giovedì 19 luglio 2012

MEDAGLIA D'ORO OLIMPICA A SACCHEGGIO E DEVASTAZIONE - OLIMPIADI DEL TERRORE IN SIRIA E BULGARIA. TUTTO FA BRODO. Assalto finale del golpista vandeano. Altri galantuomini fascio-sionisti.

 Cari amici e interlocutori, me ne vado for dai bal per qualche tempo. Vi risparmierò queste tiritere fino a metà agosto. Ma leggero i vostri commenti e messaggi. Buona estate di controffensiva. 


 

Mi unisco al commento di Alex per esprimere anche la mia profonda preoccupazione, soprattutto per il modo in cui l'azione terroristica è stata salutata dai media internazionali. Le analisi ci trovano tutti d'accordo, Fulvio e commentatori attenti, come forse mai prima d'ora. Ma, adesso, che fare? Il senso di frustrazione che ho provato quando ho visto assassinare Saddam Hussein e Muammar al-Qaddhafi è stato violento e insopportabile. Non voglio rivivere, ora, la medesima e terrificante esperienza. Oggi ne faccio, mi si perdoni l'intimismo, una questione innanzitutto di morale personale, di psicologia individuale. I traumi iniziano a essere un po' troppi, mi pare di essere in un romanzo magnifico di Saramago, Cecità, dove tutti diventano ciechi tranne una donna, che, allibita, assiste alla follia collettiva che la circonda. Io la Siria la conosco bene, ci ho studiato arabo alla fine degli anni '90, quando Hafiz al-Asad era ancora vivo, gratuitamente e con maestri dedicati e bravissimi, che ricordo con grande affetto. Sapere di continui attentati e stragi - eterodiretti da Londra, da New York, da Doha, da Riyad - a Damasco e nelle altre dolcissime città di quel dolcissimo paese inizia a farmi molto male, nel profondo. E mi fa male soprattutto l'orrida ipocrisia dell'Europa e dell'Occidente, il ribaltamento spudorato e continuo della realtà, il sostegno ai peggiori gonzi islamisti, vera vergogna dell'Islam e puro prodotto del riflesso coloniale e orientalista. Confesso di essere scosso e di sentirmi impotente. Non per questo, comunque, ci si rassegna. Hasta la victoria, siempre! 
Stefano 

Sarò lungo, ma per alcune settimane avrete pace e quindi potreste leggere questo rotolone un po’ per volta. Aggiungo al commento qui sopra, giuntomi sul blog e che ritengo degno di diffusione (come tanti altri per i quali non c’è spazio), due parole su quanto successo in Siria e Bulgaria mercoledì 18, in perfetta e ovviamente voluta simmetria, dato che la paternità è degli stessi. 
A Damasco sono stati uccisi, da una bomba introdotta nella Sede della Sicurezza Nazionale, il ministro della difesa, Daud Rajha; il suo vice Assef Shawkat e il capo della Direzione per la Crisi, Hassan Turkmani. Imprecisato il numero dei feriti. A Burgas, in Bulgaria, è stato fatto saltare un autobus con a bordo giovani israeliani in vacanza, 7 morti e oltre 30 feriti. E’ l’apice di una campagna di terrore genocida condotta da 17 mesi contro la Siria e, in prospettiva, contro Hezbollah e l’Iran. A seguire il proprio impulso, uno riempirebbe pagine su pagine di collera senza fine: assassini, assassini, assassini, mostri, belve, feccia dell’umanità, subumani, stramaledetti che l’inferno vi inghiotta. Ma sono parole inadeguate, anche per gli squallidi e rapaci velinari di tutta la stampa che conta (e che conta meno), sulla cui penna sgocciola, indelebile, sangue dalle mani dei boia che tiranneggiano l’Occidente, da Washington a Tel Aviv, da Londra a Roma. 



Soffoco dolore e ribrezzo e constato. Sta per svolgersi la seduta del Consiglio di Sicurezza e come in mille altre occasioni, in cui il mostro aveva la necessità di distrarre dai suoi pasti belluini, o di sollecitarvi supporto, le nefandezze più raccapriccianti preparano il terreno. Qui si tratta di ammorbidire la fermezza con cui Russia, Cina, ma anche tantissimi governi del Sud, si oppongono alle carneficine e ai crimini contro la sovranità, la giustizia e la verità, programmati dalla più cannibalesca dittatura psico-fisica mai apparsa sulla Terra. Si tratta anche di rafforzare quello scivolamento di senso che inserisca nella palude della coscienza-conoscenza pubblica la persuasione che, non ci fosse il dittatore sanguinario Assad, sarebbe minato alla base il colosso del terrorismo mondiale. Un Eden.  Con cui, come con altri mezzi, ci hanno inflitto la massima passività di fronte al massimo massacro sociale degli ultimi secoli. 

L’attentato di Damasco, con la grottesca e opposta rivendicazione di due organizzazioni terroriste rivali (ma nessuno le chiame terroriste), la Free Syrian Army, essenzialmente mercenari Nato-Libia-Qatar, e gli invasati salafiti-Al Qaida delle “Brigata dell’Islam”. La capacità di oltrepassare stringenti misure di sicurezza, con la complicità di corrotti interni, per collocare un ordigno nella sala dove si incontravano alcuni dei maggiori operatori della difesa nazionale, non è della marmaglia ribelle, di inetta logistica e tecnologia anche perché frazionata, come in Libia, in gruppi separati e non coordinati. Quella operazione, e le altre, a una delle quali ho assistito io, contro l’edificio della sicurezza del quartiere governativo Midani, non sono pane per i denti di questa coacervo di assoldati e dementi. Qui c’è, al di là di ogni dubbio la mano di chi ha un’esperienza, una professionalità e un cinismo da battere ogni concorrenza. Di coloro che hanno preparato, allestito e occultato gli ininterrotti attentati terroristici che hanno accompagnato la marcia della élite occidentale verso la depredazione generale e la dittatura mondiale. Del resto, implicitamente non lo negano, quando rivendicano, sotto la didascalia di “azione di difesa”, gli assassinii seriali compiuti in paesi non ottemperanti, selezionati e firmati settimanalmente dal comandante in capo, Obama, o vantati, in nome della “difesa da un altro olocausto”, dai ministeri della guerra e del genocidio a Tel Aviv.

