giovedì 24 novembre 2011

Democrazia per tutti: Siria, Libia, Egitto, Italia...

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L’arma più potente nelle mani dell’oppressore è la mente dell’oppresso. (Steve Biko, rivoluzionario sudafricano)
Lo Stato può darti libertà e te la può togliere. Ci sei nato, come con i tuoi occhi, le tue orecchie. La libertà è qualcosa che dai per scontato, poi aspetti qualcuno che te la porti via. La misura con cui resisti è la misura di quanto sei libero. (Utah Phillips)
Commisera la nazione che deve impedire ai suoi scrittori di dire ciò che pensano… Commisera la nazione che incarcera coloro che chiedono giustizia, mentre assassini di massa, killer professionisti, speculatori multinazionali, saccheggiatori, stupratori e quelli che depredano i più poveri dei poveri, spaziano liberi. (Arundhati Roy)
Nessuno fa un errore più grande di colui che non fece niente perché poteva fare solo poco. (Edmund Burke)
La nostra razza è la razza padrona. Noi siamo gli unici semi-dei con qualità divine di questo pianeta. Noi siamo tanto diversi da tutte le altre razze inferiori quanto loro lo sono dagli insetti. (Menachem Begin, terrorista e primo ministro israeliano)
Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla Terra. (George Romero, regista)

Va subito detto che la ripresa dei moti rivoluzionari in Egitto, una volta scremati dall’inquinante e strumentale presenza dei Fratelli Musulmani, dà la baia a tutti gli scemi o imbroglioni che, gufando a più non posso, avevano attribuito all’insurrezione di massa del 25 gennaio 2011 una regia statunitense. Salvo poi attribuire alle compagnie di ventura islamiste, scatenate dal coacervo petromonarchie-Nato, la qualifica di “giovani rivoluzionari” avidi di democrazia e diritti umani. Rientra nel processo di inversione della realtà praticato, come s’è visto girando lo sguardo da destra a sinistra, con straordinario successo da tutti i media padroneggiati, o intimiditi, dagli organizzatori di colpi di Stato e delle successive dittature mercatisto-confessionali. Quelle affidate a fantocci tipo Mustapha Al Jalil in Libia, la giunta militare del Cairo, i vari Karzai e Maliki in Afghanistan e Iraq, coloro che la petrolcosca satrapi-Nato vorrebbe installare nell’ancora libera e sovrana Siria. Colpi di Stato per Stati di polizia inflitti anche a noi, miserabili periferie imperiali dette sardonicamente PIIGS, tramite banchieri, preti, generali (anche ammiragli) e “tecnici” specializzati nella spoliazione del famoso 99%, nelle bastonate al cane che affoga. E lo Zeitgeist di un Ottocento finalmente recuperato nella sua originalità classista. Schiavista. L’approdo finale, se lo sono scritti Marchionne, Monti e Draghi nei loro pizzini (altro che il pizzino del valletto Enrico Letta al nuovo capo cui leccare gli stivaletti chiodati): l’Arabia Felix, quella della famiglia reale saudita, con diritto di vita e di morte su plebi informi.
C’è, tuttavia, una differenza decisiva tra quanto il complotto planetario massonico-finanziar-militar-plutocratico-cattogiudioislamista riesce a realizzare qui, nelle decrepite società del subire per sopravvivere, dove tutto gli va liscio come un trampolino da sci, e tra le energie giovani ed esplosive del “Terzo Mondo” (che sia Nord, Occupy Wall Street, Piazza Syntagma, Valdisusa, o Sud arabo-islamico-lationamericano), dove tutto promette di andargli di traverso. La differenza sta certamente anche nell’età media, da noi 45, da loro 20, e nel luogo dove si posa il culo: da noi pur sempre almeno su una sedia di rafia, da loro, se va bene, su un sasso. Che poi risulta facile alla mano, più di una sedia. Ma sta soprattutto nel fatto che da noi maestri venerandi di ogni denominazione politico-culturale ci hanno condotto, con guinzagli etico-ideologico-chiesastici, allo “sradicamento” della violenza, specie nella gioventù dove meglio fiorisce per giuste cause. Sradicare, insieme alla violenza, il suo agente. E lo si “sradica” meglio, quando lo si criminalizza da teppista o tifoso, lo si banna dalla sua comunità generazionale inchiodandolo davanti a videogiochi, lo si induce fin da bambino a entrare nel mondo cattolico dell’ipocrisia e del raggiro, a deidentificarsi, a prostituirsi, con i genitori per ruffiani, negli spot commerciali delle tv, o negli applausi al presidente-gaglioffo che passa.

E’ il metodo Bilderberg, dell’atomizzazione della collettività sociale ( solo quella del 99%, naturalmente) per arrivare all’agognato governo mondiale dell’1%. E’ quello di Oded Yinon, il consulente militare israeliano, inventore nel 1982 della strategia della frantumazione dei popoli della regione lungo linee confessionali, etniche, tribali per arrivare al dominio, da parte dell’1% nazisionista, sui 400 milioni di abitanti dell’area (e oltre). Meno sei collettivo, meno stai in comunità, più sei solo e più facile risulterà sradicarti quella maledetta violenza che nei millenni ha visto susseguirsi rivoluzioni e liberazioni. E così devi annegare nell’ideale sciropposo, “politicamente corretto”, di una nonviolenza, dichiarata apoditticamente inerente ai rapporti umani naturali, beneducata, in cui ci crogioliamo e di cui la logorrea della voce mediatica del padrone ama intrattenere la patologica illusione, come dice René Sherér sulla scia di Genet e Fourier. Questo disarmo unilaterale, grazie al quale i vecchi con culo al caldo dell’aria condizionata abbattono o omologano il “nemico infanzia e adolescenza”, è passato su di noi alla grande, ma non ha attecchito più a sud, dove la violenza sacrosanta dei giovani, nell’affrontare la brutalità di regimi a noi amici, si vede sempre più affiancata dai “maturi” e dagli anziani.

Ne è prova convincente la capacità del movimento rivoluzionario delle masse egiziane, preparate – contro la vulgata maligna della “spontaneità senza capi e senza ideologie” – da anni di scioperi, lotte proletarie e studentesche, dal fermento antisionista, antimperialista, antiglobalizzazione nei giovani, donne in testa come in Latinoamerica, di tornare protagonisti e vincenti dopo 10 mesi di mobilitazione di massa, scontri, infiltrazioni (Fratelli Musulmani, rivoluzionari colorati e di velluto), repressioni, carneficine, raggiri e imposture. Vedevo ieri sera in diretta Tahrir di nuovo trasformata in assemblea nazionale e presidio rivoluzionario, con ospedali da campo e medici volontari a fare turni ininterrotti da cinque giorni per curare le migliaia di feriti e ricuperare le decine di ammazzati, sbattuti dagli sgherri di regime sulla spazzatura- Vedevo nelle strade adiacenti i ragazzi contrastare con i mezzi della creatività l’avanzata degli sbirri e dei teppisti mubaraqiani. Fantastico, tutti con mascherine e maschere antigas per neutralizzare l’arma decisiva dell’ordine dei potenti, i gas (ovunque i probiti nervini e CS (passati da Genova alle piazze del martirio palestinese): edema polmonare, convulsioni anche mortali, asfissia, lesioni cerebrali e al DNA), nelle retrovie riserve di liquidi antinfiammatori, ondate di attaccanti che ripiegano dopo aver scagliato i propri proietti, sostituite, come in un esercizio ginnico, da ondate che sincroniche spuntavano dai vicoli. E gli ascari dei generali golpisti costretti al ritiro. Quando impareremo?

Sanno di rischiare la vita – il massimo della non-violenza autentica – per tenere il punto e la piazza. La stanno spendendo a centinaia. Difendono, con la forza del numero, dei sassi, delle mazze e delle barricate, laddove alle schiere dei brutalizzatori in divisa noi ci avviciniamo con le mani alzate. E, per la seconda volta s’impongono, vincono un’altra delle battaglie che conducono alla fine della guerra, per quanto lontana, ma come dimostrano Iraq, Afghanistan, Somalia, e ora Egitto, Siria, Libia, Yemen, (e hanno da veni’ gli altri), invincibile per il nemico. Ai quasi mille caduti nella prima fase, culminata con la cacciata del tiranno Mubaraq, se ne sono aggiunti in questi giorni altri 90. Migliaia i feriti. Ma tutti questi martiri sono rivissuti nel milione e mezzo che si è ripreso Piazza Tahrir, il simbolo della combattiva indignazione che incendia il terreno sotto gli anfibi della Cupola. A dimostrazione che certe morti servono. A nulla è valsa la terrificante intimidazione del feldmaresciallo Tantawi, sodale numero uno del despota cacciato, dei 12mila manifestanti sequestrati e processati da tribunali militari. Il governo fantoccio, appeso ai fili dei generali di Mubaraq, a loro volta installati dal burattinaio a stelle e strisce, ha dovuto dimettersi. Non è bastato. Venerdì a Tahrir ci saranno due milioni, e altri nelle Tahrir di Suez, Ismailia, Alessandria, ovunque. I generali, padroni del 50% dell’economia egiziana e del più potente armamentario militare del mondo arabo-africano, lancinati dalla paura, si rifugiano nel solito “governo di salvezza nazionale”, la maestosa inculata di riserva là dove le armi non bastano, o non ci si può permetterle. Copioni delle truffe alla Berlusconi-Bersani-Monti, o alla Papandreu-Papademos in Grecia. Vedremo come va a finire. Intanto in questo Egitto eroico, modello dei nostri sogni, non è passata l’involuzione tunisina da moto rivoluzionario in pseudoriformismo sotto la ferula dei finto-moderati Fratelli Musulmani, vincitori delle elezioni, coccolati da tutto l’Occidente perché affini al fido Erdogan, carta di ricambio Usa. Fratelli Musulmani, copia carbone di quelli in Libia e in Siria, che, con tutto il loro impegno, non sono ancora riusciti a egemonizzare e pervertire in direzione islamocapitalista la collera e gli obiettivi del moto del 25 gennaio. Qualche esempio incoraggiante già c’è. Fu con questa fantastica tenuta di popolo in lotta, durata anche lì mesi e anni, con tanto di candelotti dei minatori, barricate e pietre dei ragazzi, che la Bolivia e l’Ecuador abbatterono despoti filo-yankee, borghesie compradore e vampiresche, apparati militari da sociocidio e che il Venezuela difese la sua rivoluzione bolivariana, il suo leader, il suo ruolo di avanguardia antimperialista continentale. E’ questo il passo della rivoluzione oggi.

