venerdì 22 giugno 2018

HELLINIKO, disperazione ed eroismo


Manifestazione dei volontari di Helliniko

Seguito dell’articolo precedente su Grecia, Troika, migranti e ipocriti

Ho appena appreso che una delle più valide, coraggiose e utili  manifestazioni del volontariato greco, la Clinica autogestita di Helliniko ad Atene, è salva.
 Opera da quando è precipitata la crisi greca e con essa la sanità del paese, rimasta privilegio di pochi, privata di fondi, personale, mezzi, in virtù dei memorandum della Troika e della subalternità del governo Tsipras. Medici, infermieri, farmacisti e volontari di varia professionalità si sono impegnati a sopperire, per quanto possibile e con  l’aiuto di donatori anche stranieri, alle spaventose carenze della sanità pubblica fornendo tutti i servizi clinici e farmacologici a un numero incalcolabile di pazienti senza mezzi.

Ho descritto questa situazione e lo straordinario lavoro di questi miei generosi amici nel documentario “O la Troika o la Vita”.

 A inizio giugno agli operatori di Helliniko era stato intimato lo sgombero entro la fine del mese onde consentire ai proprietari dei terreni di rientrarne in possesso ai fini evidenti di una speculazione edilizia. Un soprassalto di coscienza del governo ha impedito questo esito scandaloso e tragico per le migliaia di persone soccorse. Agli eroici operatori di Helliniko verranno assicurati nuovi spazi e nuove strutture. Una vittoria della Resistenza.

 Chi ne è in grado concorra a mantenere in vita questa grande espressione della solidarietà umana che è, insieme, un’implacabile denuncia dell’assalto criminale alla Grecia, al Sud d’Europa e del mondo, condotto dall’Europa delle rapine bancarie, dello sfruttamento delle risorse umane ed economiche, della distruzione dei patrimoni storici, del debito abusivo che arricchisce i pochi  e uccide i tanti, dell’arma nichilista delle migrazioni indotte, dell’annientamento di sovranità e costituzioni e delle guerre di sterminio. http://www.mkiellinikou.org/en/2018/06/21/solidarity-is-the-strongest-weapon/

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La catastrofe della sanità e i suoi eroi
Polixeni Papalexi, farmacista con studi anche in Italia, mi ha fatto da guida nel percorso attraverso l’ambulatorio Helliniko. I magazzini dei farmaci donati da mezzo mondo, i reparti pediatrico, odontoiatrico, psicologico, radiologico, ortopedico… la segretaria con migliaia di cartelle cliniche. Ha chiuso la sua farmacia per impegnarsi nel volontariato a favore di chi, in Grecia, da Bruxelles, Berlino, Francoforte e dal FMI è stato privato del diritto alla salute, spesso al diritto alla vita, sempre al diritto alla dignità. Mi spiega la sua scelta.

“In piazza Syntagma c’è un albero dipinto di rosso: simboleggia il sangue di Dimitri, un mio collega farmacista che lì davanti s’è sparato un colpo in testa. Ha lasciato una lettera al governo in cui ha scritto che, essendo troppo vecchio per combattere in un paese tradito dai suoi dirigenti, sconfitto, non voleva neanche più viverci.”

Abbiamo messo su questa cosa perché si stava disfacendo l’intero sistema sanitario pubblico. C’era da coprire medicalmente e farmacologicamente queste persone che morivano. Milioni non poteva più permettersi cure e medicine. Sosteniamo anche col latte per i bambini 350 famiglie al mese. Sono tantissimi i malati di cancro. Gli ospedali non potevano offrire terapie perché le multinazionali vendevano i farmaci a prezzi inarrivabili. Dilaga anche il consumo di psicofarmaci, siamo un popolo in depressione collettiva…
..
La mia esperienza la metto al servizio di gente che ha bisogno, è finita la storia del lucro, per tutti noi qui è una scelta di vita e, nella Grecia di oggi, è una scelta profondamente politica…

Questa crisi è stata provocata deliberatamente, sappiamo chi sono i responsabili. Ridurci a lavorare per mezzo tozzo di pane, rubarci tutto. Ed è la stessa cosa che sta avvenendo piano piano anche in Italia. La gente viene messa in condizione di non avere il tempo per pensare più di tanto, perché deve sopravvivere- E questa è la cosa più tremenda, secondo me.”

