venerdì 27 gennaio 2017

MEMORIA, MEMORIE, NEGAZIONISMI, REGENI E DEIR EZZOR

MEMORIE, NEGAZIONISMI, REGENI E DEIR EZ  ZOR

Faccio un’altra volta contenti i localisti che biasimavano la mia depravazione professionale di trascurare il vicino per navigare nel lontano, offrendogli un bel potpourri, come si diceva ai tempi del trio Lescano e di Alberto Rabagliati (oggi “compilation”, e fossimo meno perversamente esterofili, “raccolta”, “selezione”), di cose nostre e cose altrui (che, a mio avviso, senza offesa per i localisti, risultano poi sempre anche nostre). E parto lontanto, da Trump per finire vicino, a Virginia Raggi, tanto per dimostrare l’assunto.

L’aspetto storicamente più significativo e anche più umoristico è il ballo di San Vito che, all’apparire del fenomeno Trump, ha visto unirsi in frenetica agitazione tutti i vermi e tutte le larve che fino a ieri pasteggiavano sulla carcassa della società capitalista occidentale. Vuoi quelli che del gozzoviglio si vantavano e vuoi coloro che, vergognandosene, masticavano nascosti dal tovagliolo di seta. Spioni Cia, serialkiller Mossad, vampiri bancari, fabbricanti di F35, necrofagi neocon, contorsionisti del menzognificio mediatico, burattinai del terrorismo internazionale e loro cloni in miniatura dei paesi subalterni, in felice sintonia con i loro finti opposti e autentici reggicoda, pacifisti, ambientalisti, femministe, variopinti sinistri, diritto-umanisti, migrantofili, cultori del Genere, tutti appassionatamente uniti a protestare, ululare, armarsi, contro questo imprevisto rompicoglioni che si permette di scuotere la carogna e spolverarne i parassiti. Perfino il Papa, meno obliquo del solito, s’è tolto un peso dal petto e, citando Hitler come una Hillary qualsiasi, ha scomunicato i populisti.

Ovviamente non per rigenerarla e insufflarle nuova vita, alla carcassa, ma per darla in pasto ad altri vermi e larve, quelli rimasti sugli strapuntini, i suoi, quelli del rompicoglioni. Davanti alla mortale minaccia dell’ìnedia non ci sono distinguo, l’emergenza non conosce autoreferenzialità: è il momento della Grande Unità contro l’ìmmondo parvenu. Tanto più che, secondo alcuni veggenti della CIA e dell’FBI – e gli opposti sono perfettamente d’accordo – questo virus nell’organismo sano ed eccezionale degli Stati Uniti l’ha inoculato l’orrendo Balrog (vedi Tolkien) di Mosca, l’omofobo del KGB, autocrate invasore dell’Ucraina e, come ha giustamente avvertito, Ash Carter, ministro della Difesa del Premio Nobel per la Pace, minaccia mortale agli Usa e al mondo. Per noi in curva , spettatori paganti della squadra ospite, sarà interessante seguire la partita tra vermi vecchi e vermi nuovi. Ho la sensazione che non si arriverà ai tempi supplementari.

Contro Raggi e contro Trump in campo i revanscisti
Salta agli occhi l’abbagliante similitudine con quanto va succedendo attorno a Roma, altro organismo in stato di decomposizione, ma ancora ghiotta preda di chi sa apprezzare carne putrefatta. Pure qui una massa di citrulli, contaminati dall’odio dissennato di un comico da strapazzo, hanno eletto un’outsider che minaccia di buttare all’aria l’ordine costituito dei commensali. Magari, stavolta, non per sostituire suoi saprofiti e quelli a tavola da decenni. Peggio, per sparecchiare. In ogni caso l’ordinato succedersi del giorno alla notte, la posizione dell’asse terrestre, il corso delle stelle, soprattutto il futuro del cemento e delle monete d’oro che vi prosperano, risultavano scompigliati. E allora, se all’intruso della Casa Bianca si devono addebitare crimini assai più gravi, sebbene al momento potenziali, di quelli effettivamente commessi da predecessori e rivali, come non seguire la stessa procedura con l’abusiva del Campidoglio? 

Il sodale Marra s’è fatto comprare casa da un facilitatore per 350mila euro? In galera il reprobo! Il ministro Scajola la sua per un milione? Libero e in attesa di nomina. Conflitto d’interesse nella nomina del fratello del fratello Marra? Paginoni, reportage, anatemi e sbarre in vista per la sindaca. La ministra Guidi facilita il business petrolifero del fidanzato? La ministra Boschi salva la banca di cui è vicepresidente papà? Il sindaco Sala è indagato perché ne ha fatte di cotte e di crude con gli appalti Expo e ha mimetizzato le sue proprietà nel curriculum? La ministra Cancellieri (della Giustizia!) perora la scarcerazione della figlia dell’amico Ligresti? Il presidente regionale De Luca tratta i fondi regionali con l’assessore comunale De Luca figlio? Vasco Errani da governatore finanzia la coop del fratellino per un cantina sociale fantasma? Vado avanti? Inutile Sono quelli del prima-di-Trump.Titolati. Vermi di razza, mica villani rifatti. Hanno ragione, come quelli dell’Ancien Régime quanto si rimisero a Tavola dopo il Congresso di Vienna. Non è il caso di parlare di doppiopesismo.

Negazionare il negazionismo
L’altro grande clamore di questi giorni che di nuovo vede fusi in fiera unanimità il bello, il buono  e il cattivo è suscitato da due eventi all’apparenza sconnessi, ma che vengono uniti dalla passione con cui ci si avvitano e vi si specchiano tutti coloro che passano per essere i più specchiati. Il Giorno della Memoria, 27 gennaio, e il caso Deir Ez Zor. Non dirò del primo perché non mi va di portare altra acqua a un mulino che macina distrazioni di massa da genocidi vari, ma non dello stesso valore, e da fini neanche tanto reconditi di colpevolizzazione in perpetuo dei due popoli  responsabili e congenitamente criminali. Che non si azzardino di offendere quella memoria brontolando sul genocidio, ormai settantennale, dei palestinesi e su qualche altra malefatta ai danni dell’umanità. Non ne dirò anche perché sono tempacci per i negazionisti, intesi nel senso di coloro che negano il diritto di proibire la negazione (vaccini o olocausti che siano) e perfino la semplice ricerca, dovere imprescindibile di ogni storico onesto. Segno di una paura che la certezza dell’accaduto dovrebbe far apparire irrazionale. 

Giorno della Memoria: dimenticare Deir Ezzor
Dirò del secondo evento, che il primo, opportunamente prolungato in antevigilia, vigilia, evento, post-evento, ha totalmente cancellato dal panorama dell’informazione. Non saranno 6 milioni, ma sono comunque centomila innocenti, assieme a qualche decina di migliaia di soldati, che rischiano di finire peggio che ad Auschwitz, se è vero, come è vero, che niente (se non l’Inquisizione e la CIA ad Abu Ghraib e nelle carceri segrete) supera l’orrore di quanto i mercenari Nato di Isis e Al Qaida infliggono a prigionieri e civili. Sta per succedere e promette di finire peggio di un’Aleppo, molto peggio, giacchè del martirio di Aleppo Est il 90% se lo sono inventati gli imbeccati da Amnesty, Elmetti Bianchi e MSF. Eppure tutto un mondo che si strappava i capelli sui 100mila bambini e sui cento ospedali che il Feroce Saladino Assad stava distruggendo sulla gente di Deir Ez Zor, da tre anni privata di alimentazione adeguata, elettricità, acqua, bombardata incessantemente, in procinto di essere arrostita, scuoiata, crocifissa, stuprata, sepolta in fosse comuni, non ha sollevato ciglio, alzato labbro. Avrebbe potuto distogliere dall’unicità della Shoah.

