giovedì 24 febbraio 2011

OCCHIO, LA LIBIA E' UN'ALTRA COSA


Noi siamo la razza che governa il mondo... Non rinunceremo al nostro ruolo nella missione della nostra razza, grazie a Dio, per la civilizzazione del mondo... Dio ci ha fatto il suo popolo eletto... ci ha reso tanto capaci di governare da poter gestire governi tra popoli selvaggi e senili.
(Senatore Usa Alfred Beveridge)  

La stampa è tanto potente nella creazione di immagini da poter far sembrare una vittima il criminale e mostrare la vittima come fosse il criminale. Questa è la stampa, una stampa irresponsabile. Se non stai attento, i giornali ti faranno odiare la gente che è oppressa e amare coloro che opprimono.
(Malcolm X, "Discorsi e dichiarazioni selezionati")

C'è da aspettarsi che i progressi in fisiologia e psicologia diano ai governi molto più controllo sulla mentalità dell'individuo di quanto non ne abbiano perfino gli Stati totalitari. Fichte disse che l'educazione dovrebbe puntare alla distruzione del libero arbitrio in modo che, quando gli studenti hanno lasciato la scuola, siano incapaci per il resto della vita di pensare o agire diversamente da quanto avrebbero voluto i loro maestri.
(Bertrand Russell, "L'impatto della Scienza sulla Società")


Fatta la tara al sistema mediatico occidentale e magari ascoltata l'emittente dell'America libera, Telesur, e anche la problematicità di Al Jazira, deprechiamo pure il bagno di sangue in Libia, con la repressione dei settori fedeli a Gheddafi, ma anche con l'ambiguità di un'informazione le cui contraddizioni tra commenti e immagini sfida la logica. E le cui motivazioni e i cui burattinai dovrebbero sollecitarci qualche riflessone. Non arrendiamoci al sanguinolento Grand Guignol che tutta la stampa, destra e "sionistra", in quell'unanimità che fa sempre gioco alla destra, spara sulla Libia e contro Gheddafi. Bombardamenti aerei sulla popolazione, mercenari stragisti, defezioni di militari, aviazione, ambasciatori, feriti sparati negli ospedali, testimoni rientrati che hanno "sentito colpi di fucile", migliaia di cadaveri per le strade, "esperti" tv fuorusciti da trent'anni dalla Libia che invocano la democrazia occidentale, mosche su quella patacca che passa per viva ed è già putrescente e ancora vorrebbe infettare i popoli che ne sono esenti... In Iraq cianciavano di fosse comuni di Saddam, mai trovate, mentre ne allestivano per migliaia, oggi un po' per volta scoperte con cadaveri datati dal 2003 in qua.

Molto è già stato smentito, molto non si è mai visto, neanche con immagini da cellulare, le manifestazioni di massa di Egitto, Tunisia, Yemen, Bahrein, stanno alle folle in campo in Libia come un tsunami sta al ponentino. Con ogni evidenza lo scontro è tra schieramernti militari che riflettono la spaccatura nazionale (e i maneggi esterni, italiani compresi), non un'insurrezaione di popolo. La spaccatura corre all'interno di militari e apparato politico, a loro volta specchio di una frattura sociale tra tribù e regioni: la Cirenaica, cara agli inglesi che la volevano staccare dalla Libia, da sempre secessionista con mire di emirato islamico, dove oggi si fanno sventolare le bandiere senussite del vecchio re Idris, burattino del colonialismo (lo stesso eroe nazionale Omar Al Mukhtar detestava i cirenaici e  lì considerava traditori); e la Tripolitania, storicamente più avanzata, moderna, laica. La collusione divenuta collisione tra settori sociali cresciuti attorno agli investimenti stranieri, occidentali, arrivati dopo la svolta liberista gheddafiana dei primi anni '90, e ora ansiosi di arricchimento e protagonismo politico (come i "verdi" iraniani che, pure loro, fanno passare gente da loro ammazzata per vittime del governo), e la massa della popolazione con il più alto reddito pro capite della regione che difende le conquiste dello stato sociale assicurate dalla Jamayria.

Per il Cairo, Obama si è speso in favore della transizione desiderata dal popolo ma, ovviamente, reinterpretata pro domo sua; per la Libia tace perchè deve nascondere le mani in pasta nella sedizione. Così, l'UE e Israele, da sempre predoni insoddisfatti e bulimici delle risorse della Libia, ma con l'handicap di aver circuito il leader libico per il suo petrolio, il terrore dei migranti, Unicredit, Finmeccanica, Eni, Acea, Juventus, quattrinose quote libiche salva-imprese. Gli Usa, meno compromessi politicamente e propagandisticamente, eppure fortemente presenti con le loro multinazionali, hanno obiettivi geostrategici più corposi e meglio sostenuti, cosa che può far ventilare un intervento armato, come temuto da Fidel Castro. Puntano alla possibilità di strappare la Libia completamente all'Europa, togliendo a Gheddafi un punto di forza politico-economico, di mettere le mani sul rubinetto del gas e del petrolio libico, in modo da far sgocciolare all'Europa più o meno idrocarburi a vantaggio della propria superiorità e del reclutamento, sotto ricatto petrolifero, di ascari europei per le guerre imperiali. Vogliono appropriarsi della più vasta riserva d'acqua sotterranea dell'Africa (sogno di Israele dopo aver acchiappato, con il Sud Sudan, pseudostato separato grazie al concorso di Israele e comboniani, l'Alto Nilo) e, soprattutto, collocare in Libia quel comando Usa per Africa e Medioriente che è il recentemente costituito Africom. Africom la cui sede è stata rifiutata dall'Algeria (il che spiega anche i moti rivoltosi in quel paese, alimentati soprattutto dai secessionisti berberi, curati dall'Occidente). Insomma un altro dei  lavoretti elencati  nel piano israeliano del 1982 per il mondo arabo, dopo il Sudan spaccato in due e forse, con il Darfur, domani in tre, l'Iraq tripartito tra curdi, sciti e sunniti, il Libano tra cristiani-sunniti e sciti, l'Egitto tra copti e musulmani (ma lì i tiri al tritolo del Mossad sono stati un autogol) e via dividendo e imperando per il resto del pianeta.


Chiediamoci, dunque, a cosa serva la demonizzazione di Gheddafi, di cui peraltro nessuno ammira le eccentricità folcloristiche, ma di cui si devono comprendere le ragioni per l'apertura all'Occidente dopo decenni di scontro asprissimo, in collegamento con molti movimenti di liberazione del mondo. La bufala Lockerbie, lo schianto dell'aereo sulla Scozia, con centinaia di morti in alto e in basso, del quale, sulla base di concreti indizi, si può immaginare uno zampino Cia alla maniera dell'11 settembre, addebitato in un processo-burletta a un cittadino libico, e una campagna parossistica contro il "terrorista" Gheddafi, sostenitore di terrorismi in mezzo mondo a partire da irlandesi e baschi, minacciavano di essere la pistola fumante per lanciare sulla Libia quanto era stato scagliato sull'Iraq. E la Libia, nel mondo arabo, era isolata. Sarebbe stata la fine di uno dei più riusciti esperimenti nazionali e sociali del Sud del mondo. 



Si trattava, con la "svolta verso l'Occidente, l'apertura a un mercato moderatamente libero, le fusa ai satrapi bancari e istituzionali europei, la rinuncia (non "distruzione" come i velinari dicono) alle armi di distruzione di massa, di salvaguardare indipendenza, sovranità e benessere del popolo libico. Chiediamoci a cosa serviva la satanizzazione di Saddam, non abbattuto dall'assalto iraniano istigato da Washington e quindi affogato in un occeano di merda e di sangue dalle invenzioni dei centri imperialisti dell'abbruttimento conoscitivo. Ricordiamoci delle armi di distruzione di massa esibite da Powell, Saddam che macinava gli oppositori nel tritacarta, che gassava i curdi, che sbudellava nemici, suo figlio che puniva i giocatori per le sconfitte facendoli giocare con palle di ferro e frustandone i piedi. Ricordiamo che da quelle falsità sono stati uccisi tre milioni di iracheni tra embargo e guerra. Vale per Aristide a Haiti, Chavez in Venezuela, Ahmadinejad, Bgabgo in Costa d'Avorio, Arafat, i pirati e Shabaab in Somalia, Milosevic in Serbia, i sandinisti in Nicaragua, il "terrorismo islamico". 

Si tratta manifestamente di costruire nella provetta dei veleni un'opinione pubblica maggioritaria a favore di genocidi pro-democrazia e, con particolare accanimento, di fuorviare un mondo di sinistra, con risvolti antimperialisti, già anticoloniale in tempi meno indecorosi, fino a intrupparlo, come Pinocchio sul carro diretto nel Paese dei Balocchi e dei futuri somari, nelle proprie retrovie. La tremenda lezione del Vietnam, vincitore tanto grazie ai Vietcong quanto alla collera organizzata di un'umanità bene informata. 

Muammar Gheddafi può fare il caudillo decorato come un albero di Natale e socio nei consigli d'amministrazione occidentali quanto vuole. Nessuno da questa parte del Mediterraneo e dall'altra dell'Oceano gli perdonerà mai di aver cacciato un grottesco re-travicella e, con lui, i padrini britannici, di aver ridato al suo popolo le ricchezze predate dai coloni italiani, la dignità offesa dallo stupro culturale dei colonizzatori, di aver costruito una nazione, di aver dato a un popolo del Terzo Mondo, tutto da spremere e tenere in schiavitù a garanzia dei propri privilegi, la forza di una nazione, di essersi fatto pagare un pur minimo risarcimento dagli epigoni dei Balbo e Graziani genocidi.


