giovedì 20 agosto 2015

TRE SUONATORI, TRE SUONATI. Cap. 3. L'Iran e i suoi amici



Poi i governanti inventeranno basse bugie per dare la colpa al paese attaccato e ognuno sarà felice di queste falsità che placano la coscienza, le studierà diligentemente e rifiuterà di esaminare qualsiasi prova contraria. Così, un po’ per volta, convincerà se stesso che la guerra è giusta  e ringrazierà Dio per l’ottimo sonno di cui godrà dopo questo processo di grottesco auto-inganno”. (Mark Twain)
Prosegue la discesa agli inferi dei popoli cubano e greco. Qui, col terzo memorandum della Troika, il sicario locale conduce a termine sul suo paese la stessa missione che venne ordinata agli sgherri della Diaz a Genova, o ai narcopresidenti in Messico. Come Menem in Argentina, prima del default, si vende anche i cimiteri. quelli nei quali finiranno anzitempo i pensionati al minimo a cui, dopo il companatico s’è tagliato anche il pane. Chi pensate abbia comprato i 14 aeroporti greci? Ovvio, i concittadini di Merkel e Schaeuble, quelli che a forza di vendite di armamenti, imposti dalla Nato, hanno contribuito a creare lo smisurato debito greco. Fico, no? Da quando principi, papi e re si sono indebitati con le banche, che da lì in poi hanno prosperato fino al dominio planetario, per finanziare crociate predatorie, debito, banche e guerre vanno di pari passo. E se qualcuno non dovesse aver capito la lezione, tipo tutti quei greci in piedi che hanno votato No alla Troika, si convincerà, forse, a vedere affondare le proprie isole (in vendita quando saranno sgombre), e la propria terraferma, sotto uno tsunami di migranti. Vengono sradicati dalla Siria e dall’Afghanistan non solo per sgomberare quei luoghi e quelle risorse da popolazioni superflue, ma anche  per scaricarne il peso su quei pezzi d’Europa che già non ce la fanno più, risultano zavorra e su cui non sta bene, per ora, scaricare bombe o califfi.
Là, mentre a Guantanamo un prigioniero yemenita, Tariq Ba Odah, in sciopero della fame dal 2007, ma mantenuto in vita con la tortura dell’alimentazione forzata nasale, se ne sta andando all’altro mondo perché il suo corpo non è più in grado di assorbire nutrimento, per le vie e dai balconi della vicina Santiago e della lontana Avana, folle salutano la visita del “valoroso veterano del Vietnam” (!), John Kerry, inebriandosi dello sventolio di bandiere a stelle e strisce. Lui ha appena pilotato, per interposta persona s’intende, il cacciabombardiere che ha frantumato una festa matrimoniale a Kandahar e il drone che, “fallendo” il bersaglio Isis, ha sventrato un ospedale siriano. Ha anche da poco fatto arrivare qualche decina di milioni a terroristi venezuelani perché preparino gli Usa alla difesa da quella che per Obama “è la rara e straordinaria minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti”. Loro, le folle, sembrano proprio quelle che a milionate incontravamo il 1. Maggio, fazzoletto rosso al collo, ad ascoltare Fidel e a gridare “Patria o muerte”, “Socialismo o muerte”, “Hasta la victoria siempre”. In greco si chiama di·sto·pì·a, la dislocazione di un viscere o di un tessuto dalla sua normale sede.
Oggi, però, ci occupiamo dell’Iran, terzo soggetto nella trilogia dei suonatori e suonati. Quello per il quale non tutti i giochi sembrano ancora fatti, diversamente da Cuba scintillante di stelle e strisce e dalla Grecia dove, però, da un spiraglio, almeno si vedono stelle e strisce bruciate in piazza. Hai visto mai. Ma partiamo dalla periferia della potenza regionale, là dove i propilei della Persia vengono investiti dal controcanto heavy metal di un imperialismo che a Tehran flauta la melodia della diplomazia e del disgelo. Nella scenetta obamiana del poliziotto cattivo e di quello buono, Siria, Iraq, Libano, Yemen, stanno all’Iran esattamente come Venezuela, Ecuador, Argentina, Bolivia, Nicaragua, stanno a Cuba. Lì si stupra, qui si minchiona. Politica del sorriso verso gli uni, desertificazione del quadro di solidarietà e amicizia nel quale questi sono collocati. Ti offro un bicchiere d’acqua, ma ti taglio l’acquedotto. E c’è chi ci casca.