Il progetto che unisce Usa, Israele, i petrotiranni e i turchi in un’unica campagna  è il califfato che, squartando le due nazioni, si estenda sui due lati di Iraq e Siria e consenta una permanente presenza e protezione “alleata”. E’ in quella zona che si trovano le riserve petrolifere e di gas e le migliori terre agricole. Allo scopo gli Usa hanno promosso e consentito, creando un corridoio insieme ai lanzichenecchi curdi, il trasferimento di qualcosa come 40mila ascari Isis da Mosul a Deir Ezzor. Lì, da tre anni, una guarnigione, sostenuta da tutto una cittadinanza, sostiene un feroce assedio. Sanno cosa li aspetta, visto quello che  curdi e jihadisti hanno inflitto alla popolazione araba di Hasakah. Poi la coalizione a guida Usa ha bombardato l’esercito siriano uccidendo un centinaio di soldati e permettendo all’Isis di occupare l’altura da cui si controlla l’aeroporto. Ed è grazie a quell’aeroporto che  quelli di Deir Ezzor hanno potuto essere riforniti, resistere, restare vivi. Nei giorni scorsi i terroristi hanno potuto occupare la strada dallo scalo alla città. Sembra che nelle ultime ore i combattenti siriani, che ormai sono tutti gli abitanti, l’abbiano ripresa, grazie a massicci bombardamenti russi e una poderosa offensiva della Guardia Repubblicana. Ma l’olocausto non è per niente scongiurato. Solo che ci sono olocausti che contano tutto e altri niente. Anche se disintegrano un popolo dopo l’altro. Semiti anche loro, ma con un difetto, sono arabi. Per niente eletti.
Resistenti a Der Ezzor

Azzannano la Siria e Vladimir che fa?
Accompagno questa digressione siriana con un qualche dubbio sul ruolo dei russi. Non tanto per la pur deprecabile perdita di Palmyra, con conseguente ulteriore terribile offesa al questo patrimonio della civiltà umana. L’impegno per Aleppo assorbiva molti sforzi. Ma cos’è questa intesa con Erdogan per cui un intruso, pur sempre Fratello Musulmano e consanguineo dei jihadisti, si può appropriare di oltre 2000 km quadrati di territorio siriano e procedere oltre, insieme ai terroristi del Free Syrian Army, ridicolmente detti “moderati”, in direzione della siriana Al Bab effettuando incursioni aeree insieme ai russi? Non avendo mai rinunciato alla famigerata “zona cuscinetto” che, insieme alle aree arabe sottratte dai curdi ben oltre il Royava e al califfato in espansione nel nord-est, rappresenta lo spezzettamento della Siria da sempre vaticinato da tutti gli aggressori, che ne è dell’impegno russo per  l’integrità e sovranità della Siria?  Cosa si dice della promessa del vice-premier turco, Kurtulmus, che la Turchia non restituirà mai la città di Al Bab alla Siria? Se ne è parlato ad Astana? E come si concilia l’affermazione ad Astana che per la Siria non ci potrà essere soluzione militare, ma solo politica, con l’impegno di Assad di liberare ogni centimetro quadrato di terra siriana? E a proposito di integrità e sovranità, che si pensa dei 5000 poliziotti siriani, tratti dai mercenari  del  Free Syrian Army, che Erdogan sta addestrando perché, sotto funzionari turchi, amministrino la “sicurezza” nei centri siriani conquistati e che evidentemente non intende restituire? E che si dice anche delle “Safe Zones” che Trump ha dichiarato di voler istituire in Siria con l’inevitabile impegno di altre truppe di terra? “Zone sicure” che ricordano da vicino le zone cuscinetto e le No Fly Zone da anni auspicati dal trio Hillary, Netaniahu, Erdogan?

Ad Astana, nei colloqui tra russi, siriani e iraniani, si è addivenuti a un cessate il fuoco e poco più. Che non riguarda Isis e al Nusra, ma non verrà lontanamente osservato nemmeno dai gruppi “moderati”, terroristi quanto i primi e comunque agli  ordini e al soldo dei finanziatori del Golfo che non risulta abbiano rinunciato a estendere all’intero mondo islamico l’egemonia sunnita di marca wahabita. Putin e il suo ministro degli esteri sono abili e lungimiranti strateghi. Hanno dimostrato che c’è da fidarsi. Ma Erdogan è un farabutto del tutto inaffidabile. Incrociamo le dita. E urliamo contro il genocidio a Deir Ezzor.

Caso Regeni: molto rumore per molto imbarazzo

Non a caso la nuova ondata di contumelie contro il presidente egiziano Al Sisi e di apodittiche attribuzioni a lui dell’assassinio di Giulio Regeni capita in simultanea con la campagna di certa stampa atlantista contro l’ENI che, per sfruttare un giacimento, avrebbe pagato una tangente di un miliardo alla Nigeria, finita poi nelle tasche di un ministro. Così fan tutte e, soprattutto, da sempre, le Sette Sorelle che, da Mattei in qua, vedono l’ENI come fumo negli occhi. L’ENI ha concluso con l’Egitto un accordo di enormi dimensioni per lo sfruttamento di ZHOR, il più grande giacimento di gas del Mediterraneo. Ha tagliato fuori Exxon, BP, Total, Chevron e tutti gli altri. Imperdonabile. Così devono riattivarsi i terminali italiani della piovra petrolifera occidentale. E della Nato, visto che Al Sisi ormai sta con Putin e milita accanto ad Assad in Siria e Haftar in Libia. E della sinistra, radicalchic, proletaria, talmudista, imperiale, di potere. Solo che lo strumento privilegiato di questa è un altro, non zozzo di idrocarburi inquinanti, ma trasudante  valori umani e civili. Ed ecco che salta fuori il video di una conversazione con Giulio Regeni ripreso dal sindacalista Mohammed Abdallah il giorno della sua scomparsa. Video di appena 4 minuti sui 45 che dura la discussione, ma che il Ros e i magistrati hanno ritenuto opportuno non diffondere. Perché?

Dall’impresa di spie a quella delle borse di studio ai meritevoli
Perché? Per lo stesso motivo per cui non si è saputo più niente del computer del “ricercatore”, rapito dai famigliari al Cairo anziché essere consegnato ai legittimi inquirenti egiziani. Che, anche per questo, hanno preso a brancolare nel buio. Dal video si apprende che Regeni poteva disporre di una somma di 10mila sterline da impegnare per il progetto di una struttura egiziana. Dunque un ente egiziano si faceva finanziare dall’estero. E nello specifico da uno che lavorava alle dipendenze dell’impresa di spionaggio Oxford Analytica, agli ordini di tre ceffi della criminalità spionistica e terroristica internazionale: Colin McColl, David Young e John Negroponte. Alla luce di  questo dettaglio, che risulta noto da sempre, ma è del tutto indifferente a coloro che hanno a cuore la “verità su Regeni”, l’affermazione del sindacalista, di cui nessuno ha ancora dimostrato alcun atto disdicevole, che Regeni, insistendo con domande sui sistemi di sicurezza egiziani, potesse essere sospettato di essere una spia, assume una certa credibilità. Che è poi quella per cui i suoi tutor di Cambridge hanno mantenuto una serrata riservatezza su retroterra e missione di Regeni, le autorità britanniche si sono ben guardate dall’approfondire e perfino gli inquirenti italiani si sono tenuti alla larga.

Amnesty International e tutto la camarilla sinistro-destra che quella Ong del Dipartimento di Stato capeggia nell’assalto all’Egitto liberatosi dai fidati Fratelli musulmani e che sta anche prevalendo, grazie all’aiuto dell’intelligence russa, sui terroristi emananti dalla Fratellanza, ora si appende alla richiesta di Abdallah di aiuti per la cura di sua moglie. Mortaretto bagnato. Parrebbe chiaro a chiunque non sia prevenuto che quella richiesta, fatta a uno che dispone di fondi per finanziare strutture organizzate, tipo quel misterioso “Centro egiziano” menzionato da Regeni (chi se ne sta interessando?), intendeva appurare se si trattava di aiuti disinteressati, nel qual caso impiegabili anche per singoli motivi umanitari, o di operazione con ombre politiche. A questo proposito coloro che di Regeni e del suo tragico fato, con relativi responsabili, sanno già tutto, ci diano qualche informazione sulla “Antipode Foundation”, fondazione e rivista angloamericana, registrata in Inghilterra, attiva dal 2011, che ha per oggetto sociale geografia e temi affini e che assegna borse di studio. Dalle nebbie del video, incredibilmente in massima parte non rivelato, uscirebbe uno stanziamento di 10mila euro o sterline, della “Antipode”, a disposizione di Regeni una volta che avesse individuato un credibile assegnatario. Era questo dunque il mandato assegnato a Regeni, trovare chi fosse meritevole delle 10mila cocuzze secondo i gusti di Antipode e di Oxford Analytica? Comunque, vediamo e sentiamo il video completo. Altrimenti abbiamo ogni diritto di pensar male.

A salve il colpo di Casini contro il Venezuela
L’ausiliario Nato in disarmo, Ferdinando Casini, riunita una truppa di scombiccherati ansiosi di riconoscimenti dei nuovi capobastone Usa, tipo Puppato e i miserandi ex-Cinque Stelle, ha fatto passare al Senato una mozione di appoggio ai revanscisti fascisti in Venezuela e contro il governo chavista di Maduro, accusato di ogni nefandezza, alla maniera di Amnesty International. Ma non è stata una vittoria a man bassa. I 5 Stelle, con la senatrice Ornella Bertorotta, gli hanno tempestivamente opposto una contromozione che rimetteva a posto torti e ragioni nel Venezuela aggredito dagli Usa. Così il servizietto di Casini ai mandanti Usa che doveva trasformarsi in marcia trionfale e chiodata sul Venezuela, è passato con appena 11 voti di maggioranza, 184 a 173. Il che, nelle temperie dell’uragano mediatico contro questo baluardo dell’antimperialismo, è piuttosto un flop.  
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Belle foto di Aleppo distrutta che torna alla vita

https://syrianfreepress.wordpress.com/2017/01/26/aleppo-in-ruins-photos-of-the-destroyed-and-ravaged-city/

lunedì 23 gennaio 2017

LENTI BIFOCALI su Washington, Amatrice, Belgrado









E tu onor di pianti Ettore avrai
ove fia sacro e lacrimato il sangue per la patria versato
e finchè il sole risplenderà sulle sciagure umane

(Ugo Foscolo, I Sepolcri)

“Finchè l’inganno scorreva silenzioso e monotono, tutti ci siamo lasciati ingannare, avallandolo per incoscienza, o forse per codardia”.
(William Faulkner)

Dedicato a Milosevic, Karadzic, Mladic. E al Corpo Forestale dello Stato.

