governo Bosniaco, ammontavano ad un totale di 35.632.


I musulmani che hanno potuto guadagnare le linee musulmane “senza che le loro famiglie fossero informate” erano perlomeno 2.000, e circa 2.000 sono stati uccisi nei combattimenti. Considerando un totale di 37.632 superstiti, più i 2.000 morti in combattimento, se aggiungiamo gli 8.000 giustiziati, la popolazione di Srebrenica prima della guerra raggiungerebbe i 47.000 abitanti, quando in realtà si avvicinava ai 37-40.000. (Il giudice del TPI Patricia Wald ha fatto una stima di 37.000).
Quindi, le cifre non concordano! [45]


Ci sono stati riscontri di uccisioni a Srebrenica, dove persone hanno affermato di esserne stati testimoni. In numero minore, alcuni di questi testimoni avevano dei conti politici da regolare o si rivelavano poco credibili. [46] Comunque, molte testimonianze erano attendibili e descrivevano senza dubbio avvenimenti orribili e reali. Ma si parla di qualche centinaio di esecuzioni, non di 8.000 o di un numero qualsivoglia si avvicini a questo.
Il solo testimone che ha preteso di avere partecipato direttamente ad un massacro di persone che superava il migliaio è stato Drazen Erdemovic, un Croato associato ad una banda di assassini mercenari, che avevano ricevuto un compenso di 12 chili di oro per i loro servigi in Bosnia e avevano finito, lui compreso, per andare a lavorare in Congo per il servizio informazioni Francese. La sua testimonianza è stata accettata, malgrado la sua inconsistenza e le sue contraddizioni, e malgrado il fatto che soffrisse di turbe mentali, al punto di essere stato esonerato dall’essere egli stesso processato, appena due settimane prima di essere ammesso come testimone, ma con la dispensa di essere contro interrogato.


Le deposizioni di questo e di altri testimoni sono spesso state inficiate da una procedura di patteggiamento preventivo, secondo cui, se imputati, potevano negoziare una riduzione di pena in cambio della loro collaborazione con il Tribunale. [47]


Allo stesso tempo, è importante sottolineare il numero di osservatori imparziali che non hanno visto, ne’avuto riscontri minimi di un massacro, compresi i membri delle forze Olandesi presenti nella “zona protetta”, e di personaggi come Henry Wieland, il comandante del corpo investigativo dell’ONU sugli abusi contro i diritti dell’uomo, che non ha trovato alcun testimone oculare di atrocità dopo cinque giorni di interviste nell’ambito di 20.000 sopravvissuti di Srebrenica, riuniti nel campo profughi presso l’aeroporto di Tuzla. [48]




Anomalie
Una anomalia specifica per Srebrenica consiste nella stabilizzazione della cifra in 8.000 vittime musulmane Bosniache nel luglio 1995, e 8.000 sono rimaste a tutt’oggi, malgrado il carattere approssimativo della prima valutazione, malgrado le prove che molti, se non la maggior parte, dei 5000 “scomparsi” avevano raggiunto il territorio musulmano-bosniaco, o erano stati uccisi nei combattimenti, e malgrado l’incapacità di produrre testimonianze probatorie, nonostante i massicci tentativi per farlo.


In altre situazioni, come per la valutazione delle vittime degli attentati dell’11 settembre, o per la stessa dei morti in Bosnia o delle vittime dei bombardamenti sul Kosovo, le cifre sono state riviste al ribasso nel momento in cui i ritrovamenti dei corpi rendevano indifendibili le prime valutazioni sovradimensionate in modo esagerato. [49]


Ma, dato il suo ruolo politico fondamentale per gli Stati Uniti, per i Musulmani di Bosnia e per i Croati, e in ragione della fede quasi religiosa nell’esistenza delle atrocità che vi sarebbero state commesse, Srebrenica si è rivelata impermeabile ad ogni realtà. Dal primo giorno fino ad oggi, la cifra di 8.000 è stata considerata come una verità intangibile, la cui messa in dubbio deve essere considerata come una eresia e una apologia del demonio.


Un’altra anomalia che illustra il carattere sacrale, intoccabile e politicizzato del massacro nell’ideologia Occidentale, è stata la sua rapida qualificazione di “genocidio”.


In questo caso, il Tribunale ha giocato un ruolo decisivo, con la straordinaria credulità, con i psicologismi a briglia sciolta, e con l’incompetenza dei ragionamenti giuridici, che i giudici hanno manifestato esclusivamente nei confronti dei casi riguardanti i Serbi.