Nulla riferiscono i media sui successi governativi in Iraq e Siria Già, ci sono anche quelli, ma guai a sminuire la potenza e la minaccia dei jihadisti e far sospettare che quei “regimi” si affermino grazie alla qualità dei propri combattenti e al consenso popolare. Vale anche per l’Afghanistan dove, o si tace sull’offensiva vittoriosa dei Taliban da un capo all’altro del paese, o, con i soliti Battiston e Giordana del “manifesto”, corifei dell’occupazione Usa e della “società civile”, la si trasforma addirittura in “segni evidenti di debolezza dei barbuti” (termine, questo, prediletto dai due, insieme a “turbanti”, tanto per dar mostra di solido razzismo eurocentrista)..
L’esercito siriano, in condizione di quasi totale isolamento internazionale, sono oltre 4 anni che non si fa mettere sotto, sebbene confrontato da un inesauribile flusso di combattenti e rispettivi finanziamenti e armamenti. Damasco controlla tuttora tutta la parte della Siria densamente popolata, non cede sul fronte di Aleppo, nonostante l’impegno che ci mettono i turchi  a sostenere Al Nusra, ha ripreso ad Al Nusra la provincia centrale di Hama, ha riconquistato quasi completamente sia il sud, provincia di Deraa, sia l’area che congiunge la capitale al Libano e al Mediterraneo, liberando la città strategica di Zabadani e la catena montagnosa di Qalamun. Le recenti mosse militari della “comunità internazionale” e dei vari fantocci oppositori di Siria (zona cuscinetto, Incirlik agli Usa, bombardamenti Usa diretti, resurrezione di “ribelli moderati”, turchi scatenati contro i curdi e promotori di affluenza Isis in Siria) sono la reazione a questa impasse degli aggressori.
Il dinamismo diplomatico di Mosca, che in questi giorni ha incontrato i vari attori sulla scena, compresi i fantasmi della Coalizione Nazionale Siriana e il ministro degli esteri saudita, ha sollecitato il Consiglio di Sicurezza a dar segni di vita. Il risultato è la proposta di un governo di transizione con dentro tutti, salvo Assad (con Assad per i russi). Impegni scritti sull’acqua  che non tengono in minimo conto la volontà del popolo siriano come manifestatasi in quasi 5 anni di resistenza. I foraggiatori delle varie forme di terrorismo jihadista si affretteranno a schiacciare questa resistenza sotto un qualche enorme botto False Flag che imponga l’attacco internazionale diretto a Damasco. Si vedrà se Putin sarà ancora una volta in grado di fermarlo.
L’ennesimo tentativo degli Usa di proporre all’opinione pubblica mondiale una credibile alternativa alle proprie mostruose bande jihadiste, è finito nel ridicolo. La celebrata “Divisione 30” di una nuova “Forza Libera Siriana”, composta stavolta da “oppositori” siriani, per lunghi mesi addestrata in Turchia da militari Usa, appena entrata in Siria con i suoi primi 60 ascari (5000 avrebbero dovuto seguire, ma non se ne parla più), è subito svaporata sotto gli schiaffi dal mercenariato primigenio – Al Qaida-Al Nusra – che avrebbe dovuto sostituire per offrire al mondo un’immagine meno orrida della guerra ad Assad. Evidentemente essendo questi “moderati” meno motivati delle bande islamiste da mettere in ombra, i rimasugli  dello scontro si sono dichiarati fratelli di Al Nusra. Comprensibile l’irritazione del Fratello Erdogan, che ha subito sopperito al patetico esito dei “ribelli moderati” messi in vetrina dagli Usa, facendo accompagnare dai suoi servizi segreti nuove colonne di mercenari Daish (Isis), tutti stranieri, in Siria.

Lo stallo sul terreno, l’incapacità della coalizione wahabita-imperialista di far crollare il paese e il suo governo, a dispetto di indicibili sofferenze, 4 milioni di profughi, 10 milioni di sradicati interni minacciati dall’inedia, ha fatto passare la svolta da sempre perorata dal Fratello musulmano di Ankara. La “zona cuscinetto” dove affiancare ai miliziani jihadisti truppe turche in vista della conquista di Aleppo da far diventare provincia turca; l’impegno Usa diretto con droni e cacciabombardieri in partenza dalla base turca di Incirlik, a fingere di colpire l’Isis, cercare di agevolare gli attacchi jihadisti e distruggere un altro po’ di Siria; l’annuncio di Netaniahu, dopo aver assistito i jihadisti con forze speciali, bombe e cure sanitarie, di entrare ufficialmente a gamba tesa nel conflitto attraverso interventi militari mirati a “garantire la sicurezza del Golan e del confini di Israele”. Quando Israele garantisce la sua sicurezza, curiosamente saltano per aria le sicurezze di altri.

