sabato 8 dicembre 2012

NAPOMORSI-MORSITANO



Forse il fatto che abbiamo visto milioni che votano se stessi alla totale dipendenza da un tiranno ha fatto capire alla nostra generazione che scegliere il proprio governo non  necessariamente assicura la libertà. (Friedrich August Hayek)

La verità non viene determinata da un voto di maggioranza. (Doug Gwyn)

“Firenze è vicina in queste ore ad Israele e afferma il diritto di esistere dello stato ebraico che qualcuno vorrebbe mettere in discussione. Firenze con il suo sindaco è orgogliosa di dirsi oggi amica di Israele” (Matteo Renzi, 22 novembre 2012)

Torna Berlusconi? Dalla brace alla padella.

(In questo testo si utilizzano i termini “islam, islamico e islamista”. Non li si confonda. Non sono sinonimi. Islamico è l’Iran, islamisti sono i baroni che l’imperatore ha installato nelle sue marche. Islamico vale come cristiano. Islamista vale come SS. Islamisti sono quelli che in una scuola di Damasco trucidano 20 scolari. Coloro che ad Acri sterminarono ogni essere vivente musulmano erano crociati. Islamici erano tutti i governanti dei paesi del mondo arabo laico, liberato, progressista, antimperialista, come cristiano è Hugo Chavez.  Islamisti sono Re Abdallah e l’emiro del Qatar. Islamico era Saladino che a Gerusalemme non torse un capello ai cristiani. Chiara la differenza?).

Al Maliki in Iraq, il trafficante di droga e organi Hassim Thaci in Kosovo, il narco-feudatario Karzai in Afghanistan, il ratto salafita El Mararyef in Libia, il ratto fratello musulmano Muaz Khatib in Siria (capo della Coalizione dell’Opposizione Armata), i narcos Calderon e Pena Nieto in Messico, il l’auto-golpista islamista Morsi in Egitto, i narcostragisti Uribe e Santos inColombia, il narcodespota Martinelli in Panama, il narco-postgolpista Lobo in Honduras… Gli Usa e l’UE affidano i paesi conquistati, sottomessi, o da sottomettere, al controllo delle criminalità organizzate, perlopiù narcomafie, massonerie, integralismi clericali, o oligarchie predatrici, personaggi e cricche dai mille scheletri e corpi torturati nell’armadio. Ricattabili per ogni nefandezza. L’Italia non fa eccezione.

Il ministro degli esteri Terzi riconosce il fratello musulmano Muaz Khatib rappresentante unico del popolo siriano, con i due regimi indissolubilmente legati tra loro da Sharìa, catechismo, Tavole della Legge e Nato. A Doha, Monti concorda con l’emiro islamisticamente democratico del Qatar mezzi e modi per squartare la Siria e raccattare briciole di gas, petrolio, una fabbrica per Marchionne (gli schiavi di Al Thani non aspettano altro) e per realizzare la definitiva cementificazione  tombale della Gallura. Lo stesso  Monti e, subito dopo, Bersani, bipartisan come sempre, si precipitano a Tripoli a esprimere identità di spirito e materia, auspici petroliferi e lo strangolamento del flusso di migranti (mai praticato da Gheddafi) al jihadista Nato El Marayef. In cambio, sempre bipartisan, assicurano la fornitura di spie, armi e squadroni della morte denominati “Forze Speciali” per addestrare ratti Al Qaida all’esecuzione delle decimazioni Nato di oppositori.