 Qualche saputo stigmatizza che Gheddafi non abbia mai fatto "nulla di concreto per la Palestina. Cosa poteva fare da 10mila km di distanza e con in mezzo l'Egitto sionistizzato di Mubaraq, senza vedersi bombardato un'altra volta da USraele come quando gli uccisero la figlia? Ha saputo denunciare senza tregua i crimini di Israele, ha invocato e rafforzato un'unità africana contro la manomissione del neocolonialismo. E' stato un appoggio importante per i combattenti irlandesi. Oggi, per le strade del suo paese ci si ammazza. Di chiaro e certo non ne sappiamo ancora niente. Ma sappiamo che in Occidente si mente per la gola. Egitto, Tunisia, Yemen, Bahrein, Somalia, dove di sicuro ci sono popoli insorti contro rais e globalizzazione della miseria, rischiano di fuggire dalla stalla. Guai a perdere anche la Libia, dove quella globalizzazione deve essere fatta arrivare.E' una tragedia più che per Gheddafi, per il popolo libico e, dunque, per noi. Noi italiani, prima di parlare di Libia e Gheddafi, anche solo per sghignazzare sulle sue bizzarrie di costume, o indignarci della sua difesa con le armi di uno Stato che qualcuno vuiole divorare, niente al confronto con il nostro guitto mannaro, dovremmo sciacquarci la bocca. E magari cercare di leggere tra le righe di melma di Repubblica o del Manifesto un barbaglio di logica e di verità. E magari, ancora, tirar via da dove schiacciano lotte di liberazione i nostri mercenari.

Omar Al Mukhtar prima dell'impiccagione

mercoledì 16 febbraio 2011

NONSOLOARABI, OAXACA IN FIAMME

Oaxaca, 15 febbraio 2011

Dal 15 gennaio scorso Oaxaca, la seconda città del Messico, è di nuovo la scena di uno scontro dai tratti insurrezionali, se non rivoluzionari, come cinque anni fa, nel 2006, quando da giugno a fine novembre la città e metà dello Stato omonimo, tribù indigene comprese, si rivoltò contro il governatore Ulises Ruiz e i presidenti-canaglia, succedutisi quell'anno, Vicente Fox e Felipe Calderon (quest'ultimo ladro delle elezioni del 2006, presidente abusivo grazie allo spostamento di un milione di voti dal vincitore della sinistra, Lopez Obrador, a sua volta boicottato dall'ineffabile Marcos). Il tema, allora, come oggi, erano un governatore e presidenti eletti con i brogli, le infime condizioni di vita della maggioranza della popolazione, la complicità con il narcotraffico, utilizzato per militarizzare e reprimere l'intero paese, la decimazione di contadini e indigeni, privati delle loro terre a vantaggio di imprese e latifondisti, la devastazione dell'ambiente ad opera delle multinazionali, la distruzione dell'agricoltura grazie al dumping Usa che arma di sussidi i coltivatori Usa di mais, desertificando il paese che ne era il massimo preoduttore mondiale. 

Nello specifico, l'elemento scatenante dell'insurrezione (con la liberazione del centro città, la resistenza a brutalità, arresti, torture, sparizioni eseguiti da polizia locale, polizia federale, esercito, marines, elicotteri, la  partecipazione alla lotta di tutti gli strati della popolazione), fu una causa tra le più nobili: l'istruzione. Insorsero per primi gli insegnanti, seguiti subito dagli studenti, dalle donne, dai campesinos, dagli indigeni, dalle organizzazioni sociali ed ambientaliste, da gran parte del ceto medio.

Il governo aveva tagliato gli stipendi agli insegnanti della scuola pubblica, i finanziamenti a quella scuola, introdotto corsi di manipolazione delle coscienze e conoscenze, e elargito vasti privilegi e benefici alle scuole private. Vi rieccheggia qualche riferimento nostrano? Non è la strategia planetaria del capitalimperialismo  per mettersi sotto i piedi masse rincoglionite e inerti?


Io ero a Oaxaca pochi mesi fa, al centro di un giro per il Messico  storico, di Emiliano Zapata e Pancho Villa, e odierno, dall'insanguinato confine del Nord con i padrini-padroni Usa, sovrintendenti di tutto quello che di drammatico succede in Messico, da quando ne rubarono metà nell'800, fino al Chiapas e al confine col Guatemala. Il Messico del narcotraffico intrecciato al regime e alle banche Usa, della finta guerra ai narcos e di quella vera al popolo, della militarizzazione capillare, del primato di morti ammazzati nel mondo, della strage di migranti e dello spaventoso femminicidio. A Oaxaca, Mercedes, una militante della "Guerra di Oaxaca" del giugno-novembre 2006, mi aveva fatto rivivere i giorni eroici di quella grande, interminabile rivolta di popolo, con i suoi insegnanti all'avanguardia, i suoi studenti, le sue emittenti libere o liberate che erano le radio di campo dei rivoluzionari, i suoi medici volontari che, per sottrarre i feriti al sequestro dei militari, avevano allestito presidi medici nelle zone della battaglia, le sue donne, come sempre in America Latina, all'avanguardia delle lotte, i suoi cittadini che sostenevano i  combattenti con viveri, acqua, rifugio, i suoi morti, almeno 12, i suoi esuli all'estero, i suoi torturati e desaparecidos.

Chi di quell'epica lotta era stato testimone e attivista non aveva messo i remi in barca. Ne erano prova i numerosi presidi di strutture in lotta che occupavano lo zocalo, la piazza centrale  e, nel caso dei Triqui di San Juan Copala, i presidi li avevano estesi fino a Città del Messico, le tante associazioni impegnate nel sociale, nell'ambiente, per le donne, per un "altro mondo necessario", le quotidiane manifestazioni di settori di società seviziati e sfruttati dal più feroce regime neoliberista e dalla sua strategia di trasferimento della ricchezza dal basso verso un ristretto vertice criminale. A Oaxaca, come in Chiapas, a Chihuahua, in Guerrero, in forma guerrigliera, nel Distretto Federale, il lascito di Zapata, Villa, Benito Juarez e della tante lotte succedutesi negli anni fino all'incandescente primo decennio del nuovo secolo, serpeggiava in una coscienza divenuta negli anni passati e nei molti scontri vittoriosi arma di combattimento popolare, arma di costruzione di massa


Cinque anni fa, come oggi, la scintilla è stata una provocazione del regime contro il diritto alla conoscenza, all'eguaglianza e alla libertà di pensiero: l'assalto ai residui diritti della scuola pubblica a vantaggio di un'abnorme espansione della scuola privata e di un'istruzione finalizzata a rafforzare il modello economico di rapina, di annichilimento politico, di disfacimento e alineazione culturale imposto a tutti i paesi clienti e ascari degli Usa. Gran parte delle 13.550 scuole pubbliche dello Stato di Oaxaca sarebbero rimaste paralizzate per il deflusso di alunni dal pubblico a un privato praticamente esentasse. Il meccanismo messo in opera, in combuitta con la Chiesa, da tutti i regimi ancellari del dominio imperialista allo scopo di ottenere una massa amorfa, intellettualmente ineffettuale e sterilizzata, socialmente frantumata. Mi ricordo le parole di una militante zapatista del Chiapas, Mercedes, di quei militanti che avevano abbandonato al suo destino un subcomandante Marcos imprigionato nel suo isolamento etnicista e nei suoi onanismi affabulatori), ma avevano dato nuovo slancio alla lotta contadina nel segno di uno zapatismo, né turistico, né cinematografico: "Ai campesinos che recuperano le loro terre, non solo si lanciano addosso gli sgherri paramilitari del regrime, ma li si privano per prima cosa dei servizi essenziali, dall'acqua all'istruzione. I bambini del Chiapas sono al 50% denutriti e altrettanti sono senza scuole. L'obiettivo è allevare un popolo che non sa utilizzare che il machete e non ha le risorse materiali e intellettive per far niente di più che lo schiavo agricolo" . Così anche in Oaxaca, fino alle maquiladoras, le fabbriche di assemblaggio multinazionali del Nord, dove ragazze dai 14 anni in sù vengono spremute fino a quando sono da buttare.


Il 15 febbraio scorso è ridiscesa in campo l'APPO, Assemblea popolare dei popoli di Oaxaca, che negli anni passati aveva saputo dare all'insurrezione un quadro organizzativo, una tenuta e una chiarezza di obiettivi che, evidentemente, la repressione di questi anni, i veleni di una società infiltrata dalla criminalità politica ed economica, non avevano saputo soffocare. Iniziata, come allora, dagli insegnanti del sindacato di classe "Sezione 22", la rivolta ha preso nel giro di ore poossesso del centro della grande città, occupando lo Zocalo e trincerandosi dietro a barricate erette nei punti strategici. L'intervento dei federali, della terroristica "Polizia preventiva", quella che nel 2006 aveva bombardato di gas CS tossici la popolazione dai carri armati e dagli elicotteri, ha provocato la dura risposta dei manifestanti, a colpi di mazze, pietre e incendi di veicoli militari, contro i gas e le armi da fuoco. Un giornalista, Gilbardo Mota di Radio Raga, ha avuto la gamba trapassata da un proiettile. 20, la sera del 15, i feriti tra i manifestanti, 5 tra i poliziotti. 

Felipe Calderon, un figuro non dissimile dal nostro guitto mannaro, sotto schiaffo anche in parlamento per il tasso alcolico delle sue performance pubbliche, aveva scelto il giorno dell'annuncio del nuovo massacro dell'istruzione pubblica, per fare visita a Oaxaca. Sono stati diretti anche contro questo inetto e corrotto cialtrone i lanci dei sassi degli insorti di Oaxaca.Il ministro dello Stato per la Sicurezza Pubblica (una specie di Maroni), che faceva da valletta al presidente, è stato acchiappato e malmenato.  