 
Intervisto il Prof. Babis Zambakis, primario del Polo Oncologico di Atene


Non c’è soltanto Helliniko con i suoi volontari. I medici ospedalieri, ridotti all’osso dalla fuga dei cervelli – tanti giovani medici greci sono oggi in Germania -  e dal negato turnover, sono straordinari, lavorano in turni impossibili, sopperiscono alle infinite carenze umane e materiali. Ho incontrato il Prof. Babis Zambakis, primario del Polo Oncologico di Atene.

“Il memorandum della Troika ci ha imposto di tagliare i costi di ogni cosa, farmaci, materiali, apparecchiature, salari, il personale, tutto. Nel mio reparto l’età media dei medici è di 56 anni, il più anziano ne ha 69. I giovani se ne vanno tutti all’estero. L’UE ci dice che nessuno di noi deve lavorare più di 48 ore, ma ora, con questa riduzione dei numeri, lavoriamo volontariamente 60 ore alla settimana. Abbiamo sempre più pazienti e sempre meno medici. Pensi  che  si è costretti a operare pazienti dopo 36 ore di lavoro ininterrotto. A volte questo è fatale, non solo per il paziente….

Negli anni passati noi greci eravamo al traino degli eventi, Ora ci hanno posto in testa agli eventi. Siamo l’esperimento e a voi toccherà dopo di noi….

Certo potremmo tutti andare nel privato, c’è ancora qualcuno che ha i mezzi per curarsi a livelli alti. Potresti farti pagare riccamente, ma a me questo fa senso. Non si diventa medici per farsi rifilare dei soldi….

Il futuro? Nessun futuro. Nel mio reparto ci dovrebbero essere 11 dottorandi. Ne ho solo due. Quando avranno fatto gli esami di specializzazione non ne avrò più nessuno…. Se vogliamo avere un futuro, dobbiamo dare lavoro ai nostri figli. Ho un figlio, voglio che lavori in Grecia, vogliamo stare qua. Non perché sarei un nazionalista. Credo che ognuno debba vivere e contribuire al paese in cui è nato”,

mercoledì 20 giugno 2018

Sovranità, nazione, patria, identità, confini .… La Destra? Accoglienza, no borders, integrazione, Europa…. La Sinistra? --- LA RISPOSTA DELLA GRECIA IN COMA (VIGILE)



Cari amici, interlocutori, compagni, ora ci sarà una pausa di qualche settimana. Forse incontrerò qualcuno di voi nelle valli o sulle pareti delle Dolomiti. Mi perdonerete la lunghezza (prolissità?) di questo testo, forse, considerando che non di quisquilie spero si tratti e che il tempo per leggerlo è da qui a metà luglio. Buon tutto.

Atene, le voci dei leader della Resistenza greca.

“Dico con tutta la forza della mia anima che il nostro paese realmente fa parte del quadro occidentale, appartiene all’Unione nEuropea, alla NATO e questo non si mette in discussione” (Alexis Tsipras, Antenna TV, maggio 2014)

Voci Bilderberg per tenere a galla i negrieri
L’altra sera ho aperto la finestra di destra del canale di Urbano Cairo, quella che la sua conduttrice e autrice definisce “progressista” alla maniera con cui il PD si definisce di centrosinistra, Saviano di sinistra tout court, Fratoianni di estrema sinistra e “il manifesto”  quotidiano comunista. Mi riferisco alla trasmissione della signorina Lilli-Bilderberg-Gruber “Otto e mezzo”, che tutte le sere e anche il sabato ci dà la misura della professionalità con la quale il giornalismo bilderberghiano e quello subordinato affrontano le questioni dirimenti del nostro tempo. Tipo gli eroi MSF di Aquarius, che ormai pescano migranti sul bagnasciuga libico, per risparmiare costi e fatiche ai colleghi in terra. C’erano i soliti tre ospiti; due a far squadra con la conduttrice, l’altro a fare da vaso di coccio, dovendosi guardare dai due lati e anche da davanti. Equilibrio divenuto fisso nelle tv, non solo della signorina Lilli, in queste temperie di terrorizzanti cambiamenti  di uno Status quo rimasto tale, con interruzioni, dal Congresso di Vienna del 1815 (restaurazione) e allargato al Sud del mondo dalla Conferenza di Berlino del 1884-5 (spartizione delle colonie).

Bilderberg e giornalismo: compatibili?