L’11 settembre 2001, a Manhattan, spie Mossad israeliane filmavano e giubilavano alla vista del crollo delle Torri (vennero arrestati da un’ inconsapevole pattuglia dell’FBI e, rilevato che erano agenti del paese che determina la politica Usa, su ordine di una corte subito rilasciati e rimandati nei loro covi. Chissà se, dalle alture del Golan occupato e seviziato, altri nazisionisti avranno fatto salti di gioia e filmato il sollevarsi all’orizzonte della colonna di fumo e fiamme, appiccata dai colleghi. 

 In Bulgaria la simultanea strage dei propri giovani (Israele è abituata a sacrificare suoi cittadini o correligionari per la “causa”) ha lo scopo strategico di far urlare all’antisemitismo europeo, copertura istituzionale di ogni efferatezza israeliana, nonché quello di convincere a spalmarsi immobili per terra coloro che il terrorismo di bombe, di crisi, di baratro economico, ha già ridotto in ginocchio. 

Avete sentito l’uragano, sprigionatosi dalle gole dei licantropi, di orrore, collera e minacce di apocalittiche rappresaglie, da Hillary a Terzi? E subito l’accostamento, nel ventesimo anniversario, all’esplosione dell’ambasciata israeliana di Buenos Aires, che giudici “antisemiti” hanno giudicato altamente sospetta circa le origini. L’obiettivo tattico è duplice: bloccare nelle menti l’intuitivo sospetto che, anche se rivendicato come azione di liberazione da “patrioti giovani rivoluzionari in guerra contro la spietata dittatura”, dai democratici e liberali sovrani del Golfo, dagli eletti dirigenti delle più grandi democrazie del mondo, la costanza di carneficine in tal mondo prodotte, cazzo, puzza  di terrorismo, quello che ci dicono appesti il mondo più dell’Aids (arma affine) e penda come la spada di Damocle su tutti noi. L’altro bersaglio tattico è, manifestamente nelle parole di Netaniahu, l’Iran, detto responsabile prima ancora che l’ultimo agonizzante esalasse il respiro, il motore del bus si fosse raffredato, i primi poliziotti bulgari ravanassero tra i resti e né giudici, nè commissioni d’indagine avessero ancora mosso un piede. Tanto tempestivo, da strapparsi da solo i vestiti del re. La gallina che canta per prima…. Qui, però, si tratta di un psicopatico con il pugnale tra i denti. 

C’era da aspettarselo: prima di ogni guerra criminale da lanciare, si deve creare il pretesto. Agli infoiati nazisionisti, ai loro emuli occidentali, occorre la strage. A noi, per sapere perché quelli vanno alla guerra, basta ciò che hanno fatto nel l’ultimo mezzo secolo e le menzogne che ululano sulla necessità di fermare l’Iran, o di garantire la sicurezza d’Italia dalle parti delle Galapagos, magari con 12 miliardi di cacciabombardieri F35 da sterminio. Ma basta anche solo guardarli in faccia. 


 Il governo siriano ha sostituito i martiri della sua direzione e ha confermato che l’esercito siriano resta unito, leale, patriottico, consapevole di cosa è in ballo. Avendo avuto vicinanza e frequentazione, da 45 anni, con il colto, cosciente, gentile, laico e forte popolo siriano e con la sua stupenda terra, sottratta al saccheggio e alla devastazione dell’imperialcapitalismo, non ci viene il minimo dubbio su quanto il governo ha detto. Sappi colui che non sta oggi con la Siria, senza se e senza ma, come minimo regge la coda al drago, e ogni futura goccia di sangue versata, siriano e non siriano, ricadrà su di lui. Come, su noi tutti, la fine del mondo. 


Olimpiadi? Ottima occasione
I saccheggiatori e devastatori di vocazione e pratica strategica hanno mandato a casa aguzzini e mandanti, a godersi cospicue pensioni e laute consulenze all’industria privata della sicurezza, intelligence e repressione, spina dorsale della ripresa economica e della dittatura. In compenso hanno accusato di saccheggio e devastazione e sbattuto per anni in galera chi a Genova, e non solo, con una martellata al bancomat degli usurai, o un sasso nella vetrina del ladrone inquinatore, si è battuto contro l’internazionale del saccheggio e della devastazione. Quella che, nel 2001, aveva appena finito di squartare la Jugoslavia. Il copione è lo stesso ovunque: si pretende di combattere il terrorismo islamico e lo si utilizza per giustificare e potenziare il terrorismo cristiano-occidentale; si mandano mercenari a compiere carneficine in Siria e si accusa la Siria di compiere carneficine; si accusa Gheddafi di aver bombardato la sua gente, quando neanche un parapendio gheddafiano si era alzato in volo, per poter radere al suolo la Libia, gran parte del suo popolo e qualsiasi suo dignitoso futuro. 

La vecchia storia del bue che dà del cornuto all’asino è inadeguata. Qui c’è l’Alien di Ridley Scott che dà del mostro a Lassie.