In materia di credulità, un giudice ha convalidato come fatto reale l’affermazione di un testimone, che i soldati Serbi avessero costretto un vecchio musulmano a mangiare il fegato del suo nipotino. [50] E i magistrati hanno ininterrottamente rievocato come cosa assodata l’esecuzione di 7.000 o 8.000 musulmani, riconoscendo nello stesso tempo che le loro informazioni “suggerivano” che la “maggioranza”dei 7-8.000 scomparsi non erano stati uccisi in combattimento, cosa che diminuiva sensibilmente la cifra accettata per vera. [51]
Il Tribunale ha risolto l’imbarazzante problema dei Serbi... autori di genocidio, che trasportano con autobus in zone sicure le donne e i bambini musulmani Bosniaci, affermando che l’avevano fatto per ragioni di pubbliche relazioni, ma, come ha sottolineato Michael Mandel, non commettere un atto criminale, malgrado il desiderio di attuarlo, viene definito come un “atto criminale non commesso”. [52] Il Tribunale non si è mai domandato perché i Serbi...autori di genocidio non abbiano accerchiato la città, prima di conquistarla, per impedire a migliaia di uomini di fuggire, e nemmeno perché i soldati musulmani Bosniaci abbiano abbandonato le loro donne, i loro bambini e tanti loro compagni feriti alla mercé dei Serbi, [53] e non ha mai evidenziato il fatto che 10.000 abitanti di Zvornik, principalmente musulmani, si siano messi al sicuro dalla guerra civile rifugiandosi nella stessa Serbia, come è stato attestato dal testimone di accusa Borislav Jovic. [54]
Fra le altre incoerenze degli argomenti dei magistrati del Tribunale, figura il concetto per il quale si tratta di genocidio quando vengono uccisi i componenti di un gruppo etnico con l’obiettivo di diminuirne nel futuro la popolazione, rendendo quindi quel gruppo non più visibile in una certa area. Si potrebbe volerli eliminare semplicemente per impedire di essere in seguito eliminati, ma la Corte conosce meglio la psicologia dei Serbi, e quindi questa non poteva essere la sola motivazione, bisognava che ci fosse uno scopo più sinistro. Il ragionamento del Tribunale, condotto sulla base psicologica favorevole all’accusa, è che ogni evento di eliminazione di un avversario può essere considerato come genocidio.
Sussiste inoltre il problema della definizione di gruppo etnico. I Serbi cercavano di eliminare tutti i musulmani di Bosnia, o i musulmani in generale? O solamente i musulmani di Sarajevo? I giudici hanno considerato che la stessa espulsione di musulmani da Sarajevo doveva essere considerata come genocidio, e hanno grosso modo assimilato il genocidio con la pulizia etnica. [55] Comunque, è importante sottolineare che il TPI non ha mai qualificato come “genocidio” la pulizia etnica di 250.000 Serbi dalla Krajina, sebbene in questo caso molte donne e bambini siano stati massacrati, e nonostante questa pulizia fosse stata applicata su un territorio più vasto e avesse causato più vittime civili che a Srebrenica. [56]
Il 10 agosto 1995, Madeleine Albright affermava a voce alta che “quasi 13.000 uomini, donne e bambini erano stati cacciati dai loro focolari” a Srebrenica. [57] Forse il Tribunale ha fatto propria l’impagabile formula di Richard Holbrooke che qualificava la Krajina come un caso di “espulsione involontaria”! [58] La parzialità risulta eclatante, la politicizzazione dell’istanza giuridica estrema.
La copertura mediatica degli avvenimenti di Srebrenica e nella Krajina ha seguito il medesimo schema ed illustra come i media abbiano differenziato le vittime buone da quelle cattive, a seconda della presa di posizione politica.
Erano i Serbi il bersaglio del governo USA, e questo governo appoggiava in modo massiccio il programma Croato di pulizia etnica nella Krajina, e perciò i media hanno gratificato Srebrenica di un trattamento esagerato e denso di indignazione, usando un linguaggio pieno di odio, lanciando appelli all’azione ed evocando al minimo il contesto. La Krajina, al contrario, non ha avuto il diritto che di un’attenzione debole e passeggera, scevra da ogni indignazione : la descrizione dettagliata della sorte delle vittime è stata ridotta al minimo, i modi per descrivere le rese dei conti sono stati neutri, e il contesto evocato ha reso gli avvenimenti degni di comprensione.


Il contrasto è stato tanto grossolano da risultare risibile: l’attacco su Srebrenica era “agghiacciante”, “assassino”, “selvaggio”, “criminalmente perpetrato a sangue freddo”, “genocida”, qualificato come “aggressione” e , ben inteso, come “pulizia etnica”; con la Krajina, nulla di paragonabile, perfino “pulizia etnica” risultava troppo. L'aggressione Croata non era che una grandiosa “rivolta” che “avrebbe indebolito il nemico”, una “offensiva lampo”, giustificata come una “risposta a Srebrenica” e un prodotto degli “eccessi” compiuti dai leaders Serbi.


Il Washington Post ha perfino citato l’ambasciatore USA in Croazia, Peter Galbraith, che ribadiva “l’esodo serbo non è una pulizia etnica”. [59] Il giornale non consentiva alcuna messa in dubbio di questo giudizio. Nei fatti, le operazioni croate in Krajina hanno fatto della Croazia il più etnicamente puro fra tutti gli stati componenti la ex Jugoslavia, benché l’occupazione del Kosovo da parte della NATO abbia consentito una pulizia che rivaleggia con la purificazione etnica della Croazia.