 Bersani a Tripoli
Per Bersani, che non si è fatto mancare niente, neppure una foto con le pantegane islamiste di Tripoli, vermi-femmina che brulicano sul corpo maciullato della Libia, si è trattato di un primo biglietto da visita onde (ri)accreditarsi presso Pentagono, Cia e Wall Street… Napolitano, accelerando la tracimazione golpista e la demolizione della Costituzione, celebra insieme a Morsi, in scambio di amorosi sensi, esenti da intercettazioni, l’annientamento del secondo e terzo potere dello Stato, legislativo e giudiziario. L’uno li sbaraglia, questi poteri non del tutto domi, stritolando chi a Palermo sfrucugliava i nervi scoperti della Repubblica, Prima e Seconda e chi, a Taranto, osava tenere in piedi una Costituzione che anteponeva a tutto la salute, la vita. L’altro  di quei poteri decapita i vertici nazionali e si installa al loro posto. Finalmente mori e cristiani accantonano il trauma di Lepanto e s’incamminano d’intesa e uniti, pur tra gli inevitabili e risolvibili dissensi di famiglia sulla spartizione dei beni,lungo la strada verso lo Stato clerical-poliziesco-mafioso, dotato dell’arma segreta del terrorismo, impegnato a cavar sangue dalle rape e trasferirlo nelle flutes dell’élite. Grazie alla sinergia Al Qaida-Nato-Vaticano siamo tutti, in tattica e strategia, fratelli musulmani. Meglio, salafiti. Sotto sotto Al Qaida, Cia, Mossad. Con tanti saluti all’Islam di pace e civiltà.
 Miliziani Al Qaida
E pazienza per quelle comunità cristiane riottose, neanche troppo vicine al papa, che, in Siria, da questa democratica fratellanza, nel nome dei diritti umani cari sia ai preti che agli imam, vengono sacrificate alla civiltà futura immolandole su roghi e sotto mannaie. Con l’Inquisizione nel cuore, il papa tace assorto. Le Chiese vincono su tutti i fronti: si afferma il principio moderno del potere temporale, finalmente ricomposto tra papa, sultano e imperatore nel segno della croce e della mezzaluna, e lo si glorifica con i martiri  di entrambe le confessioni. Carnefici e vittime, indifferentemente sacrificabili alla causa. Come i nostri militari in Afghanistan e gli afghani che ammazzano. Gott mit uns. San Pietro e la Sublime Porta trionfano sul campo, il maresciallo Graziani celebra, nel sacrario appena erettogli, la rivalsa della sua hybris.  E Lawrence d’Arabia, indossata la jallabiah stavolta a stelle e strisce e la kefiah con la stella di David, se la ride sotto i baffi.

Torneremo a suo tempo su Napolitano, “l’amico Americano”  rimasto ingravidato durante un viaggio di piacere con stage oltremare. Da migliorista, a capo dei roditori nel formaggio coi vermi della Prima Repubblica, è passato prima a santolo e poi, scomparso il formaggio e rimasti i vermi, a becchino della Seconda. Gli resta di terminare la gravidanza e sarà bene non assistere al parto. La deformità rischia di far apparire accettabile il fantolino nato in Germania nel 1933. Meglio andare in Egitto.

Ricordate quei gufi, o utili idioti, che facendo di ogni erba araba un fascio, sputtanavano le insurrezioni di massa in Egitto, Tunisia, Giordania, Marocco, Bahrein, Yemen, Somalia, appaiandole alle controrivoluzioni in Libia e Siria e mettendole tutte sotto lo stesso cappello USraeliano? Degradando rivoluzioni dalle forti tinte rosse, o per ignoranza, o per deformazione nichilista di un marxismo-leninismo pervertito, in maneggi delle centrali di destabilizzazione colonialista, quasi fossero le loro sconce rivoluzioni colorate?Con pochi altri abbiamo tentato di esaminare ed esporre il ruolo di agenti tipo Otpor serbo infiltrati nel movimento egiziano con la qualifica di blogger, o di capi-popolo, e in quello yemenita, maghrebino, somalo, sotto le mentite  spoglie di Al Qaida. Ma dal far passare questi moti di popolo contro i ricchi, la dittatura, la globalizzazione, Usa e Israele e per la libertà, per una cospirazione imperialista finalizzata al ricambio della classe dirigente proconsolare, ce ne corre. Fosse vera la versione di questi degenerati della sacra scienza della dietrologia, non ci sarebbero in questi giorni in piazza, a due anni di distanza dalla rivoluzione del 25 gennaio 2011, gli stessi milioni, pronti a farsi stritolare dai cingoli dei carri di Morsi, bastonare dai picchiatori salafiti, fucilare dagli sgherri di regime. E quando si è pronti a questo, qualche ragione per parlare di rivoluzione c’è. E noi, finchè non saremo pronti a fare come gli egiziani, e come, prima, i venezuelani, boliviani, ecuadoriani, argentini, caveremo dal buco solo ragni, vermi e crotali.


Udito il silenzio del crotalo Hillary, del ragno Obama e del verme nostrano, davanti all’uragano egiziano? Questi pifferai s’erano illusi di manovrare,  e poi sprofondare nell’irrilevanza, il lucido furor di popolo che aveva fatto fuggire il più armato e potente carceriere tra i tiranni vassalli incistati dall’Occidente in quel corpo arabo che decenni fa  si era permesso di infrangere le catene coloniali. Gli inglesi, al tempo del primo impero, si inventarono i Fratelli Musulmani. Elemosinieri di indigenti e sventurati, all’uopo allevati dal capitalismo coloniale e oggi messi in campo nella previsione del piano B, quello islamista, avrebbero dovuto essere la massa d’urto per rimpiazzare, a scapito dei rivoluzionari, fiduciari logori, o governi recalcitranti, tutti laici, con gli sparaneve della fede che alle masse avrebbero congelato arti e cervello.