Non diverso è il discorso per l’Iraq, dove l’andamento dello scontro tra Baghdad e Califfato (i curdi qui sono comprimari) pare quello della fisarmonica. Il dato, comunque, è che la tripartizione del paese (ultimamente ribadita spudoratamente dal generale Ray Odierno, massima autorità militare Usa in Iraq) non si riesce a consolidare attraverso soluzioni territoriali definitive. Anzi, con il decisivo appoggio di volontari sciti e sunniti e di comandanti iraniani, l’esercito di Baghdad è passato dal contenimento alla, seppure faticosa, avanzata nelle province centrali di Salahuddin e di Anbar. Segno che l’operazione affidata da Usa e “comunità internazionale” alla mostruosa creatura ha perso tutto il suo travolgente impeto e rischia di finire insabbiata. “Il Nuovo Medioriente”, pronosticato da Israele, Neocon, Obama, non riesce  a mettere a posto tutte le sue caselle etnicamente e confessionalmente separate e contrapposte.
Provocazioni per l’invasione
Le surrealistiche atrocità commissionate ai mercenari Isis e Al Qaida in Siria, Iraq, Nigeria, Libia, Yemen, stanno superando ogni immaginazione e, con essa, ogni sopportazione, che non sia quella all’uranio impoverito di chi dirige lo spettacolo. Autobombe, in assenza di risultati positivi al fronte, ogni giorno fanno immani stragi di civili a Baghdad e Damasco, città più martiri di tutte le città martiri di ogni guerra. A Sirte in Libia, membri delle tribù Ferjani e Qaddafa, fedeli al leader libico linciato, muniti di soli vecchi Kalachnikov, si rivoltano eroicamente contro gli invasori del Califfato (rivolte di gheddafiani si sono registrate ora in tutto il paese) e, in assenza di qualsiasi attenzione internazionale (come quella ampiamente offerta a Kobane), vengono schiantati da artiglieria pesante e carri armati di fattura e fornitura occidentali, pagati dai satrapi del Golfo. I sopravvissuti sono, come suole, crocefissi. Il parossismo dell’anti-umanità necrofaga è suggerito dai mandanti ai cerebrolesi dell’Isis a Palmira, dove si obbedisce alla consegna di sradicare la civiltà, l’anima e la storia di un popolo, decapitando e appendendo a una colonna il sovrintendente alle antichità Khaled Asaad, l’eroe che aveva salvaguardato dai barbari i segni sublimi di quella civiltà. I mandanti, poi, si arricchiranno di trofei predati e trafficati. Parossismo della ipocrisia, poi, è il cordoglio per Asaad del PD, partito e governo che hanno appoggiato l'assalto alla Siria dal primo giorno.
A proposito vedansi i vaneggiamenti del Fratello Musulmano Acconcia, sul “manifesto”, quando s’inventa l’arrivo della Brigata di Misurata a sostegno dei combattenti di Sirte. Brigata che, arrivata in vistosa parata alle porte di Sirte, senza colpo sparare, ha immediatamente fatto dietrofront. Non poteva che essere un’esibizione a uso e consumo di giornalisti come Acconcia, dato che i Fratelli Musulmani del regime golpista di Tripoli sono i padrini sia dei tagliagole di Misurata, amati in Occidente per gli orrori inflitti ai prigionieri politici e militari gheddafiani, alle donne non “convertite” e alla popolazione nera di Tawergha, sia degli orchi jihadisti installati a Sirte. Unici a tentare qualcosa in difesa di Sirte sono stati gli aerei del governo legittimo di Tobruk, con le loro modeste capacità bombarole.Tobruk ha chiesto alla Lega Araba di intervenire al suo fianco contro gli islamisti. Sarebbe l’unica soluzione corretta, che potrebbe escludere quella colonialista della Nato. Ma difficile immaginare che la Lega possa deciderlo, quando lì dentro ci stanno qatarioti, sauditi, vassalli vari degli Usa, padrini e complici dei terroristi.
A questo punto non è possibile non prendere atto che le atrocità del mercenariato Isis (prima e ancora di Al Qaida) in Libia, Siria, Iraq, Nigeria, servono a: 1) esasperare lo scontro di civiltà inventato dai neocon, attraverso la satanizzazione dell’Islam tutt’intero; 2) giustificare l’intervento di una qualche coalizione neocolonialista in Libia e Medioriente; 3) seminare panico nelle società occidentali ( anche con interventi metropolitani come Charlie Hebdo e affini) e quindi far passare ulteriori strette alle libertà e ai diritti, fino allo Stato di Polizia del XXI secolo, cioè una roba che Hitler o Bokassa non avrebbero neanche saputo immaginarsi. E’ però un giochino a rischio. Utilizzare il mercenariato jihadista come bande di ventura al servizio dei propri obiettivi e. contemporaneamente. come cattivissimo orco per incutere terrore nei mondi da sottomettere, può provocare incrinature di credibilità.