L’esempio al momento più eloquente del meccanismo – credo made in Israel – di questa inversione di vizi e virtù è la Cupola narco-militar-finanziaria del saccheggio e della devastazione nel suo modello olimpico (quello che, tra gli altri, ha il pregio di indebitare e quindi mettere in ginocchio nazioni di troppo). Un modello rimesso a nuovo dal momento in cui, consumato lo zucchero filato dell’apoteosi del confronto sportivo come “metafora del bene, della lealtà, dell’amore, della sana competizione, della partecipazione” (servita a vendere i biglietti e riempire gli alberghi), a Londra si è iniziato a strepitare – e nel mondo a riecheggiare – la minaccia di sfracelli terroristici contro le Olimpiadi, gli atleti, il pubblico. Striature e poi vere e proprie cascate di sangue sui cerchi olimpici, quando il boccone è stato azzannato dai media, masticato ben bene e rigurgitato sulla folla mondiale. Scotland Yard, quelli degli attentati alla metropolitana e dell’esecuzione a freddo di “sospetti” a casaccio, resi facce come il culo dall’immunità di cui godono i terrorismi di Stato, con scarso senso del paradosso si è lanciata su Al Qaida. “La Repubblica” ha raddoppiato: Non solo Al Qaida ma, per offrire un bouquet nazionale alla ministra di polizia Cancellieri, anche i fantastici quattro anarco-insurrezionalisti. Tratti gli uni, si suppone, dai propri mercenari in Siria e, gli altri, da qualche reparto di gladiatori kossighiani in servizio permanente effettivo da Piazza Fontana in qua. 

Una polizia da battere qualsiasi polizia 
Su cosa fruttino alla Cupola e alle sue dependances i Giochi di Londra torneremo. Effetto collaterale dell’impresa che dovrà assicurare un balzo in avanti verso la società del controllo totale e della licenza di incarcerare e uccidere chiunque conservi briciole di memoria di demos e krazia, di Polis (magari senza schiavi), è Eurogendfor, il corpo di polizia transnazionale ora messo a punto dall’UE. Un corpo di polizia per tagliare un altro arto alle sovranità nazionali, superiore a qualsiasi polizia di Stato, ai carabinieri, alla polizia locale e all’Interpol. E’ il “trattato di Velsen”, baby. Per ora ci sono dentro Francia, Spagna, Portogallo, Olanda e – l’avreste detto? – l’Italia di Monti. Può condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico, guidare e supervisionare le forze di polizia locali anche nell’indagine penale, svolgere attività di intellligence, mantenere l’ordine pubblico in caso di disordini e può essere messo a disposizione di UE, ONU, OSCE e NATO. Non risponde a nessun parlamento, ma solo al CIMIN, un organo con nominati dai ministeri della Difesa, è esente da qualsiasi tassazione, gode di inviolabilità dei suoi locali, edifici, archivi, non può essere intercettata, può agire in tutto il mondo e i paesi firmatari rinunciano a indennizzi per danni provocati. Pensate alla Gestapo e vi viene da ridere. Il modello sono i lanzichenecchi israeliani e Usa, impunibili e impuniti. Vengono allevati in batteria a pane e ferocia. 

Quanto costa all’inglese abbioccato davanti alla tv 
I Giochi Olimpici di Londra sono stati definiti, da chi ci vede, una catastrofe da 16,5 miliardi di euro (il costo preventivato sette anni fa era di 2,4 miliardi), fatta di militarizzazione, interessi speculativi, spostamento di ricchezza e controllo sociale post- e iper-fascista che ridicolizza per spietatezza e tecnologia quello di Hitler e Mussolini. Il costo della sola “sicurezza” è di oltre 1,8 miliardi. Ad Atene, la spesa complessiva di 1,4 miliardi ha ridotto quel paese in rovina. Appaltanti, i ministeri e le agenzie delle potenze del terrorismo e della guerra (almeno quelle 27 che hanno disintegrato la Libia), appaltati, gli sbirri locali nelle varie versioni e, soprattutto (e qui il business delle tecnologie repressive promette di diventare, insieme al complesso militar-industriale, il motore della “ripresa”, quella dell’élite che non ha mai conosciuto crisi, alle società private della sicurezza prodotta e operata sul campo. Di suo, il ministero dell’Offesa britannico ha piazzato navi da guerra nel Tamigi, missili terra-aria in capo alle famiglie sui tetti delle abitazioni e, per settimane, ha fatto svolgere esercitazioni di controguerriglia tra pub e fish and chips, tra scuole e passanti da terrorizzare (e far poi placare dalle cazzate di Kate e William e dagli scatti di Bolt). Nella tube  londinese, dove è facile compiere stragi, sono installate mitragliatrici, manovrate da personale “addestrato a uccidere”. Gli effetti dell’11 settembre, con il suo Patriot Act, da eguagliare. Elicotteri d’assalto sbatteranno le proprie pale sopra ogni casa, ogni ora del giorno, con cecchini appesi agli sportelli. Li sorvoleranno droni capaci di scovarti sotto il letto di casa. I militari saranno oltre 15mila, molti tratti dall’Afghanistan, la sola G4S, la più grossa società di mercenari del mondo con uno staff di 650.000, fornisce 24mila sgherri e riceve 250 milioni di euro. Eppure il governo l’ha definita “non all’altezza”. 

Presenti alla grande gli Usa, con mille agenti e 55 unità cinofile che perlustreranno la recinzione da 5000 volt, 20 chilometri e 120 milioni di euro, che si snoda attorno all’area dei Giochi e annessi (hotel, ristoranti, centri commerciali, centri benessere, sicuramente bordelli) e la protegge da malintenzionati, come eventuali irrequieti che potrebbero danneggiare il monopolio iconografico degli sponsor, simpaticoni come McDonalds, Via, Dow Chemical. Le Olimpiadi sono diventate il festival dell’industria globale della sicurezza, le gare uno spettacolo di contorno. Non per nulla il pupazzo simbolo dei Giochi è un poliziotto londinese, nella sue eufemistica versione  bobby, quello che ricorda ai londinesi di non agitarsi alla vista di nuovi scanner al laser, tessere biometriche, sistemi di identificazione di targhe, facce, patologie, nuovi commissariati e inediti posti di blocco. Nonchè per aver pagato di tasca propria per l’inizio della loro schiavitù. Magari mediaticamente persuasi che “era per il bene comune”, o che “ce lo chiede l’Europa” e senza riflettere sull’illuminante paradosso di controlli iperbolici negli aeroporti di fronte alla loro totale assenza ai treni e ai bus, pure molto più massacrogenici. 