E’ capitato ultimamente che qualcuno abbia profferito rampogne sul blog e su FB, sia a me, direttamente, sia alla senatrice 5Stelle Ornella Bertorotta che, con un’apprezzabile mozione contraria, aveva bloccato la mozione di una camarilla di ratti a stelle e strisce, guidata da Casini e da miserandi fuorusciti o giustamente espulsi dei 5 Stelle, che pretendeva di far votare al Senato un documento di contumelie e calunnie al Venezuela. Iniziativa sulla falsariga del colpo di coda del rettile Obama che, implicando le solite misure delinquenziali della sua amministrazione, aveva dichiarato il Venezuela “Grave e straordinario pericolo imminente alla sicurezza degli Stati Uniti”. L’oggetto della rampogna era che sia la senatrice, occupandosi della diffamazione di un degnissimo paese sovrano e fornendo ragioni inconfutabili in contrario, che il sottoscritto, pur nelle drammatiche temperie del momento nazionale, deviavamo dalle cose vicine per occuparci di cose lontane, secondarie rispetto ai problemi di casa.
A me pare una visione un tantino provinciale, non infrequente nel nostro paesello affollato da chi ritiene il cosmopolitismo costume dei merluzzi in viaggio tra Golfo del Messico e Artico, o da chi a scuola non va oltre Massimo d’Azeglio e quando sente parlare di Bismarck pensa a uova al tegamino. A ma pare anche lo strabismo di chi si affanna a riparare il rubinetto di cucina che perde, mentre trascura la falla apertasi nell’acquedotto fuori casa.

Sappiamo che è una degenerazione del visus vedere male da vicino, miopia, o da lontano, presbiopia, o addirittura da entrambe le distanze. Ci inducono a ciò l’avanzare del decadimento fisico e, nella metafora, l’educazione a vedere soltanto fino alla punta del naso, o soltanto oltre. Per rimediare a questi difetti esiste un rimedio meraviglioso: le lenti bifocali. Alzi lo sguardo verso il settore superiore della lente e vedi nettissimi i cipressi sul crinale; lo abbassi e i caratteri dello stampato che leggi ti balzano nitidi agli occhi. E così, un po’ guardi lontano e vedi che succede dietro “questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude”, e ti “sovvien l'eterno”. Ma poi accorci lo sguardo e attorno a te ritrovi “le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei”.

Intendendo, l’amico Giacomo, che in questo modo connetti l’eterno al passato e al presente, il lontano al vicino, la luna al pastore errante e, se il poeta mi consente, il modello politico-economico, autocratico-predatore-mafioso, imposto dalla più grande potenza del mondo, alla sciagurata situazione del nostro territorio e di chi ci formicola sopra cercando di scansare gli effetti locali di quel modello. In poche parole, cari soloni, per capire qualcosa, tocca conoscere il contesto e constatare che “tout se tien”.

Quando il diavolo e l’acqua santa fanno festa insieme

Azzardiamo un accostamento ardito. Le megamanifestazioni contro l’insediato presidente, preannunciate da roboanti proclami di guerra al duo satanico Trump-Putin, hanno visto affiancati i “dimostranti del Bene”, donne in testa, e quanti fino a ieri erano definiti i massimi esponenti del Male (Cia, i Clinton, i neocon, i padrini di tutti i terrorismi, gli armaioli). Tout se tien. E’ l’ unità ritrovata, anche se la disparità era già più esibita che giustificata, corrisponde a livello globale a quell’”unità nazionale”, ieri “larghe intese”, che oggi s’invoca da noi a copertura della sciagurata incompetenza, inefficienza, indifferenza, delinquenza, che stanno marchiando d’infamia l’intervento, non intervento, delle autorità a difesa e salvezza degli esseri viventi aggrediti dalla natura manomessa e offesa. Considerazioni che non ci impediranno di certo, una volta sistemati i suoi predecessori nella discarica della Storia, di manifestare e lottare contro l’ ennesimo burattino imperiale e le sue aberrazioni ambientali, geopolitiche, filo talmudiste, scioviniste, razziste.




A Washington, Berlino, Tokio, ovunque il pifferaio talmudista ungherese, CdA della camarilla dei necrofori imperiali, abbia fatto risuonare il suo richiamo, amplificato da esemplari femministi come la novella Santa Giovanna d’Arco, Madonna Ciccone, donne si sono mosse credendo di opporsi a chissà quali future nefandezze di Trump e non facendo altro che obbedire, l’ennesima volta dagli anni del ’68, a nemici di classe, imperialisti, guerrafondai, ladri e genocidi, che depistano dai propri crimini verso la guerra tra poveri, tra subalterni, tra generi. La guida è affidata a machofemministe maternaliste che, insieme a Madeleine Albright, avevano votato per Hillary, il plauso arriva dagli amici del giaguaro. Difatti coloro che ti ci hanno mandato, in piazza, sono i giaguari (chiedo scusa all’animale a cui rubo la metafora) con tra le zanne ancora i resti dei milioni di donne (e altri) sbranate in giro per il mondo. Particolare bello che accantonato.

Faccio contenti i miopi, quelli del rubinetto di cucina, e ricordo che un po’ più di vent’anni fa, allertati da uno di quei comitati di cittadini che sono l’estremo presidio del paese, perforando con la Guardia Forestale dello Stato le colline del Golfo dei Poeti a Pitelli (La Spezia), sprofondammo in un oceano di veleni, lì sepolti da una consorteria di farabutti (politici PCI, poi PD, ammiragli ‘ndranghetisti, imprenditori, banchieri, servizi segreti), che avevano intossicato e ucciso esseri umani e non da Pitelli alla Somalia, compresi la mia collega al TG3 Ilaria Alpi, Miran Hrovatin e il capitano Natale De Grazia che, anche lui, aveva messo il naso nel business. Noi, le Guardie Forestali sotto lo straordinario maresciallo Gianni Podestà, alcuni PM di La Spezia e soprattutto il PM Luciano Tarditi di Asti, che inchiodò i delinquenti uno per uno, tirammo fuori quelle porcherie assassine e le sventolammo sotto il naso ai responsabili. Noialtri ce la siamo cavata. Ma la magistratura, nei tempi della nostra evoluzione politica, s’è evoluta pure lei: vent’anni dopo, tutti assolti e i veleni sono ancora là.



Un corpo di polizia che fa pulizia.
Rai, Tg3, magistratura, tutti normalizzati. Anche in Abruzzo, dove l’Edison della centrale di Bussi ha avvelenato per vent’anni 400mila persone. Altro delitto, altri criminali scoperti dalla Guardia Forestale.Tutti assolti. E poi Seveso, la Centrale a carbone della Tirreno Power di Vado Ligure, assassina di almeno 400 persone, la Terra dei Fuochi, alluvioni, frane, incendi. Il Corpo di polizia sicuramente più preparato e prezioso in un paese che prolifera di polizie come nessun altro al mondo, ma, ahiloro, non militarizzato. Vicino a quella che suol dirsi società civile, al territorio. Fondato nel 1822 da chi non pensava a repressione dei subalterni, ma a salvaguardia e promozione di chi non ha voce, animali, terra, piante, acque, faceva la cosa più importante di tutte, quella che nessuno nel Belpaese fa: prevenzione. Ed era composto da gente preparata, onesta, appassionata. E che perciò dava fastidio e doveva morire.

Hanno iniziato a ucciderla a fine anni ’80. Ricordo un mio servizio sul Parco Nazionale dello Stelvio, il primo d’Italia, uno dei più antichi d’Europa. Ci arrivai che, con lacrime invisibili negli occhi, i Forestali svuotavano armadi, impacchettavano dossier, chiudevano gli uffici, partivano. Un decreto gli aveva tolto il compito di vegliare sul parco e l’aveva affidato ai palazzinari e bracconieri delle tre province che ambivano a saccheggiarlo: Lombardia, Trentino, Alto Adige. Oggi è rimasto integro solo questo’ultimo pezzo, sudtirolese.