Lo stesso discorso vale per la Libia, la Siria, altri paesi sotto attacco da destabilizzazioni, eversione, infiltrazione armata, droni, compresa la Somalia, ora nuovamente invasa dalle truppe di Stati mercenari dell’Occidente, Uganda ed Etiopia, e massacrata dai droni Usa, contro un’irriducibile volontà di popolo di sottrarsi al destino dello Stato-caos, pattumiera del mondo, esempio a tutti coloro che mettono in discussione il ruolo di colonia e presidio geopolitico e geoeconomico assegnatogli dalla guerra infinita imperiale. Dalla Siria, ultimo baluardo regionale della resistenza nazionale, rilanciati dai tamburi di tutti i media, l’ONU, Hillary Clinton, Sarkozy, Erdogan, satrapi del Golfo e del deserto, l’UE, Lega Araba, Amnesty International, Human Rights Watch, Moreno Ocampo, ci alluvionano con storie di atrocità del regime, al solito, dittatoriale. Senza esserci mai stati. Senza sognarsi di porre un frammento di orecchio a quello che invece dice un “regime” che, ogni due per tre, vede nelle piazze di tutto il paese milionate di suoi sostenitori e che diffonde immagini e confessioni di innumerevoli “ribelli” catturati e confessi, spediti da Libano, Turchia, Giordania a far casino sparando su manifestanti inermi e sulle forze di sicurezza. Immagini e documenti trattati dai media come le ragioni di Montezuma alle prese con i ratti cristiani spagnoli. I 1.350 poliziotti e soldati uccisi da questi emuli dei briganti bengasiani, tutti con nome e cognome (e famiglia), pesano, nella bilancia redazionale, un bello zero rispetto al quintale dei “3.500 massacrati dal regime, 280 bambini” (fino a ieri, ma in 24 ore, secondo le affidabili fonti degli “attivisti” e dei loro quartieri generali a Londra e Washington, balzati a 4.500). “20 vittime a Homs, 72 a Hama, 14 a Deraa, 47 ad Aleppo…”, si snocciola un rosario le cui salmodie avevamo già udito: 10mila morti in 36 ore in Libia, 50mila feriti, 300 morti a Ras Lanuf, 2.700 a Misurata… Confortati tutti dall’anonimato, quando non serva il puntello del nome di qualche morto vero, come a suo tempo le 40mila famiglie intervistate dalla famosa psichiatra di Bengasi, con altrettanti formulari spediti per posta in pieno marasma bellico, con qualche centinaio di risposte positive sugli stupri di massa dei soldati di Gheddafi, di cui la meticolosa dottoressa aveva però smarrito schede e recapiti.

Che importa, è la prima notizia che conta, non la smentita del reporter rompicoglioni. E così, pari pari, HRW, Amnesty, Ban Ki-moon, Cameron, qualche Abdallah incoronato, ora rimettono il disco del Rais che stermina la propria gente, delle torture, degli stupri, delle fosse comuni. Un deja vue, talmente pedissequamente ripetitivo e grossolano, da riuscire ancora ad abbagliarci solo grazie allo tsunami di sostegno dei media. Un disco, peraltro, di buona qualità, se è riuscito a non far smozzicare la sua puntina nonostante l’estenuante abuso che se ne è fatto nei concerti per la Serbia, l’Iraq, l’Afghanistan, la Libia. I cosiddetti ribelli dell’"Esercito della libera Siria", le solite truppe di terra Nato infiltrate travestitesi da disertori delle forze armate siriane, sono la stessa marmaglia che ha consegnata una Libia maciullata ai cannibali occidentali e che manovra in Egitto per sabotare la rivoluzione e sostituire i generali negli appartamenti della servitù degli Usa. Le masse che insistono da 10 mesi a schierarsi in difesa di governo, patria, indipendenza, proprie scelte di organizzazione politica, geopolitica e sociale, sono la versione siriana della sollevazione delle pietre in Egitto e della nascente resistenza libica. E così lo sono i giovani e meno giovani della comunità siriana a Roma che, in Piazza SS Apostoli, hanno allestito, con gigantesca bandiera, pari alla loro lealtà, una bella manifestazione contro i nemici del loro paese. E sono sulla stessa lunghezza d’onda dei giovani, dei disoccupati, degli esclusi, delle donne, che in Bahrein e Yemen, anche loro con una capacità di tenuta meravigliosa, contrastano la conferma delle tirannie filo-Usa. In Yemen, dopo 10 mesi di risposta armata e civile ai pretoriani del dittatore Ali Saleh, con migliaia di morti, gli insorti hanno conseguito la sua liquidazione.

Al passo dell’oca nelle retrovie del nuovo colonialismo obamian-europeo, la Lega Araba, addomesticata da paesi, anzi da dinastie, il cui PIL e le cui armate, tutti intrecciati alla globalizzazione imperialista, sono il centuplo rispetto al resto, ha equanimemente decretato che il governo siriano cessi i bagni di sangue degli oppositori e, con Obama e affini, che Bashar Al Assad si tolga dai piedi. Provoca capogiri la fantastica richiesta di uscita di scena di Assad avanzata da principi sauditi il cui paese sta alla Siria come un nostro CIE sta a un villaggio vacanze. Quella che lì deve instaurarsi è qualcosa del tipo Qatar: una simpatica famiglia, magari coronata, che possiede la totalità del paese, usa il popolo come strofinaccio di cucina, si dà di gomito con Israele e ospita basi statunitensi. A questo scopo, la Lega, più saudita che araba, che non si è sognata di sollevare un ciglio sui massacri egiziani e che ha ormai la credibilità del quisling Abu Mazen, ha proposto quel “piano di pace” fondato sulla fine delle violenze… del regime. Non un borbottio su una rivolta divenuta subito, come in Libia, armata e dichiaratasi tale quando la fola dei “protestatari non violenti” non reggeva più neanche sul “manifesto” e barbuti armati spediti dal gaglioffo libanese Saad Harini, dal re travicello giordano e dall’ avamposto Nato turco, sacralizzati in rivoluzionari da Al Jazira, sparavano sulla gente e massacravano i difensori della Siria libera. Il piano era palese: Assad avrebbe - e ha - accettato le condizioni – ritiro dei presidi militari dai luoghi della rivolta, dialogo, elezioni, riforma costituzionale, liberazione dei prigionieri, osservatori stranieri -, ma sarebbero bastati due vigili urbani siriani che si opponessero alla prima sparatoria dei “ribelli”, ovviamente non stigmatizzata, per dichiarare il governo siriano colpevole di uccidere i propri cittadini e meritevole di ultimatum, sanzioni, aggressione. In tre giorni la Siria avrebbe dovuto soddisfare tutte le richieste. Come se le sue fatiche, Ercole, le avesse dovuto compiere tra prima colazione e cena. Intanto i “giovani rivoluzionari” avrebbero dovuto mettere a ferro e fuoco un altro po’ di Siria, fornendo a Amnesty e Onu altre vittime da caricare sul conto di Assad. E propiziando lampi di guerra turchi, per garantire “zone cuscinetto” di 30 km quadrati oltre il confine, dentro la Siria. Zone cuscinetto ove insediare quel coacervo coloniale made in Libya, di invasati integralisti, “legione Al Qaida della Nato”, Consiglio Nazionale Siriano, Coordinamento dei Comitati dei Diritti civili e le spie nutrite a biscotti Cia e NED a Londra, Washington, Ginevra. Si proclamerà un governo di transizione e si avrà tutto il diritto, e tutta la simpatia destra-sinistra, di invocare forze speciali Nato e droni Usa. Nella carneficina araba che dovrebbe seguire, i paesi della Coalizione dei Volenterosi non perderanno di nuovo neanche un uomo. E Obama, carico di tali trionfi, potrà volare alla rielezione, prima che anche la Siria si riveli quel pantano in cui finiscono con lo sprofondare tutte le voracità e ferocie imperialiste, impegnate nell’estremo tentativo di dissanguare popoli e classi e risolvere per un altro po’ i propri problemi di accumulazione. A ottundere la nostra percezione del programmino USraeliano-UE, arrivano gli assordanti clamori dell’imminente guerra all’Iran. Balle, per ora. Sarebbe come voler conquistare un castello, prima di averne abbattuto le mura di cinta. Eppoi, una guerra non si preannuncia per anni, al nemico da abbattere si salta addosso all’improvviso. Per il Giorno D si pubblicizza Calais, ma si sbarca in Normandia.