Oggi, 16 febbraio, l'APPO annuncia che la resistenza continua, che verrano costruite nuove barricate, che le zone occupate resteranno tali. Vedremo se si tratta di una fiammata del fuoco che cova sotto la cenere di una normalizzazione solo apparente, o della ripresa del grande incendio. E' nella consapevolezza dell'inevitabilità di una nuova esplosione determinata dall'insopportabilità delle condizioni di vita dettata ai popoli subalterni dal modello di sfruttamento e devastazione occidentale, che lo Stato colonizzato da Wall Street, anche per garantirsi la sicurezza del transito della droga dalla Colombia ai mercati Usa e alle banche che ne traggono la massima parte del proprio profitto, ha lanciato quella che chiama "la guerra al narcotraffico". Una guerra di classe, forte di 135mila effettivi di tutte le forze armate e di polizia, addestrate e armate dal Pentagono, guidate da consiglieri israeliani, e di quei miliardi di dollari che il Plan Merida assegna per la bisogna al governo di Città del Messico. 


Hillary Clinton, descrivendo la situazione messicana come insurrezionale, ha prefigurato una nuova guerra di Washington al "terrorismo". Oltre a essere già schierate al confine, onde falcidiare, insieme a volontari cacciatori di teste, i disperati, spodestati nei propri paesi dalla depredazione Usa, che sognano un fallace ricupero di vite e dignità nella metropoli imperiale, unità dell'esercito statunitense sono pronte all'intervento. Le loro "forze speciali", meglio dette squadroni della morte, sono già alacremente attive in Messico, in combutta con i cartelli alleati al potere. Coloro che hanno inneggiato, da destra a un'inconsulta "sinistra", a un  Obama, benevolo e pacifico democratizzatore di un Egitto "in preda al caos e al disordine", si rendano conto che l'imperialismo, il padrone, varieggia sempre tra carota e bastone, l'una e l'altro finalizzati a spopolamento, dominio e rapina. In Egitto con una giunta militare che, fingendosi riformatrice, cerca di stringere un cappio vasellinato attorno alla testa della rivoluzione, in Messico con una giunta narcomilitare (modellino Kosovo) che, esauriti gli strumenti economico-politici di addomesticamento, fa del paese il campo di battaglia finale tra élite e popolo. In Honduras, appena 20 mesi fa, con il colpo di Stato, la dittatura, un regime fantoccio alla Karzai e, anche lì, con gli squadroni della morte del collaudato Negroponte .Non ne perde una, il capitalismo necrocrate in deficit di accumulazione, delle sue opzioni di morte.

Il Cairo, 15 febbraio 2011

Il Messico è l'anteprima di quanto si va progettando per molti paesi nel mirino dell'imperialismo. Da noi ci si è già portati avanti parecchio con il lavoro: magistratura da mettere al muro, criminalità come ordine costituzionale, cogestione mafiosa dell'economia e del controllo del territorio, corruzione endemica dell'apparato statale e virus iniettato nel corpo della società, controllo sociale, tecnologico, poliziesco e militare, deflagrazione culturale ed etica. Che il fuoco di fila che divampa, davvero abbagliante, dalle piazze di Oaxaca ai campi del Chiapas, dalle donne martiri in marcia a Ciudad Juarez alla rivolta contadina e operaia e, come da una fatiscente rete di oledotti, scoppia nel resto del mondo, possa scaldarci. Meglio, raggiungerci.

domenica 13 febbraio 2011

PINZILLACCHERE



Vattene vuol dire fuori dai piedi
Non lo capisci?
O Suleiman O Suleiman
Anche tu devi partire
Resteremo resteremo
Finchè il regime è andato
Rivoluzione rivoluzione fino alla vittoria
Rivoluzione per le vie di tutto l’Egitto
(Slogan cantato da 2 milioni in Piazza Tahrir)

Dagli arabi ai latinoamericani
Dov'è che probabilmente esploderà la prossima rivolta popolare contro un autocrate corrotto, narcotrafficante, ladro, ascaro degli Usa? Non lo indovinate, perchè del Messico, come dell’Egitto fino a un mese fa, non parla nessuno: uno, perchè sapere che la rivoluzione di Zapata e Villa vive ancora nei cuori e nelle menti dei messicani e si esprime con infinite lotte (non di Marcos), turberebbe il nemico e svergognerebbe gli amici;  due, perchè il regime messicano è servo di Usa, Ue, FMI e quindi amico nostro. Inventiamoci atrocità in Iran, Myanmar, Tibet, Cuba, Venezuela, Zimbabwe, in tutti i paesi che ancora resistono all’imperialismo. Tacciamo su, o addirittura glorifichiamo, i golpisti stragisti in Honduras, la Resistenza honduregna che lotta contro la narcotizzazione e criminalizzazione economica e poliziesca, i fantocci in Iraq e la rilanciata resistenza irachena degradata dagli occidentali nella loro creazione Al Qaida, l’Afghanistan della guerriglia vincente contro lo stupratore invasore, il Pakistan dilaniato dal terrorismo dei suoi padrini Usa, la Palestina in cui ANP e Israele collaborano al genocidio, il femminicidio a Ciudad Juarez. Dai, che ci danno una mano anche Wikileaks e Saviano.

La commissione ONU dei diritti umani, nella quale resiste ancora qualche funzionario libero (vedi Goldstone, del rapporto su Piombo Fuso), denuncia: è il Messico dove più si violano i diritti umani, dopo Israele. In un anno più violazioni che in tutta l'Asia! Ne sappiamo una cippa perchè lì governa un delinquente narcotrafficante, fiduciario e amico degli USA e, dunque, nostro. Anche se lì si ammazzano più donne che nel resto del mondo e, nonostante ciò, sono le donne a trainare il Messico verso una nuova rivoluzione. Pagando sangue ogni giorno. Femministe, dove siete? Non varrebbe un bello striscione, nelle mobilitazioni “per la dignità delle donne”, che dica che, oltre alla dignità, da qualche parte ti tolgono anche la vita. Ogni tanto un sussulto scalfisce certi solipsismi, quando si tratta di burka o di mutilazioni genitali. Ma
quelli sono islamici...…

Uno sparuto gruppazzo di post-togliattiani assai maturi, raccolti sotto quattro mosche cocchiere devote a Onan, cespuglietto stentato da anni, sordo ai clamori che stravolgono il mondo, ha lanciato l'ennesimo appello all'unità dei comunisti. In termini che farebbero arrossire Lenin e sghignazzare Chavez e un po’ tutti i movimenti rivoltosi o rivoluzionari che stanno dilagando nel mondo. Come unirsi? Rientrando tutti in Rifondazione, la cosa meno peggio che c’è e cercando di rafforzarla e tenerla su giusti binari? Macchè. Spaccando Rifondazione e facendosi fagocitare dal PdCI, peraltro federato al PRC. Paradosso esilarante. Prima facevano la corte a Marco Rizzo e viceversa, poi si sono attaccati a Ferrero, adesso tifano per Diliberto, quello al governo quando bombardavamo ospedali e asili a Belgrado. Se fossi uno di questi comandanti dell’1%, ne diffiderei. Virtuosi dell'anticomunismo (parlo dei capipollaio, non dei polli)), eredi di quanto di più tatticistico e opportunistico allignava nel togliattismo, vogliono rifare il Partito Comunista Italiano, cioè la versione compromissoria e fallimentare del comunismo. Nei loro ripetuti annunci di nascita e anticipazioni di unificazioni, non si trova, a cercarlo con la lampada di Diogene, un brandello di critica dei trascorsi. La vedete la scena: il capotreno che sale sulla locomotiva andata a sfasciarsi in curva, tanti omettini che spingono per rimetterla su binari, convergenze parallele, che non ci sono più. Se arrivasse un egiziano, o un tunisino, o un venezuelano, o un iraniano, o un cubano e gli chiedesse che ne è della vostra sovranità internazionale, che ci fate nella Nato, non conoscete “Patria o muerte” ? C’è il rischio che gli diano del “fascista”, “ultranazionalista”, “revisionista”, o magari “primitivo”. Per i popoli e le classi oppresse questi maestrini dalla penna spuntata hanno il fascino di un pappagallo impagliato. Non capiscono, questi ombelico-idolatri, che il comunismo non si raggiunge con i consunti riti, le architetture, gli eurodogmi, gli slogan di Togliatti e Berlinguer, e che stanno muovendosi verso il comunismo, che lo dicano o no, mille volte meglio i popoli proletari che avanzano mordendo i calcagni al padrone. Ma allora sono preferibili sia Ferrero, che, poveretto, deve tirare avanti un carretto a cui sono saltate le ruote e che ha a bordo gaglioffi opportunisti e remacontro, come Claudio Grassi, sia Ferrando che, dalla sua, ha perlomeno l’integra e coerente solitudine dell’iperuranio.

Asor Rosa, eccone un altro, che da qualche anno spara inutili cazzate per cambiare il mondo, alla stregua di altri "venerandi maestri" come Rossanda e Saviano, ha bombardato di ingiurie l'ottimo Matteuzzi, giornalista sopravvissuto alla morìa politica del manifesto, perchè ha pubblicato un'intervista a Battisti. Questi togliattiani hanno la censura nel sangue, sia da rossi che da gialli. Se capitasse Osama, non lo si intervisterebbe? E solo mettendoci accanto l’elenco di tutte le sue malefatte? Che razza di giornalismo sarebbe? Avete sentito il travolgente pigolìo che invece hanno sollevato per l’estradizione dell’assassino di massa Cia-Mossad-Fascisti-Stato, Delfo Zorzi, o dello stragista e assassino a Cuba dell’italiano Fabio Di Celmo, Posada Carriles, libero, servito e riverito a Miami da Obama?