A decretarne la morte definitiva è stata la superesperta di ambiente e amministrazione pubblica Marianna Madìa. Il decreto Sblocca Italia aveva già tolto di mezzo le soprintendenze ai beni culturali, a che servivano nel paese del 40% del patrimonio artistico mondiale, essendoci una Madia? E, per la valorizzazione, un Briatore, un Ciancimino, un Fuksas? La messa a disposizione delle solite torme di ratti, tipo costruttori all’Aquila, viene completata dalla Madia che, all’insaputa di ogni principio di razionalità ed efficienza, ma alla saputa di speculatori e predatori, elimina il CFS incorporandolo nei più “affidabili” carabinieri. Con i Vigili del Fuoco sotto organico perenne e gravemente sottodotati, i due corpi a cui è affidata la salvaguardia del nostro territorio violato e sgretolato, sono ridotti alla ragione di Stato, di questo Stato. E così i geologi, scienziati di cui l’Italia avrebbe bisogno più dei perfettamente inutili suoi 322mila soldati. Sono troppi, costano troppo. Possiamo spendere 15 miliardi di euro per 90 scarcassoni chiamati F35, che tutti gli altri cancellano. Possiamo regalare 20 miliardi alle banche perché si salvino dalle proprie ruberie e regalie. Sarebbero 35 miliardi con i quali si riaggiusterebbe metà del nostro territorio dissestato e reso stragista. Se i nostri burattini scegliessero diversamente, chi li farebbe lavorare più appesi ai fili?



La meglio Protezione Civile

E così non solo prevenzione nulla e abusi a gogò, allarmi ignorati da prefetti, ritardi surreali nei soccorsi, turbine antineve rotte e non riparate, strade vitali per le emergenze sepolte e nè manotenute, né sgomberate (le province che se ne occupavano abolite pure quelle), gente in tenda sotto tonnellate di neve e tra macerie non rimosse a cinque mesi dal primo sisma, tramvate contro la realtà cialtronesca di regime di un capo dello Stato che biascica “non vi abbandoneremo”. Ma nulla ricorda degli 8000 km di ferrovia, della rete allora migliore d’Europa, tagliati come rami secchi per far posto alla gomma e ai carburanti dei compari. Treni che, aprendosi la strada con i rostri anche nella neve, collegavano tutti quei borghi che oggi si sono visti irraggiungibili. Ma anche tre elicotteri della Guardia Forestale che avrebbero potuto intervenire sull’albergo-tomba di Rigopiano, ma sono rimasti fermi perché la Madia non aveva ancora provveduto a emanare i decreti attuativi necessari l passaggio di consegne ai carabinieri. E tutti ad applaudire gli “eroici vigili del Fuoco e il Soccorso Alpino”, compresi quelli che non fanno che togliere di mezzo l’importuno intralcio alle magnifiche sorti e progressive di crescita e sviluppo.

Spasmi di rabbia e crampi di pena a vedere vagolare in una panorama tutto bianco che, solo al suo apparire sullo schermo cerchi una coperta, animali morituri. Mucche, pecore, maiali, conigli, che non sono solo l’economia della regione, senza i quali la regione si spopola e muore e poi viene giù. Sono creature senzienti, affettive, sofferenti, moriture, disperate, morte di freddo, di fame, di solitudine. Questa combutta di inetti e irresponsabili, cui le nevicate straordinarie erano state anticipate, non ha saputo predisporre, mica casette di legno o container attrezzati, ma semplicemente stalle, quattro assi e una tettoia, per salvare chi vive soffrendo l’indicibile e chi ne vive e annega nella disperazione. Siamo una landa desolata, un paese desertificato nella natura, nell’intelligenza, nell’onestà. A che servono i Forestali in un deserto?

Serbi da morire. Stavolta li ammazziamo di migranti



Se sollevo lo sguardo, passo attraverso la parte delle lenti bifocali che fa vedere lontano. Capita che si veda fino a Belgrado. Come, dopo tre lustri di pudica, prudente, cecità sul corpo di reato, sta succedendo in questi giorni a tutti. Vedono fino a Belgrado. Ma non vedono Belgrado. Vedono migranti al freddo. L’ho già ricordato altre volte, ma oggi c’è lo spunto per ripercorrere il ricordo: era la mattina del 24 marzo 1999, con il concorso di pacifinti alla Sofri e Langer, preti, dirittumanisti, giornalisti venduti o imbecilli, furbacchioni, mercenari Nato di Al Qaida, spie e delinquenti, avevano già sbranato la massima parte della Jugoslavia e si apprestavano all’esecuzione di quanto restava, nonostante tutto, orgogliosamente in piedi. La Serbia. Avevano già fatto pulizia etnica a migliaia di morti ammazzati e centinaia di migliaia di sradicati, in Kosovo, Bosnia, Krajine e si erano coperti inventando stragi serbe a Racak, Srebrenica, Vukovar.

Quella notte criminali di guerra, tra i quali il caporale di giornata D’Alema, avevano iniziato i bombardamenti su Belgrado la cui gente si ostinava a mettersi un ponte con un bersaglio sul petto a cantare canzoni. Quella mattina, in riunione di redazione, ci esaltarono l’opera di Giovanna Botteri portavoce simultaneamente di UCK e Nato e ci dissero che tutti dovremmo riferire così sull’ “intervento umanitario”. Come sempre, prima e dopo, nulla era vero, il dittatore Milosevic, gli stupri, la pulizia etnica in Kosovo, la repressione, le carceri piene di politici. Era vero il contrario. E la Serbia poteva dare esempi di democrazia e moderazione a tutta la sedicente “comunità internazionale”. Quel giorno fu il mio ultimo in Rai e il primo tutto solo e da indipendente.




A Belgrado la notte del nostro arrivo le macerie fumavano, nell’ospedale trovammo le incubatrici spente dalle bombe, così la TV di Stato, come in tutti i paesi che diffondono “fake news”, l’albergo accanto al nostro squartato da un missile, l’ambasciata cinese di fronte affettata da tre bombe, le strade ridotte in torrenti congelati di macerie. E la gente sul ponte con il Target, a cantare. Ne feci un documentario “Il popolo invisibile”. E poi un altro, “Serbi da morire”. E poi un altro, “Popoli di troppo”. Ma i miei reportage a Liberazione dopo un po’ vennero bloccati dal caporedattore Cannavò, ora a “Il Fatto Quotidiano”, e dalla vicedirettrice sotto Sandro Curzi , chihuahua di Bertinotti, Rina Gagliardi. Troppo squilibrato verso Milosevic. L’ultimo pezzo cestinato era sulle bombe a grappolo Usa su Nis e, peggio, un racconto di come bene i serbi accogliessero i rom. Rifiutarono perfino, grandi professionisti, la mia intervista con Slobo, l’ultima prima che lo arrestassero. Uscì poi sul Corriere.
Da allora, la Serbia sparì in un buco nero. Conveniva. La vergogna sotto sotto si faceva sentire. Un’Europa unita che ci dà 60 anni di pace e poi si amputa un arto. Ma la vergogna, il senso di colpa, in fondo al pozzo nero dell’anima di tutti coloro che hanno collaborato alla distruzione di Jugoslavia e Serbia, o l’hanno tollerata, riemerge adesso. E prova ad arrampicarsi dal buio della cattiva coscienza verso la luce di una maleodorante solidarietà. Quella per i profughi. Un uragano di compassione per chi agonizza al freddo, come Enrico IV, nel 1077 per tre giorni e tre notti nella neve, anche allora di gennaio, davanti al portone del castello di Gregorio VII e Matilde. Una bufera di indignazione verso “i serbi che sbarrano le porte”. Serbi come Orban, il “nazista ungherese” che, sia detto tra i denti, governa un paese che, in proporzione alla popolazione, ha il più alto numero di profughi d’Europa e il cui “muro” è un cancelletto rispetto a quello eretto in Palestina o a Calais. Lui però è cattivo, ha cacciato tutte le buone Ong di Soros, ama più Putin di Juncker. Cattivi anche i serbi una volta di più vittime di menzogne e calunnie. Come dal 1990. Come anche prima, quando Tito e Milosevic si ostinavano a tenere il paese fuori dalla camicia di forza delle superpotenze.

Una cattiva coscienza che si nasconde nella solidarietà
Sarete rimasti atterriti dall’uragano di immagini, lacrime, geremiadi, anatemi, che i media di mezzo mondo, hanno scaricato dagli schermi a proposito della tempestivamente re-innescata (ovviamente contro Trump e accoliti che schifano i migranti) rotta balcanica. Come Enrico IV, alle porte di Belgrado, o al confine serbo-ungherese, nel gelo, colonne di fuggiaschi in stracci, senza protezione, assistenza, conforto, attorno a focarelli che lottano contro bufera e nevischio, che si fanno la doccia all’aperto, con acqua di bidoni ghiacciati, bambini e donne (meticolosamente rintracciati tra un 90% di giovani maschi). Una roba, come suggerisce un acuto commentatore al mio blog, che dovrebbe evocare paragoni con l’olocausto, con le turbe di moribondi in marcia dal treno blindato alle presunte camere a gas. Ovviamente, su questa strada, Furio Colombo e la lobby sono sempre in testa.