Intanto l’’assemblea generale dell’ONU, con 122 paesi su 192, vota una risoluzione modellata sulla spudorata infingardaggine della Lega dei satrapi. Come la risoluzione del Consiglio di Sicurezza del marzo scorso che diede il via all’uccisione della Libia, anche questa è basata unicamente sulle affermazioni dei media (unanimemente guerrafondai), che a loro volta avallano le sparate, esagerate fino al grottesco, dei terminali locali delle centrali golpiste. Non un ispettore ONU sul posto, non un ambiguone di Amnesty, ma la Lega satrapista pretendeva di mandare 500 “osservatori” del tipo di quelli OSCE capeggiati dal criminale britannico William Walker in Kosovo e incaricati di avallare le menzogne UCK sulla “pulizia etnica”. E l’universo dei pacifisti, diritti umanisti, democraticisti, si è adombrato perché il governo siriano aveva chiesto l’esclusione di certe ONG, note per il loro ruolo nelle rivoluzioni colorate alla Otpor. Di Assad e del suo governo si potranno lamentare molte cose, difficilmente di più di quelle che subirebbero i siriani se prevalessero Nato e i suoi ratti, difficilmente di più di quelle inflitteci da Berlusconi e ora nei programmi della cupola della soluzione finale. Si può deplorare la severità con cui concedono visti ai giornalisti che dovrebbero raccontare la verità vista e vissuta. Ma se penso a miei colleghi che, in piena guerra, ammessi in Serbia come stormi di cornacchie, segnalavano ad Aviano gli obiettivi da centrare, o a quegli altri che a Baghdad ridicolizzavano i bollettini, veritieri, del governo, e spandevano stronzate Nato, indifferenti alla mattanza intorno a loro, o ancora a quelli che rintanati nell’Hotel Rixos di Tripoli vedevano inesistenti attacchi di Gheddafi alla sua gente e restavano ciechi e muti davanti alle stragi Nato di civili, se penso a questo corteo di olgettine di regime, capisco la prudenza di Damasco.

Dietro al fumo dell’attacco all’Iran si cela una Siria da infilare nel forno crematorio. Washington, mentre prepara la nuova No fly zone, da affidare all’aviazione turca e petrolaraba “in difesa dei civili”, invita tutti i suoi cittadini a lasciare la Siria “immediatamente”. Cameron, il bulldog inglese al guinzaglio del gestore dei combattimenti, sollecita i leader mondiali a collaborare con i gruppi dell’opposizione siriana. Sarkozy riconosce il Consiglio Nazione Siriano, stanziale a Istanbul ed eterodiretto da Londra, Parigi e Washington, come legittimo (sic!) rappresentante del popolo siriano e propone di creare in Siria, in collaborazione con rinnegati arabi e complici europei, “corridoi umanitari”. Ci si ricordi di quelli voluti da Napolitano per la Libia e realizzati a Misurata da forze speciali Nato, con la musica d'accompagnamento di Save the Children (quelli del Viagra di Gheddafi ai suoi soldati perchè stuprassero "bambini di 8 anni"), con lo sterminio della popolazione residente. E allora, viva la flotta russa arrivata a Latakia, viva Putin, presto bentornato, alla faccia di un altro trombettiere Nato nel “manifesto” che da anni ci impesta con le sue russofobia e slavofobia, l’albanese Astrit Dakli, ruotino di scorta dello scudo missilistico d’attacco Usa ai confini della Russia. Speriamo che, nei mesi che gli restano, il “morbido” Medvedev, presidente dai giri di valzer con l’Occidente, non comprometta un equilibrio che salverebbe la Siria e chissà quanti altri. E innalziamo preci anche alla Cina, qualunque cosa essa sia, comunista in chiave turbo capitalista, ma contrappeso agli Usa.

Nel gigantesco trasferimento forzato di ricchezza dal 99% all’1% non tutto è guerra, ma tutto è destabilizzazione. Vuoi con mercenari armati e teste di cuoio nostre, vuoi con rivoluzioni colorate, vuoi con le grisaglie fresche di Armani e le facce, da Centro Benessere, lisce e ottuse, dei Monti, Draghi, Barroso, Bertone e famigli di rango. Tre sono le cose che piacciono a me ha fatto enfaticamente sapere, in perfetta continuità con i predecessori pasticcioni e burini, ma eletti, lo zombie burocratico installato dal golpismo BCE-Napolitano-Vaticano: Marchionne, Gelmini, Letta Gianni. Come dire, i missili all’uranio sulla classe operaia, sulla formazione critica del nemico giovani, sulla legalità. I tre laureati dal “governo tecnico”, un governo dal conflitto di interessi collettivo rispetto al quale quello di Berlusconi è un inghippetto delle tre carti, se ne sono subito fatti una ragione: per passare dai contratti di lavoro tra le parti allo schiavismo unilaterale, per vedere sana e salva la controriforma dell’istruzione che punta ad avallare pecore e pitbull da combattimento sociale, per sapersi salvaguardato dalle conseguenze dei suoi traffici tra P4, Bisignani, Finmeccanica e tutta una vita da maggiordomo di malviventi.

Ero a Kyoto nel novembre 1997 per il TG3, a raccontare la conferenza di 169 paesi cannoneggiati dal cambiamento climatico e avviati sulla strada della soluzione finale per il pianeta. Un accettabile ministro dell’ambiente, Edo Ronchi, apparve solo sul finale, per la firma. Nei 10 giorni di dibattito, proposte e sabotaggi, di questi ultimi fu nostro coriaceo attivista, contro il benintenzionato sottosegretario Calzolaio, l’allora direttore generale del ministero Corrado Clini. Il suo boicottaggio di un qualsiasi esito che promettesse un soprassalto di ragionevolezza ecologica veniva alla fine sacralizzato dall’intervento annichilatore del vice di Clinton, Al Gore, poi riciclatosi al servizio della redditizia Green economy e delle multinazionali che se ne fanno profitto e scudo alla devastazione perseguita. Una vita, quella di Clini, da infiltrato. Si meritava il ministero. E lo ha subito onorato riproponendo, contro il referendum trionfante, il nucleare e, visto che c’era, gli OGM. Possiamo rassicurarci: sotto di lui la guerra al dissesto idrogeologico e alla nostra salute sarà come quella per la salvezza del paese di Vittorio Emanuele III. Poi, nel governo di Supermario, ci sono comunità religiose dai grandiosi traffici internazionali e nazionali, S. Egidio (quello che aiuta a sobillare nel Darfur) e la  CL dal monopolio sussidiario, cattointegralisti della manipolazione degli intelletti, rettori che al posto di Cicerone e Dante collocano Marchionne e Ichino e varie espressioni della criminalità bancaria incaricate di portare a compimento, con il consenso unanime dei purosangue della democrazia rappresentativa in versione golpista, l’esproprio inziato da Adam Smith nel ‘700. Eseguiranno alla lettera il dettato, dettato agli eletti dal popolo della BCE, di Bruxelles e di Wall Street, dalla cosca mondialista dei Drakula, pronti a siringarci l’ultima goccia di sangue. Pensioni, salari, diritti, salute, casa, ambiente, scuola, tutto privato, tutto a ramengo. A garantirlo, professionisti militari in ordine pubblico, mazzate, gas tossici, carcere e, se non basta, come in Egitto, fucilate. Lo spirito santo che su tutto aleggia lo forniscono i cardinali Bertone e Bagnasco, grandi estimatori, sponsor, co-pronubi, di questa “bella squadra”. Restano nel solco tracciato nei millenni.

Come siamo arrivati a tutto questo? Alla stessa maniera e grazie agli stessi meccanismi che ci hanno resi passivi e complici nella distruzione della Libia. Qui, lo psico-terrorismo del baratro che sta per inghiottirci “tutti” (e che vedete intensificarsi, nonostante il fiduciario della cupola a Palazzo Chigi: proseguirà fino a saccheggio compiuto) e che ci costringe appecorinati per la grande abbuffata sodomitica dei “tecnici”. Lì, la psico-guerra con l'arma di distrazione di massa del dittatore pazzo, dei civili da salvare dalla sua ferocia e riscattare alla democrazia. Ogni dubbio viene disintegrato dai media, come un ciclone spazza gli alberi dell'Alabama. Ne ho visto una esemplificazione perfetta nel programma del “liberal” sionista Gad Lerner. “L’Infedele” ad ogni regola deontologica, aveva assemblato il fior fiore del collaborazionismo domestico e del ciarpame fuoruscito da Siria e da altri paesi da consegnare alla democrazia dei califfi. Vogliamo toglierci dalla testa che questa gramigna sedicente di sinistra, i Lerner, i Fazio, i Saviano (ora spedito a Zuccotti Park per depistare la collera contro la Cupola verso la Camorra, causa della crisi), i sodali del “manifesto”, Bersani, Vendola, il Revelli pronto a “baciare il rospo” che ci resterà nella strozza, tutti coloro che festanti celebrano il funerale di Berlusconi, non avvedendosi che da quella bara è riuscito, pulito, stirato, profumato, candido di bianca chioma, dotato di bon ton e di borborigmi, stavolta espressi non in triviali barzellette, ma in elegante fuffa.

L’Italia, in questi giorni di nuovo sepolta dal fango e sospesa sul vuoto, trova la sua metafora in tempi antichi, quelli così tenacemente perseguiti dai nostri potenti. In quella gabbia appesa dai magistrati del principe alle mura della cittadella, con dentro gli eretici, i sediziosi e i briganti, da estinguere per fame, sete, freddo o canicola, con il concorso finale di avvoltoi per quel che ne resta. Al di là si estende il deserto. E noi aspettiamo i tartari.

giovedì 10 novembre 2011

SERVO ENCOMIO


Ei fu. Siccome immobile,    
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore       
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie’ mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.                        

Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha: 
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio e
scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.

(Ragazzi, questa è tosta  per lunghezza. Abbiate pietà considerando che è un po’ che non vi importuno, che sarà un altro po’ prima che riappaia, che si tratta del capitolo finale di un libro in lavorazione e che il pezzo è diviso in 4 parti è può essere consumato a tappe).