Un’altra anomalia nella questione di Srebrenica è l’accanimento posto nel perseguire davanti al Tribunale tutti i criminali (Serbi), e ad ottenere dei carnefici (Serbi), che riconoscessero volontariamente la loro colpevolezza, essendo la loro confessione una loro esigenza di giustizia e la condizione per la riconciliazione. Il problema è che la giustizia non può essere di parte, altrimenti cessa dall’essere giustizia, e allora rivela il suo vero volto di vendetta e di giustificazione di obiettivi politici. La pulizia etnica in Bosnia in alcun modo avveniva da una sola parte, e i morti per nazionalità non sono lontani dal corrispondere alle proporzioni della popolazione. [60]


I Serbi affermano, documenti alla mano, di aver avuto migliaia di morti per mano dei musulmani di Bosnia e dei gruppi di moudjahidin da costoro introdotti, ed anche per mano dei Croati, ed hanno il loro gruppo di investigazione alla ricerca di identificare i corpi di fosse comuni stimate nel numero di 73. [61] Queste vittime non hanno attirato l’attenzione dei media occidentali o del TPI.


L’eminente scienziato jugoslavo, il Dr. Zoran Stankovic, nel 1996 ha osservato che “il fatto che la sua squadra di lavoro avesse in precedenza identificato i corpi di 1.000 Serbi di Bosnia nella regione (di Srebrenica) non abbia riscosso alcun interesse da parte del procuratore Richard Goldstone.” [62]
Invece, si sente senza sosta la cantilena ripetitiva sulla tendenza dei Serbi di piangersi addosso e di lamentarsi, mentre le lamentazioni dei musulmani Bosniaci vengono considerate come quelle delle vittime vere e non sono mai paragonate a dei piagnistei.


Lontana dal contribuire alla riconciliazione, l’insistenza sulle vittime e sugli assassini di Srebrenica stimola l’odio e il nazionalismo, come la guerra e la violenza in Kosovo vi hanno esacerbato gli odi e le tensioni, e hanno dimostrato che l’obiettivo ostentato da Clinton di un Kosovo tollerante e multietnico equivaleva ad una farsa.
In Kosovo, la propaganda di parte e l’occupazione da parte della NATO hanno scatenato una incontrollabile violenza antiserba e antirom, antiturca e contro i dissidenti Albanesi, sostenuta dalla compiacenza delle autorità della NATO, che distolgono gli occhi quando i loro alleati, le pretese vittime, si prendono la loro rivincita e perseguono il loro obiettivo di sempre, quello della purificazione etnica. [63]
In Bosnia e in Serbia, i Serbi, senza tregua, sono stati denunciati ed umiliati, e i loro leaders e i loro comandanti militari puniti, mentre i criminali fra i musulmani Bosniaci, i Croati e i potenti della NATO (Clinton, Blair, Albright, Holbrooke, ecc.) non sono stati fatti oggetto di alcuna sanzione, ma, al contrario, alcuni fra costoro (Clinton et al.), sono presentati come campioni di giustizia. [64]


È evidente che l’intento di quelli che pretendono il castigo dei Serbi non è ne’ la giustizia ne’ la riconciliazione. Si tratta solo di unificare e consolidare la posizione dei musulmani di Bosnia, di schiacciare la Republika Srpska per eliminarla completamente come entità indipendente in Bosnia, di mantenere la Serbia in uno stato destrutturato, disorganizzato, di debolezza e di dipendenza dall’Occidente, e di continuare a presentare sotto una luce favorevole l’aggressione degli USA e della NATO e lo smantellamento della Jugoslavia.


Questo ultimo obiettivo richiede di distogliere l’attenzione dal ruolo di Clinton e dei musulmani di Bosnia nella costituzione di una testa di ponte di Al Qaeda nei Balcani, nella costruzione di un’alleanza fra Izetbegovic e Osama bin Laden, in appoggio alla “Dichiarazione islamica” che esprime l’ostilità verso lo Stato multietnico, [65] e per l’introduzione di 4.000 mudjahidin a condurre una guerra santa in Bosnia, con l’aiuto attivo del governo Clinton e dell’associazione UCK-Al Qaeda.
Questo aspetto della presa di posizione in favore dei musulmani di Bosnia ha sempre imbarazzato i produttori della propaganda di guerra, e l’imbarazzo è accresciuto dopo gli attentati dell’11 settembre. Il rapporto della Commissione USA sull’11 settembre afferma che due degli undici pirati dell’aria, Nawaf al Hazmi e Khalid al Mindhar, così come uno dei cervelli dell’attacco, Khalid
Sheikh Mohammed, hanno “combattuto” in Bosnia, e che Bin Laden aveva degli “uffici” a Zagabria e a Sarajevo. [66] Malgrado l’enorme copertura mediatica sull’11 settembre e su Al Qaeda, questi collegamenti non sono mai stati menzionati dai grandi mezzi di comunicazione e non hanno mai prodotto effetti sul proconsole in Bosnia Paddy Ashdown, che ha assistito ai funerali di Izetbegovic e che continua a prendere le parti dei musulmani Bosniaci.
Certamente, già dal 1993, i Serbi avevano denunciato le crudeltà ( e le decapitazioni) da parte dei moudjahidin, ma i media e il TPI non se ne sono mai interessati a quell’epoca, e non se ne interessano nemmeno oggi. Bisogna solo parlare di Srebrenica, dei musulmani di Bosnia come uniche vittime, e dei generosi soccorsi, comunque un po’ tardivi, recati da Clinton e dall’Occidente a questi disgraziati oppressi.
Ma i Serbi di Bosnia, non sono stati loro ad aver “confessato” di aver massacrato 8.000 civili? I media occidentali si sono impadroniti di questa “confessione”, dimostrando una volta di più la loro sottomissione all’agenda politica dei loro leaders. I Serbi hanno effettivamente pubblicato un rapporto su Srebrenica nel settembre 2002, [67] ma questo rapporto è stato respinto da Paddy Ashdown, per non essere sfociato in opportune e appropriate conclusioni. Il proconsole ha preteso un nuovo rapporto, congedando una carrettata di politici ed analisti della Republika Srpska, minacciando il governo per l’appoggio dato, e ha terminato con il fare redigere un testo da certuni che accettavano le conclusioni ufficialmente approvate. [68] Dunque, questo rapporto, pubblicato l’11 giugno 2004, è stato accolto dai media Occidentali come una conferma significativa della versione ufficiale.
Il refrain era che i Serbi avevano “ammesso” il massacro e che la questione era ormai regolata. Il divertente sta nel fatto che questo rapporto, imposto con la forza, è ben lontano dal riconoscere le 8.000 esecuzioni (non parla che di “ diverse migliaia”). La sola cosa che “prova” questo episodio è che la campagna Occidentale, destinata a far umiliare i Serbi vinti, non è terminata, nemmeno è giunta alla fine la credulità dei media e il loro assoggettarsi alla propaganda.