Diversamente che da noi, anche a Roma, non c’è stato nessuno sgombero forzato, si è negoziato per trovare una soluzione che non ferisse nessuno, si sono messe a disposizione tre caserme (da noi stanno vuote), si è provveduto a fornire vestiario, cibo, calore. I cittadini di Belgrado, cui abbiamo lasciato gli occhi per piangere, si sono mossi in soccorso individuale e collettivo, come li avevo visti fare quando dal Kosovo, lacerato dalle bombe Nato e dai briganti dell’UCK, arrivavano in fuga serbi e rom.



Non hanno parlato di integrazione, di assimilazione di meticciato, e altri trucchi neocolonialisti, coloro che facevano parte del migliore esperimento di integrazione tra etnie e confessioni di una famiglia geografica e storica dallo stesso destino e progetto politico. Ma hanno fatto quel che potevano, da gente stanca, disillusa, sfiancata, mal governata (come piace ai suoi giustizieri), impoverita, demoralizzata, per continuare ad avere il mondo contro. Il mondo che gli ha troncato le gambe e chiuso il futuro. E che oggi pretende di dare lezioni di umanità. Appunto, lo stesso mondo dell’intervento umanitario a forza di bombe e bugie.

Quanto a noi, a quelli che marciano contro Trump per la soddisfazione di Obama, Hillary, signori delle guerre, dei diritti umani, dei LGBTQ, delle donne (bombardate escluse), che magnifica occasione, quella dei poveri rifugiati davanti alle mura dei soliti serbi, per nascondere i carcinomi della nostra coscienza. Per lavarla, questa coscienza, con la candeggina dell’ipocrisia.

venerdì 20 gennaio 2017

Pugnalata alle spalle del Venezuela bolivariano, parata al Senato dai 5 Stelle

Mozione presentata dal Senato da Ferdinando Casini e compari, compresi gli espulsi o transfughi dei 5 Stelle (che giustificano una volta di più in pieno la loro espulsione), zeppa dell'ignoranza di tutti i firmatari e del miserabile livore dei reazionari e burattini degli Usa, fondata su tutte le mistificazioni e falsità fornite dalle centrali imperiali della disinformazione e destabilizzazione, di fronte al successo di un processo di liberazione ed emancipazione dalla morsa colonialista e imperialista iniziata con Hugo Chavez e sostenuto dalla stragrande maggioranza del popolo venezuelano.

Mozione della senatrice Ornella Bertorotta e di altri senatori 5 Stelle che è riuscita a bloccare il tentato colpo di mano dei detriti centrodestristi e di esponenti del  PD e a imporre un'ampia discussione in aula martedì prossimo. Correttamente la mozione dei 5 Stelle contrappone al quadro strumentale e mistificatorio tracciato dai firmatari della mozione anti-Venezuela una realtà venezuelana di interventi, senza precedenti in Sudamerica, a favore delle classi deboli, con un riscatto ugualmente senza precedenti su tutti piani dei diritti e dei bisogni del popolo. Realtà di giustizia sociale all'origine della reazione, anche golpista, di un ceto di parassiti predatori sostenuti da chi, all'estero, si sente minacciato dal modello venezuelano. La mozione insiste sulla cessazione delle interferenze straniere che violano la sovranità e l'autodeterminazione del paese, registra le vere cause dell'attuale malessere, in parte dovuto alla corruzione diffusa, al dilagare della criminalità e, in prima istanza, al sabotaggio della grande distribuzione privata che ha in parte neutralizzato un'adeguata possibilità di alimentare la popolazione attraverso i canali pubblici. Preoccupata per le conseguenze della crisi ad arte innescata dai nemici della rivoluzione bolivariana, sui nostri concittadini in Venezuela e sulla popolazione tutta, la mozione sollecita un ritorno al dialogo attualmente boicottato dall'opposizione e una pacificazione che permetta al Venezuela di riprendere il suo cammino di riscatto sociale.
Fulvio 

ORDINE DEL GIORNO
Giovedì 19 gennaio 2017
744a e 745a Seduta Pubblica
alle ore 9,30
Discussione di mozioni sulla crisi del Venezuela (testi allegati)
alle ore 16
Interrogazioni a risposta immediata ai sensi dell'articolo 151-bis del Regolamento al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare su: - problematiche connesse all'inquinamento atmosferico; - gestione del ciclo dei rifiuti, con particolare riferimento alla bonifica dei siti di interesse nazionale.