PARTE PRIMA

Viva le forze armate, viva la guerra. Scrivo nel tempo che dalla mia finestra fa entrare i clangori della banda di paese, sindaco, uniformi e cravatte in testa. Si celebra la Festa delle Forze Armate, la Grande Guerra, la Vittoria. Dall’alto di monumenti e lapidi in tutta Italia, con incisi e rosi dal tempo i nomi di una generazione uccisa dai suoi padri, scendono sui corifei in ghingheri tricolori sputi e vomito. Burattini, questi,  allora come oggi, di coloro che imbavagliandole e accecandole con il tricolore, dei sacrificati al dio Mammone strozzano in gola l’urlo da non far udire ai predestinati a venire: “ Morti non per Trento e Trieste. Morti per gonfiare  le vene di  quei compatrioti i cui mezzi di produzione sono la trasfusione del nostro sangue”. Gli epigoni bipartisan di quella mattanza dei costruttori del capitalismo italiano, dalla Serbia all’Iraq, dall’Afghanistan alla Libia, hanno saputo non essere da meno. Il propiziatore della “coesione nazionale” tra carnefici sociali e bellici, così li blandisce: 


“Le forze armate italiane costituiscono un’istituzione di riferimento per il paese e per la comunità internazionale e, con la loro opera, contribuiscono a costruire, insieme agli strumenti militari di stati amici e alleati, la sicurezza e la stabilità nelle aree più critiche del mondo e lungo le grandi vie di comunicazione, vitali per la libertà dei traffici commerciali… Occorre che le Forze Armate siano poste in condizione di affrontare con crescente efficacia le nuove sfide e le minacce emergenti”  (ogni riferimento a Siria, o Iran, o Somalia, è puramente casuale). Di Giorgio Napolitano, candidato alla Norimberga che verrà, né  Leopoldo del Belgio, nè la regina Vittoria, Hitler o Churchill, avrebbero potuto onorare meglio chi, per loro, ha messo alcune centinaia di milioni di morti ammazzati a guardia delle “grandi vie di comunicazione vitali per la libertà dei traffici commerciali”. Sarà un caso quel suo colpo di mano – di Stato ? – con cui ha improvvisato Mario Monti senatore a vita, proprio quando se ne aspettava la nomina a capo del governo? Non è Mario Monti quel sommo che è al tempo dirigente della loggia Bilderberg, della cosca Trilateral, della Goldman Sachs? Altro che il finto nero di Washington! Un’idra a tre teste.


Scrivo anche nel tempo che in un’altra guerra, non per l’oro, ma per la vita, la libertà, la giustizia, sulle montagne della Colombia,  è caduto, assassinato dagli sgherri del narcopresidente Santos, il comandante delle FARC-EP, Alfonso Cano. Tempi di primavere. Si tuffa nel nostro tempo, annaspa, nuota, avanza, la primavera. Dal Cairo a Oakland, da Piazza San Giovanni a Piazza Synthagma, da tutte le resistenze in armi del mondo a quella della selva colombiana. Alfonso Cano cento volte aveva proposto al regime un’uscita politica del conflitto. Appeso ai fili del Pentagono, la marionetta di Bogotà rifiutava. Oportet ut bellum eveniat , senza conflitto non c’è militarizzazione, né ci possono essere basi Usa per la lotta “al terrorismo” e l’assalto ai popoli latinoamericani, né commesse di armamenti. Ai compagni di Alfonso ricordiamo: la morte di un fiore non ferma la primavera.

Scrivo nel tempo  in cui la natura, coinvolta nel planeticidio dal cannibalismo ecologico degli sviluppisti, ci somministra, con violenza potenziata dal saccheggio umano, uno dei suoi estremi avvertimenti. Novembre 2011, l’ennesima alluvione di fango terrigno frantuma e sommerge l’Italia. Mescolata all’uragano di fango morale sprigionata da palazzi, gazzette e schermi e al fango, cementato in mazza o missile, che si abbatte sui corpi ancora vivi per piazze e nazioni, l’Italia fa la sua parte nella guerra di classe dell’1% contro il 99% residuo. Guerra di classe con bombe a grappolo e di fango. “Bombe d’acqua” chiamavano il genovesi il diluvio cacciatogli addosso da coloro che gli avevano disintegrato il territorio e incendiato l’aria. Sono gli stessi, e ugualmente disintegrano territorio e incendiano l’aria, i bombaroli all’uranio. Stessa faccia, stessa razza.

 E scrivo nel tempo, mala tempora currunt, in cui quello che noi chiamiamo “mondo”, o “comunità internazionale”, l’organizzazione criminale che governa il 7% dell’umanità, è impegnato a estrarre financo il midollo da viventi e terre, come dettato ai governi, a nome della cupola, dai Draghi e dai Trichet della BCE, mentre, ottenuto tale risultato in Libia, distoglie e fa distogliere lo sguardo da dove si inceneriscono terre e viventi, già liberi e prosperi, nel turibolo della liturgia capitalista. E sono i fumi turibolari davanti ad altari che, da sempre, offuscano la vista e costringono in ginocchio i popoli del mondo. Un’orda di psicopatici invasati, sostenuti dalla maggioranza di un aggregato confessionale  avvelenato e furibondizzato dal proprio senso di colpa per i genocidi che sostiene, si accinge all’assalto, inevitabilmente nucleare, al non-nucleare Iran. Sostenuto dal rettile a tre teste, Netaniahu, Barak, Lieberman e da tutti coloro che utilizzano l’olocausto d’antan per compiere olocausti planetari, Simon Peres, il più longevo nel crimine di tutti i nazisionisti, appropriatamente capo di Stato, annuncia quello che sarà la fine del mondo. Si danno da fare per dare credibilità alla panzana Maya del 2012. I pretesti per l’apocalisse sono degni del Bagaglino: sta per produrre l’atomica, ha negato l’olocausto, ha annunciato la distruzione dello Stato ebraico. 

La Cia aveva sentenziato che l’Iran aveva smesso la ricerca sulle armi nucleari nel 2003; sull’olocausto Ahmadinejad ha solo detto che non ti permettono neanche di discuterne, su Israele ha auspicato, come tutte le persone perbene del mondo, non che sparisse il popolo, ma l’aberrazione istituzionale razzista e stragista. Pretesti come quelli delle armi  di DM di Saddam, o dei bombardamenti di Gheddafi sulla sua gente. Ma alle patacche rimedia la superpatacca AIEA: “la corsa iraniana all’atomica è in atto, decisivi sono l’aiuto dello scienziato russo Danilenko e consulenze nordcoreane”. Addirittura tre piccioni-canaglie con una fava. Il “mondo”, paralizzato dalla capacità di rappresaglia terrorista, finanziaria, mediatica e diplomatica, dello Stato neonazista, tace. Ci promettono l’armagheddon, la soluzione finale vera, e questi non vedono, non sentono, non parlano. Nessun pacitonto in piazza, nessun sit-in di sinistre antiguerra, neppure le liete facce e i giulivi danzatori e clown che animano le nostre processioni per la pace, l’acqua, la democrazia, per un minimo di buone maniere nella guerra dei ricchi ai poveri  da far condurre, al posto del fantoccio sbrindellato, da uno fresco di messa in piega nella Quinta Strada. Questa è gente che, impegnata nelle celebrazioni per l’arrivo in Libia, sotto le svettanti insegne di Al Qaida-Cia, vive in quella democrazia  che, al solo accenno a una consultazione popolare su come il popolo greco debba farsi affettare alla tavola delle banche, l’ha stritolata come un insetto. Non c’è tentacolo dell’europiovra che non si sia attivato.


A Decimomannu si fanno esercitazioni italo-israeliane, anche di rifornimento in volo, per vedere come si può arrivare a sfasciare un paese lontano. Israele si pavoneggia con un nuovo missile capace di testata nucleare atto a infilzare Tehran manco fosse Tripoli o Gaza. Si deve approfittare di come si è incasinata e messa in tumulto la Siria, Stato inammissibilmente sovrano e fronte occidentale dell’Iran; si deve mettere in un angolo, con la tiretera del nemico esterno, la propria sollevazione sociale (e questo vale anche per Obama), si deve far raggrinzare di spavento le varie primavere arabe, far regredire la malattia infantile anti-Wall Street e anti-tutto il resto, negli Usa e ovunque. Ci stanno, fingendo di farsi tirare per la giacchetta, gli Usa, scalpita Londra per far portare in Iran “il fardello dell’uomo bianco” dai suoi matamoros SAS,  non ci stanno, ma si fregano le mani e i forzieri, sauditi e maggioranza satrapesca e coloniale della Lega Araba. Libia, Egitto,Tunisia risultano disperse, digerite nella pancia perennemente ruminante della Fratellanza Musulmana, a volte “moderata”, a volte Al Qaida, sempre carta di ricambio imperiale  Degli europei non fa conto parlare, non hanno scelta, ça va sans dire, Israele e gli Usa non scherzano.  E l’AIEA, l’agenzia per l’Energia Atomica, non s’è forse liberata del tentennante El Baradei e l’abbiamo messa  nelle mani del fidatissimo samurai Yukiya Amano, che sugli spropositi nucleari iraniane dà tutte le ragioni ai nuclearisti israeliani?

 Per Blair, Saddam poteva in 45 minuti vaporizzare mezzo Occidente. Per il fido Amano, le 400 bombe atomiche dello Stato terrorista sono ben poca difesa contro un Iran che pretende di pasticciare con il nucleare civile e fra 45 minuti ne farà la sua bomba. Ci si è messo pure il fabbricante FBI di attentati islamici con il video giochino da asilo infantile in cui musulmani farlocchi iraniani affidano l’assassinio di ambasciatori della coppia Israele-Saudia al narcocartello messicano “Zeta”, da sempre arnese Usa, con un intermediario dotato di documenti falsi forniti da Israele. Ci prendono per deficienti, ma il concerto dei media glielo consente.  E vuoi che una situazione tanto favorevole non vada sfruttata da chi si propone lo sfoltimento della popolazione terrestre e il furto con scasso dei suoi beni? Che non se ne debba trarre l’occasione per quell’apocalisse che pare covare nei cromosomi del popolo della Bibbia? Per molto meno, un passaggio a nordovest, dal Caspio all’Oceano Indiano attraverso l’Afghanistan, qualcuno si è mandato per aria due torri e 3000 vite a Manhattan e s’è fatto un buco nel Pentagono. 