Mi è capitata un’analoga manifestazione di viltà, censura e dilettantismo. Tornai da Belgrado con l’ultima intervista di Milosevic prima dell’arresto: 3 ore di racconto del complotto imperialista contro la Jugoslavia. Rina Gagliardi, vicedirettrice del mio giornale, Liberazione, rifiutò questo documento di valenza storica: “Ci identificheremmo con il dittatore”, sentenziò quella che poi sarebbe passata alle dipendenze dell’editore e ras della sanità Angelucci. Il Corriere della Sera, dove un po’ di professionalità sopravvive nonostante Ostellino, la pubblicò con grande evidenza.

Mentre, subita la sconfitta dei suoi fantocci Mubaraq e Suleiman, il giannizzero nero di Wall Street e del Pentagono, tenta di accreditarsi, attraverso un esercito ai suoi ordini, come solidale delle richieste ( purchè moderate) delle masse, negli Usa propone l'ennesima estensione del Patriot Act, legge d'emergenza di Bush estratta dal cilindro insieme al coniglio 11/9, che nega l’habeas corpus e con esso il diritto alla difesa, elimina le libertà civili nell'arbitrio extragiudiziario degli organismi "antiterrorismo". Al Cairo ha ordinato al sicario Mubaraq di farsi rimpiazzare dal Consiglio Supremo delle Forze Armate, butterato da generali da sempre in simbiosi ideologica, operativa e finanziaria con feldmarescialli, SS e Gestapo di Washington e Tel Aviv. Faranno i democratici alla Al Maliki o Calderon, ma, perlomeno, grazie a una truppa non affidabile, prodotto della stessa terra che ha generato l’Egitto rivoluzionario, per ora non c’è stato bagno di sangue. Ci sarà se i rivoluzionari terranno duro e andranno fino in fondo. E allora se la giocheranno tra sgherri di regime e Marines, da un lato, e militari disertori e masse rivoluzionarie vere. Magari fra altri dieci anni. Va bene anche così. Che Guevara e i suoi guerriglieri vinsero 40 anni dopo, il battito d’ala di una libellula nella storia dell’umanità. IL carcinoma cristianesimo ci mise 400 anni per farsi metastasi.


Clinton con giovani “gelsomini” da attivare

C’è uno che ha commentato il mio articolo precedente sull’Egitto con una scomposta risata informatica, titolata “La più grande vittoria di Obama”. C’è la libera scelta: o imbecille, o provocatore. Comunque uno a cui la coscienza e forza delle masse, un prodotto che mostra la sua tenuta nel tempo, provoca l’effetto di un chilo di prugne secche. C’è di tutto in psicosi del genere: odio e paura borghesi per teppaglie incazzate, vergogna della propria inanità di fronte a manifestazione sovversive di portata storica, la speranza che i quattro sfigati iniettati da USraele nella rivoluzione di milioni di incazzati, fallito il sabotaggio tentato offrendo negoziati con la copia carbone del despota, Suleiman, possano riprendere quota all’ombra di un esercito amerikano.

Ai gufi che vaneggiano di una rivoluzione gestita dai complottisti imperiali: da 18 giorni un popolo resiste e cresce, oltre 300 si sono fatti ammazzare, e sono entrati in lotta, forse decisivi, anche decine di migliaia di operai dalle grandi tradizioni di lotta. Le spie infiltrate dagli Usa e dai nazisionisti hanno funzionato solo in Serbia e Georgia. Hanno fallito tra gli arabi. Que se vayan todos!

Un segno che, nonostante i "moderati" infiltrati dalla Cia, quelli del "dialogo" con Suleiman, lo tsunami egiziano e arabo fa una paura fottuta agli pseudodemocratici del massacro sociale interno e coloniale, sta nel confronto tra il frastuono dei talkshow occidentali su caduta del muro, Tibet, Tehran, e nel loro totale silenzio sullo sconvolgimento epocale arabo. Si capisce a chi quest'ultimo conviene. Comunque, senza cedere al trionfalismo degli entusiasti e superficiali, nessuno mi toglie l’ebbrezza di aver visto e vicariamente vissuto nella mia tarda età un vero moto rivoluzionario, portato avanti da arabi, nipoti dei sumeri ed egizi, i più antichi civilizzati del mondo, quelli che hanno offerto all’umanità il modello di come ci si libera di incursori sanguinari, da Riccardo Cuor di Leone, sterminatore di Acri, a Churchill, Graziani e Massu. Quelli a me più cari tra tutti i sud del mondo, perché ne ho vissuto la fratellanza in lotta e combattimento dalla Palestina all’Iraq. Verranno mesi, anni, di sosta, probabilmente, la rivoluzione dovrà sedersi per riprendere fiato. Le cornacchie del rigore impotente grideranno al fallimento e alla normalizzazione. Li inquieta accettare che un popolo ha gettato la paura e acquistato coscienza della propria forza. Dove indirizzarla si vedrà. Intanto il primo obiettivo è stato raggiunto.

Come nelle lotte anticoloniali e nazionali degli anni'50 e '60, dove pure ci fu un tentativo - a volte riuscito - di ricambio nel segno dell'imperialismo (Ghandi, Mandela, Menem), arabi e Sud del mondo sono tornati a essere la forza trainante dell'umanità. Il fatto che sono consapevoli del nemico capitalista-neoliberista che li ha devastati, rende quella forza alla lunga indomabile. Avevano quattro fucili e tanti sassi quando mezzo secolo fa, cacciarono dalla loro terra le più potenti e feroci armate del mondo. Impariamo!


Il tiranno egiziano, fantoccio degli Usa e di Israele è stato cacciato. Al di là delle stucchevoli diatribe se a vincere siano stati gli infiltrati pseudodemocratici Usa, o l'immensa forza di studenti, operai, donne, gente qualunque, la botta al dominio arabo e mondiale dell'imperialismo-sionismo è storica. Un esempio al mondo. Al di là di normalizzazioni varie, una grande forza s'è svegliata. Due schiere opposte di gufi inneggiano al fatto che questa rivoluzione sia stata spontanea, non abbia ideologia e leadership. Gli uni perché così la riducono a jacquerie passeggera, gli altri perché ne rivendicano il modello, quello “dal basso”, “senza partiti”, “senza capi”. Tutte balle, ovviamente, i capi tra questi grilli parlanti ci sono e anche più infingardi. Ma, a parte questo, le leadership nascono dalla lotta e nella lotta contro l’insopportabile matura la visione delle cause, delle motivazioni, degli obiettivi: l’ideologia. Epperò, che queste cose non ci siano già, è la tipica sottovalutazione dei “civilizzati” (da Cristo, o da Marx) nei confronti degli “retrogradi”..

Leggere bene

Garantisce Ezio Mauro, tentacolo del sionista De Benedetti a Repubblica, che Saviano non "scenderà in politica". A parte che non mi fido della lobby, truffaldina e manipolatrice, è già una rottura di palle doversi subire la beatificazione giornaliera di questo sodale di Veltroni e Netaniahu in virtù delle roboanti e infide banalità che, come Vendola, ci schizza addosso. Sono altrettanti rovesci della medaglia Berlusconi. Vinceranno, perché hanno alle spalle Israele, mentre il guitto mannaro non ha dietro più nessuno.

Il governo ha abolito i tagli e confermato i finanziamenti all'editoria, cioè ai giornali di cooperative e partiti. Com'è che il "manifesto" passa questa notizia sottobanco in un trafiletto, mentre al tempo dei ventilati tagli singhiozzava su interi paginoni implorando quel soccorso che la qualità dei suoi articoli internazionali collaborazionisti non merita assolutamente (i rispettabili Matteuzzi, Michele Giorgio e Dinucci sono messi nell’angolo dagli amici del giaguaro Giuliana Sgrena, Marina Forti, Battiston, Lettera 22, Peace Reporter). Così, anziché ridare dignità, professionalità, correttezza, alternatività al giornale, e, dunque, vendere di più, sperano di spillarci altri soldi, Come giornale in lotta contro il regime, e “atlantico” nella politica estera per infiltrazioni della lobby, c’è molto più qualificato “Il Fatto Quotidiano”. Ma tant’è, fare la vittima paga sempre.

Un altro mondo possibile in mano ai soliti

Mentre le masse arabe cambiano la storia in tutta la regione abbattendo, con la violenza dei numeri, dei corpi e della risposta alle violenze, i quisling briganti installati da USraele, a Dakar annaspano i rimasugli di Porto Alegre, Forum Sociale Mondiale che, come il padrino Marcos, non contano più di nemmeno uno dei loro compiacenti "bilanci partecipativi". La funzione di fiancheggiamento da parte dei nonviolenti Ong, guidati da Attac (finanziata dagli Usa), sta fallendo come quella degli infiltrati Cia al Cairo. Chiamano i vapori innocui e compatibili che sprigionano dalle loro adunate “un altro mondo possibile”. Sono quelli che a Porto Alegre respinsero Fidel e Hugo Chavez, per venirne poi subissati. Agli appassionati della scoperta di quinte colonne del nemico che gestirebbero le insurrezioni popolari, va consigliato di andarle cercare a Dakar. Gigi Sullo, corifeo del fasullone infiltrato Marcos (politicamente defunto a dimostrazione che i finti cambi non reggono), e tutta la vorace banda collaborazionista delle ONG e del pacifismo nonviolento, vogliono mettere il cappello sulla rivoluzione araba. Disarmata e nonviolenta dicono. Come se i sassi, le barricate, le molotov e la resistenza dura agli squadristi di regime non fossero roba loro. E come se domani, aggrediti a fucilate, non dovessero e potessero difendersi.