Nell’occasione, a farsi sostenere dal tacco 15, dalla tinteggiatura ramata della chioma e dalla boccuccia di rosa gonfiata dell’estasiata Gruber, testè reduce dall’annuale convention acchiappamondo della conventicola bancario-globalista a Torino, c’erano, a completare la triade “progressista”, Massimo Giannini, frammento laico, ma sanamente anti-5Stelle, di Eugenio Scalfari, santone che divide le sue devozioni tra due divinità, Bergoglio e Draghi, e tale Diego Bianchi, detto Zoro. Uno che, se non lo avete visto, siete distratti di molto, dato che nei suoi programmi quel faccione rustico, da paracomico rurale e cripto-agitprop “progressista”, lascia ad altre immagini lo spazio del raccattapalle alla finale di Wimbledon tra Federer e Nadal.  Accomunati, tutti e tre,  da una viscerale avversione ai 5Stelle, che si direbbe al limite della psicopatia, se non la si riconoscesse subito di stampo bilderberghiano. Poi c’era, fuori dal coro, Andrea Scanzi, arguto editorialista del Fatto Quotidiano.

L’argomento era Aquarius, le nefandezze di Salvini-Toninelli, l’eroismo dei soccorritori Medici Senza Frontiere, la disperazione di 630 sottratti al naufragio. E non c’era partita. Con i tre progressisti che si lisciavano il pelo  a forza di umanità, generosità, donne incinte e bambini abbandonati; con lo Zoro che innescava addirittura la bomba del Regeni torturato e ucciso  da Al Sisi, tanto per far capire che hic sunt leones: a sud del Canale di Sicilia in mano a libici ed egiziani e in quell’inferno che è tutta l’Africa (ma anche il Medioriente, l’Asia, tutto quello che non è Occidente), cosa poteva dire il povero Scanzi, fatto camminare sui carboni ardenti dei migranti a rischio annegamento?  L’occasione sarebbe stata d’oro perché i tre professionisti della comunicazione si togliessero la curiosità di conoscere, da una protagonista che c’è stata, cosa diavolo si fosse detto, letto, scritto, combinato, deciso, nella riunione dei fenomeni dotati di superpoteri, capeggiati dai Rothschild. I vertici di quell’1% dell’umanità che detiene il 48% delle risorse mondiali, di quel 10% che ne detiene l’80%, avendolo rubato a quel 50%  che non detiene una mazza (tra i quali anche 5 milioni di nostri concittadini che non hanno da mangiare, i 17 milioni che ne hanno poco, i 12 milioni che non possono curarsi).
 


Occasione sfuggita ai giornalisti ospiti, né offerta dalla giornalista ospitante. E’ la nuova caratura della categoria. Della Gruber e della qualità professionale di una che partecipa a segreti consessi di portata planetaria e poi non dice nulla a quelli che dovrebbero essere i suoi utenti, s’è detto. Su Giannini, scriba scalfarian-debenedettiano, nulla c’è da aggiungere. Zoro, fattosi una credibilità politica in testate bolsceviche come “Il Riformista”, “il Venerdì di Repubblica” e Canale 5 del Berlusca, dalla nicchia di Serena Dandini (“Parla con me”), sfottendo benevolmente le evoluzioni del PCI-PDS-DS-PD, si guadagna i galloni per una prima serata griffata buonismo ridanciano, migrazionista, femminista, genderista, antipopulista, di alto gradimento sorosiano. Con Mattarella, dopo il noto episodio di sapore golpista, si complimentano a vicenda di aver salvato l’Italia.

Mi sono dilungato su questo esempio di impeccabile deontologia perché si tratta di una mera tessera, neanche tanto clamorosa, nel mosaico urlante dei media, cioè dei padroni dei media, compostosi nei giorni  in cui la chiusura dei porti ai negrieri del moderno schiavismo coincideva con l’epifania nei cieli d’Italia del sole Soros, maitre à penser et à financier  del fenomeno migrazioni. Uno schiavismo frutto del nuovo colonialismo che non occupa più terre, ma ne estrae le ricchezze e non deporta più persone, ma  le induce ad autodeportarsi e poi le convoglia dove servono meglio. Magari là dove, per abbattere le anacronistiche pretese di diritti, sovranità, pane e libertà degli autoctoni, c’è bisogno  dei collaudati eserciti industriali (logistici e agricoli) di riserva.

Licantropi in veste di agnelli


Il raziocinio, la chiaroveggenza, la memoria storica degli italiani è stata travolta in questi giorni da uno strapparsi i capelli e un lacerarsi delle vesti sulle scelleratezze anti-migranti tali da rendere bisbigli gli strepiti di 20 secoli di prefiche calabresi. Il parossismo dell’ipocrisia nel quale, ancora una volta, eccelleva “il manifesto” (sostituto volenteroso della defunta “L’Unità” nella disinformazione umanitarista pro-PD), con metà del giornale dedicata  a santificare i negrieri Ong e l’altra a sostegno delle operazioni Cia-Soros anche in America Latina (Nicaragua) e alle escursioni culturali della tribù degli eletti. Una specie di catarsi collettiva, una lavacro, risoltosi in  un riciclaggio gigantesco della cattiva coscienza, finalizzato a seppellire, sotto un’immensa fioritura di diritti umani profumati all’iride, i macigni delle proprie frustrazioni e impotenze. Ma anche i sensi di colpa, maceranti anche se non ammessi.