E poi, perchè turbarsi? Non scrivo nel tempo in cui gli Usa e ascari annessi  conducono guerre in Libia, Iraq, Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, Uganda e ne hanno in atto di segrete in altri 120 paesi, dove operano gli ausiliari: forze speciali, piloti di droni da Las Vegas, terroristi autoctoni, killer dei servizi segreti, paramilitari narcos al servizio della City Bank e centinaia di migliaia di contractors? Che sarà mai un’altra guerra, un altro mattatoio? Fa girare indietro la ruota della sovrapopolazione e avanti il registratore di cassa dell’1%. Meglio di così.  E alla fin fine, se pur avessero un tallone d’Achille (e, deformi, ne hanno in sovrappiù), colpendo il quale fuoruscirebbe tutta la tossicità di cui sono compenetrati, non glielo proteggerebbero con robusto scudo i media? E gli embedded, di azione, redazione ed edizione, mica devono guadagnare a ufo, mica a ufo possono farsi chiamare giornalisti. Tutti i media, tutti i giornalisti, anche quelli che,  incongrui, visto  che ne condividono il paradigma “democrazia contro dittatori”, imprecano contro gli usurai che, con diktat bancari e mazzate di polizia per ogni dove e ogni testa, uno, ci tolgono il bene costato qualche milione di vite, la sovranità e, due, estorcono le ultime fibre da quel po’ di tessuto sociale che è rimasto vivo. Voci critiche che servono ad allestire con anestizzanti salsiccette la vetrina del macellaio. Le lasciano fare, le lasciano sfogare, sono innocue visto che su ciò che conta e che tutto risolve, democrazia, diritti umani,  la demonizzazione del nemico che lubrifica la guerra, questi giornaletti e gruppetti e intellettualetti sono allineati e coperti. E così, tra una devastazione sociale e una bellica, la cessione del Partenone alla McDonald’s e quella del Grande Fiume del popolo libico alla Suez,  tra linciaggi in Libia da far impazzire d’invidia il Ku Klux Klan e missili e sbranatori islamisti su chiunque nell’universo mondo si opponga, chi lavora per “la fascia alta”, la BMW, ha visto crescere del 24% i suoi utili, la Exxon del 500%, e la Goldman Sachs del 77%, con bonus di milioni di dollari ai manager (l’uomo di questa suprema associazione a delinquere è ora direttore della BCE). Decollano profitti e beni di lusso, per quell’1% dell’umanità. Crisi, che ridere!

PARTE SECONDA

Fossimo nati dove essi sono nati e ci avessero insegnato ciò che a essi è stato insegnato, crederemmo ciò che essi credono (Scritta in una chiesa nordirlandese).

L’orribile fine di Rossana Rossanda nella notte dei morti viventi. Il “manifesto”, giornale che osa, anzi, ha la faccia, di definirsi di sinistra, anzi, comunista, è il più bravo di tutti. C’è un di più di etica, nella misura in cui è trattata come disvalore, di onestà intellettuale, alla luce di come è rinnegata, di coerenza con le altosonanti e impavide dichiarazioni d’intenti ideologiche ed epistemologiche, per come sono rovesciate nel loro contrario. E’ il plusvalore realizzato con la mistificazione. Un gradino più su  rispetto al servo encomio offerto dai main stream media  ai quattro cavalieri dell’Apocalisse che hanno maciullato un popolo e il mito eroico, vivo e concreto, che lo ha guidato alla liberazione e alla giustizia. Va privilegiato, sebbene il “quotidiano comunista”, oggi bollettino aziendale di chi  respinge il diktat criminale della BCE, ma ne sposa i sinistri sicofanti, non abbia poi quel gran peso editoriale e politico, per la notevole funzione simbolica che nei suoi quarant’anni di esistenza gli è stata riconosciuta: il giornale per noi “altri”, faut de mieux . E per le lotte sociali ci si poteva pure stare. Restavano quelle, i contributi di qualche intellettuale fuori carreggiata, cronache non sacconiane di manifestazioni. Ma, a dispetto dei pervicaci e reprobi difensori della professione e resistenti antimperialisti, degni di sconfinata stima (Manlio Dinucci su tutti, Michele Giorgio, Maurizio Matteuzzi, a volte Tommaso De Francesco, Valentino Parlato il “tripolino”), la pagina internazionale è da tempo degenerata in copia un po’ sbianchettata del mattinale di La Russa, Ministro dell’Offesa., con rubrichetta rosa affidata a chi con i droni vorrebbe, in primis, colpire il burka delle donne. Copia rosa, con qualche perplessità cerchiobottista quando gli oceani di sangue allestiti dai sostenitori dei diritti umani e della democrazia arrivano a lambire la sensibilità di chi fiancheggia quei diritti umani per come inflitti a Iraq, Afghanistan, Pakistan, Somalia, Libia, Siria. Di chi insiste, su imbeccata Cia, a dare dell’Al Qaida a qualunque resistente sull’orlo dell’abisso Nato, della globalizzazione, del regime change, o ancora di chi affonda i suoi scandagli informativi nelle turpi e depistanti ipocrisie delle ONG, a partire da Human Rights Watch  (Soros-Mossad) e Amnesty International (Dipartimento di Stato), portavoce dell’Impero in divisa di scout e coccinelle.

Già, Human Rights Watch, con Amnesty  un coro greco della tragedia pervertito nel suo contrario, non sofocleo severo controcanto alla frode, all’inganno, all’errore, al peccato, ma di questi arrangiamento musicale che i sinistri suonano con la voluttà dell’autoassoluzione. HRW e Amnesty, senza di voi quale materasso morale inserire tra la mia compunta apprensione per le 40mila bombe scagliate in testa ai libici e gli eccessi antropofaghi del linciaggio di Gheddafi, o di Saddam, o di Milosevic, da un lato, e la condivisione con i carnefici dei loro alibi diffamatori, dall’altro? L’altro giorno c’era tutto un paginone dal “manifesto” che, partito dell’infame cerchiobottismo delle atrocità commesse “non solo dai lealisti”, attribuisce al “Wall Street Journal” il primato della notizia che da Tawarga, città libica di neri, erano stati cacciati i neri. Non s’erano accorti delle decine di urla di orrore che i siti libici e filolibici erano andati lanciando da settimane sull’eliminazione di un’intera cittadinanza. Poi, nel paginone dedicato agli “aiutini” alla verità provenenti dai piastrellatori della camera mortuaria Libia, cita, apprezza e avvalora, le denunce su qualcosa che non andava, pigramente scaturite da HRW e Amnesty. Già proprio quelle benemerite ONG che avevano abbattuto la barriera tra rifiuto e accettazione della guerra, facendo da mosche cocchiere alle menzogne dei media sulle quali si è poi basata la risoluzione ONU 1973, il via al massacro: “10mila morti, 50mila feriti in tre giorni, stupri al viagra dei gheddafiani, i mercenari africani, le carceri dell’orrore, la strage di Abu Salim nel 1996… Tutte balle, in assoluto sincronismo con i desiderata dei vari ministri della guerra. 

Poi, a lavoro compiuto, le sommesse rettifiche, quando non se ne poteva fare a meno di fronte alle pile di cadaveri ammonticchiati a Tripoli, Bengasi, dappertutto. A Sirte, HRW aveva scoperto 53 corpi di gente di “incerta affiliazione”, quando poi la Croce Rossa ne aveva trovati 250 con le mani legate ed esecuzioni sommaria, tutti gheddafiani, e centomila abitanti si sapevano, o in fuga, o sterminati. E quando il britannico “Telegraph” già parlava da mesi della caccia al nero da squartare da un capo all’altro della Libia, HRW e Amnesty ancora si gingillavano con i “mercenari” di Gheddafi.  E sempre HRW aveva la finta dabbenaggine di chiedere al CNT di tenere sotto controllo i suoi armati. Al CNT che li aveva assoldati e scatenati e che del bagno di sangue è il responsabile primo.  Zitta invece, l’ONG finanziata dal sionista  George Soros, sulle 40mila bombe, spesso all’uranio, spesso a grappolo, piombate sui civili libici durante 8 mesi.

 Non credo che i futuri genitori di quel paese si rivolgeranno a HRW o Amnesty quando scopriranno nei loro neonati le stesse leucemie e deformazioni che ci ha offerto la democratizzazione dell’Iraq. Né, tantomeno, le due arpie dell’umanitaresimo, si sono mai sognate di denunciare le mostruosa illegalità della guerra d’aggressione e dei suoi metodi e strumenti, o il rifornimento di armi a una parte della guerra civile, o il reclutamento e uso di mercenari, tutti crimini secondo le convenzioni internazionali? Perché non trascinano in tribunale, per crimini di guerra e contro l’umanità evidentissimi, Obama, Cameron, Sarkozy e compagnia assassina varia?  Ancora più perfida HRW quando, nell’intento di mettere il carico da 90 sulla demonizzazione di Gheddafi, con mira ai giusti nel mondo che avrebbero dovuto stare con la Libia, negli uffici dell’intelligence libica il suo capoccia locale “scoprì” documenti che attestavano alla vergognosa intesa tra servizi occidentali e Gheddafi. Una favoletta al veleno come quella del “Saddam, uomo degli americani”, finalizzata a screditare il soggetto a sinistra e paralizzare ogni solidarietà con il paese aggredito. HRW e Amnesty, prima di lasciare il campo per la Siria, dove stanno allestendo lo stesso spettacolo umanitario rilanciando, come a Bengasi (a Tripoli si rifiutarono di andare, pur invocati da Mussa Ibrahim), il ritratto splatter di Assad, dipinto esclusivamente da “attivisti” e “comitati dei diritti umani” su dettagliata imbeccata dei loro quartieri generali a Londra, Washington, Doha e Riad, hanno espresso “preoccupazioni umanitarie” su quanto accadeva a Sirte. Manco un sobbalzo di preoccupazione umanitaria quando, per otto mesi, Nato e subumani distruggevano un paese e squartavano un popolo. Riferire quanto denunciava e, magari, documentava “l’altro”, il “dittatore”, era sicuramente al di sotto della dignità umanitaria e professionale di HRW e Amnesty. Quella riconosciuta a pieno titolo e in ogni circostanza dal “manifesto”.