MOZIONI SULLA CRISI DEL VENEZUELA
(1-00709) (17 gennaio 2017) CASINI, CORSINI, MINZOLINI, PEGORER, RAZZI, SANGALLI, SCHIFANI, VERDUCCI, ZIN, GIANNINI, MOSCARDELLI, SCALIA, PUPPATO, MARAN, CALEO, CUOMO, ANGIONI, DE BIASI, CANTINI, SONEGO, D'ADDA, PEZZOPANE, LAI, RUSSO, CHITI, FILIPPIN, PAGLIARI, SUSTA, DE PIETRO, COMPAGNA, LANIECE, ROMANO, BATTISTA, ORELLANA, LONGO Fausto Guilherme, FRAVEZZI, PANIZZA, ZELLER, BERGER, BUEMI, LIUZZI, BIANCONI, DI BIAGIO, ALBERTINI, CONTE, TORRISI, ROSSI Luciano, D'ASCOLA, AMORUSO, GAMBARO - Il Senato, considerato che: da quasi 3 anni il Venezuela attraversa una profondissima crisi economica, sociale e politica; negli ultimi mesi la crisi economica si è ulteriormente aggravata, principalmente a causa delle scelte del Governo, con il peggioramento di tutti gli indicatori e il raddoppio del tasso di povertà; l'aumento esponenziale del tasso di criminalità ha reso il Venezuela uno dei Paesi più pericolosi del mondo; nonostante una crisi umanitaria sempre più grave, caratterizzata in particolare da carenza di cibo, di medicinali e di dispositivi medici, il Governo ostacola l'ingresso nel Paese di aiuti umanitari e le diverse iniziative internazionali, anche non governative, di sostegno alla popolazione; la preoccupazione nei confronti della situazione venezuelana è condivisa dalla comunità internazionale, a partire dall'Unione europea, dalle Nazioni unite, dall'Organizzazione degli Stati americani e dal G7; la proclamazione dello "stato di eccezione ed emergenza economica" attribuisce al Governo poteri straordinariamente estesi in ogni ambito, con un'inaccettabile restrizione delle garanzie costituzionali e dei diritti civili e politici; la separazione tra i poteri, essenziale in uno Stato di diritto, soffre una grave limitazione, considerando il forte controllo che il Governo esercita nei confronti degli organi giudiziari, del Consiglio elettorale nazionale e in particolare del Tribunale supremo; le attribuzioni costituzionali dell'Assemblea nazionale, organo del quale l'opposizione democratica detiene la maggioranza, sono sistematicamente violate, attraverso decisioni, sia del Governo che del Tribunale supremo, che impediscono lo svolgimento delle sue funzioni legislative e di controllo ed hanno creato le premesse per l'approvazione da parte dell'Assemblea di atti che aggravano ulteriormente la frattura istituzionale in atto; altissimo è il numero delle persone in prigione, agli arresti domiciliari o in liberta vigilata per ragioni politiche, tra cui esponenti politici di primo piano, come Leopoldo López, Antonio Ledezma e Daniel Ceballos; nonostante le rilevanti concessioni dell'opposizione (che ha rinunciato, di fatto, a proseguire l'iter per l'indizione del referendum revocatorio), il dialogo politico, avviato anche grazie alla mediazione vaticana, appare bloccato e rischia di essere utilizzato dal Governo in termini puramente dilatori; in Venezuela vive una numerosa comunità di origine e di cittadinanza italiane, che condivide le privazioni, l'insicurezza e il clima di intimidazione, in cui versa gran parte della popolazione; le imprese italiane che operano nel Paese soffrono fortemente la situazione di crisi economica e di tensione politica, nonché l'atteggiamento di scarsa collaborazione del Governo, anche in relazione ad una posizione creditizia complessiva ormai insostenibile (stimata attualmente in circa 3 miliardi di dollari), impegna il Governo: 1) ad adottare con urgenza ogni iniziativa utile, anche in sede di Unione europea e in collaborazione con gli organismi internazionali, per ottenere dal Governo venezuelano un atteggiamento costruttivo per superare la situazione critica in cui versa il Paese; per impegnarlo a ripristinare la separazione dei poteri e salvaguardare le attribuzioni dei diversi organi costituzionali; per favorire un dialogo effettivo e stringente tra i diversi livelli di Governo, l'opposizione democratica e la società civile; per ottenere la liberazione di tutti i prigionieri politici; 2) ad adottare con urgenza ogni iniziativa utile, anche in sede di Unione europea e in collaborazione con gli organismi internazionali, per alleviare la grave crisi umanitaria del Paese, in particolare a favore dei soggetti più deboli della società; 3) ad approntare un piano straordinario di assistenza ai connazionali residenti in Venezuela, anche attraverso un rafforzamento delle nostre strutture diplomatico-consolari; 4) a continuare a sostenere i legittimi interessi delle imprese italiane che operano nel Paese e vantano crediti nei confronti del Governo.  (1-00712) (18 gennaio 2017) BERTOROTTA, PETROCELLI, LUCIDI, DONNO, SANTANGELO, CAPPELLETTI, SERRA, ENDRIZZI, MORRA, GIARRUSSO, LEZZI, GAETTI, CIOFFI, PUGLIA, PAGLINI - Il Senato, considerato che: da almeno 2 anni il Venezuela vive una forte crisi economica e politica principalmente a causa del crollo dei prezzi del petrolio, con il peggioramento di tutti gli indicatori economici; l'aumento esponenziale del tasso di criminalità ha reso il Venezuela uno dei Paesi più pericolosi del mondo, insieme al Messico, dove gli eccidi indiscriminati sono all'ordine del giorno; il Governo fronteggia il fenomeno del mercato nero e dell'indisponibilità, da parte delle grandi aziende distributrici, a mettere in commercio prodotti alimentari, principale causa della carenza di beni di prima necessità; la situazione è aggravata anche dalla corruzione endemica della pubblica amministrazione venezuelana, che erode consenso alle istituzioni e polarizza ulteriormente le fazioni su posizioni estreme; la situazione venezuelana è oggetto di indebita ingerenza da parte della comunità internazionale, a partire dall'Unione europea, dalle Nazioni unite, dall'Organizzazione degli Stati americani e dal G7; la proclamazione dello "stato di eccezione ed emergenza economica" attribuisce al Governo poteri straordinariamente estesi, nel tentativo di affrontare la crisi economica e la destabilizzazione, anche internazionale, verso il Paese latino americano; la FAO ha premiato il Venezuela per l'impegno dimostrato nel combattere la fame nel Paese, in riferimento al programma "Misión Alimentación", istituito dal Governo nel 2003. Secondo le statistiche ufficiali, il programma è riuscito a distribuire circa 26,5 milioni di tonnellate di prodotti alimentari, arrivando a garantire il 95,4 per cento dei venezuelani con più di 3 pasti al giorno; sono stati compiuti progressi anche nei campi dell'istruzione di massa (l'Unesco ha dichiarato il Venezuela Paese libero dall'analfabetismo nel 2005), dell'assistenza sanitaria, attraverso il programma "Barrio Adentro", che ha permesso la costruzione di più di 13.000 centri medici di varie tipologie, nel campo della distribuzione dell'acqua potabile, rifornendo circa il 95 per cento della popolazione; in Venezuela è presente una numerosa comunità di origine e di cittadinanza italiana, che vive un profondo sentimento di abbandono da parte dell'Italia; dal maggio 2014, Alitalia ha sospeso i voli da Roma per Caracas, isolando di fatto i nostri connazionali, che sono costretti a fare scalo in Spagna, aumentando considerevolmente i tempi e i costi di spostamento per raggiungere il nostro Paese; l'INPS ha penalizzato i pensionati italiani in Venezuela, attraverso il versamento delle pensioni con un cambio sfavorevole; dall'elezione del presidente Chavez, il Paese vive una contrapposizione infruttuosa tra maggioranza e opposizione e, più in generale, tra classe imprenditoriale e Governi succedutesi dal 1998 in poi, che hanno portato ad un tentativo di colpo di stato nel 2002, i cui responsabili hanno però ottenuto l'amnistia dal Governo dell'epoca; ad un anno dalla morte di Ugo Chavez, stroncato da un fulmineo cancro nel 2014, il Paese ha conosciuto un forte periodo di instabilità, con manifestazioni e scontri, noti come "guarimbas", che hanno causato la morte di decine di persone, tra cui molti membri della Polizia; in risposta a queste manifestazioni, il Governo ha incarcerato centinaia di persone, accusate di essere responsabili di gravi fatti di sangue, interruzione di pubblici servizi, danneggiamenti e incendi di strutture pubbliche, omicidi mirati o veri e propri attentati terroristici; il Paese sudamericano ha vissuto una turbolenta vita politica fatta di colpi di stato e repressione dell'opposizione che, solo dagli anni sessanta in poi ha permesso il ritorno alla vita democratica, seppur con pesanti ingerenze straniere e delle élite economico-finanziarie, che hanno aumentato la povertà negli strati più deboli della popolazione venezuelana; la contrapposizione tra le fasce più ricche e quelle più povere della popolazione e il boicottaggio delle azioni governative hanno causato un ulteriore aumento delle esposizioni debitorie e generato diffidenza presso gli investitori internazionali; il protrarsi di tale situazione rischia di coinvolgere la comunità italiana nel Paese, in un più generale clima di scontro, anche armato, tra le parti, che non porterà al miglioramento delle condizioni di vita dei nostri concittadini e dei cittadini venezuelani; la recente visita del presidente venezuelano Nicolas Maduro a papa Francesco del 24 ottobre 2016 ha avviato una nuova fase di colloqui di pace, volti a favorire una mediazione tra governo e opposizione e finalizzata al ripristino della pace sociale e della cooperazione tra le parti nell'interesse di tutto il popolo venezuelano; le imprese italiane che operano nel Paese soffrono fortemente la situazione di crisi economica e di tensione politica, anche in relazione ad una posizione creditizia complessiva ormai insostenibile (stimata attualmente in circa 3 miliardi di dollari); il 20 maggio 2014 il Sottosegretario di Stato pro tempore per gli affari esteri, Mario Giro, in relazione alla crisi venezuelana, sosteneva il dialogo tra Governo e opposizione, facendo eco al Ministro pro tempore degli affari esteri, Federica Mogherini, che sosteneva "Credo che non ci sia altra strada percorribile se non quella di sostenere questo difficile sforzo di dialogo nazionale", impegna il Governo: 1) ad avviare un dialogo con il Governo venezuelano, nel pieno rispetto del principio di non ingerenza negli affari interni di altri Stati, al fine di tutelare la sicurezza e il benessere dei cittadini venezuelani e in particolare degli Italo-Venezuelani; 2) a rigettare con forza qualsiasi posizione oltranzista e ogni pratica violenta, supportando, con ogni mezzo necessario, l'iniziativa di pace della Santa Sede; 3) a chiedere a Caracas di aumentare le misure di sicurezza a protezione della comunità italiana, predisponendo quanto necessario a garantire una vita tranquilla agli italo venezuelani nel Paese; 4) a chiedere all'opposizione venezuelana di fare quanto possibile per isolare i violenti e ripristinare le condizioni di dialogo nell'interesse del popolo venezuelano; 5) ad avviare una contrattazione per ripristinare i voli aerei da e per Caracas dal nostro Paese, agevolando i nostri concittadini nel Paese latino americano, anche con tariffe scontate; 6) a sostenere procedure di pagamento dei crediti vantati dalle imprese italiane anche attraverso contropartite in petrolio, di cui il Paese è particolarmente ricco e i cui prezzi sono in ripresa, permettendo così il recupero delle ingenti somme vantate dalle nostre imprese in tempi più rapidi.

ISIS E ANTI-TRUMP: STESSO MANDATO STESSI MANDANTI - Mentre utili idioti e amici del giaguaro marciano contro Trump, Obama avvelena i pozzi in Siria


"Molte delle celebrità che dicono di non andare (all’insediamento) non erano mai state invitate. Non voglio le celebrità, voglio il popolo, è lì che abbiamo le più grandi celebrità”. (Donald Trump)

“E’ stupefacente e anche un po’ disgustoso vedere quanti cagnetti profumati da salotto si sono messi con il branco di rottweiler a sbranare un botolo che aveva appena cominciato ad abbaiare”. (Ernesto bassotto)

Mercenari professionisti
Titolo spiazzante, anzi scandaloso? Vediamo. A cosa vengono impegnati i jihadisti delle varie formazioni mercenarie impiegate in Medioriente (ora anche in Asia e Africa e individuati come attentatori in Occidente)? A mantenere e allargare il dominio, a fini di controllo e sfruttamento, su zone del mondo ricche di risorse, e/o di importanza strategica, e/o la cui sovranità e autodeterminazione costituiscono ostacolo alla globalizzazione Usa, UE e Israele e rispettivi clienti, a volte collusi a volte collidenti, perché ne spuntano gli strumenti armati e/o economici. E, a parte la logica del cui prodest, a chi riconducono, con mille documenti, prove, ammissioni, queste formazioni? Le hanno pagate e rifornite sauditi, turchi, qatarioti, giordani; le hanno armate turchi, israeliani, Usa e Stati Nato; le hanno rastrellate in giro per il mondo i servizi di intelligence e le Forze Speciali di queste entità. Senza questo retroterra e i cordoni ombelicali ad esso connessi per vitto, mezzi, armamenti, soldo, la Jihad non durerebbe e non si espanderebbe dal 2011, ma si sarebbe estinta nel giro di settimane. Ve lo dicono Von Klausewitz e Sun Tsu.