Conclusione
Il “massacro di Srebrenica” è il più grande trionfo del lavaggio dei cervelli rispetto alle guerre dei Balcani. Altre asserzioni e menzogne hanno giocato il loro ruolo nei conflitti Balcanici, ma comunque hanno occupato un rango modesto nel repertorio propagandistico rispetto alla menzogna sul massacro di Srebrenica, che le sorpassa tutte per il suo potere altamente simbolico, nonostante la concorrenza di tante altre falsità (Racak, il massacro di Markalé, il rifiuto serbo di negoziare a Rambouillet, i 250.000 morti di Bosnia, la conquista della Grande Serbia come elemento motore delle guerre Balcaniche). [69] Srebrenica rappresenta il simbolo della malvagità dei Serbi e della sofferenza dei musulmani di Bosnia, come della giustezza dello smantellamento della Jugoslavia e degli interventi Occidentali, che comprendono i bombardamenti e l’occupazione della Bosnia e del Kosovo.
Disgraziatamente, non esiste alcun legame fra questo trionfo della propaganda, e la verità e la giustizia. La negazione della verità si incarna nel fatto che la prima valutazione di 8.000 morti, compresi i 5.000 “scomparsi” che avevano abbandonato Srebrenica per ricongiungersi alle linee Bosniaco-musulmane, è stata tenuta per valida anche dopo che si era rapidamente stabilito che in molte migliaia avevano raggiunto quelle linee, e che migliaia di altri erano morti nei combattimenti. Ad oggi, questa cifra bella tonda resta intoccabile, anche di fronte all’incapacità di trovare i corpi dei giustiziati e malgrado l’assenza della pur minima foto satellitare che mostri delle esecuzioni, dei cadaveri, delle persone che scavano, o dei camions che trasportano dei corpi per rimuoverli e risseppellirli.
A questo riguardo, i media si sono ben guardati di porsi degli interrogativi, nonostante la promessa di Madeleine Albright dell’agosto 1995 : “Noi vi terremo d’occhio”. La dichiarazione dell’Albright, e le foto che all’epoca è andata in giro a mostrare, hanno distolto l’attenzione dal “massacro della Krajina” avvenuto nella Krajina croata, una pulizia etnica di una crudeltà ben più importante che a Srebrenica, comportando meno combattimenti effettivi che a Srebrenica, una purificazione fatta di aggressioni, di omicidi e di espulsioni di civili indifesi. A Srebrenica, i Serbi di Bosnia hanno portato al sicuro le donne e i bambini, e non esiste alcuna prova che ne abbiano uccisi [70]; invece nella Krajina non è stata organizzata alcuna separazione di questo genere e si stima in 368 il numero di donne e bambini massacrati, con numerosi infelici troppo anziani o infermi per scappare. [71]


Il successo della propaganda può essere misurato dal fatto che i media non hanno mai evocato la possibilità che l’intensità dell’attenzione rivolta al massacro di Srebrenica sia servita per mascherare il “massacro della Krajina”, che è immediatamente seguito, e che ha ricevuto il sostegno degli Stati Uniti. Per i media, Srebrenica ha contribuito a provocare la Krajina, e i Serbi hanno meritato quello che gli è capitato. [72]
I media hanno giocato un ruolo importante nel trionfo della propaganda che è stato il massacro di Srebrenica. Come abbiamo detto in precedenza, nel 1991 i media sono divenuti i complici del bellicismo, e tutte le regole dell’obiettività sono scomparse, per fare posto al loro sostegno servile di una politica pro musulmani di Bosnia e contro i Serbi.