Un parallelo tra Egitto e Iran vale nella misura in cui nel '79 una rivoluzione popolare guidata dalle sinistre fu scippata dai preti di un Khomeini arrivato da Parigi con consiglieri Usa, per essere lanciato contro l'odiato antimperialista e antisionista socialista Saddam Hussein. Che gli egiziani non si facciano fregare alla stessa maniera. Lo Shah fu abbattuto, ricordate, da un’immensa rivolta di popolo guidata dal Tudeh, partito comunista, e da varie sinistre rivoluzionarie, anche islamiche. Venne il taumaturgo bigotto e l’intera classe rivoluzionaria fu affogata nel sangue. Compiuto questo lavoro di classe, Khomeini ricevette armi israeliane e sostegno Usa per togliere di mezzo l’ultimo scoglio alla riconquista coloniale del mondo arabo. E ancora i sinistri cianciano di un “Saddam, uomo degli americani”. L’antimperialismo iraniano nasce nel dopo-Khomeini e dopo-Rafsanjani, pur ancora purtroppo intrecciato all’espansionismo contro l’Iraq.



Occhio a chi vi vende le manifestazioni a Tehran (o a Damasco, o a Tripoli, o i monaci di Myenmar), finanziate ed organizzate da strutture Cia contro un paese che non si piega all'imperialismo, come fossero l'equivalente dell'autentica rivoluzione di popolo in Egitto contro un tiranno servo degli Usa e sicario di Israele. Confrontate le facce e i numeri, oltre agli obiettivi antimperialisti, da un lato, e gli appassionati di liberismo Usa dall'altro. Parlano da soli. Notate come sinistri e destri provino a buttare nello stesso calderone le rivoluzioni contro i fantocci dell’imperialismo e le misere adunate sediziose, istigate dagli esperti USraeliani delle rivoluzioni colorate, in Siria, Libia e, in certa misura, Algeria (dove a far casino contro un regime di cattivo sapore, ma non paragonabile a Mubaraq, sono essenzialmente le quinte colonne berbere della Francia). Le opzioni sono sempre: sia bande di borghesi avidi di far da raccattabriciole per gli imperialisti e i Marchionne, là dove c’è una base borghese frustrata, sia Al Qaida là dove nessuno gli da retta.



• In tutto il mondo i popoli, compresi i palestinesi repressi dall'ANP rinnegato e venduto, urlano nelle piazze e davanti alle ambasciate egiziane il loro sostegno alla rivoluzione in Egitto, oltre 300 morti, 5mila feriti, 10mila sequestrati, scarafaggi che cercano di deviare la rivoluzione in "democrazia" agli ordini di USraele. E i nostri cento partiti e comitati e gruppi di sinistra, o democratici? Tremano di paura o di vergogna e si voltano dall’altra parte. Verso Ruby.

L'UE propone che tutti i dati personali dei passeggeri che entrano o escono dall'Unione siano consegnati alle loro polizie, il che significa anche alle polizie Usa. Già succede nella Grande Scemocrazia USA. Servirebbe alla lotta contro il terrorismo. Abbattere la riservatezza (detta privacy dai vernacolari) dei cittadini fino ai loro pensieri è il corollario dell’abbattimento delle Torri Gemelle, del metrò di Londra, del treno di Madrid…, delle polverine innocue nelle scarpe dei passeggeri, dei mortaretti scoppiati nelle mutande, delle stragi di Piazza Fontana e seguenti, fino ai poteri che nascono dalle bombe e dal sangue di Via dei Georgofili, Via Palestro, Velabro, S. Giovanni…

Strepitano da destra a "sinistra" per avere Battisti tra le zanne. Non strepitano contro le leggi speciali che, allora, fecero carne di porco della giustizia. Né strepitano per l'estradizione dal Giappone del miliardario Zorzi, sicario di Piazza Fontana, né contro lo scandalo dei sicari fascisti bombaroli liberi, dei capi di BR fasulle e manipolate, usate per spostare a destra il paese e liquidare il movimento rivoluzionario, dei bombaroli del '92-'93 oggi al potere. Ululano sulle vittime del terrorismo e scavano ogni giorno la fossa alla memoria degli oltre 150 ragazzi inermi ammazzati dalle “forze dell’ordine” negli anni ’70. Già solo per questo: Battisti libero!



Si stracciano le vesti per la pedofilia. In Italia un 15enne su 5 non sa leggere e scrivere se non con sms. Il 29% dei giovani non ha e non avrà lavoro. Gli spot televisivi sono insozzati da bimbetti resi mercenari da genitori papponi. In quasi nessun paese, se non in quelli governati dalla Coca Cola, minorenni possono essere sfruttati dagli sciacalli pubblicitari. Qui gli stessi immondi figuri che slinguazzano adoranti complimenti al guitto mannaro e ai suoi prosseneti, spingono i loro bambini a mentire, fingere, recitare eulogie a prodotti di merda, ingannare i loro inermi coetanei. Poi ci si stupisce del proliferare di veline, zoccole e, comunque, berlusconidi. Vogliamo parlare di prostituzione minorile? Ebbene, la pubblicità a merendine tossiche e auto letali, fatta fare a questi inconsapevoli, ne è l’esercizio più aberrante. Non bastava la chiesa cattolica a farci militanti dell’ipocrisia? Questo paese di vecchi tromboni pensa che, odiando i giovani, allontana la morte. Pesce pilota la compagna di happy hour di Berlusconi, Gelmini.



Il 13 febbraio, manifestazioni delle donne contro il guitto mannaro e il berlusconismo. Siamo con loro, ma siamo anche contro le mignotte felicemente torpide, che pensano di esistere in quanto chiappa o tetta, che si vendono per un passaggio in tv, un appartamento, un seggio e campano di ricatti. E contro quelle virago che ne fanno le eroine disvelatrici del puttaniere maschilista, offendendo la dignità delle donne e degli uomini che le amano e rispettano. E siamo contro le ginocrate chic per le quali tutti i gatti sono grigi, con prevalenza del genere sulla qualità umana e parlano di donne contro gli uomini tout court. Agenti del nemico! E’ un’altra articolazione del divide et impera padronale e imperiale, come i poveri bianchi contro i poveri neri, i garantiti contro i non garantiti, gli sciti contro i sunniti, i copti contro i cristiani, i vecchi contro i giovani. Luisa Muraro, esemplare ginocrate della guerra di genere premiata da scranni e gradi, taglia corto: tutte brave le donne, tutti pessimi gli uomini. E a chi definisce le stronze del satrapo pedofilo “lupe di Arcore”, peste lo colga. Risponde Christian Raimo: e già, i degni e gli indegni. E a proposito del palco delle donne, preferisce che vi salga, piuttosto che una medico congolese, onorata nientemeno che dal Presidente della Repubblica, una casalinga del Maghreb bocciata all’esame di italiano, o una puttana nigeriana, o un camionista ucraino che ha contrattato sul prezzo per farsela. Strillano, queste signore, che non è vero che le donne siano ora “uscite dal silenzio”. Anzi, hanno sempre urlato. Già, ancora mi rimbombano nelle orecchie le urla per il mezzo milione di donne irachene rimaste vedove, o delle 3000 donne stuprate e massacrate in Messico. E il pensiero corre a rappresentanti del genere come Santanchè, Gelmini, Condoleezza, Hillary, Albright, Livni…

Anche la Consob, autorità che dovrebbe vegliare sulle porcate dei padroni in Borsa, passa, per ordine di Tremonti-Conte Ugolino, sotto il controllo del regime berlusconide che a sua volta obbedisce a un'economia criminale. Come la scuola, l'Università, la Fiat, l'Esercito, l'acqua, il territorio, la libertà, la cultura, la vita. Siamo oltre Mussolini, oltre Orwell. Altro che le schifose zoccole del guitto mannaro. Caligola, per metterla in culo agli usurai del Senato, la Wall Street di allora, aveva fatto senatore almeno un nobile cavallo. Che non faceva servizi di bocca, ma scalciava.



Nell'Honduras sotto lo stivale dei golpisti filo-Usa, dove ogni giorno la Resistenza paga con morti, scomparsi e repressione, arriva Brownfield, segretario di Stato aggiunto, con il Plan Centroamerica, gemello del Plan Colombia e del Plan Merida (Messico). Devono assicurarsi il passaggio sicuro della droga lungo il Centroamerica e le condizioni per la depredazione dei popoli. Da quando gli Usa impongono quei piani, a partire dall’EFTA (Usa, Canada, Messico), nei paesi a sud del Rio Bravo che li hanno accettati si muore come mai prima nella storia, ammazzati, affamati, malati, drogati, schiantati dallo schiavismo. La commissione ONU dei diritti umani, dove resiste ancora qualche funzionario libero (Vedi Goldstone su Gaza, onesto e perciò sbertucciato e ingiuriato da tutti), denuncia: è il Messico dove più si violano i diritti umani, dopo Israele. In un anno più violazioni che in tutta l'Asia!. Ne sappiamo una cippa perchè lì governa un delinquente narcotrafficante fiduciario e amico degli USA e, dunque, nostro. Anche se lì si ammazzano più donne che nel resto del mondo. Femministe, dove siete?


Giorno del ricordo. Un conto è la solidarietà ai 300mila esuli giuliani, che sono voluti restare italiani e che l'Italia ha tradito. Un altro avallare l'infame patacca storica delle foibe, nelle quali finirono soprattutto slavi massacrati da aguzzini fascisti durante l’occupazione e, dopo, giustamente, solo qualche gerarca fascista giustiziato. E' da Gesù, attraverso Nerone fino a Saddam, che questi rovesciano la verità.