Con la rivoluzione laica e antimperialista vittoriosa e il dittatore rintanato a Sharm el Sheik, gli indigenti e sventurati sono arrivati e, definiti “moderati” dall’universo mondo, dallo scaltro New York Times all’esangue manifesto, hanno fatto credere di essere quella massa critica che avrebbe aiutato a rovesciare la dittatura. A Mubaraq  succedeva Mohamed Morsi (come in Yemen il surrogato Abd Rabbuh Mansour al-Hadi sostituiva degnamente il despota amerikano Ben Ali) e, pur perplessi, gli insorti egiziani ci si sono adattati in nome del comune rifiuto del despotismo militare. In tutte le cancellerie occidentali champagne e stuzzichini al caviale. I salafiti, strumento egiziano di Cia-Al Qaida, pur decisivi nelle urne, erano minimizzati come appendice, utile semmai a intimidire i riottosi. Al netto di certi colpi di testa sempre possibili tra queste formazioni di ascari fuori di testa e che, pur servendone gli scopi al momento, non rinunciano a detestare l’Occidente degli infedeli. Si sta vedendo in Siria, dove certi apprendisti Al Qaida dello stregone Usa stanno sfasciando l’elegante vetrina allestita da Hillary in Qatar sotto forma della Coalizione delle Opposizioni. Comunque, per ora, abbiamo finito con l’avere “moderati” ovunque, dai satrapi del Golfo ai fratelli di Egitto, Libia, Tunisia. Il migliore dei mondi possibili.

Il pieno accredito internazionale, insieme alla normalizzazione di un popolo che aveva fortemente in uggia Israele, a Morsi venne riconosciuto da Usa, Israele e Qatar al culmine dell’astuta mistificazione, quando il “novello faraone”(ma si fa un torto ai faraoni) assunse il ruolo di  mediatore di pace a Gaza e riusciva a tenere in coma vigile quel corpo mutilato e ad addomesticare Hamas. Qualcuno, però, al Cairo, ad Alessandria, Suez, Ismailia, mangiò la foglia. E, paradosso dell’eterogenesi dei fini, giorni fa, sotto l’onda anomala dei rivoluzionari risorti dai sotterranei carsici, c’è stata perfino la fuga di Morsi dal palazzo presidenziale. Ancora un passo e poteva finire come a Quito, quando una massa analoga, mano e intelletto del paese, invase e occupò i palazzi del potere e rivoltò l’Ecuador come un calzino. Si chiamavano forajidos,  analogo al Que se vayan todos argentino, e oggi c’è Correa. Una buona parola d’ordine per i ragazzi del Cairo. Per tutti.

Gli è che, pur in perfetta corrispondenza con il tracciato segnatogli dai mandanti, l’uomo ha fatto l passo più lungo della gamba. Arrivando a migliorare il meno sanguigno Napolitano, ha decretato il potere unico e assoluto dell’esecutivo, cioè lui, sulle altre articolazioni democratiche, il potere legislativo e quello giudiziario. Poco di più – siamo pur sempre in un paese “in via di sviluppo” – di quanto non abbia fatto Obama nella “più grande democrazia del mondo” con la sistematica decretazione presidenziale su minuzie come la lista dei sospetti assassinandi, i campi di internamento in Usa, la sorveglianza e lo spionaggio universali, la guerra senza licenza del Congresso, le extraordinary renditions, le carceri segrete, lo stritolamento delle libertà civili e del diritto alla difesa, Guantanamo e la tortura.

Quelli che ancora governano al Cairo sono gli stessi che per decenni, allenandosi a servire i bonzi interni e i padroni esterni una volta al potere, hanno massacrato turisti con lo stesso colore della pelle dei governanti che puntellavano Mubaraq e che, oggi, sono ancora più contenti di puntellare il più importante tra i viceré  chiamati ad asfaltare i giardini delle primavere arabe di ieri e di oggi. Qualunque dittatore islamista è meglio, al costo di qualsiasi bagno di sangue, che infedeli come quelli di Piazza Tahrir finiscano con l’avere voce in capitolo e turbare l’assetto islamista “moderato” del Medio Oriente. Moderato come quello degli scannatori “Allah u Akbar” in Siria e della Sharìa dappertutto. Sempre meglio qualche capello femminile al vento di meno e qualche McDonald’s in più.