Denaro, potere, cupidigia, spreco, esagerazione, distorsione, militarizzazione, paranoia, demagogia, pulizia etnica. Niente di fronte allo scatto di Bolt.
L’industria della sicurezza (meglio, repressione), con capifila Usa e Israele, è il braccio armato della Cupola, impinguitasi con le guerre in Iraq, Afghanistan e successive e che prospera nelle condizioni di tragedie sociali suscettibili di opposizione. Nelle Olimpiadi ha trovato la sua cornucopia. Nel 2009 il suo valore veniva calcolato in 142 milioni di sterline, oggi, con incrementi tra il 5% e il 12% all’anno, vale 2,7 miliardi. Tangenti e corruzione sono stati i gradini della scalata, percorsa con felici esiti soprattutto da ex-fiduciari pubblici dell’industria nelle forze armate, nella polizia, nei servizi, nei ministeri. Che vanno a riscuotere il guiderdone da neo-manager delle aziende favorite. L’operazione Londra serve a coniugare e rendere sinergiche le sbirrerie dei vari governi in vista di una risposta delle classi “da basso”, stufe di morire fuoritempo e per cause esogene. L’America Latina è in gran parte andata. Mai più. 

Ricordate le abominevoli superstrade riservate in terra palestinese ai coloni israeliani? Israele insegna sempre. In vista delle Olimpiadi, Londra sperimenta corsie esclusive per i VIP, il che permetterà a 4000 limousine con chauffeur di scarrozzare, da alberghi, panfili, attici e club VIP agli stadi, 40mila funzionari olimpici, burocrati domestici, politici e sponsor multinazionali, senza il fastidio del plebeo traffico. Questo provvedimento di pulizia sociale si innesta nel quadro complessivo della rapina di ambiente, territori, abitazioni, beni e risparmi ai danni di quelli che Elisabetta I e successori definivano  the populace. L’enorme valorizzazione dei terreni dell’immensa distesa ”olimpica”, 60 km, collocata proprio nei quartieri più poveri e peggio messi della megalopoli, beneficerà a immobiliaristi, redditieri, speculatori e finanzieri e provocherà espulsione e miseria a milioni. Si chiama trasferimento di ricchezza. E lo sport in cui il finanzcapitalismo è medaglia d’oro da decenni. Sveglissimo, da quando ha imparato a mettersi sotto tutela Nato spedendo dollari e killer psicopatici in Libia e Siria, l’emiro del Qatar s’è comprato 1500 alloggi del villaggio olimpico, al prezzo di 557 milioni di sterline, 275 milioni meno di quanto ne è costata la costruzione al contribuente britannico. Non si fanno così le svendite del patrimonio pubblico, governatore Draghi ( con George Soros pioniere del sistema nel 1992) e ministro Grilli? 

I londinesi assistono come in catalessi, interiorizzando la narrazione dominante che comporta forze armate e tecnologie capillari anti-privatezza al posto del vecchio poliziotto di quartiere, devastazione dei diritti civili, saccheggio del tessuto sociale una spartizione della città tra bassotti e altotti. Il controllo sociale di polizia, come la frusta del guardiano sui raccoglitori di cotone. Il costo abnorme dei Giochi e dintorni, che a quelli di Montreal costò vent’anni per ripagare e ridusse quelli di Atene al genocidio sociale, mentre tutti gli altri hanno avuto effetti collaterali simili, se non ancora così sanguinari, a quelli dell’Afghanistan. Taglio dei servizi, fisco regressivo, tariffe alle stelle, mutui impagabili, chiusura di aziende, pulizia sociale (a Londra, negli anni precedenti, la cacciata dai quartieri interessati di poveri e senzatetto), disoccupazione, fame. Questa devastazione inflitta a quasi tutti, a partire dalle comunità storicamente marginalizzate, significa profitti reali immensi per i ricchi e ci porta all’essenza intima del perché i paesi si battono per ospitare la kermesse. Si tratta di riconfigurare il paesaggio mediante accumulazione ed esproprio, espulsioni indotte o forzate, in modo che diventi occasione di accumulazione capitalistica. Nel 2007, il Fondo ONU per i diritti alla casa e gli sfratti (COHRE) rivelò che, per effetto delle Olimpiadi, tra il 1988 e il 2008, erano state spossessati oltre due milioni di persone, causa, tra altre, della bolla immobiliare mondiale, mentre a Sydney, nel 2000, gli affitti si impennarono del 45% e ad Atlanta, nel 2996, si abbatterono 2000 unità di edilizia pubblica e si cacciarono 36mila abitanti per far posto a residenze di alto livello. Il processo è già impetuosamente in corso nelle favelas di Rio, in vista dei Giochi del 2016 e della Coppa del Mondo del 2014, quando 170mila cittadini verranno spazzati via dalle loro panoramiche colline con vista mare.