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MESSICO, ANGELI E DEMONI NEL LABORATORIO DELL’IMPERO
Il trailer del nuovo docufilm di Fulvio Grimaldi. Un documentario dvd di 90' che illustra un paese dalle grandi tradizioni di lotta e rivoluzionarie precipitato nel baratro di una tragedia senza uguali al mondo. Una tragedia universalmente occultata perchè conoscere quello che succede in Messico significa avere la percezione di quanto... gli Usa e l'Occidente preparano ai propri popoli e al Sud del Mondo, ma anche di come la Resistenza messicana eroicamente vi si oppone Si tratta di un avvertimento drammatico sulla confluenza tra crimine di regime, crimine imperiale e crimine organizzato, che utilizzano una finta guerra al narcotraffico, guidata da esperti del Pentagono, per militarizzare il paese e soffocare ogni fermento sociale, politico, culturale, fermenti che vedono in prima fila le donne. 20mila migranti uccisi ogni anno, sui 600mila che tentano dal Centroamerica e dal Messico di raggiungere gli Usa, 35mila civili innocenti uccisi da quando Felipe Calderon è presidente, migliaia di donne sterminate dai narcos e dalle forze "di sicurezza" nell'inferno di Ciudad Juarez e degli Stati di confine con gli Usa.
Una sovranità ceduta integralmente agli Usa e alle sue multinazionali dal lavoro schiavistico. Un'anticipazione di quanto i vari Marchionne, Berlusconi e affini, il retroterra mafioso e la militarizzazione di La Russa e Maroni, vorrebbero per il nostro paese.
Un terribile campanello d'allarme, ma anche una lezione di dignità e di forza dei figli di Pancho Villa e Emiliano Zapata.
PER ORDINARE IL DVD O PRESENTARLO CON L'AUTORE: visionando@virgilio.it, tel/fax 0699674258.Mostra tutto


MESSICO, angeli e demoni nel laboratorio dell'Impero [HQ] Trailer
Durata: 2:57

mercoledì 9 febbraio 2011

ITALIA EGITTO: LA GRAMIGNA SAPROFITA DEI GELSOMINI E I FIORI DELLA RIVOLUZIONE


La vittoria viene raggiunta grazie alla resistenza nell’ultima ora.
(Maometto)
Senza istruzione corriamo il terribile rischio di prendere sul serio gente istruita.
(G.K. Chesterton)
La tirannia di un principe in un’oligarchia non è pericolosa per il benessere pubblico quanto in una democrazia l’apatia del cittadino.
(Charles de Montesquieu)


Alcuni tra i miei gentili interlocutori esprimono dubbi e apprensioni sulla rivoluzione in corso in Egitto e nel mondo arabo, vista come possibile preda di manovre dell’oligarchia regnante, di Israele e dell’imperialismo. Sono le stesse apprensioni che mi pare io abbia manifestato nei miei commenti. Quella delle cospirazioni perché un movimento di massa teso a rovesciare un ordine esistente insopportabile sia sequestrato dalle forze della continuità, con un’apparenza di mutamenti che lascino intatte le fondamenta e le strategie di quell’ordine, è una costante dei nostri tempi. Si ricorre ai gelsomini, alle rose, ai gerani, alla maniera dell’infida Giuliana Sgrena del “manifesto”, sia per accreditare cospirazioni reazionarie contro governi disobbedienti all’ordine mondiale del pensiero unico e del nuovo colonialismo (Iran, Georgia, Ucraina, Serbia, Libano, Uzbekistan, Venezuela, Bielorussia, Russia…), sia per assimilare a questi moti eversivi eterodiretti lotte di massa autenticamente endogene e rivolte contro tirannie al servizio dell’imperialismo.

Queste operazioni, avvallate da una sinistra o accidiosamente passiva, o complice, o ottusamente inconsapevole, sono quasi sempre portate avanti da organizzazioni foraggiate e manovrate dagli appositi istituti cripto-Cia, come Freedom House e National Endowment for Democracy (NED). Si costruiscono all’uopo personaggi, affidabili perché accuratamente selezionati ed addestrati dalla metropoli imperiale, cui vengono cuciti addosso panni e formule che rieccheggiano alcune parole d’ordine delle masse in lotta e che, però, vengono svuotate della carica e dei contenuti rivoluzionari e ridotti a dialogo per la salvaguardia dal “caos” e la rigenerazione cosmetica del vecchio ordine gerarchico. Alla bisogna vengono mobilitati media falsamente democratici e indipendenti, intellettuali presentati come “venerandi maestri”, sindacati e l’accozzaglia mercenaria delle Ong, che a questi fantocci forniscono la visibilità e il carisma di un riconoscimento unanime, al cui traino si allineano comunicatori e politici della sedicente sinistra nel nome della democrazia, dei famigerati “diritti umani”, del contrasto all’estremismo (oggi quasi sempre islamico). Da noi tale funzione è stata egregiamente svolta dal togliattismo e dai suoi infiniti epigoni. Comune denominatore di queste forze della mistificazione è l’accantonamento e l’occultamento delle matrici imperiali che hanno generato il fantoccio e le oligarchie economico-politico-culturali da rimpiazzare nel processo di aggiornamento. Così le motivazioni delle rivoluzioni di massa nel mondo arabo vengono circoscritte al pane e alla libertà dall’oppressione e gli attentati in serie ai gasdotti del Sinai che svendono il combustibile egiziano a Israele e alla subalterna Giordania, indici della consapevolezza antisionista e nazionalista della rivolta, sono attribuiti, scimmiottando Mubaraq, a oscure forze esterne (islamiste?). A proposito di Ong, La Rete Italiana per il Disarmo, fin qui degna di rispetto per essere praticamente l'unica voce di contrasto a guerre e basi, chiede opportunamente di sospendere la cooperazione militare con i paesi del Maghreb e con l’Egitto. Possdibile che non chieda in primissima istanza la fine della massiccia cooperazione militare nostra e della Nato con Israele? Gelsomini anche loro?


Gelsomini italioti
In Italia gli esempi proliferano e, se agenti della controffensiva padronale come Bonanni, Angeletti, Fassino, D’Alema, si scontrano con la denuncia di una forza di massa come la Fiom e i sindacati di classe, che hanno la capacità di tirarsi dietro quanto, nei media e nei rimasugli politici, pretende ancora di resistere, incondizionata e unanime, salvo voci isolatissime, è l’attribuzione del titolo di salvatori della patria ad espressioni della mistificazione come Roberto Saviano, Nichi Vendola o Luca Casarini. Il primo, taumaturgico eroe di un banda a denominazione sionista (Lerner, Bonsanti, Ovadia, Eco…), chiamata “Libertà e Giustizia” e fondata addirittura da Carlo De Benedetti, intimamente intrecciato a Israele da sempre, ha il compito di pervertire una montante collera e insofferenza popolare, dagli esiti potenzialmente radicali, nel passaggio da una destra bislacca, inaffidabile, totalmente squalificata e inetta, a una destra riverniciata da democrazia costituzionale, europea (!), educata, meno putiniana e gheddafiana e più in sintonia con l’”uomo del cambio” Obama e con l'"Unica Democrazia del Medioriente". Dei rapporti di forza tra le classi nulla viene messo in discussione, né del Nuovo Ordine Mondiale spurgato dai neocons, consolidato da Obama e benedetto dai papi. E a vedere parecchi dei corifei accorsi al Palasharp di Milano per “l’investitura” (così “Il Fatto Quotidiano”) di Saviano, colpisce la somiglianza antropologica con i tipi Dolce e Gabbana che rumoreggiavano due anni fa a Tehran. Fatti salvi - e rispettati - gli illusi puri, le tante persone in buonafede che, si tratti di popolo viola, della combine Vendola-Bersani-Casini, dei Disobbedienti, o di Saviano, pur di manifestare il sacrosanto disgusto per il guitto mannaro e la passione per la legalità, si precipitano ovunque. Agghiacciante il titolo “La primavera di Milano” con cui Norma Rangeri del “manifesto” titola il suo editoriale sulla gelsominata di Milano. Ricordate quell'infame “La primavera di Belgrado” con cui lo stesso giornale salutò la caduta di Milosevic e la distruzione della Serbia?