Per quanto arginata dagli onesti come Dinucci, o Parlato, la macchina del fango ha buon gioco anche nel “manifesto”, grazie all’immeritato ruolo di editorialista “che dà la linea” riconosciuto alla dama di compagnia del piromane Sion-Nato (in Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia, Tibet) Bernard Henri Levy  e fondatrice del quotidiano berlinguerian-bertinottian-vendoliano (“Stiamo meglio sotto la Nato”). Rossana Rossanda, che da finestra a finestra in Rue de Rivoli si scambia dei ciao-ciao con lo pseudofilosofo Mossad, bastonato il professionista vero Matteuzzi per i suoi onesti reportage da Tripoli (venne sostituito a Bengasi e Misurata dal portavoce dei tagliagole Stefano Liberti), nei primi giorni del golpe Nato-Al Qaida aveva inneggiato ai “giovani rivoluzionari”, fino a spingersi alla sconcia e ingiuriosa invocazione di “brigate internazionali”, tipo quelle di Spagna, da affiancare al mercenariato che già invocava sulla propria gente patriotticamente i cataclismi bombaroli (come poi  faranno, sempre patriotticamente, i successivi “giovani rivoluzionari” di Siria). Non paga di una figuraccia da far impallidire Berlusconi mignottaro, l’augusta maestra è tornata sulla scena del delitto a Tripoli caduta e Gheddafi sbranato dai suoi “giovani rivoluzionari”.

Combinando la solita arroganza con il solito aristocraticismo eurocentrista, la solita ignoranza con la solita burbanza baronale, Rossanda, arricciato lievemente il naso per come i “ribelli” hanno sistemato Gheddafi, non si sogna di fare un passo indietro e riconoscere la facciata presa, il turpe servizio offerto ai genocidi, alla regressione culturale, alla catastrofe sociale, al razzismo e alla strategia USraeliana di smembramento delle nazioni. Si divincola tra un rimbrotto a chi uccide prigionieri e non fa processi (ah, con Moreno Ocampo del TPI sarebbe stato diverso!), e la conferma della natura abietta delle vittime: “dittatori e terroristi”, “satrapi del Sud” corrotti che perpetuano la prassi colonialista, “intrallazzi fatti assieme all’aggressore di oggi”. Vale anche per la Libia, prima in Africa per promozione dei diritti umani, del progresso, dell’indipendenza e della giustizia sociale. Un altro po’ di fango, inevitabile a copertura del carcinoma di spocchia e ottusità (leggete le banalità con cui analizza la “crisi”) in via di metastasizzazione oltre le epifanie epigonali della ragazza del secolo scorso. Per non farsi mancare nulla, la guru della sinistra compatibile, sfottendo di passaggio l’antimperialismo quasi fosse Bertinotti, si allarga all’America Latina dove, non credendo in “dittature progressiste”  (intende Chavez e Castro) e visto che noi abbiamo creato, tra Marx e Friedman, il migliore dei mondi possibili, semina un po’ di dispregio sui ”regimi che socialisti non  sono”, secondo la depositaria del verbo,  e chi ne se impippa se hanno rotto con gli Usa e ci stanno provando a migliorare le cose. Quelli del Nord non sono mai satrapi. Hanno più sangue sulle mani di tutti i governanti del Sud messi insieme, ma non sono satrapi. Come diceva Roosevelt del macellaio Somoza? “E’ un bastardo, ma è il nostro bastardo”. L’atteggiamento di Rossanda verso il Sud del mondo rende affettuoso quello di Calderoli e Maroni verso i migranti. Del resto, non mancano nell’album di famiglia illustri precedenti. Marx e Engels, ricordate, snobbavano e sottovalutarono pesantamente molte “primavere” autentiche del loro secolo: i moti risorgimentali nostri, le lotta anticoloniali latinoamericane, le insurrezioni in India. Non c’erano operai, quindi si poteva passare oltre, per dirla con l’accetta. Lenin ci ha poi messo una pezza. Eppure quei due erano i migliori di sempre. Curioso come le rossande del mondo preferiscano abbuffarsi dei loro errori, piuttosto che coglierne l’intelligenza cosmica.

Ci sarebbe a questo punto da citare il paginone, con gigantografia di “giovani rivoluzionari” in armi, del repellente Uri Avnery, un nazisionista mascherato e inghirlandato dal “manifesto” e da quella medusa urticante che è Luisa Morgantini, con pacifinti e pacitonti (ottimo termine da me rubato) al seguito. Cari amici del “manifesto”, non basta mettere in capo due righe di blanda presa di distanza da un tale proclama himmleriano sulla necessità di stuprare la Libia e fare a pezzi il suo leader. Per azzerare quella putrescenza colonialista e razzista ci sarebbero voluto tre paginoni tra scritti di Gheddafi e temi sulla guerra dei bimbi di Tripoli cui hanno sbriciolato la casa, disintegrato un po’ di parenti e amichetti, scuoiato il maestro nero, avvelenato l’habitat.  

Figurarsi, tanto più che al “manifesto” è giunto l’esempio dell’ancor più audace “Guardian”, giornale sinistro inglese, che, senza neppure quella lieve presa di distanza, ha onorato di un ampio editoriale il comandante militare di Tripoli Abdel Hakim Belhadj. Va riconosciuto al “Guardian” il merito di aver distolto per un attimo il fondatore del Gruppo Libico Islamico Combattente, filiale di Al Qaida, dalla pulizia etnica condotta casa per casa dai suoi “giovani rivoluzionari”.

Benedetta la Nato, dato del clown a Gheddafi (si pensi a come è addobbata la nostra massima autorità spirituale, Joseph Ratzinger), messolo a pari di Hitler e Mussolini e attribuitegli tutte le grottesche efferatezze con cui i pifferai della guerra infinita ci decerebrano, anche questo pacisionista, scopertosi SS, non trascura di allargare lo sguardo. Gli piace pure quanto l’Occidente ha fatto in Kosovo, finalmente messo in mano a Hashim Thaci, espiantatore di organi di prigionieri e massimo narcos dei Balcani, ma caro alla correligionaria Madeleine Albright. Visto come collimano interesse e strategia di Israele e Al Qaida, non c’è, per Avnery, neanche da farsi troppi scrupoli sullo Stato della Sharìa proclamato e lanciato in faccia alle donne libere di Libia dal fidato Primo Ministro Mahmud Jibril per assicurarsi, insieme alla burletta delle armi atomiche e chimiche ritrovate, una nicchia nella benevolenza che il vincitore riserva ai traditori. Del resto, tra Stato della Sharìa e Stato teocratico degli ebrei che differenza c’è? Eppoi, come non riconoscere a questi nuovi amici il merito di aver riconosciuto in un colpo solo, sia Israele, sia il Consiglio Nazionale Siriano, gemello Nato di quello libico.

Non c’è, invece, che da seppellire sotto le risate quel soggettone alla Zelig che, sempre sul disponibilissimo quotidiano antiguerra, si presenta come psichiatra, Sarantis Thanopulos (guarda dove li vanno a scovare!) e, come ti educo il pupo, ci ammannisce un Gheddafi che “fa della repressione il correlato funzionale della regressione psicologica collettiva”  (nella solita Libia posta dall’ONU al primo posto progressista africano), dal che discende poi il parricidio metaforico: un rito di iniziazione che istituisce una società di pari  e consente di introiettare il potere arbitrario del padre trasformandolo in autorità democraticamente gestita e condivisa. Dunque, gli orrori sul corpo di Gheddafi hanno il significato liberatorio del tirannicidio. Se non sono cialtroni, al “manifesto” non li vogliono.

Non manca mai, il “manifesto”, di apporre la sua tessera al mosaico della guerra infinita. Preziosi gli interventi (Forti, Colotti, Sgrena, Giordana, amanuensi vari) che dissipano i sani dubbi sull’autenticità di Al Qaida,  che i soliti “complottisti” sospettano costola della Cia, etichettando, su modulo strategico USraeliano, ogni difesa dei deboli da sopprimere, ogni lotta di liberazione, con lo stigma Al Qaida. Che si tratti di combattenti afghani, degli Shabaab somali, della resistenza in Iraq o in Yemen, di un villaggio di immigrati libanesi nei dintorni dell’ambito acquifero Guaranì in Sudamerica. E quando tu dai, del tutto abusivamente, dell’Al Qaida a chi si batte contro il mostro imperialista, a quel mostro hai bell’e lisciato il pelo, alle sue vittime hai ficcato un coltello nella schiena. Lo fa anche Vauro, principe dei vignettisti davvero antagonisti, quando disegna Gheddafi come potrebbe essere la faccia sotto la maschera di Darth Vader.