I segnali di cosa fosse e cosa puntasse quella creatura scaturita dal nido islamista del partito “Giustizia e Libertà” e della sua avanguardia “paramilitare” salafita di “Nur”, c’erano già tutti. Aveva iniziato col rastrellare e liquidare elementi critici tra i media: “processati per aver insultato Morsi”. Né “Reporters sans Frontiéres”, né “Amnesty” ebbero da ridire. L’assai oscuro assalto, evidentemente di marca israeliana, contro poliziotti egiziani nel Sinai, offrì a Morsi l’occasione per epurare gran parte dell’apparato di sicurezza e metterlo sotto controllo dei suoi. Sul piano istituzionale, conquistati con il controllo sociale e la stanchezza e fratturazione del movimento laico, parlamento, governo e assemblea costituente, si trattava di sostituire una costituzione laica e pluralista, pur poco da Mubaraq osservata, con il prodotto di un’assemblea costituente dominata  dai più settari ed estremisti elementi della teocratica confraternita. In politica estera, oltre ad aver addomesticato “l’ala politica” di Hamas sotto Khaled Mashaal, già traditore della Siria, venduto all’emiro del Qatar e arma di ricatto israeliana contro l’ANP e Fatah, Morsi si è reso meritevole agli occhi dell’Occidente finananziando e rifornendo, in accordo con i wahabiti di Saad Hariri  in Libano, i jihadisti da infiltrare in Siria. Su un piano meno clandestino, concordò con il fiduciario neo-ottomano della Nato, Erdogan, che bisognava abbattere a tutti i costi il regime di Bashar el Assad.
 I salafiti attaccano manifestanti al Cairo

Si vedeva di buon occhio, quindi, il graduale rafforzamento dei poteri di Morsi, da bandiera “moderata” della rivoluzione a dittatore con gli stessi poteri di Mubaraq e del famigerato Consiglio Supremo delle Forze Armate. Si contava che, con la manipolazione tramite infiltrati Cia del Movimento 6 Aprile, nerbo della rivolta laico-progressista insieme a nasseriani e socialisti, si sarebbe potuto imbrigliare il movimento insurrezionale nell’abbraccio mortale della Confraternita. Ma quel che sta succedendo in questi giorni in risposta alla negazione della libertà, delle riforme economiche e sociali, della revisione dell’alleanza con Israele, dimostra che il calcolo non funziona. Lo scioglimento dei due rami del Parlamento, inquinati dall’integralismo confessionale con il 47% dei seggi alla Fratellanza e il 23% agli invasati salafiti, da parte della Corte Costituzionale e la reazione di Morsi con la decapitazione dell’ordine giudiziario, la legge elettorale che inibiva, con la scusa dell’esclusione di “elementi legati al vecchio regime”, l’accesso alle forze dell’insurrezione laica, l’imposizione del referendum su una costituzione degna del Medioevo, avevano colmato la misura. Da un lato il 45% di egiziani che vivono sotto la soglia della povertà e, dall’altro, una generazione di giovani acculturati e nazionalisti che avevano intravvisto un Egitto sovrano, equo e nuovamente protagonista dell’emancipazione araba, registravano la rottura del legame degli integralisti, scoperti in tutti i posti di comando alla vecchia classe di profittatori mubaraqiani, con la società profonda dell’Egitto.

Abbiamo uno scenario geografico che vede la carta di ricambio fondamentalista dell’Occidente formare un mosaico islamista omogeneo dall’Atlantico al Golfo Arabo-Persico, con le provocazioni di Al Qaida (del Maghreb, dello Yemen, della Somalia) allestite per giustificare interventi militari euro-atlantici (in atto quello nel Mali) là dove il ricambio non è riuscito. Il venir meno della tessera centrale egiziana rappresenterebbe uno scacco, affiancato all’irrisolto e sempre più arduo regime change in Siria, da mettere in discussione l’intera operazione “Grande Medio Oriente” elaborata fin dagli anni ’80 dalle amministrazioni USraeliane. Ci sarà un Piano C? E chi ne sarà l’esecutore? Ci sarà la soluzione drastica, affidata ai militari più potenti, fidati e armati di tutta la regione? O quella soft dei reperti della vecchia borghesia egiziana, laica, ma moderata, tipo El Baradei (già Agenzia Atomica abbastanza accomodante, o Amr Mussa (già Lega Araba comprata dai signori del Golfo)?
 Il Cairo. Assalto al palazzo presidenziale

In ogni caso è in corso un salutare contraccolpo innescato dalla forza, soltanto apparentemente sopita, di un movimento a cui, dopo la bonifica dagli elementi spuri, si chiede soltanto unità e tenuta. Il coraggio e la visione ce l’ha già.