Il terzo, Casarini, in bilico tra utile idiota e amico del giaguaro, in ogni caso impegnato nell’autopromozione, è quello che faceva giochini di guerra a Genova, del tutto innocui per i carabinieri, ma assai propizi alla psicosi terroristica diffusa dal governo del guitto mannaro e dai suoi accoliti (il destro perbene Fini in testa, oggi arruolato nella nemesi democratica) e alla conseguente macelleria messicana contro gente che non aveva neppure gli scudi di polistirolo del guerriero padovano. E’ anche colui che si accoppiò in Serbia, al tempo dell’assalto Nato, con i “gelsomini” della radio Cia, B-94, poi evolutisi nelle bande Otpor, queste addestrate contro il governo socialista ed anti-Nato di Milosevic dai generali Usa a Budapest, onorandoli di visite a Belgrado e di ospitate a Padova. Fu la prima della “rivoluzioni colorate” fatte, vuoi, per ridurre popoli alla schiavitù imperialcapitalista, vuoi per ricondurre in recinti, magari ripuliti, buoi che hanno rotto le catene. Coronò, Casarini, la sua adesione al progetto mandando i teppisti Disobbedienti a malmenare nella manifestazione di Aviano chi alzava la bandiera della Jugoslavia libera. Otpor gli eresse una stele. Oggi, dopo anni serviti a coprire di polvere tali imprese. Casarini a Mestre, nella sede donatagli dal sindaco sovversivo Cacciari, ha messo la sua indubbia capacità organizzativa, compensatrice di un’altrettanto indubbia nebulosità ideologica, al servizio di “Uniti contro la crisi”, con una kermesse antiberlusconiana dal chiaro intento di mettere il cappello sull’onda montante della revulsione allo stato di cose presenti. Così Casarini cerca di rientrare in circolo. Rischia però di incontrare la sorte dell’icona di riferimento, sua e di Bertinotti, Marcos. Rannicchiato costui, si dice, nella selva Lacandona, a opporre raccontini edificanti alla violenza di un potere che, dice, non lo riguarda, ma estromesso da qualsiasi rilevanza nei processi politici di un paese che ha scelto altre “narrazioni” per uscire dalla sua incommensurabile tragedia. Fortunatamente Casarini, con a fianco il pensionato Rinaldini, ex-segretario Fiom, e la sua platea di furbetti padovani di Radio Sherwood, non regge al confronto con Maurizio Landini tra gli operai di Mirafiori. con tutte le tare che il nostro sindacalismo si porta appresso da dopo il '68 in poi e che vanno temute, e gli studenti della Sapienza e di tante altre università.


Quattro gelsomini egiziani in un mare di papaveri rossi
Veniamo ai fatti egiziani, punta avanzata di quanto sta ribollendo in gran parte del mondo arabo. E di questi giorni l’attesa e temuta spaccatura tra il popolo di Piazza Tahrir e di tanti altri luoghi d’Egitto, meno battuti dagli inviati, e le componenti, ridicolmente minoritarie, che, accreditatesi nei primi giorni dell’insurrezione, o inseritesi più tardi, si sono rivelate fiancheggiatrici del tentativo di riportare i moti negli argini riverniciati di un corso immutato. Contando e, auguriamoci, illudendosi di poter imporre una loro rappresentatività a folle che, all’avvicinarsi delle tre settimane di scontri, morti, feriti, penuria di cibo e sonno, si vorrebbero vicine all’esaurimento e a rischio di isolamento, hanno tirato fuori l’arma che le forze del continuismo, interne ed esterne, gli hanno assegnato: il dialogo per la resa.

Logo dei Fratelli Musulmani


I Fratelli Musulmani, dalla nascita negli anni ‘2O complici del colonialismo britannico e, da allora, forza di riserva della restaurazione contro il panarabismo antimperialista di Nasser e opposizione di sua maestà con i rinnegati Sadat e Mubaraq (gente ben diversa da Hezbollah e Hamas), avversata inizialmente la rivolta e poi saliti sull’autobus per mettere il piede sul freno, si sono precipitati all’invito del neo-vicepresidente Omar Suleiman. Dietro si sono trascinati i destri d’antan del Wafd, la sinistra alla Veltroni Tagammu, frammenti del Movimento 6 aprile, protagonista politico, ma spurio, a Piazza Tahrir, e della eterogenea e litigiosa coalizione della “società civile” Kifaya, staccatisi dal corpo centrale delle rispettive organizzazioni. La contradditoria natura del Movimento Giovanile 6 aprile, veniva confermata dall’immediato disconoscimento della delegazione al “dialogo” – composta anche da amici di El Baradei – da parte dei dirigenti rimasti in piazza. Scaduto, per ora, come opzione “moderata” dei burattinai d’oltreoceano e, quindi, posto in seconda fila rispetto all’amico privilegiato di Israele, Omar Suleiman, torturatore in prima persona, terminale egiziano delle extraordinary renditions con cui Bush e Obama affidano ai carnefici locali soggetti tipo Abu Omar, la speranza dei liberal e moderati nostrani, Mohammed El Baradei, di cui al tavolo è stato ammesso solo un emissario.






 A questo livello “transigente” dell’opposizione si sono aggiunti altri luminari della società bene.In particolare evidenza, per il peso negoziale, i titolari e manager di industrie e banche (in difesa dei quali si è appassionatamente erta Hillary Clinton), da Amr Mussa, compiacentissimo segretario della Lega Araba, al Nobel Ahmed Zuwail, già consigliere di Obama, al magnate Nagib Suez e a tutto un codazzo di miliardari beneficiati dal trentennale saccheggio eseguito in combutta con il FMI. La qualità politica e morale di questa gente, resa subito visibile dall’ulteriore impetuosa crescita dei resistenti in Piazza Tahrir, segno di chiara sconfessione, si misura sulla figura di Suleiman, seconda scelta degli Usa, imposta come prima da Israele che nel delinquente vendipatria aveva, per il sofferto dopo-Mubaraq, il socio preferito, colui che con Netaniahu aveva un filo diretto e che nel 2008 aveva addirittura offerto a Israele di dislocare proprie truppe nel Sinai, “onde ostacolare il traffico d’armi verso Hamas”. Del resto, tra torturatori ci si intende al volo. Se un’iniziativa del genere non ha potuto essere attuata, probabilmente perché avrebbe anticipato lo scoppio della rivolta di massa, zitti zitti l’hanno eseguita gli Usa, evidentemente terrorizzati che la rivoluzione possa spazzare via tutte le loro opzioni di stabilità regionale: è di questi giorni la notizia che il 15 gennaio è partito da Fort Benning, Georgia, il Distaccamento 2 della Guardia Nazionale, 185° reggimento Aereo di Groton, per sistemarsi nel Sinai alla frontiera tra Egitto e Israele e garantire, così si dichiara, il Trattato di pace tra i due paesi. Più specificamente, il blocco di Gaza contro chiunque, fallendo l’opzione Suleiman e simili, dovesse azzardarsi ad aprire il valico verso i “fratelli arabi” di Palestina.


Gli scissionisti del movimento giovanile “6 aprile”, di stampo vendolian-savianeo,  personaggi ospitati mesi fa preveggentemente al Dipartimento di Stato, era nell’aria dai primi giorni della rivoluzione. Alla “Delegazione dei 25” precipitatasi da Suleiman con l’offerta della solita “unità nazionale” il despota in seconda ha graziosamente concesso alcune “aperture” destinate a trasformare nei media internazionali gli intransigenti in “estremisti” e a infinocchiare i più sprovveduti tra le composite masse in lotta: fine del trentennale stato d’emergenza (non è detto quando), libera stampa (nel momento in cui gli sbirri del torturatore facevano sparire decine di giornalisti, arrestavano il capostazione di Al Jazira e ne distruggevano la sede), creazione di un comitato per la revisione della costituzione, con scadenza alle calende greche, liberazione dei prigionieri politici (mentre altri se ne aggiungono ai 10milla rastrellati dai servizi di Suleiman dal 15 gennaio in qua). Mentre questi “rappresentanti del popolo” dialogavano con il Torquemada di Mubaraq, il braccio militare del regime, che, dopo tre decenni di controllo USraeliano non è neanche più l’ombra delle forze armate nasseriane che misero spalle al muro Israele, iniziava a tirarsi via la maschera di esercito del popolo e a premere sui rivoltosi perché lasciassero la piazza e, così, offrissero alla repressione la vena giugulare della rivoluzione. Tutto doveva rientrare nell’alveo di una nazione normalizzata sotto il dominio di burattini e burattinai, con i fili rimessi in ordine. Risultato, eminentemente, di un riequilibrio mentale al vertice Usa, dopo i grotteschi andirivieni tra opzioni e fazioni diverse, quale sostenuta da un Israele nel panico, abbarbicato al compare collaudato, prima di vedersi costretto scegliere il fiduciario meno impresentabile all’estero, quale sollecitata dagli esperti gelsoministi Usa, più provetti nel cambiare per non cambiare. La soluzione è una sintesi: ci si tiene a tempo determinato il vecchio sicario, finchè ne scade il mandato o la precarissima salute, gli si sovrappone un alter ego truccato da riformatore, si cooptano i gelsomini e vai come sei sempre andato. A proposito del “6 Aprile”, movimento ambiguo che poi ha dovuto però subire un’egemonia di rivoluzionari genuini, si noti come i suoi iniziatori abbiano adottato un simbolo del tutto simile a quello degli infiltrati Usa in Serbia e in Georgia: il truffaldino pugno chiuso e lo slogan “basta”.