Prendendo in considerazione i reportages di Christine Amanpour, e di altri, riguardanti i combattimenti intorno a Gorazde, già nell’ottobre 1995 il tenente colonnello dell’esercito USA John Sray aveva messo per iscritto che le informazioni “erano deprivate di qualsiasi parvenza di verità”, che gli Americani dovevano subire un “monumento di disinformazione”, che “l’America non era stata mai tanto deplorevolmente ingannata” dopo la guerra del Vietnam, e che la percezione popolare sulla Bosnia “era stata manipolata da una prolifica macchina di propaganda che è riuscita a congegnare fatti illusori per sostenere gli scopi dei musulmani.” [73] La macchina della propaganda ha conquistato i liberali e una grande parte della sinistra negli Stati Uniti, che hanno avvallato la versione dominante dei Serbi malvagi alla ricerca di egemonie, che hanno fatto ricorso a strategie brutali e di genocidio, e che hanno portato alla rovina l’oasi multietnica che esisteva in precedenza in Bosnia, un’oasi governata da Osama bin Laden e dal suo amico ed alleato Alija Izetbegovic e, secondo una tardiva correzione apportata da Clinton, Holbrooke e dalla Albright, strettamente collegata all’Iran, alla Turchia e all’Arabia Saudita!


La coalizione bellicista liberale-di-sinistra doveva demonizzare i Serbi per giustificare la guerra imperiale, e questo è stato fatto impregnandosi dell’insieme delle menzogne e dei miti che hanno costituito la versione ufficiale. [74] Questo amalgama di “missili da crociera della sinistra (MCG)” [75] e di liberali ha molto contribuito allo sviluppo della tesi dell’“intervento umanitario”, che è consistito nell’aggredire i Serbi a tutto vantaggio dell’Esercito di Liberazione del Kosovo, e, nei fatti, ha preparato il terreno per le guerre di “liberazione” di Bush.


Il massacro di Srebrenica ha aiutato a convincere i liberali e il MCG per la crociata nei Balcani e ha fornito loro la giustificazione morale per il sostegno dei loro paesi e dei loro alleati all’espansionismo imperiale.


L'ex-responsabile dell'ONU Cedric Thornberry, in un testo del 1996, ha annotato : “Messa in evidenza da un certo numero di mezzi di comunicazione internazionali liberali, la presa di posizione è che i Serbi sono gli unici mascalzoni”. Già nel 1993, presso il quartier generale delle Nazioni Unite, egli aveva lanciato l’avvertimento in questi termini: “Mettetevi al riparo, la falsificazione è in corso!”. [76] In effetti, la manipolazione era già in corso, anche se era ancora tacita, ma si stava infiltrando nelle relazioni fra governo, i media e il TPI. La menzogna ha contribuito a fare del massacro di Srebrenica il simbolo del male e, con l’aiuto della “giustizia”del Tribunale e il sostegno dei liberali e del MCG, ha fornito una giustificazione dell’aggressione USA-NATO e dello smembramento della Jugoslavia, e più in generale dell’“intervento umanitario”.


Cosa si può domandare di più ad un sistema di propaganda?

venerdì 13 maggio 2011

PACIFINTI


Amnesty, amnistie e amnesie
C’è gente tanto candida quanto in buonafede e quanto bisognosa di consolazione che resta sbigottita, se non irritata, quando metto in dubbio le verità di Amnesty International. Invece l’organizzazione umanitaria dai quartieri generali anglosassoni, fatti salvi alcuni attivisti in luoghi non contaminati dalla pseudocultura democraticistica e dirittoumanista, quindi nord-centrica, è la più archetipica espressione del cerchiobottismo. Cerchiobottismo viziato dall’equivalenza lessicale dei due termini che compongono la parola – ed è già questo un sintomo della sua ontologica ipocrisia – ma che è la faccia della medaglia soft rispetto al rovescio hard del principio imperialista dei due pesi e due misure. Cerchiobottismo significa invariabilmente un colpetto al cerchio e una mazzata micidiale alla botte.  Non per nulla i vertici di Amnesty sono infarciti di ebrei, il che invariabilmente significa qualcosa, come confermano i dati non spuri e mai squilibrati dell’associazione umanitaria israeliana B’tselem.

Ieri l’organizzazione umanitaria ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani in 157 paesi. Ti pareva che non mettesse nello stesso piatto le autentiche insurrezioni contro i satrapi arabi, fantocci politico-militar-economici del Pentagono, delle banche e multinazionali occidentali, con i colpi di Stato commissionati a mercenari , fanatici indottrinati e vaticinatori del marchionnico mercato libero per predatori esteri? Ti pareva. La Siria dei cecchini super armati giunti da Arabia Saudita, Giordania, l’Iraq dei tagliagole e Libano, che sparano su folle e su poliziotti e forze dell’ordine, insieme al Bahrein dove gli stessi sgherri sauditi, stavolta in uniforme e con una brigata di tagliateste, stanno massacrando chi protestava contro il gaglioffo d’oro che custodisce la V Flotta Usa e nega pane e dignità. La Libia aggredita da briganti e fuorusciti corrotti agli ordini della Cia, che vogliono consegnare agli avvoltoi occidentali il petrolio, l’acqua, la libertà, il benessere di quel popolo, insieme allo Yemen dove un tirannello assoldato 32 anni fa dalla Cia (e perciò mi espulse dal paese avendolo io descritto come l’ispiratore del golpe che costò la vita a un saggio presidente progressista e patriota) da tre mesi decima a fucilate la popolazione insorta. Con l’occasionale contributo di qualche Cruise sterminatore di villaggi e con la perenne presenza, qui come ovunque, degli squadroni della morte occidentali chiamati “forze speciali”. 