Del resto l’orchestrina che sul “manifesto” suona la musica del padrone ha molti strumentisti. C’è l’autorevole Danilo Zolo che, avvallato per l’ennesima, manifestaiola volta la superpatacca dell’11/9 e fatto un miscione unico di primavere arabe e inverni libici, sentenzia  che Gheddafi qualcosa pur “meritava per le gravi colpe di cui s’era coperto ”. E non dovevano forse pensarci le “nuove autorità della Libia, eventualmente sostenute dal Consiglio di Sicurezza “?  Non c’è dubbio, nessuno più sopra le parti di costoro. Proclama, Zolo, che “la democrazia è ormai un obiettivo irrinunciabile, in Libia come lo è per l’intero mondo islamico”.  E meno male che, sottobraccio, in Libia sono arrivati i sadici ossessi della Sharìa e il Fondo Monetario Internazionale : la democrazia è garantita. Come anche l’equa distribuzione dei beni. Raffina il suo passo in sintonia con quello degli anfibi Nato, Zolo, quando lamenta che “il sangue degli innocenti continua e continuerà a essere versato… anche dalla disperata e grottesca resistenza di Muammar Gheddafi e dei suoi lealisti”. Siamo all’osceno. Combattere fino all’ultimo sangue, fino all’ultimo palazzo sventrato, insieme al proprio popolo, contro la cupola criminale del mondo, Grottesco? Che transfert, ragazzi! E’ piaciuto anche alle ginocrate della caccia al velo, damigelle di corte di Rossana. In comune, questi chierichetti delle tavole della legge imperiale, hanno un’altra figata: Gheddafi l’hanno dovuto far ammazzare, quei cattivoni, perché chissà quali rivelazioni avrebbe potuto fare, in un processo, sui turpi negozi da lui svolti con loro. Neanche l’esempio di Milosevic, fatto morire in carcere dopo tre anni in cui non si era riusciti a inchiodarlo su alcun misfatto, gli fa balenare il sospetto che il procuratore del TPI, Moreno Ocampo, si sarebbe visto spuntare le armi Nato, sia dalle rivelazioni sulle infinite porcate occidentali durante 42 anni di complotti, sia dalla colossale opera di costruzione di una nazione, di resistenza agli Stati canaglia, di emancipazione e liberazione di un popolo. Già era stata un’abiezione far giudicare i gerarchi e generali nazisti dagli omologhi Churchill e Roosevelt. Quale chance avrebbe una masnada di killer di massa come i governanti occidentali di fronte a Muammar Gheddafi?

Comunque il lupo perde il pelo (le copie, la credibilità), ma non il vizio, nonostante le virtù dei Dinucci. E, non paga di aver appesantito la sua fedina penale giornalistica con gli autentici stupri di verità ispirati all’inviato a Bengasi dagli stupri dei “giovani rivoluzionari” su neri, soldati e dissenzienti, l’acidula direttrice Norma Rangeri (ora disarcionata, credo proprio per meriti libici) rinnova lo scempio del logo di testata con una Carneade spuntata miracolosamente a Damasco, pur nell’ “esclusione di tutta la stampa straniera”, come suol deplorare. Da lì, stupefacentemente non violentata dagli sgherri di regime, ci ammannisce il rosario infinito degli “eccidi di regime” denunciati dagli “attivisti umanitari”  a imitazione dei pari-rivoluzionari in Libia. Come non capirla: ha il consenso dell’ONU e il plauso della civiltà occidentale. Sapete quel’è la ciliegina su tutto questo? E’ tale Ercole, esperto e recensore entusiasta di tutti i videogiochi del serialkilleraggio pulp sfornati dai creativi del Pentagono per tirare su bene i nostri fanciulli, per abituarli a praticare poi quei giochi sul campo. Da lui ci aspettiamo con ansia la glorificazione, ovviamente tecnico-artistica, del nuovo videogioco Usa nel quale si può ripetere e migliorare il linciaggio di Gheddafi.

PARTE TERZA

Informazione è ciò che si vuole mantenere nascosto; tutto il resto è pubblicità (Bill Moyers alla Conferenza Nazionale Usa sulla riforma dei media, 2005).

lls son tous des assassins.  Mi sono dilungato sul “manifesto” perché il giornale è sintomatico. Nel nostro paese è il capofila mediatico di quell’ideologia della “sinistra” che, uno dopo l’altro, pavimenta gli eccidi di popoli. E’ contiguo, e spesso li ospita con le loro maligne scempiaggini, a venerandi maestri della sinistra intelligente come Immanuel Wallerstein, Ignazio Ramonet (“Gli insorti libici meritano l’aiuto di tutti i democratici”), il citato Avnery, Gilbert Achcar, Samir Amin, Atilio Boron, Ramzy Baroud, insomma quelli del fatuo e fuorviante “un altro mondo è possibile”. Tutta una combriccola di prestigiosi mistificatori e imbonitori, finalmente rivelatisi nient’altro che i ponteggi sui continui lavori di restauro delle balle imperiali: 11 settembre, Al Qaida, il terrorismo islamico, gli islamici “moderati” che ci rassicurano in Tunisia, Egitto, Siria, Libia, la perfidia di un  Pakistan, inaccettabilmente atomico, che ospita Osama bin Laden, appoggia i taleban, sparge ordigni esplosivi nei propri mercati e in quelli dell’India, il trapanatore iraniano Moqtada Al Sadr fatto passare per vindice del nazionalismo iracheno, più il contorno  di dittature da democratizzare, di diritti umani da importare, di società civili da esaltare, del pur ben intenzionato Obama da salvare. E poi Milosevic, Saddam, Gheddafi, Assad, Ahmedinejad, il mullah Omar, tutti Hitler. A dispetto di Guantanamo, delle guerre di sterminio, degli assassini extragiudiziali commissionati, delle banche da rimpinzare con i soldi e le case dei disperati, della guerra alla morte contro l’Europa, dei finti ritiri da Iraq, Afghanistan, Libia, messi nelle mani di compagnie di ventura che garantiscano la rendita dell’aggressione. 

Nessuno di questi sommi analisti, mentre affondava le zanne sul corpo mistico di Gheddafi unito al suo paese, ha conosciuto o capito un’acca della Libia, o di Gheddafi. Anche perché sarebbe sotto la loro eccellenza professionale ascoltare in Libia un rettore universitario, uno studente, una donna, un migrante, un operaio, che non abbiano chiesto missili Nato sul popolo, o leggere qualche riga dei testi di Gheddafi. La schiera è vasta, tra diffamatori, bugiardoni e depistatori. Naomi Klein, Vandana Shiva, il negriano Michael Hardt, Noam Chomsky e, ahinoi, Eduardo Galeano, insomma l’empireo della società civile, firmano un appello a “globalizzare Tahrir Square”, frullando, nel nome della primavera globale, in un unico dispregio Mubaraq, il Fondo Monetario, le banche e… Gheddafi e Assad, la Libia e la Siria. Vale anche per quei grandi registi della critica all’esistente, Polanskl di “Carnage”, o Paolo Sorrentino di “ This must be the place” che, nettano la coscienza critica collettiva insistendo ad allungare lo sguardo a ritroso, alle scontate colpe naziste, mentre fanno le talpe cieche sulle colpe all’ennesima potenza dei regimi in cui prosperano e che hanno sotto gli occhi.  Le primavere, a volte, recuperano spifferi glaciali e vapori tossici dal più funesto degli inverni. Che i ragazzi delle varie Piazze Tahrir del mondo non ne ricavino virus letali.

Al seguito di questi santoni della società civile ci sono i marciatori di Assisi, di Vendola, di Bersani, le varie conventicole trotzkiste quando si dimenticano di azzannarsi fra di loro, un buon numero di gravi pensatori marxisti-leninisti, Attac, Peace Reporter, l’infame Save the Children del Viagra di Gheddafi per stuprare bimbi di 8 anni…Tutti sperduti nelle sabbie libiche, o troppo impegnati nelle processioni con Aung San Suu Kyi, il Dalai Lama, i verdi di Tehran, quegli indigeni rompicoglioni che fanno i leghisti negli Stati progressisti latinoamericani. Sono stati la disonestà intellettuale, l’ignoranza, la stupidità, l’arroganza, l’ipocrisia, il cinismo, spesso l’assoluta malafede, dei succitati padroni del pensiero sinistro, nella loro narcisistica collaborazione con la macchina della psico-guerra Nato, a rinchiudere nella gabbia dell’ideologia borghese, democraticistica ed eurocentrista, le infinite realtà di un potenziale antagonismo. Antagonismo internazionalista alla fangazza che ci travolge a casa e, insieme, alla desertificazione di popoli e continenti. Traditori delle masse di cui si dicono vessilliferi ideali, non meno di quanto la classe operaia organizzata britannica abbia tradito i fratelli di colore annichiliti dai genocidi e dalle rapine degli operativi della regina. Di quella di ieri, come di quella di oggi. Per lo stesso motivo per cui Obama è peggio di Bush e Bersani di Berlusconi, la frode, questi intellettuali sono più colpevoli degli stessi governanti e mercenari che in Libia hanno commesso e commettono crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Forse sarebbe stato più difficile commetterli, questi delitti, se prima non ci fossero stati i loro crimini contro la verità.  Sciagurato parnaso di una società (ci)vile che guaisce sotto i bulldozer del sociocidio, ma si accontenta di mettere gli stuzzicadenti dei suoi ultimi pasti tra i cingoli del carro armato imperialista, mentre ne potenzia il carburante con l’additivo della perversione ideologica.