A proposito delle sinergie tra globalizzazioni totalitarie neoliberiste interne ed esterne, che ci affanniamo a evidenziare ai miopi della sinistra, c’è da chiedersi: con la controindicazione del Fratello postdemocratico egiziano ridotto a zoppicare, cosa verrà ora in mente al nostro Morsi sul Colle? C’è da aspettarsi di tutto. Vediamo cosa gli sarà ordinato. Intanto gli è concesso di contemplare con divertita soddisfazione come l’unica opposizione partitica al suo destrissimo Monti, a parte il povero Di Pietro e gli sparsi isolotti arancioni, venga dalla destra estrema PDL-Lega, mentre quella moderata, il PD, lo sostiene. Come dire, lo scuoiatore che si mette contro il carnefice. Ma sei ci sono paralleli in alto, ce ne sono anche in basso. Se quelli hanno Piazza Tahrir, noi abbiamo scuole, università, Fiom e quello che finora è soltanto il chiacchiericcio dei cosiddetti arancioni. Più qualche magistrato, o ex-magistrato. Grande è il disordine sotto il cielo. Com’è la situazione?


Qui sotto c’è una bella autointervista di Ouday Ramadan, un italo-siriano che si dice comunista ma che non si è fatto scrupolo di mettere insieme ogni sorta di infiltrati fascisti a sostegno dell’antifascista Siria. La pubblico perché di quanto è in gioco in Siria queste parole sono una sintesi eloquente. Sappia, Ouday, che i suoi sodali camerati, se stesse a loro, una Siria come la sua non sarebbe di certo la loro.
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Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 nella mia Siria non ho mai visto nessuno cibarsi dai cassonetti della spazzatura.
§  Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 nella mia Siria non ho mai visto un funerale del più illustre sconosciuto che non avesse almeno 1000 persone dietro.
§  Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 nella mia Siria ho visto il più umile dei lavoratori riuscire a mandare 10 figli a scuola ed oggi essi sono il medico, l’ingegnere, l’ufficiale, l’operaio, l’impiegato etc. etc.
§  Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 nella mia Siria non ho mai visto sfrattare nessuno dalla propria casa in affitto.
§  Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 la mia Siria l’ho girata per lungo e per largo con i mezzi pubblici con meno di 5 euro.
§  Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 nella mia Siria nessuno studente, dalle scuole dell’infanzia fino agli alti studi universitari, paga un centesimo, neanche per acquistare i libri di testo.
§  Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 nella mia Siria ogni siriano ha diritto a 1000 litri di gasolio all’anno per riscaldarsi.
§  Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 nella mia Siria non si paga un centesimo per curarsi ed il Governo non ti trattiene il 50% della tua busta paga oppure del tuo reddito.
§  Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 nella mia Siria un kg di pane ha il prezzo di 7 centesimi.
§  Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 nella mia Siria il figlio dell’industriale e quello dell’operaio si vestono uguale a scuola. In barba ai Calvin Klein, Benetton e cretinate simili.
§  Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 nella mia Siria è garantito il diritto di culto pure a Tex Willer.
§  Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 nella mia Siria non vedrò mai un McDonald’s
§  Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 nella mia Siria invece di pagare l’impresa funebre per trasportare la salma di un defunto, chi viene a darti le condoglianze ti porta anche la solidarietà in soldi.
§  Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo:
 nella mia Siria se ti dovesse capitare di avere la febbre a 38 gradi, troveresti 50 persone disposte a coprirti e procurarti i medicinali.
~
di Ouday Ramadan
membro della comunità siriana italiana

2 commenti:

ernesto ha detto...

forza Fulvio! uniamoci a chavez in questa dura battaglia...un abbraccio nomade

paolo filippini ha detto...

portiamo la libertà in Corea, in Vietnam, in tutti gli stati dell'America latina (Cuba e Venezuela in primis), in Kuwait, in Irak,in Libia,in Afganistan,in Siria, in Iran, in Palestina e così via, ma si può essere più imbecilli o assassini?