Ma qui, come in Bahrein e in altri luoghi cari all’Occidente e insopportabili per la gente che ci vive, niente “intervento umanitario per salvare i civili massacrati dal loro presidente”. Invece  “interventi umanitari”, sotto forma di sanzioni, embarghi, scatenamento di criminali di ventura (le “rivoluzioni colorate sono finite fuori moda per loro inefficienza) e, se non risolvono, carneficina bombarola, contro governi infinitamente più giusti, sostenuti dalla maggioranza della popolazione, che ha gioco facile a confrontare la propria condizione con quella abietta dei principati vicini, in rianimazione occidentale.
Amnesty non ha dubbi – come non li aveva il sorosiano (ebreo sionista) Human Rights Watch quando, confortato dal postribolo mediatico, sparava al terzo giorno del golpe di Bengasi i suoi “10mila morti” e le sue “fosse comuni” – nel suo andirivieni scilipotiano tra guerra no, ma anche sì,quando ce vo’ ce vo’, e nel sostegno a quell’arnese da sceriffo del West che è la Corte Penale Internazionale, dotata di escort come Del Ponte, Cassese e Ocampo. Una parodia di tribunale che non ha mai incriminato uno dei tanti macellai del Nord-Mordor, dalla Serbia all’Iraq, dall’Afghanistan alla Palestina, dal Darfur al Pakistan, dalla Somalia allo Yemen, dall’Honduras ad Haiti. I ”crimini di guerra sono tutti di Gheddafi “, “la guerra è una questione problematica” (anche quando si tratta di omicidi seriali extragiudiziari a forza di missili all’uranio). Ai briganti di Bengasi solo un buffetto un po’ accigliato. La pia Christine Weise, capa ebrea (il che può significare niente, o tutto) esprime in termini lirici: Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità. E intanto la candela di Amnesty brucia la vita dei giusti in Libia e la sua oscurità avvolge quanto di orribile i protetti degli umanitari alla bomba commettono sul terreno. Mussa Ibrahim, portavoce del governo legittimo di Tripoli, mi aveva mostrato i documenti che rivelavano quante volte, dall’inizio della ribellione, aveva chiesto ad Amnesty e a Human Rights Watch (per la quale non sono le stragi da droni e F16 che ammazzano più civili in Afgh-Pak, bensì i talebani, e “il manifesto” concorda) di recarsi nei territori controllati dal governo e di accertarsi direttamente di cosa succeda sotto l’ordine di servizio Nato “Gheddafi ammazza i civili”. Neanche hanno risposto. Alla fine è arrivata una commissione di Ban Ki-Moon, quello che si era entusiasmato per la risoluzione stragista 1973, ad annusare un po’ in giro. E il pupo coreano del puparo imperiale ne è stato costretto a invocare un “immediato cessate il fuoco”. Lo invocava, flebile, davanti a una platea di assassini con il pugnale tra i denti, le ossa incrociate sul cilindro, le orecchie tappate dal dolce sibilo dei Cruise e dei Tomahawk da mezzo milione.
Avessero avuto, gli amnistiatori a tanto al chilo di Amnesty, sotto gli occhi i videodocumenti che ho visto io a Tripoli, quelli di Bengasi e di tanti luoghi occupati dagli ascari di Hillary e Frattini, quelli della caccia all’operaio nero rastrellato, torturato, ucciso, dei soldati e civili gheddafiani catturati, costretti a ingurgitare in ginocchio carne putrefatta di cane, insultati, picchiati, giustiziati con colpo alla nuca, sgozzati in pubblico tra urla di giubilo, impiccati sulla pubblica piazza, arrostiti e appesi a brandelli sui palazzi, i bambini-soldato (attribuiti a un Gheddafi che ha dietro di sé il 90% del popolo libico in armi) che pullulano, con armi più grosse di loro, sotto i vessilli del vecchio re, tiranno e pagliaccio dei britannici! Potevano. Bastava andare a Tripoli, dove sarebbero stati serviti e riveriti, per un minimo di fact-finding mission , di accertamento dei fatti, come, con minori strumenti, abbiamo fatto noi. Ma non l’eletta schiera dei pacifisti e giornali di sinistra che resta al calduccio, avvolta nel plaid tessuto giornalmente e, per la verità, con la rozzezza e ripetitività  di altre loro carneficine e rapine, da Cia, MI6 e tutta la banda della criminalità organizzata imperialista.
Amnesty vedeva, era l’aprile del 2003, ciò che vedevamo io e tutti in Iraq: decine di migliaia di civili in armi, militanti del Baath, soldati scampati alla mattanza dei “volenterosi” e fattisi guerriglieri, tutta gente che per anni era stata formata alla resistenza armata al nemico (vedi il mio docufilm Un deserto chiamato pace). Vedeva un popolo che difendeva la sua sovranità, libertà, dignità, livello di vita, contro barbari che avrebbero fatto impallidire Gengis Khan. Ma Amnesty, per la gioia di un esercito pirata, fuori da ogni costituzione e legge internazionale, emetteva questo verdetto: “Chi non veste un’uniforme militare, è da considerarsi fuori dalla legalità e terrorista”.  Confetti regalati allo sposalizio tra menzogna e morte. Quello che ha poi riempito di ospiti Abu Ghraib, Guantanamo, Bagram e le carceri segrete della tortura nei paesi sicari. Oltre ad aver ammazzato 2 milioni di iracheni, 1800 cittadini Usa in uniforme e migliaia di mercenari privati, senza legge e senza colpa, e, guarda un po’, in borghese.
Ora invitate Amnesty, magari la signora Weise, dove organizzate le vostre belle conferenze e marce contro la guerra. Sotto la parola d’ordine “la guerra è brutta, ma Gheddafi è più brutto” vi ritroverete tutti candidi e in letizia.