E allora, ogni volta che ci si avvicina al punto di contraddizione evidente tra jihadista terrorista e jihadista proprio strumento, ecco che si piazza, tra macerie, corpi straziati, esecuzioni di innocenti affidate a bambini, crocefissioni e stupri, un bel criminone di Assad. Una volta armi chimiche che a Ghouta Est uccidono 200 bambini, un’altra, nei giorni scorsi, il bombardamento di Douma, periferia di Damasco, con  lo sterminio di 200 civili e passa. L’effetto distrazione di massa è imposto dal frastuono ecumenico di ogni sorta di corifeo politico e mediatico, a destra e sinistra. Eccelle qui il para-giornalista britannico Robert Fisk, agente del MI6, che ricordo sfottermi a Baghdad, nel 2003, per aver messo a confronto la civiltà dell’Iraq di Saddam con la barbarie degli Usa di Bush e del Regno Unito di Blair. Douma gli ha fornito il pretesto per parlare di un “equilibrio del terrore” tra esercito di Assad e gli altri, tutti parimenti cattivi, ma quelli di Assad un tantino più cattivi. Sotto la quale mistificazione sparisce la differenza tra aggressori tagliagole e aggrediti, torti e ragioni.  
Il caso Douma è anche tale da annientare ogni riflessione sulla logica di un presidente, assediato da mezzo mondo, che trarrebbe vantaggio dal massacrare una popolazione che lo appoggia e che, per difenderlo, ha sopportato ogni nequizia e sciagura (logica demenziale già attribuita a Gheddafi). Del resto esiste la prova provata che i gas di Ghouta Est furono forniti da Erdogan e usati dai jihadisti di Al Nusra, che quei bambini uccisi erano stati rapiti da Al Nusra.  La verità, distorta dai media, dice che da Douma, controllata dai jihadisti, partivano incessanti colpi di mortaio che facevano strage della popolazione civile nella capitale. La rappresaglia dell’aviazione del governo ha colpito un deposito di cloro e armi chimiche che, esplodendo, ha provocato vaste devastazioni e un centinaio di vittime. Infatti non risultano crateri da bombe o missili, ma distruzioni a largo raggio come nel caso di ordigni di superficie. Del resto, la notizia di un massacro attribuito ad Assad, come ripresa da tutta la stampa, era stata data dal Syrian Observatory for Human Rights, una fonte londinese legata all’opposizione, sotto controllo dei servizi britannici, finanziata dall’UE. Credibilità: zero.

Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur
Di False Flag in False Flag, tattica micidiale contro la quale le vittime non hanno ancora trovato antidoti, arriviamo finalmente all’Iran. Dove si parla tra gentiluomini di accordi e dove le autobombe e gli assassinii, per tutti questi anni commissionati  dal Mossad e dalla Cia ai terroristi islamisti del MEK (Mujaheddin-e-Khalk), sono al momento sospesi. Si aspetta di vedere quello che succederà dopo la firma degli accordi sul nucleare a Ginevra e a Vienna tra i 5 del CdS più Berlino e Tehran. Diciamo subito che tra le rese di Cuba e Grecia, da un lato, e il cedimento iraniano alle pretese degli Usa non c’è equivalenza. Soprattutto perché alla base e fin ai vertici dello Stato si è manifestata una forte, seppure da noi pochissimo pubblicizzata, opposizione all’accordo. Però qui, come negli altri due paesi fagocitati dai ricatti a popolazioni stremate, è chiaro il segno di classe della vicenda.
Hassan Rouhani, definito “moderato” da noi, è diventato presidente grazie alla divisione del campo della sinistra, detta “conservatori” e alla mancata candidatura del popolarissimo Ahmadinejad, impedita dai due mandati precedenti. Rouhani si pone in linea di continuità con esponenti della borghesia occidentalizzante come Rafsanjani, campione di corruzione, e Khatami. Rappresenta l’affermazione di coloro che nel 2009 allestirono la cosiddetta “rivoluzione verde” contro la correttissima rielezione dell’uomo rappresentante degli interessi dei ceti patriottici, contadini, operai, intellighenzia scientifica e culturale, alla cui promozione sociale contribuì come nessun predecessore. Con visione chiara delle mire dell’imperialismo occidentale, aveva rafforzato i legami con Russia, Cina, BRICS e gli alleati in Medioriente e aveva difeso il diritto dell’Iran, firmatario del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (diversamente dal nuclearissimo Israele, delle cui 200-400 bombe atomiche nessuno, tanto meno l’AIEA, chiede conto), ad arricchire l’uranio fino al 20%. Limite inferiore a qualsiasi sviluppo armato, ma necessario a fini clinici ed energetici.

Del resto, lo spauracchio di un Iran dotato di armamento atomico è stato sempre un mero pretesto per assediare il paese e impedirgli ogni progresso economico e tecnologico e giustificare sanzioni pesantissime con il fine di sfasciare l’economia e le condizioni di vita di un popolo che Ahmadinejad aveva avviato sulla via di un eccezionale sviluppo. Tra l’altro con la promozione delle donne, arrivate al 64% dei laureati, a più alti livelli dello Stato, dell’economia, della scienza. Come a Cuba, si contava sulla frustrazione e sull’impoverimento della gente, qui dovuto unicamente alle sanzioni e non, come a Cuba, anche a inefficienze e corruzione interne, per creare un clima utile al cambiamento.
L’arricchimento è stato ridotto al 3%, quasi tutte le centrali sono state chiuse o ridotte a capacità minime, i 10mila chili di uranio arricchito ridotti del 98%, le centrifughe tagliate di due terzi. Ma l’offesa più grave alla sovranità del paese è rappresentata dall’incredibile diritto preteso dagli sbirri yankee dell’AIEA di ispezionare 24 ore su 24, senza preavviso, tutte le installazioni, comprese quelle militari che con un agenzia atomica non c’entrano una cippa. Terrificante cedimento  in cambio di una possibile rimozione delle sanzioni. Questa però rimane sospesa come una spada di Damocle contro l’eventualità che l’Iran “sgarri”. E gli “sgarri” potrebbero essere sia il rifiuto di un Iran resipiscente di farsi sfrucugliare caserme e basi militari, sia l’insistenza di Tehran su oleo- e gasdotti che congiungano uno dei massimi produttori di idrocarburi del mondo a Pakistan e Cina, da un lato, e Siria, Turchia ed Europa dall’altro. Pipeline fuori dal controllo Usa.
Altro “sgarro” sarebbe il mantenimento del ruolo strategico dell’Iran in Medioriente, attraverso il presidio della cosiddetta mezzaluna scita – Iran, Iraq, Siria, Libano, Yemen, maggioranze e minoranze scite nei sultanati del Golfo – e il sostegno a questi popoli nella lotta contro il neocolonialismo imperialista e il parallelo terrorismo espansionista delle autocrazie reazionarie di Turchia, Qatar, Arabia Saudita. Russia, Cina e Iran, poi, rappresentano l’uno per gli altri, e viceversa, la rispettiva profondità strategica. Nella marcia dei mondialisti  su Mosca e Pechino, l’Iran costituisce una tappa e uno scoglio cruciali. Come a Cuba, constatata la totale inefficacia  di decenni di politica aggressiva, minacce tonitruanti, rivoluzioni colorate, campagne terroristiche, separatismi alimentati in Beluchistan e Kurdistan, clave atomiche agitate da Israele, inondazione di droghe dalle parti dell’Afghanistan sotto controllo degli occupanti, uragani di diffamazione, ci si è rassegnati al “disgelo”, a prendere la selvaggina alle spalle. O, piuttosto, nel nido, facendo leva sulla scarsità di cibo per i piccoli.