PARTE QUARTA


Orizzonti  rossi di sangue. Non solo. Faccio un giro d’orizzonte sugli scenari che  da anni   frequento. Alle sue guardie del corpo, donne a cui  Ghedddafi, nel contesto dell’uguaglianza tra maschi e femmine, aveva voluto riconoscere il compito riservato da noi alla virilità dei combattenti più affidabili, sono preda una dopo l’altra dei cannibali di terra della Nato, mentre non un sospiro s’è levato dalla muta delle sedicenti femministe, acrobate della coerenza che riescono a conciliare la fregola di ginocrazia con il medioevo della sharìa e dell’emirato islamico in cui verranno occultate le donne della Libia. In tutto il paese lo scempio del corpo di Gheddafi viene moltiplicato all’infinito su un popolo che deve tornare alle catene e all’inedia dei fasti coloniali. Nessuna Amnesty, nessuna organizzazione umanitaria, fa sentire la sua voce su Abuzaid Omar Dorda, già ambasciatore libico all’ONU, torturato nelle carceri del CNT, sul primo ministro Al Baghdadi al Mahmudi, incarcerato in Tunisia dai “rivoluzionari” fratelli musulmani  che ora ne hanno deciso l’estradizione ai macellai di Tripoli. Il compianto e l’indignazione per il martirio di Vittorio Arrigoni, voce di Gaza, non si estende alle voci di verità che si sprigionano dai martiri di Libia e Siria, paesi canaglia che FMI  e “comunità internazionale” hanno affidato agli sfoltitori di umanità in modo da attuare impunemente le loro depredazioni. E’ lo stesso FMI che oggi arma la mano dei nostri governanti per lo sfracello finale. Vengono abbattuti in Siria a centinaia le forze patriottiche dell’ultimo caposaldo arabo non conquistato, ma qui ci si adonta delle stragi immaginarie denunciate da ratti che quel caposaldo rosicchiano in attesa delle bombe. Tanta è la sete di conoscere come stanno le cose che neanche un umanitario ha voluto segnalare alla Farnesina l’imboscata a mitraglia fatta dai “ribelli” a Homs a una delegazione italiana che, per conoscere, pareva muoversi anche fuori dagli ambiti frequentati assiduamente dagli ambasciatori di Usa e Francia e che avrebbe riportato in Italia le immagini proibite delle ininterrotte manifestazioni di massa per Bashar El Assad, per la sovranità e contro la Nato. 


Per non turbare la soddisfazione generale per la democratizzazione e liquidazione della Libia, nessuno ha avuto il cattivo gusto di menzionare le trecento milizie mercenarie che, 5000 mercenari qatarioti in testa (presto, insieme ad Al Qaida, Navy Seals e SAS, in Siria), si distraggono da saccheggi ed eccidi facendosi a pezzi tra di loro: tagliatesta islamisti di Misurata contro tagliatesta berberi (eterna quinta colonna coloniale) di Zintan e tutti contro i pupazzi Exxon e BP del Consiglio Nazionale di Transizione. CNT tanto in controllo del paese da pigolare che la Nato rimanga un altro po’. Saranno sostituiti dagli omologhi contractors di Blackwater (ora “Xe”) e teste di cuoio anglosassoni collaudati in Iraq quando, travestiti da arabi, portavano nei mercati ordigni stragisti da attribuire alla resistenza, poi ad Al Qaida. Un minimizzante FMI ha calcolato in 35 miliardi di dollari quanto la guerra ha rubato al popolo libico, ma sono 150 i miliardi di euro che quel popolo aveva in giro per il mondo e che, rapinati, ora allevieranno la crisi di banche e multinazionali. Tanto, era il “tesoro” della vorace  famiglia del dittatore, immersa nel lusso scandaloso di un idromassaggio.  


Lo strazio senza fine inflitto a Gheddafi e al suo popolo anticipa, anzi già introduce, senza che nessun obiettore alla macelleria sociale a casa sua abbia voluto notarlo, all’estensione delle satrapie totalitarie, di gran  lunga maggioritarie e decisive nella Lega Araba, alla spoliazione dell’intera regione mediorientale-africana. Oltre ai propri ascari in azione in Siria, Usa e Nato installano comandi militari in Africa, inviano truppe e attivano droni in Yemen, Somalia, Uganda, Costa d’Avorio, Kenya, Burundi, Congo, a garanzia di locali tirannie compradore. La dove l’accesso diretto non è per ora attuabile, Iran, Siria, Cuba, Nordcorea, nel cappio degli embarghi e delle sanzioni vengono stritolate le società di quei paesi. Ci si aspetta che dovrebbero trarne motivo per rivoltarsi e frantumarsi. L’embargo all’Iraq costò 1,5 milioni di morti, un terzo bambini. Mussolini pensava di essere stato bravo avendo tolto di mezzo 600mila libici su due milioni.


Ecco ciò che la Libia aveva e non avrà più fino alla vittoria finale, nella sconoscenza e imbecillità dei piloti della “società (ci)vile”: una bolletta della luce senza cifre, lo zero d’interesse sui prestiti, la casa come diritti umano assicurato dallo Stato, i 50mila dollari donati a ogni nuova coppia, la donna libera, l’istruzione e la sanità gratuite e di alto livello, un’alfabetizzazione al 93%, ai futuri agricoltori terra da coltivare, fattoria, macchinari, sementi e animali, sempre gratis, gli studi gratuiti all’estero, il 50% di Stato del costo di un’automobile, il prezzo della benzina a 10 centesimi al litro, l’assenza di un debito estero e riserve per 150 miliardi di dollari, il salario medio della propria professione ai disoccupati, una fetta degli introiti da idrocarburi pagati direttamente sui conti correnti dei cittadini, i 5000 dollari dati alla madre di ogni neonato, il prezzo di 12 centesimi di euro per 40 pagnotte, il 25% di libici che avevano la laurea, l’acqua per tutta la terra e per tutti i viventi grazie alla più grande opera idraulica di tutti i tempi.


Sui tetti di Bengasi sventola la bandiera di Al Qaida-Cia. Dal bagno di sangue sorge il verminaio dei venduti, compratori, giustizieri. Il nuovo primo ministro della Libia uccisa, Abdelrahim El Keib, con doppi nazionalità libico-statunitense, è un manutengolo dei carnefici, reduce dalla presidenza dell’Ente petrolifero di Abu Dhabi, finanziato da BP, Shell, Total, ricercatore al servizio di agenzie governative Usa, che per anni ha sparso veleno sul proprio paese dalla cattedra dell’Università dell’Alabama. Una marionetta fascista dell’industria globalizzata, un dissacratore della sovranità del suo paese. Ha inaugurato il suo mandato lasciando che i diritti umani della nuova Libia si arricchissero della profanazione e devastazione delle tombe della madre di Gheddafi e dei suoi congiunti.


Tutto questo è il menu per la Siria, sempre che prima non si polverizzi l’intera regione con l’assalto all’Iran. Siria che ha accettato per intero il piano di pace di una Lega Araba – amnistia, liberazione dei detenuti, elezioni, pluripartitismo, nuova costituzione, ritiro delle truppe dai centri urbani – tanto astuta da vestire i piani del pacificatore sapendo benissimo che, come è successo immediatamente, i propri emissari armati l’avrebbero rifiutato e sabotato a forza di provocazioni stragiste. Da marzo ad oggi, 1500 soldati e poliziotti siriani sono stati uccisi dai “rivoluzionari”, ma vengono fatti sparire sotto le 3.500 strepitate vittime del regime, subito avallate dall’ONU, che non ha neanche un ispettore su piazza. Non ce lo aveva neanche in Libia, l’esperienza con gli inviati ONU in Iraq, Von Sponeck e Halliday, sprovveduti accusatori dell’embargo infanticida, ha reso circospetto il maggiordomo Ban Ki-Moon.


Nelle ore in cui vado scrivendo queste righe, mezza settimana, gli Usa hanno ammazzato sui 500  civili, bambini compresi,  in tre paesi, Somalia, Pakistan ,Yemen, in 10 mesi  hanno ucciso 1.500 civili afghani. Sullo stesso conto continuano ad andare i milioni di morituri, per sempre minati nella salute, che si sono trovati sotto le armi chimiche e radioattive di Usa e Israele. I carnefici masticano a piene ganasce, chevengano divorati gli operai di Marchionne, o gli abitanti neri di una Tawarga che non c’è più e che verrà seppellita dalla sabbia.


Verde, sotto controllo della Resistenza, bianco, zona contesa, nero, controllo CNT, rosso, focolai della Resistenza.


Sono orizzonti rossi di sangue. Ma non solo. C’è anche il rosso dei valori umani, un tempo una bandiera con stella gialla, che si riflette nel cielo annunciando l’alba, per quanto lontana. Brigate partigiane della guerriglia diretta da Seif al Islam e supportate dalle popolazioni del Sahel, fanno saltare porti e aeroporti, le installazioni della rapina petrolifera, franchi tiratori spuntano da tutte le parti per seccare l’abominio subumano dei predatori. Metà del paese è in mano a popolazioni e combattenti che non si piegano. In Iraq una resistenza rimossa, o fatta passare per Al Qaida, cresce di giorno in giorno e contrasta gli eccidi di regime, fatti per rinfocolare la guerra civile, con ininterrotte esecuzioni di occupanti e loro fantocci. Gli Shabaab, avendo dietro un popolo, impediscono la ricolonizzazione della Somalia contro la potenza Usa e i suoi ascari etiopici, kenioti e ugandesi. Presto o tardi, l’Africa si ricorderà del legato di indipendenza e giustizia lasciatogli da Gheddafi.  In tanti paesi arabi l’eversione-rivoluzione, in armi come in Yemen, o nuda come al Cairo, in Bahrein, in Marocco, Arabia Saudita, o Giordania, o arde sotto la cenere, o tiene in scacco il futuro. In America Latina, tentativi di stabilizzazione imperiale, vengono neutralizzati dall’avanzata sociale e politica delle masse. Ci sono, a costellare l’Occidente, le piazze degli indignati, di corto o lungo respiro che siano, contro la cupola, finalmente riconosciuta origine di tutti gli orrori. E, toh, ci voglio anche mettere quelle decine di migliaia di giovani e meno giovani che, anche da noi, le loro piazze, le loro parole, la loro vita, le difendono con i corpi e con i mezzi che  i corpi sanno adoperare. Alla faccia dei non-violenti. Viva Gheddafi. 


Avanti con la lotta contro l’aggressore straniero. Avremmo potuto contrattare e vendere la nostra causa in cambio di una vita pacifica e prospera. Abbiamo ricevuto molte offerte, ma abbiamo scelto di porci in testa ai combattimento, per il dovere e per l’onore. E anche se non vinceremo, daremo una lezione alle generazioni furue. Scegliere la nazione è un onore, venderla è il tradimento che la storia ricorderà per sempre (Muammar Gheddafi).