Palestinesi  non solo
Per i filo palestinesi d’Italia, quelli della prossima Flottiglia per Gaza, appena bruciata senza grandi clamori ma con forti contenuti dal “Convoglio Restiamo Umani”, giunto ieri a Gaza attraverso il valico di Rafah (riaperto grazie alla pressione dei rivoluzionari egiziani), il concetto che monopolizza ogni visione del mondo è: “non confondiamo l’oro col piombo”. Intendono: Gaza è una cosa, la Libia tutt’un’altra. Anzi, di Gheddafi rimasticano la trippa tossica che, spurgata dalle centrali della guerra-su-menzogna, gli cola sulla coscienza foderata di solidarietà con Gaza, scendendo per le anchilosate e contorte sinapsi dei gazzettieri e notabili di sinistra. Non ho nulla contro le spedizioni per sostenere le vittime dell’Auschwitz di Gaza (magari anche di quella cisgiordana, compagni!). Anzi! Le ho fatte anch’io (vedi il docufilm “Araba Fenice, il tuo nome è Gaza”)  e conosco la pura passione e pietà dei suoi partecipanti. Ben vengano. Qualcosa ho contro le spedizioni per sostenere l’ego e la visibilità di quei galli del pollai che, prima ancora di prendersela con la volpe, si beccano fra di loro per chi risulti più degno delle attenzioni dei polli.  
Hanno fatto, e faranno il 14 maggio, grandi manifestazioni per celebrare la loro imminente impresa e, immediatamente, vi si parano il culo biascicando il rosario di falsità contro Gheddafi insegnatogli al catechismo di Obama, filtrato dal “manifesto” e da “Liberazione”. Comprensibile: con la Palestina si rischia poco, perfino l’Onu, oltre all’opinione pubblica maggioritaria, il papa, Rossanda, qualcuno sul Corriere, magari qualche padano, hanno stillato gocce di compassione per le vittime (buone finchè si acconciano a restar tali) e spremuto qualche critica agli “estremisti di Israele”. Con la Libia di Gheddafi, visto che si dice le si rivoltino contro le stesse masse rivoluzionarie e democratiche di Tunisia ed Egitto e vista la concordanza ecumenica sulla satanizzazione del “dittatore pazzo”, il rischio è più grosso. Ne va della reputazione politico-etica, ne va della credibilità presso pacifisti e nonviolenti, ma anche matamoros e razzisti ontologici, ma anche Ferrero, Ferrando, Vendola. Ne va anche dell’agibilità: hai visto mai che La Rutta ti incrimini per “collusione con il nemico” e non ti faccia più fare nemmeno il filopalestinese?
Ciò che i bravi attivisti per Gaza hanno infilato in soffitta è il dato che tutto il mondo arabo è Gaza, è Palestina. Che Gaza arriva fino a Tripoli e Damasco.  Che  Gaza e Palestina sono stati fino a ieri la punta avanzata della campagna maltusiana per far fuori la nazione araba, da secoli ambita dai suoi popoli, da secoli anatemizzata e temuta dal colonialismo. E che oggi la punta avanzata della distruzione di questo progetto della natura e della storia, come della resistenza, sono la Libia e la Siria, insieme all’Iraq e al Libano. E lo sono, da un lato, le masse antimperialiste e antineoliberiste in rivolta nei paesi dei despoti allevati dall’Occidente, e dall’altro i popoli che, con i propri governi, difendono la loro antica rivoluzione e il loro antimperialismo. Come si fa a vedere solo l’albero e a ignorare la foresta, magari tenendo il moccolo ai piromani che la stanno radendo al suolo? Che razza di analisi geopolitica fanno questi monotematici da Zeitgeist imperialista? Su quale trespolo morale inalberano il loro spappagallare le trite demonizzazioni  e le inversioni della realtà operate dal sistema di guerra? Ma come, a Gaza gli stanno sul piloro gli islamici di Hamas, forza decisiva dell’opposizione all’occupante stragista, mentre in Libia sbianchettano il nero-fumo-di-vittime- bruciate e coprono di fango e feci il laico Gheddafi. Quanto confuso opportunismo! Quanta opportunistica confusione. Gli è mai passato per l’anticamera del cervellino a tinte rosso-bianco-verde-nero che, fatta fuori la Libia con Gheddafi, si toglie un altro pezzo di impalcatura all’edificio del mondo libero (quello vero) nel quale abita anche la speranza di Gaza? Si inserisce un altra tessera nel mosaico africano-mediorientale che i boss vanno componendo, prima di mettersi a tavola. E che, completato quel mosaico, non ce ne sarà più per nessuno?  Nemmeno per Gaza e gli ammiragli e mozzi delle sue flottiglie.
Quando fra qualche settimana le flottiglie si muoveranno, lo sanno i nostri capigita che dovranno attraversare la cortina di ferro, prima ancora di quella delle motovedette israeliane, delle flotte Nato che con centinaia di navi, aerei e missili, barricano l’accesso di viveri, farmaci e tutto a ogni centimetro quadrato di costa libica e, oltre a tirare cannonate sulla gente da quella parte per “salvare civili”, lasciano affogare in mare le donne, i bambini, gli uomini, costretti a fuggire dal paese da loro devastato?  Gli basta davvero che gli si dica che tutto questo serve a ”salvare civili” dalla furia omicida di un demente che, per far crescere il consenso, decima il proprio popolo? Guardate che è solo dalle nostre disperate parti che un governante ottiene consenso trucidando, vuoi gli esseri umani, vuoi intelligenza, verità, decenza.
Barack  Osama
Ha ragione un commentatore del mio ultimo post che della commedia macabra “l’esecuzione extragiudiziale di Osama bin Laden”, messa in scena dal serial killer Obama, l’obiettivo principale è il Pakistan da incolpare di complicità con lo zar del terrorismo e, quindi, da irachizzare e privare del controllo sul suo arsenale nucleare. Un altro Stato cuscinetto tra i necrofagi globali e la Cina da rimuovere. Infatti, nell’immediato questo crimine di guerra “buono” serviva a seppellire senza troppo rumore il figlio di Gheddafi e i suoi tre nipotini, extragiudiziariamente assassinati insieme ogni giorno a decine di civili “da salvare”, grazie al benefico intervento dei droni collaudati nello sterminio di cafoni pakistani,  nel medio termine a stringere il cappio intorno a Islamabad e, in ogni tempo, a rinfocolare la minaccia del terrorismo mai domo e ora pure con la bava della vendetta alla bocca. Fenomeno utile all’inevitabile regime di polizia interno nel tempo della crisi degli innocenti e dell’abbuffata dei potenti. E per confermare l’assunto subito sono scoppiate bombe Al Qaida nei luoghi affollati da civili qua e là nel Pakistan. E noi sappiamo bene chi è il mandante di quelle bombe che disintegrano la società pakistana e forniscono le prove del libero imperversare di Al Qaida e affini (sempre Cia e Mossad).  E’ lo stanco ripetersi della formula 11 settembre, metrò di Londra, treni di Madrid, mercati di Casablanca, moschee di Bali, piazze di Baghdad.