Prendere un paese alle spalle significa anche soffocarlo tagliandone i vasi comunicanti. La guerra in continua escalation che califfi, sultani e feldmarescialli occidentali conducono contro Siria e Iraq, con il ricorso a enormi flussi di denaro, armi, mercenari rastrellati dalla Nato in tutto il globo, punta a eliminare dalla scena i principali sostegni regionali dell’Iran, prima che esso venga poi tolto di mezzo da isolamento e autocombustione alla greca.
I circoli dirigenti di Tehran, come quelli cubani, si inebriano dell’arrivo in massa delle cavallette di investitori multinazionali occidentali, con Usa e Italia in prima fila. Dei quali si sa che beneficeranno le classi alte e ne risentiranno pesantemente, quanto a condizioni di vita e di lavoro, di ambiente e giustizia sociale, quelle che Ahmadinejad aveva emancipato. Un’irruzione del capitalismo di rapina che rischia di minare alla base la sovranità dello Stato, lacerarne il tessuto sociale attraverso la contrapposizione di settori ingrassati dal libero mercato e altri che ne vengono emarginati e impoveriti. Una ripetizione della manovra di mezzo secolo fa quando, dopo il colpo di Stato anglosassone contro il premier nazionalista Mossadegh che aveva nazionalizzato il petrolio, la stessa operazione era stata affidata allo Shah, uno dei più trucidi e sanguinar tiranni della storia.
Abbiamo ora un’Iran messo sotto tutela armata ed economica dall’imperialismo con la complicità di parti della sua società. Ma abbiamo anche un Iran alfabetizzato al 98,7%, con un’istruzione universitaria inferiore solo a Germania, Regno Unito e Francia, con un Indice dello Sviluppo Umano superiore a tutti i paesi della regione e con una popolazione che al 75% ha meno di trent’anni. Un Iran che, con Ahmadinejad, presidente laico, aveva conosciuto, oltre all’ascesa delle proprie classi lavoratrici, un allentamento della presa clericale su norme e costumi, un passo indietro della censura sulle espressioni di creatività culturale ed artistica, tanto che il cinema iraniano era assurto ai primi posti del prestigio mondiale. Aspetti di vita che, ora in concomitanza con l’arrivo di Exxon-Mobil, BP, Total, McDonald’s e Coca Cola, stanno già regredendo, alla faccia della nomea di “moderati” e “liberali” con cui da noi si festeggiano i nuovi dirigenti.

Diversamente da quanto mi capita di pensare su Grecia e soprattutto su Cuba, per l’Iran non me la sento ancora di rinunciare a speranza e fiducia. Ho conosciuto da vicino quel giovanissimo e intelligente popolo (vedi il docufilm “Target Iran”), ne ho sperimentato l’orgoglio, la dignità, la maturità politica, la consapevolezza storica ed attuale dei crimini del colonialismo britannico e dell’imperialismo Usa-UE. Ne è testimonianza indelebile a Tehran, quotidianamente visitata da centinaia di cittadini, l’orrendo carcere della Savak, il servizio segreto dello Shah che ha insegnato la tortura perfino agli israeliani. Che al prossimo giro Ahmadinejad torni o no, non sarà facile rovesciare questo Iran come un calzino nel suo contrario. Né credo che la Russia di Putin lo abbandoni. Sarebbe, del resto, una grossa taffazzata. Molto capiremo da quel che succederà presto in Siria e Iraq.

3 commenti:

Vincenzo Ferraro ha detto...

http://albainternazionale.blogspot.it/2015/08/attacco-bangkok-sospettato.html

rossoallosso ha detto...

@Fulvio

Si può ritenere affidabile Panagiotis Lafazanis col nuovo partito Unità Popolare ? Se non sbaglio è colui che ha concluso l'accordo con Gazprom per il Turkish Stream

alex1 ha detto...

Altro bel post e devo fare I complimenti all'onesta' intellettuale di chi, pur avendo sostenuto Cuba negli ultimi decenni, non lesina critiche alla sua linea politica presa ormai da diversi anni, ed a suoi difetti ormai diffuse (Avevo anche sentito del problema prostituzione, che secondo alcuni sarebbe tornata quasi ai livelli di Batista). Ma ho letto che lo stesso Kerry non sarebbe ancora soddisfatto, infatti chiede "aperture" verso la dissidenza. Penso che fra qualche mese si puo' assistere ad un altro tentative di rivoluzione "colorata". Sempre che non accada prima in Equador od in Venezuela.