Il Parco Olimpico londinese costeggia e attraversa alcuni dei più vasti insediamenti operai del paese e non è un caso che ogni città olimpica scelga di piazzare le sue strutture nei quartieri più poveri, nel caso di Londra l’East End e Newham, sede del villaggio olimpico, l’area più densamente e, sul piano etnico, diversamente popolata della capitale. Qui gli sfratti e gli espropri iniziarono con 450 residenti, nel momento in cui la domanda di Londra fu sottoposta al CIO. Un flusso colossale di denaro viene pompato nell’area per “bonificare” la città, la comunità è costretta a fuggire, trasformando un’identità collettiva urbana in un coacervo di consumatori individualizzati, definiti da un ristretto, ma omogeneo, profilo razziale, economico, sociale, protetto dalle “diversità”. Atomizzazione sociale e conseguente erosione della coscienza politica tramite la riconfigurazione di diritti, rapporti spaziali e autodeterminazione delle classi subalterne. E’ un ulteriore passo verso la dittatura oligarchica planetaria. La classe dirigente italiana ha fatto passetti con le Colombiadi e affini, con Bertolaso, con l’Aquila, con i costruttori e sindaci romani, e si sta perfezionando con progetti come la Val Susa o l’Expo. 


Il golpista con la baionetta legibus solutus
Lo Stato sovrano disossato fin dal Patto Atlantico, il parlamento annichilito dall’omologazione politica, da leggi elettorali porcata e dall’esautorante decretazione d’urgenza di Monti, i sindacati e partiti di sinistra cooptati nel pensiero e nella classe unici, l’economia affidata a centri di comando sovranazionali, il welfare cancellato, forze dell’ordine pretoriane tirate su a latte e Diaz e, ora la magistratura. Con Berlusconi impantanato nel suo attacco ai giudici dai troppi infortuni giudiziari, è toccato al più limpido, acclamato, imparziale, patriottico, genuino (politicamente), dei nostri presidenti della Repubblica dare l’assalto al terzo potere dello Stato, dopo aver annichilito gli altri due imponendo al paese in coma e al parlamento ricattato e corrotto, governanti indicatigli dai pizzini della BCE e di Bruxelles e mai sottoposti al vaglio del popolo sovrano. La storia si ripete, ma riavvolgendosi. Con questo signore della guerra, la Vandea si riprende la rivincita sullo Stato nato il 14 luglio alla Bastiglia e rivive lo Statuto Albertino che non contemplava indipendenza della magistratura e faceva amministrare la giustizia nel nome del re da giudici da lui nominati. Il re, concentrato di tutti i poteri dello Stato era al di sopra dell’Ordinamento, legibus solutus. E tale si vuole anche Giorgio Napolitano, una carriera tra le più coerenti tra PCI e destra ultrà di Obama-Monti-Fornero-Passera-Profumo. Tale si sarebbe voluto anche il guitto mannaro, “sacro e inviolabile”, non fosse inciampato tra le tette di Ruby e in qualche altra pozzanghera. Ora, grazie al mallevadore della post-repubblica monarco-mafiosa italiana, chi interferiva con l ‘esercizio monocratico del potere, a partire da Mani Pulite, magari con quelle odiose intercettazioni, se la deve vedere col terminator definitivo. L’occasione è buona, tutti stanno ancora lì ad applaudire l’ultima panzana retorica e populista del primatista storico della presa per il culo del suo popolo. Chi non applaude sono qualche milione di umani da restituire, grazie all’art.11, ai fasti del colonialismo alla Graziani. 

Pizzicato nell’onda lunga del matrimonio mafia-Stato, consumato nel 1992-93 con il sangue, non tanto sul lenzuolo, chè nessuno dei contraenti era vergine, quanto sulle strade di Palermo, Roma, Firenze, Milano, due sodali di una Prima mafiorepubblica putrefatta e riemersa da morto vivente col numero 2, si sono incontrati al telefono. Il primo, Mancino, ministro di polizia all’epoca e ora indagato, si è buttato ai piedi del nuovo trono, ha brigato perché il sovrano gli allentasse il cappio processuale sul collo, e così ha interferito con la giustizia. Il gran capo doveva risparmiargli il confronto con colleghi che rischiavano di fare a brandelli la sua proclamazione di “niente saccio”.. E’ stato accontentato. Lo Statuto Albertino e tutta una lunga e bella storia di sovrani in nome e per grazia di dio, lo hanno consentito. E visto che tira aria di Savoia, dove non c’è un Bava Beccaris, c’è un De Gennaro. Passare dalle manifeste balle delle illegalità attribuite ai procuratori di Palermo, che invece hanno tutte le ragioni legali dalla loro, al merito delle telefonate, renderle pubbliche, magari, per provare la propria illibatezza? Manco po’ cazzo. Pour cause! L’uomo del Colle, assolutamente il peggiore che si sia mai visto lassù, non si è accontentato di svolgere la missione dello sgretolamento dell’ultima roccaforte antimafia d’Italia. Ha avuto il sublime buongusto – e questa è gente che sa mandare segnali e anche schiaffi – di farlo alla vigilia della strage di Borsellino e dei suoi. Come dire: occhio picciotti! Per molto, molto meno Richard Nixon, in un’Usa non ancora del tutto fascistizzata, ci lasciò le penne politiche, giuridiche, morali. Spiega Rita Borsellino: “Il rischio è che il gesto del Capo dello Stato venga percepito come un ostacolo alla ricerca della verità su ciò che accadde vent’anni fa, e anche dopo”. La questione è questa, ma Napolitano è uomo d’onore. 

Ma i giudici di Palermo sono tosti. Qualcosa di Borsellino e Falcone gli è rimasto appiccicato addosso e l’appello del Napolitano al Procuratore Generale è stato respinto al mittente. Un’escalation da parte dell’insediatore di despoti e usurpatore del voto popolare si imponeva, anche se con qualche rischio. E allora, mazzata definitiva alla divisione dei poteri praticata dalla democrazia borghese negli ultimi due secoli. Conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale. Immaginate come andrà a decidere… Vai, con l’intimidazione e, forse, la sconfitta e l’annientamento della Procura di Palermo. Chi tocca i fili della connessione mafia-democristiani-socialisti-liberali-servizi-presidenti muore. Si minerebbero le basi dell’aggiornamento. Possibile che i magistrati di Palermo non abbiano imparato nulla da Capaci e via D’Amelio? Una volta bombe, un’altra missili istituzionali. Del resto, cosa sono 200 anni se non un breve fremito nei corsi e ricorsi della storia? Che cosa sono, quando il lunapark è sempre quello e i ragazzetti Camusso e Bersani insistono a divertirsi sparando a salve contro gli orsetti in fila, il cui flusso non si interrompe mai? 