Quello che lascia attoniti – solo noi – è la incredibile rozzezza e faciloneria con cui la stessa regia allestisce queste farse. Del resto, passata sulla conoscenza-coscienza del pubblico come uno slittino quella delle Torri Gemelle e del Pentagono, dalla versione ufficiale colabrodo, perché ingegnarsi a curare meglio qualche dettaglio dell’eliminazione di Osama. Ci possono tranquillamente rifilare cinque, sei versioni diverse dell’accaduto, tirar fuori parenti testimoni in età infantile, far sminuzzare il cadavere dai pesci, ignorare le cento prove della scomparsa nel 2001 del diabetico in dialisi,  al quale a Dubai il capostazione Cia portava le arance, offrire il videogioco di un Osama canuto e rimbecillito che si bea alle immagini delle sue prodezze giovanili, ripreso di spalle e di trequarti dove non riconosceresti neanche tuo padre, affiancato a un Osama talmente contraffatto e con naso finto da doversi inventare che si tingeva la barba, potevano far questo e di più e tutti ci sono stati, alternativamente sbigottiti da tanta cretina impudenza,  o confortati da tanta destrezza tecnologica.
Gli è che questi barbablù non sentono il minimo bisogno di allertare un po’ di neuroni per fare un lavoretto a prova di Giulietto Chiesa, o di altri osservatori non ringrulliti, o impermeabili agli sversamenti orgasmatici di vestali obamiane come  Giovanna Botteri, o  Massimo Teodori. Attraversano oceani di melma sospinti dai bulldozer mediatici a loro venduti, di regime, o appaltati, di “opposizione”. Per i dubbiosi o increduli ci sono le lame rotanti dei Mazinga di Fleet Street, Times Square, Via Solferino, Cologno Monzese e Via Mazzini, da tempo coscienziosi  distributori dei videogiochi della cleptocrazia occidentale. Il guaio è che poi ci sono quelli che nelle slot- machines ci infilano la monetina. Tipo Rossana Rossanda.