Mo’ chi ha pensato, elaborato, spinto ed esasperato tutto questo a partire dall’11 settembre 2001? Chi, da un lato, aveva stabilito in piani ufficiali (Oded Yinon, Israele 1981) che, per il Grande Israele, occorreva frantumare in bantustan etnocentrici e settari gli Stati-Nazione arabi. E chi, dall’altro, ma in consonanza, nel cammino verso un dominio mondiale unipolare, di Stati-Nazione progettava di farne fuori tutti, tranne il suo e quello dei più stretti parenti. Si chiama, dai tempi di Lenin, imperialismo, fase suprema del capitalismo. Ma di mezzo c’erano Russia e Cina, ammazzate che schiacciamento di minchia.

La “guerra al terrorismo”, che si apre con l’innesco delle Torri Gemelle fatte saltare dall’interno e dal Pentagono bucato con un missile, ha una miccia lunga che parte dalla fine del secolo precedente. Quando una cabala di psicopatici, in massima parte talmudisti all’orecchio di Israele, formula il PNAC, il Progetto per un Nuovo Secolo Americano. Sono la squadra messa insieme dalla Cupola dell’1% perché faccia dell’ “eccezionalismo”” eugenetico nordamericano la Weltanschaung e del suo apparato militare da un trilione di dollari lo strumento materiale per la conquista del pianeta e la rimozione dki tutto ciò che vi si frappone o contrappone. La Russia, passata dal “tana liberi tutti” di Eltsin a essere l’antagonista globale con Putin, entra nel centro del mirino PNAC. Tanto più quando si intromette in Medioriente e fa volare le scartoffie neocoloniali e nella marca imperiale Europa, rapita e stuprata dal padre Zeus a stelle e strisce fin da quando l’aveva proclamata “liberata” nel 1945, la Russia diventa partner strategico per l’energia e non solo.

Repubblicani e Democratici per Ia Cupola pari son
In preparazione alla resa dei conti sul campo di battaglia, i neocon, la cui strategia la Cupola fa attuare via via, indifferentemente, dai presunti antagonisti repubblicani (Bush) e democratici (Obama), vero Giano bifronte scolpito dalla Cupola, vengono messi in pratica iniziative e strumenti propedeutici. Difensivi in Europa, dove si tratta di impedire lo smantellamento dell’omologa costruzione vassalla UE per mano di chi, tra le macerie economiche, sociali ed antidemocratiche di questa struttura corrottissima e criptocoloniale, sviluppa nostalgie “populiste” per la propria sovranità fondata sulle costituzioni democratiche sorte dalla lotta antifascista. Offensivi, dove lo Stato-Nazione c’è e alberga anticorpi robusti allo sgretolamento. Ed è il caso di paesi come quelli emancipati latinoamericani, l’Afghanistan, l’Iran, l’Ucraina, l’Egitto, l’Algeria, Nigeria, Brasile, e tanti altri, tutti quelli su cui sarebbe prematuro, inopportuno, disagevole, intervenire militarmente, ma dove è necessario e urgente destabilizzare. Tanto più urgente quanto più, nei tempi recenti e di fronte all’aggressività USraeliana, tutte queste realtà statuali, sotto la spinta dei rispettivi popoli, si orientano sempre più via dall’Occidente e in direzione Russia e Cina, aumentando le criticità dei progetti PNAC e Oded Yinon.


Ci sono spie tra noi
Dove non è utilizzabile lo strumento terrorista siamo alle rivoluzioni colorate, a insostenibili immigrazioni di massa, a colpi di Stato parlamentari, a sanzioni e sabotaggi economici. Vengono creati e messi in campo strumenti di grande potenza finanziaria e capacità mimetica. Alle vecchie fondazioni Ford, Rand, Rockefelleer, ai Think Tank come il Council of Foreign Affairs, gli Istituti Repubblicano e Democratico, si aggiungono vetrine umanitariste a direzione occulta Cia come USAID, National Endowment for Democracy, Amnesty International, Human Rights Watch, Save the Children, Medici e Reporter Senza Frontiere, Avaaz…. Più dinamico e scaltro di tutti, un criminale della speculazione finanziaria ai danni di paesi da spolpare (Italia dal 1992), l’ebreo ungherese-statunitense George Soros, con la sua Open Society Foundation mirata a gabbare, con mille succursali locali, giovani ansiosi di carriera. Soros si potrebbe dire la piovra globale, da cui tentacoli si sviluppano tanti polipi e polpetti sotto forma di scuole, università, centri studi, ONG dei diritti umani, organizzazioni mediche, gruppi mmediatici, associazioni dei diritti civili, ecologisti, pacifisti, soccoritori di migranti, PR e giornalisti infestanti come l’edera nei boschi abbandonati, o i pidocchi alle elementari di qualche tempo fa. Nel Kosovo sulla via della secessione costruisce università, nel golpe di Kiev finanzia nazisti, in Siria, a Sarajevo, o in Irlanda del Nord, s’inventa “costruttori di pace” che minino la lotta di liberazione.

Collaborazionisti “dilettanti”
E dunque torniamo al titolo così scandaloso. A cosa puntano in questi giorni, e con quali mandanti e strumenti, coloro che in piazza si agitano, negli Usa a livelli autenticamente eversivi, in Europa in rete, in Germania con marce e marcette (una addirittura, fuori tempo massimo e già arenata, da Berlino ad Aleppo “da salvare”) contro l’insediamento del presidente eletto statunitense? Si intravvedono i tentacoli della nota piovra, sono spuntati i soliti polipi e calamari? Insomma, sono gli stessi del PNAC, dell’11/9, delle varie primavere inventate (Siria, Libia, Serbia), o contaminate e pervertite (Egitto, Tunisia)? Anziché di petto, ti devono prendere alle spalle. Sono la versione soft dei terroristi deti islamici. Supporlo, sospettarlo, arrivare ad affermarlo? Anatema! A me pare invece che lo si debba supporre ed affermare. Li ritrovi oggi in rete a sparare a palle incatenate contro Trump, senza alzare un ciglio sui trascorsi di Hillary e Obama, li ritrovi in piazza a Berlino a gettare il cuore oltre l’ostacolo della trumpizzazione universale, promettono di diventare milioni contro la Casa Bianca per mandare all’aria l’insediamento e, magari, lo stesso Trump.

E scopri che sono gli stessi che da edicole e schermi, in assemblee e convegni, in marce e presidi si manifestano per il martire Giulio Regeni (alla faccia del suo provato lavoro al servizio di una manica di rinomati assassini e spioni angloamericani); contro i serbi e ungheresi infami che fanno gelare gli afghani alle porte delle città (l’Ungheria ha il più alto tasso di rifugiati rispetto alla popolazione di tutta Europa; la Serbia non ha che gli occhi per piangere dopo il passaggio del rullo Nato); che invitano migranti a milionate, ma non sognano di mobilitarsi contro coloro che li cacciano di casa. Per la maggiore gioia di datori di lavoro sottocosto e di quelli cui interessa tenere l’Europa sotto schiaffo; che, trasudando diritti umani, dall’alto della loro civiltà superiore, spappagallano di dittatori e tirannie in paesi di cui nulla sanno e i cui popoli disprezzano; per i quali, cittadini di paesi governati da ladri, mafiosi, corrotti, guerrafondai bombaroli, con primati di femminicidi, servilismo mediatico, Putin è omofobo, misogeno, sessista, autocrate, zar; che, all’ombra di belve umane come Thatcher, Hillary, Condy Rice, Madeleine Albright, Samantha Powers e loro capisala come Mogherini, Pinotti, Bonino, distolgono dallo scontro di classe e lacerano la comunità giurando sulla “matrice virile della violenza” e che sessismo, razzismo, nazionalismo, guerra, stermini di interi popoli, devastazioni e stupri non esisterebbero senza i maschi: guerra tra i generi che ha lo stesso scopo della guerra tra poveri.
Sono sempre gli stessi che su Aleppo Est invasa e occupata da tagliagole di Al Qaida e Isis, guidati e coordinati dai servizi di Nato, Israele, Turchia e Golfo, hanno per mesi guaito sulle fandonie dei 250.000 bambini sotto le bombe (Save the Children), su un numero incredibile di ospedali distrutti, su un genocidio in atto con bombe a grappolo e bombe-barili, dimenticando che Aleppo libera veniva colpita indiscriminatamente da razzi, mortai e cecchini, che chi fuggiva da Aleppo Est veniva mitragliato, che i corridoi per i soccorsi allestiti dai russi venivano bloccati. E ignorando di come la città interamente liberata sia tornata a vivere nella gioia della libertà, a essere ricostruita, a vedere il rientro dei rifugiati. Soprattutto ignorando chi di questa immane tragedia, diabolicamente inflitta per sei anni ad Aleppo e a tutto un popolo, porta la responsabilità.