EFFEMERIDI 

In Siria come sempre 
Sta diventando divertente come la patetica ripetitività del ciclo Nato provocazione-mistificazione-aggressione non riesca neppure più a tenere a bada giornalisti pur embedded, ma che sentono che insistere ad avallare gli stereotipi falsari di certi signori della guerra, gangster e sicari alla vista anche di un orbo, rischia di comprometterne la credibilità, in attesa, magari, di balle meglio confezionate da diffondere. Così, a partire da certi giornali e tv anglosassoni e tedeschi, come successo a Hula, si è disintegrato la grottesca impostura allestita dai cavernicoli terroristi a Tremseh. Cosa che ha reso dura anche agli osservatori dell’ONU, pur istruiti a non fare passi falsi dal chihuahua d’attacco Ban Ki Moon, una spiegazione della strage utile ai piani d’attacco delle orde barbare occidentali. Così sono andati, hanno visto e, pur tergiversando quanto possibile, hanno confermato la versione di chi, nelle nostre democrazie, non deve essere assolutamente dotato di voce: il governo siriano. Non 200 morti, ma solo 37, quasi tutti miliziani della  Free Syrian Army, più tre soldati siriani e quattro civili: questo, il bilancio della battaglia che ha visto i ratti penetrare nel villaggio di fede lealista, iniziare le loro consuete carneficine di civili e poi essere affrontati dall’esercito chiamato dalla popolazione in sua difesa. 

Sono ormai mesi che gli osservatori della Lega Araba, prima, e ora quelli dell’ONU, vivono l’estremo imbarazzo di dover combinare il mandato assegnatogli dai cani della guerra, con quanto di totalmente contrario vedono su terreno. Purtroppo, l’evidenza dell’aggressione a uno Stato sovrano e a un popolo libero, coda del furore di guerra dei Bush-Clinton-Obama-Netaniahu-UE per riprendersi tutto il Medioriente e punta avanzata della geostrategia imperialreazionaria diretta ad assediare chi sta fuori dal Consenso di Washington, Russia e Cina (diffidate di chiunque partecipi alle campagne di demonizzazione), questa evidenza è persa per gli struzzi e sciacalli nostrani. Che invece usano le loro trombette di latta per avere un posticino in fondo all’orchestra. Ultimamente, tutti accorati e convinti per quanto sancito da quell’altro campione dell’umanitarismo indipendente, la Croce Rossa Internazionale (ricordate la nostra, del liberatore delle Simone e forzitaliota Scilli, che in Iraq operava in combutta con i carabinieri?): “Ormai siamo alla guerra civile” . Lo dicono in tanti, d’accordo, per occultare una realtà che vedeva l’aggressione multipla di ratti e domatori di ratti a un popolo libero (con tutto il diritto di difendersi, anche con carri armati e tutto quello di cui dispone). Ma, detto dalla CRI, l’effetto è diverso: mette sullo stesso piano difensori legittimi e attaccanti criminali e fornisce la base legale per un sostegno ufficiale, “legittimo”, a una delle due parti, si sa quale. Furono la CRI e Amnesty International, in Iraq, a negare il diritto alla resistenza di popolo contro l’invasore, affermando il perfido sproposito secondo cui chi combatte senza uniforme e senza essere inquadrato in un esercito regolare deve essere giudicato criminale di guerra. Se ne ricordino i vecchi partigiani! 

L’Occidente, i satrapi e le loro fanterie di bruti gongolano: dopo 17 mesi di frustranti attese, ecco un paio di transfughi dal regime di Assad. Prima ci sarebbero stati solo i disertori di basso rango dall’esercito, visti e contati, su input della Free Syrian Army , dai soliti embedded (e, purtroppo, anche da Michele Giorgio, del “manifesto”) per verniciare di un po’ di dignità le orde dei mercenari. Si tratta di un generale che avrebbe sovrinteso al programma siriano di armi chimiche e di un ex-ambasciatore in Iraq. Autentici galantuomini. Il primo è trasvolato in Qatar con la tempestività della chiamata d’appello, a 24 ore dalla denuncia di Washington che Assad alberga e rischia di scatenare un apocalittico arsenale di armi chimiche. Quando le altre opzioni del menzognificio si accartocciano, ecco che si fa saltare fuori un Colin Powell qualsiasi a brandire provette al Consiglio di Sicurezza (ricordate?). L’altro gaglioffo si è fatto le ossa, lo rivela lui, facendo il terrorista con Al Qaida in Iraq. Contro gli occupanti Usa? Macchè, Al Qaida in Iraq è sempre stata la quinta colonna Usa per infiltrare e sabotare la resistenza nazionale e contenere l’egemonia scito-iraniana. Uno fidato, dunque. 

Sionisti a Roma 
Buona la pensata di Nicola Zingaretti per assicurarsi l’appoggio della comunità ebraica romana all’annuncio di candidarsi a sindaco di Roma. Come vedete, dopo i desertificatori e parentopolisti Rutelli, Veltroni, Alemanno, al peggio non c’è mai fine. Il presidente-fantasma di una derelitta provincia romana ha battuto sul tasto giusto, quello che ha consentito ai deputati del parlamento nazionale di entrare a Montecitorio passando sul tappeto rosso della Menorah, il candelabro ebraico, simbolo anche del Mossad, incastrato nell’ultimo rifacimento della piazza. Vedere per credere.
 