Certo, le variabili, in una situazione corrosa da contraddizioni così forti, ci sono. Se quelli di Tahrir (Liberazione) non cedono, se le articolazioni organizzative nate sul campo, comitati popolari, ronde di autoprotezione, nuove realtà organizzate espresse dalla lotta e nuove leadership si stabilizzeranno, se i collegamenti con il resto del paese – e dei paesi – resisteranno e si rafforzeranno, se la prova di forza, in quel caso inevitabile per il regime e i suoi padrini, verrà imposta, il tavolo può ancora essere rovesciato. Si dovrà vedere se un esercito di ufficiali allevati nell’incubatrice Pentagono, un comando supremo sintonizzato sugli ordini di servizio israeliani potrà essere neutralizzato da centinaia di migliaia di coscritti che esitino a sparare sulla propria gente. Un bagno di sangue, quasi certo se la carta Suleiman dovesse essere travolta dalla resistenza di massa per l’obiettivo di un rovesciamento di regime e, dunque, dei suoi connotati internazionali, riaprirebbe ulteriormente le prospettive di vittoria. Anche per i suoi riflessi nel mondo arabo. Dalla Tunisia all’Egitto i moti popolari sono cresciuti ininterrottamente, Algeria, Giordania, Yemen, Iraq (dove alla resistenza armata di nuovo in grande spolvero contro le forze dei fantocci si sono aggiunte in questi giorni grandi manifestazioni di massa, ovviamente stampigliate “Al Qaida” dal “manifesto”), perfino Marocco, Mauritania e Saudia. Un’apocalisse di sangue perpetrata su commissione USraeliana dal nuovo rais potrebbe provocare onde anomale incontrollabili in tutta la regione. Altro che “Nuovo Medio Oriente”. Ci dà speranza che a tale massacro non si arrivi per far vincere la rivoluzione, l'incredibile crescita del movimento, a dispetto delle cornacchie che gufavano su stanchezza e lento esaurimento, con tanto di classe operaia che dappertutto esce dalle fabbriche privatizzate e ceto medio che si sommano ai rivoluzionari, nonchè una piazza Tahrir che va dilagando verso i palazzi del potere, della TV di Stato e del presidente. 
Ci vuole la dabbenaggine burina, a essere tenui, del solito Campo Antimperialista, ad accreditare parte delle tensioni egiziane ai “jihadisti”, fondamentalisti islamici cari al campetto fin dalla venerazione per gli sciti collaborazionisti e anti-saddamisti di Moqtada in Iraq, al punto da attribuirgli la paternità dell’eccidio di capodanno dei copti di Alessandria, evidente anello della strategia israeliana di frantumazione degli Stati arabi, come già riuscita con la secessione del Sud Sudan. Secessione da decenni armata e sostenuta da Tel Aviv in vista soprattutto di eliminare la Cina dalla scena petrolifera sudanese e assicurarsi un dominio assoluto sulle acque del Nilo, dominio destinato in prospettiva anche a strangolare un Egitto partito per la tangente. Si inserisce in questa strategia anche l’ennesimo rapimento di viaggiatori europei tra Algeria, Niger e Mali, immancabilmente da parte di quell’”Al Qaida nel Maghreb” con cui i servizi occidentali si affannano a rilanciare, sullo sfondo dell’Egitto in fiamme, la “minaccia islamista”. In questo quadro tocca non trascurare il ruolo parallelo giocato dal Vaticano attraverso l’Ordine dei Comboniani, da sempre quinta colonna coloniale dal Sud Sudan al Darfur. E sconcerta il comboniano Alex Zanotelli, altro gelsomino, quando sul “manifesto”, occupandosi di migranti, ci copre di ceneri perorando: “Noi bianchi dovremmo andare a Dakar (sede oggi del solito ambiguo e fortunatamente spento Forum Sociale Mondiale) per chiedere perdono”. In Sudan ci sono motivi altrettanto buoni perchè i comboniani chiedano perdono per aver collaborato alla divisione imperialista di un grande e autonomo paese arabo-africano.



Alcuni degli interlocutori di questo blog, ai quali tengo molto per l’impegno e la competenza con cui si confrontano con le mie argomentazioni, ovviamente spesso discutibili, e con le questioni sollevate, fanno prevalere il pessimismo della loro ragione sull’ottimismo della loro volontà. Finiscono col consegnare una rivolta di massa dai chiari connotati rivoluzionari, sociali, nazionali, geopolitici, connotati che confido alla distanza emergeranno, alle mosche cocchiere della restaurazione. Li sosterebbe una delle immancabili patacche di Wikileaks che, con puntualità quanto meno sospetta, diffonde cablogrammi che indicherebbero come da tre anni gli Usa terrebbero in pugno gli esponenti della loro versione di oppositori. Ecco che gli Usa vengono accreditati della “democratizzazione” dell’Egitto. Fa il paio con quell’altra sua “rivelazione” secondo cui la Cia darebbe la caccia a tre cittadini del Qatar implicati, oggi, dopo 10 anni, nell’attacco dell’11 settembre. Botta evidente non solo al Movimento per la verità sull’11/9, che negli Usa non conosce arretramenti e si rafforza di giorno in giorno di dati e testimonianze, ma anche a quell’emittente del Qatar, Al Jazira, che da tre lustri rivela al mondo e, con particolare rilievo al mondo arabo, di che lacrime grondino e di che sangue i suoi satrapi e le “democrazie” che li tengono sul trono. E che perciò viene bandita e aggredita nelle colonie della “comunità internazionale”, associata attraverso presunti terroristi del Qatar alle Torri Gemelle e vilipesa dalla cupola imperialista.

Ambasciata Us al Cairo


Non v’è dubbio che storicamente l’aggressore inserisce i suoi agenti in schieramenti tra loro opposti per poter manovrare su entrambi i fronti. Ne sono una dimostrazione sia i gelsomini del momento, sia, nel nostro miserando piccolo, i radicali di Pannella, o Fini di qua e Saviano-Fassino-Colombo-Lerner-De Benedetti di là. Ma da lì a concludere che una rivoluzione di milioni, con fiamme che lampeggiano in tutta una regione costretta dal neoliberismo imperialista nell’abisso dell’abiezione sociale e nazionale, sia stata innescata e venga manovrata da forze etero-dirette contro un vassallo improvvisamente passato nel campo dei riottosi e inaffidabili, ce ne corre. Mubaraq, come i sovrani sauditi e giordani, come il tunisino Ben Ali, come Pinochet, come Berlusconi, non ha e non desidera scelta che non sia la totale subordinazione ai poteri economici e militari che ne garantiscono la sopravvivenza e la licenza di rubare, opprimere, uccidere. Di autonomia ne hanno quanto una tartaruga rivoltata sul dorso. Un loro ricambio viene imposto ai padrini, alquanto riluttanti come si vede nel caso di Mubaraq, solo quando le circostanze ne impongono l’ineluttabile necessità. E la necessità è determinata solo dalla confluenza di un eccesso di arbitri del fantoccio (nel caso del guitto mannaro, di puttanate, più che dai giri di valzer con Putin o Gheddafi, concessi anche ad altri clienti) con i segni di una sopportazione popolare giunta al limite. Senza quest’ultima, come si constata da noi, hai voglia di strafare. In un sistema in cui l’intera classe parassita e predatrice dirigente, di cui Mubaraq è l’espressione, è legata al carro del turbocapitalismo trainato dagli organismi economico-finanziari sovranazionali e garantito dai sicari di Pentagono, Cia, Tsahal e Mossad, un passo fuori dal seminato, tipo fronte moderato e semiautonomo turco-saudita-egiziano, è semplicemente inconcepibile. Ogni ricambio di personale sarà puramente fittizio. Come è detto nel meraviglioso coro dell’Adelchi.

 Tornate alle vostre superbe ruine, All'opere imbelli dell'arse officine, Ai solchi bagnati di servo sudor. Il forte si mesce col vinto nemico, Col novo signore rimane l'antico; L'un popolo e l'altro sul collo vi sta. Dividono i servi, dividon gli armenti; Si posano insieme sui campi cruenti D'un volgo disperso che nome non ha.


Finora dalle manifestazioni degli egiziani, salvo qualche maglietta del Che Guevara e i gasdotti verso Israele fatti saltare, non sono venuti grandi segnali di contrasto alle potenze e ai metodi che di Mubaraq hanno garantito il regime e le devastanti ricette del FMI, sostenute dalle forze repressive armate e controllate da quelle potenze. Tra gli obiettivi della collera popolare dovrebbero essere, per esempio, l’ambasciata degli Stati Uniti, le missioni di FMI e Banca Mondiale, le rappresentanze dell’entità sionista e dell’Europa. Nelle denunce dei rivoluzionari non dovranno mancare quelle dei rapporti tra il despota, la sua accolita economica e militare e i burattinai Usa, UE, Israele, quelli che esercitano la vera autorità politica nel paese. Può anche darsi che la mancata evidenziazione della dimensione internazionale della tragedia egiziana sia dovuta a cautela tattica, onde non farsi cacciare nel calderone propagandistico dei vari "estremismi", magari islamici, che renderebbero più digeribile una repressione sanguinaria. Dà fiducia l’indiscutibile avversione di tutto il popolo a Israele, vista come responsabile prima delle umiliazioni e della perdita di dignità, benessere e sovranità. Altrettanto presente è il rimpianto per il ruolo catalizzatore svolto dall’Egitto di Gamal Abdel Nasser nella vittoria dei popoli arabi sul colonialismo e nella garanzia, da parte di un socialismo di Stato, di un benessere fin lì sconosciuto. Resta, d’altra parte, in molti strati di quella che viene definita la società civile, cioè nella parte più rassegnata e politicamente meno sviluppata del paese, l’eco confortante delle demagogiche e truffaldine sparate filo-arabe e filo-islamiche di Barack Obama nel famoso discorso del Cairo. Gli Usa come promessa di riequilibrio economico e geopolitico. Discorso che avendo incantato anche gli sprovveduti chiccosi del “manifesto” (Valentino Parlato: “Miracolo al Cairo”), vuoi che non facesse presa su un popolo cui da 40 anni non erano stati inflitti che smacchi, avvilimenti, offese e mortificazioni? Il naufrago si attacca anche alla pinna dello squalo.

Gli egiziani, gli arabi, hanno grandi forze e ricchezze nel l’immaginario collettivo. Un immaginario che presto o tardi diventa nei popoli volontà e azione. Tutto questo serpeggiava da anni, dalla prima e dalla seconda guerra all’Iraq, veniva portata al parossismo dal mostruoso massacro di Gaza, si rispecchiava nelle aberranti condizioni di vita della maggioranza a fronte del lusso protervo e osceno della cricca dirigente. Mettiamo pure che l’incendio in corso possa essere domato. Ma le condizioni che lo hanno innescato non cambieranno e la brace sotto la cenere, vista la grande disponibilità di combustibile e l’ambiente infiammabile come e più di prima, il fuoco tornerà a farlo divampare.