Lo sconfitto e la sua banda avvelenano i pozzi prima di andarsene.: mattanza obamiana a Deir Ez Zor

Sono ancora gli stessi che, manifestando e marciando contro le futuribili ipotetiche cattive azioni di Trump, tengono la testa sotto la sabbia di fronte all’ultimo massacro del regno di Obama che si sta verificando a Der Ez Zor, nell’est della Siria, dove una guarnigione di alcune migliaia di soldati siriani e centomila civili resistono da tre anni all’assedio dei terroristi. Terroristi Isis ora rinforzati dall’afflusso dei jihadisti in fuga da Mosul, reso possibile dalla collaborazione dei lanzichenecchi curdi al servizio degli Usa e dai bombardamenti Usa sulle difese di Deir Ez Zor e sul suo aeroporto. Aeroporto reso impraticabile e dal quale il governo non riesce più a far arrivare rifornimenti alla città. La centrale elettrica è stata distrutta dalle bombe della coalizione a guida Usa, la gente sta al buio, gli ospedali sono fermi. L’esercito siriano sta a 100km di distanza, impegnato a Palmira e non potrà impedire che Deir Ez Zor cada nelle prossime ore in mano a chi compierà l’ennesima mattanza di donne, uomini, bambini, “sospettati di aver collaborato col regime” e, naturalmente, non si priverà delle consuete atrocità sui soldati.
Collaborazionisti a voucher
Nel momento in cui l’Europa è attraversata da ordigni e apparati di guerra in direzione Russia, come non si erano mai visti dal 1945, l’associazione tedesca “No-to-Nato”, una coalizione di gruppi antiguerra, indice per il 20 gennaio, giorno dell’insediamento di Trump, una grande manifestazione a Berlino contro Trump, “per lo svuotamento della democrazia a vantaggio delle multinazionali, contro la violenza del nazionalismo (anti-UE), la violenza sui rifugiati, i cultori delle frontiere, la diseguaglianza sociale, la corruzione, gli indifferenti al cambio climatico e quelli del profitto sopra tutto”. Tutte cosacce attribuite a Trump, prima ancora che abbia messo piede nella Casa Bianca. Si dicono No-to-Nato, ma di Obama, che ha potenziato, esteso e armato la Nato come mai prima, che ha autorizzato il fracking inquinante e sismagenico, che ha fatto 7 guerre e con droni e sanzioni ha ammazzato più gente di tutti i suoi predecessori, che provoca la Russia fino alla catastrofe per mettere i ceppi all’autodeterminazione degli europei, che ha espulso più migranti di ogni presidente Usa, non dicono niente.

Negli stessi giorni dell’insediamento del “mostro partorito da Putin”, 20 e 21 gennaio, a Washington è indetta la manifestazione di 1 milione di anti-Trump e la consanguinea marcia di 200mila donne (con pronta adesione anche di Italia, Grecia e altri paesi devastati da Obama e subalterni) contro sessismo, misogenia, xenofobia, razzismo e ogni altra nefandezza di cui il neopresidente trasuda. La convocazione, le parole d’ordine, la piattaforma, gli strumenti organizzativi per queste iniziative sono diretta emanazione del “American Friends Service Committee”, gruppo direttamente finanziato da George Soros. Il cui vessillo di vecchio corruttore di ingenui dirittoumanisti e di Grande Vecchio dei marpioni del globalismo, svetta su diritti civili, femminismo, LGBTQ e gay nell’esercito, abolizione delle frontiere, accoglienza di rifugiati, denuncia del traffico d’armi, abbattimento di dittatori, democrazia da espandere. Valori degni in sé, chi non li riconoscerebbe, ma ridotti in moneta falsa con la quale ottenere il silenzio, l’oblio, su guerre, sanzioni, genocidi, devastazioni di società e relativi carichi e oneri sulle donne, distruzione di nazioni.

Così predicano i media trovatisi nudi senza padrone e così raccomanda Soros alle sue star e starlet dello spettacolo e dall’abissale ignoranza, Trump e Putin sono due cavalieri dell’Apocalisse di cui gli europei faranno bene a non fidarsi, visto che vorrebbero mettersi d’accordo a detrimento irrimediabile per gli europei, vivi e democratici solo con Obama, Hillary e l’ombrello Usa-Nato. E difatti le chiassate europee di tutta questa brava gente di pace e diritto umano coincidono con quelle indette simultaneamente a Washington e in tutti gli Usa dalla bella compagnia che unisce Obama, Hillary, la Cia, il complesso militar-securitario-industriale, Wall Street, la lobby talmudista globale, e tutto l’apparato delle 16 agenzie di intelligence che con Bush e Obama si sono potuti dare alla politica e spadroneggiarvi democraticamente.

Una bilancia per Trump
Immaginiamo due piatti della vecchia bilancia da fruttarolo. Su un piatto, diciamo quello di destra, mettiamo le sparate di Trump sui migranti, sul muro messicano, sulle donne da palpare, sui musulmani da bloccare, i suoi generaloni in pensione, i suoi petrolieri che negano l’effetto serra, i suoi reduci da Goldman Sachs, le promesse a Israele, le minacce all’Iran e alla Cina.

Sull’altro, quello buono, di sinistra, mettiamo, le pedate ai giornalisti comprati e venduti del New York Times e affini, la mano offerta alla Russia anche per combattere insieme, anziché il legittimo governo siriano, i terroristi che Trump sa essere stati inventati e diffusi da quelli dell’11 settembre, l’elogio al sacrosanto Brexit e ai cittadini europei che si risvegliano, e che qualcuno, odiando i popoli, chiama populisti, i livore talmudista, i pernacchi ai capisala imperiali Merkel e Hollande, il marchio di obsoleta alla Nato, la cancellazione di TTIP; TTP, CESA, TISA, la gogna e i dazi ai delocalizzatori verso lavoro schiavistico. Indi il disprezzo per gli sguatteri UE dei globalisti Usa che si prostrano a chi li sta facendo invadere e sconquassare da milioni di più o meno disperati, sradicati da guerre, fame e sistemati al gelo e al fondo marino anche dai dirittoumanisti, complici dei globalisti, che gli promettono buona sorte via da casa loro. Per chiudere con la livorosa frustrazione di tutto il cucuzzaro anti-Trump, messo fuorigioco ed espropriato della cabina di comando che pilotava le più grave sciagure inflitte al pianeta dal giorno del meteorite dell’estinzione di massa. Quanto più furibonda è la collera di tutti questi, tanto maggiori sono i meriti di Trump.

Da quale parte penderà la bilancia lo vedremo. Intanto ognuno a suo gusto valuterà quel che trova sui piatti
S’è messo in marcia, in nome di Cia, Pentagono, padrini del terrorismo, lobby talmudista, mondialisti maltusiani, mafie e massonerie, stampa cortigiana, Stato Profondo, il Grande Pifferaio di Hamelin (“Der Rattenfaenger von Hameln”) George Soros. Attratti dal tappeto di sangue, ossa e pelle su cui procede, gli corrono appresso i ratti sbucati dalle fogne dell’ipocrisia e del raggiro, delle armi di distrazione di massa, del buonismo e del politically correct (vedi elenco tentacoli di Soros, per il momento senza le decine di italiani: http://www.discoverthenetworks.org/viewSubCategory.asp?id=1237 ). Ma lo seguono, ahinoi, anche i bambini di Hamelin, che non annusano il fetore, ma percepiscono il profumo di miele che piove sulle loro coscienze dalla solidarietà con i migranti ghiacciati a Belgrado, con i LGBTQ discriminati, con i rifugiati da assimilare nell’universo globale del meticciato, lontano dalle loro patrie, con le donne che se fossero al comando sarebbero solo sorrisi e coccole, con tutti quelli che sono partiti in quarta a lanciare braccia e cuori contro il l’orrendo sovvertitore del nostro sereno e felice assetto planetario.

Ragazzi che immane, che inaudito sconvolgimento di senso, di ragione, di verità! E non dateci dei trumpisti. Avremo modo, presto, di misurarci anche con The Donald, il suo parrucchiere, i suoi generali e banchieri, tutta la famigliola. Sappiamo bene che dalla Casa Bianca non è mai sceso nessuno Spirito Santo a ingravidarci.