Lo Zingaretti si è arruffianato lo Stato terrorista, genocida e razzista per eccellenza, invitando i giovani italiani ad emularne l’esempio. Nientemeno. I migliori tra coloro che renderanno omaggio al “modello Israele”, con la sua “ecologia d’avanguardia”, otterranno un viaggio premio in Israele e l’auspicio del petalo romano del fiore sionista Vendola-Saviano è che tornino con “la voglia di replicare quello che hanno visto” . Pensate a come se la vedranno i romani quando questi boccaloni torneranno a replicare nel Tevere l’avvelenamento che quelli hanno fatto del Giordano, a sradicare alberi e coltivazioni dei subalterni, o quando sosteranno per i nostri detenuti l’incarceramento senza processo e la tortura praticati ai prigionieri palestinesi, o considereranno blocco economico e infanticidio un valido sistema per contenere la popolazione, anche immigrata, della capitale. O, ancora, se vorranno replicare il modello Israele ingiungendo ai cittadini dell’Urbe, qualora gli venisse la malsana voglia di coniugarsi con un extracomunitario, di togliersi dai piedi e trasferirsi nel paese di quello, visto che l’Italia è lo Stato dei cattolici e dei puri. Infine, ci garantiranno sicurezza verso diversi e importuni vari, importando il costume israeliano dell’assassinio mirato tramite drone o killer Mossad? 

A un’insidia deve stare attento il malnominato Zingaretti. Che i suoi emuli di Israele non s’imbattino laggiù in qualche manifestazione di massa di incazzati antiliberisti e antirazzisti, con un disperato che si dà fuoco perché “lo Stato lo ha derubato e ridotto sul lastrico”. Come ha fatto, nell’ennesima manifestazione di indignados israeliani, il 57enne piccolo imprenditore di Haifa, Moshe Silman, cui erano rimasti, come a tanti deboli e reietti israeliani, 400 euro di pensione. Lo potrebbero confondere con Mohammed Buazizi, che a Tunisi s’immolò contro la tirannia predatrice, dando vita alla Primavera araba. Monti, su questo piano, non ha nulla da invidiare a Netaniahu. Gli manca ancora il modello israeliano dell’autocombustione. 

Qui sotto, storie di miserabili e di fascisti mal travestiti. 
Leggete il delirante inno alle forze dell’ordine di “Stato e Potenza”, con la messa sullo stesso piano delle polizie di Stati capitalisti o totalitari e di quelle di uno Stato socialista. Perversione che omologa anche, quali delinquenti sovversivi antistato, partigiani antifascisti e guerriglieri anti-Pinochet con vendipatria golpisti, tipo quelli delle rivoluzioni colorate. Poi c’è anche un brano significativo di un relatore al raduno del 14 luglio a Milano, con in tasca il gagliardetto della X MAS, la cui conclusione fa l’apoteosi dei nazifascisti in lotta per la civiltà nell’ultima guerra mondiale. Forse ora anche i più riluttanti capiranno perché, dopo aver visto la manifestazione di Roma, non sono andato a quella di Milano. 

Ominicchi 
Mi sono già occupato troppo di un ominicchio, tra il poveretto e il nauseabondo, che ha fallito tutti i suoi tentativi di fare il galletto in un qualsiasi pollaio (a partire dalla trotzkisteria della buonanima del pazzariello erudito Livio Maitan e a finire con un Forum Palestina che, alla sua ennesima sviolinata a Nato e petrodittatori del Golfo sulla Siria, lo ha mandato dove deve stare). Ora bercia parole d’ordine alla Hillary e lancia bombette puzzolenti, con prosa trasparentemente squadrista, su coloro che smascherano le balle siriane dei carnefici imperialreazionari. Li imbratta di rossobrunismo, lui peggio addirittura di costoro, che diffonde il disco delle “verità” dei monarchi del Golfo e dei necrofori occidentali. Riporto brani indicativi di una sua ennesima intemerata contro di me, ma la risposta la affido a una persona che, da una vita di lotta per la pace nella giustizia ha, più di me, acquisito il diritto e il prestigio di rispondere ai latrati dei botoli di servizio. Ma avete visto quanti para-trotzkoidi finiscono così? La conventicola di Bush ne era piena. E pure in Italia, pensate alla Sinistra Critica o al PCL… Eccovi il libello. 

GRIMALDI, SEI UN BUFFONE? 
Di Germano Monti 
Fulvio Grimaldi, ti chiedo se sei un ballista. Naturalmente, non mi interessa replicare ai tuoi vaneggiamenti sul regime del macellaio di Damasco che tanto piace a te e ad altri sedicenti “antimperialisti”: siamo nel campo delle opinioni, ed ognuno può esprimere le proprie, per quanto aberranti….. Allora, se non sei un buffone, adesso la tiri fuori, questa “prova documentata” che la Freedom Flotilla è pagata dal tiranno del Qatar. Cosa aspetti? Puoi sempre farti aiutare da Marinella Correggia, una “giornalista” come te che blatera la stessa fandonia da mesi, ma almeno non ha mai avuto l’idiozia di metterla per iscritto, come hai fatto tu, bissando il 15 luglio, definendomi “caro al satrapo del Qatar” (il resto lo trovate sul sito del soggettone). 

E qui, sul connubio Qatar-solidaristi palestinesi, con il satrapo amico di Israele e Germano Monti che dicono le stesse cose sulla Siria (e basterebbe questo), ecco un intervento di Alessandro Marescotti, di Peacelink. Se non vi basta, attingete a Google. 

Guerre in Libia e Siria. Occhio al Qatar la faccia più moderna della conservatrice Arabia Saudita http://lists.peacelink.it/news/2012/01/msg00023.html • Subject: Guerre in Libia e Siria. Occhio al Qatar la faccia più moderna della conservatrice Arabia Saudita • From: "Alessandro Marescotti" • Date: Mon, 16 Jan 2012 18:50:45 +010 ************************************************************************************************ 

Da "Stato e Potenza"

Sul ruolo delle Forze dell’Ordine 
Prima di affrontare una questione delicata e spesso foriera di troppe polemiche, è sempre necessario ribadire che il nostro Movimento ha come obiettivo l’instaurazione di uno Stato Socialista e con esso la riforma generale dell’attuale assetto economico, così come descritto nel manifesto programma di Stato&Potenza. Ogni Stato, qualunque sia l’indirizzo politico o la classe dominante che lo guidi, necessita di organismi in grado di tutelarne l’ordine pubblico e salvaguardare le Istituzioni politiche ed economiche. Qualunque ideologia o posizione politica che non prenda in considerazione tale presupposto, (s)cade nell’utopia e deve essere rigettata. Ogni esperienza passata ed attuale di socialismo reale, ha dovuto fare i conti con questa “tremenda” verità ed ha, in base alla tradizione militare e più in generale alle caratteristiche culturali della nazione in cui si è realizzata, costituito milizie in grado di difendere lo Stato e il nuovo ordine socialista. Il ruolo rivestito dalle forze dell’Ordine è fondamentale per l’esistenza e il funzionamento di una società, a prescindere da carattere capitalista o socialista che questa assume. E’ l’indirizzo politico dello Stato a caratterizzare la gestione dell’ordine pubblico, ed è il primo a dover mutare, ma la continuità di fondo, ovvero l’esistenza stessa di organismi preposti al controllo e alla sorveglianza non può essere messa in discussione. Una contrapposizione frontale nei confronti di tali organismi, così come avanzato da ambienti dell’antagonismo nostrano, viziati di ribellismo adolescenziale e anarcoide, genera fratture esistenziali che portano inevitabilmente a schieramenti di principio: chi sostiene a priori le Forze dell’Ordine e chi le attacca a spron battuto. Tutto ciò dimenticando che agenti di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza sono lavoratori che agiscono in base a codici e ordini, non sono politici o politicanti, e l’errore commesso nell’esercizio della propria funzione non può essere oggetto di campagne diffamatorie di determinati ambienti. Stato&Potenza rifiuta categoricamente il modus operandi tipico del ribellismo impolitico e antisociale di sinistre e destre radicali. Un Movimento Politico deve orientare, guidare, influenzare e modificare la società o meglio, i rapporti di forza esistenti tra le classi sociali, opponendo alla gestione capitalista dell’ordine pubblico, una nuova gestione di tipo socialista, connessa ad una nuovo concetto di legalità sostanziale (e non formale) imposto da una rinnovata costruzione statale. 

Gianantonio Valli, il 14 luglio a Milano, manifestazione per la Siria 
Buongiorno a tutti. Esprimerò oggi liberamente pensieri che tutti abbiamo nel cuore. Ringrazio gli organizzatori della manifestazione, in particolare gli amici siriani, il direttore del quotidiano di liberazione nazionale Rinascita, esemplare per correttezza professionale, il direttore della rivista l’Uomo libero, sulla quale è uscito il resoconto del mio viaggio a Damasco. Quella in atto è la stessa guerra che, con ben altre speranze, fu combattuta settanta anni fa dall’Europa. Contro gli stessi nemici, gli affamatori dei popoli liberi. Allora, contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente. Oggi, contro il Sistema demoliberale, maschera dell’Alta Finanza. La Siria è un esempio unico di fierezza e dignità, un rimprovero perenne per i popoli vili, un baluardo di libertà. 

Milano, largo Cairoli, 14 luglio 2012

E per chiudere in bellezza

3 commenti:

Anonimo ha detto...

http://www.pclavoratori.it/files/index.php?c3:o2884

davide ha detto...

eh,già..In Siria c'è la rivoluzione eh!Te lo dicono quelli che son talmente rivoluzionari da non muovere mai critiche serie al nostro sistema imperialista.D'altronde trockji ebbe anche una parentesi hollywoodiana e i suoi eredi sono abbonati alla farsa demenziale da tanto tempo.

Anonimo ha detto...

Sono stato alla manifestazione per la Siria il 14 luglio a milano e ho provato un profondo disagio. Ho sentito quelle parole oscene di G.Valli, (fascista?)pronunciate al termine del suo discorso, per altro apprezzabile, sulla situazione siriana e sono rimasto indignato e sconcertato ad un tempo. C'erano quelli di Stato e potenza, che -mi sembra- non sono andati sopra le righe, c'erano ritratti di Assad, ma non quella grottesca immagine taroccata dove appariva impettito in alta uniforme militare. C'era poca gente, al massimo 100 persone, molti siriani, primo fra tutti Ouday Ramadan, che ha citato Fulvio e da siriano immerso nella bufera, ha ribadito la sua amicizia e riconoscenza verso tutti coloro che appoggiano la Siria. Si aggiunga il fatto che poco prima che la manifestazione iniziasse, un gruppo di fanatici islamici anti Assad si era radunato dall'altra parte della piazza con toni minacciosi e provocatori, gridando scompostamente, per fortuna poi se ne sono andati...ma c'era la polizia...cosa sarebbe successo in caso di scontri? Sono tornato a casa amareggiato per la scarsa partecipazione, per le parole sciagurate pronunciate da Valli, per le provocazioni degli islamici, ma tutto sommato penso che ho fatto bene ad andare, altrimenti cos'altro avrei potuto fare per la Siria? se non ci fossi andato mi sarei sentito peggio. Capisco comunque Fulvio, che, da oratore e non da spettatore, non vuole e non può trovarsi su un palco a fianco di certi personaggi che, al di là del fatto di essere fascisti o simili, sono soprattutto senza cervello.

LUCIANO