Frustrazioni e impotenze per aver subito, subito ancora, risubito e non essere stati capaci di reagire, di concepire, proporre, far passare l’alternativa alla tirannia del pensiero e modo unico. Alternativa che si sa bene indispensabile per prolungare il cammino della specie, delle specie, su questo pianeta. Sensi di colpa per essere stati e voler continuare ad essere registi e attori di un cannibalismo dall’esito letale per tutti (ma per loro un po’ dopo), per aver celato sotto una teatrale virulenza anti-razzista, il razzismo vero, genocida, delle guerre Nato condotte in combutta con l’UE buro-oligarco-fasciocratica, strumento continentale della cupola mondialista.

Diceva Alexis de Tocqueville che la storia è una galleria di quadri dove ci sono pochi originali e molte copie. Non per caso mi sono riferito prima al Congresso di Vienna. Sconfitto il messaggio napoleonico, pur sanguinario, della legge uguale per tutti e della costituzione dei popoli in nazioni, le monarchie assolute imperiali, compresa quella ecclesiale,  provano a riavvoltolare la Storia. A ogni decennio successivo moti popolari, memori dell’89, alzano barricate contro la restaurazione: anni ’20, ’30, il ’48 in tutta Europa e a Roma con Garibaldi. Risorgimento italiano, tedesco, Comune di Parigi. Ne saranno eredi, un secolo dopo, le nazioni in lotta di liberazione dal colonialismo, Algeria, Cuba, Vietnam, mezza Africa, Egitto, Libia, Siria, Iraq, Afghanistan…. Tutte nello sconveniente nome di “patria”.

E’ la solita storia: quelli del Congresso di Vienna contro quelli della Repubblica Romana
Le comunità omogenee, unite da storia, lingua, cultura, progetto sociale, desiderio di democrazia e sovranità si stabilizzano in nazioni. Le monarchie si estinguono. Ma non quelle forze, in costante cospirazione per la rivincita, oggi come allora costituitesi sulla base della ricchezza rapinata. Il mundialismo si è dotato di tecnologie di persuasione e controllo senza precedenti dai tempi di inferni e paradisi minacciati e promessi, di armi di sterminio, di formidabili quinte colonne nel campo avverso. Ma ha conservato e aggiornato l’arma della tratta degli schiavi,  oggi anche di 68 milioni di migranti, sfollati, bombardati, rapinati, pronti a essere spostati e riposizionati dove occorra annientare resistenze fondate su coscienza di sé, del proprio passato e del proprio futuro. E’ in vista un nuovo Congresso di Vienna, la restaurazione si chiama mondialismo e guarda al Sud del mondo come gli spartitori di Berlino 1884.

Da noi gli facilitano il compito gli assist agli zombie del PD e della “sinistra sradicale” di un trucidone come Matteo Salvini e dei suoi detriti parafascisti, della cui identità e del cui ruolo vero resta da dubitare fortemente. Del resto, più questo energumeno vernacolare viene spernacchiato dai Lerner, Boldrini, Zucconi, Speranza, noti  combattenti per il proletariato, e più il furbo bifolco cresce. E’ questa l’intenzione? Se ne diano una ragione i 5 Stelle, se qualche bagliore in quegli astri è rimasto e saltino il fosso prima che quello ve li faccia affogare.

Basta vedere, ascoltare i greci


La Grecia, che ho raccontato nel docufilm “O la Troika o la vita – Non si uccidono così anche i paesi?” ha subito, grazie a quelle famose quinte colonne, la sorte che in America Latina viene attualmente riservata alle nazioni dell’arco antimperialista. E’ stata la prima e ci sono tutti i segni che noi se ne debba seguire la sorte. Forse, a dare la precedenza ai figli dei classici, è la saldezza e la forza di una civiltà che ha insegnato all’uomo e alle comunità coesione, dignità e bellezza e che non rinuncia ad ergersi, come Zeus padre, a denunciare la ferinità dei barbari. Il boia della Grecia, idolo delle eurosinistre migrantifere e genderiane, ha ridotto il suo popolo allo stremo. Ne ha svenduto tutto. Giorni fa, ligio al diktat della Troika, Tsipras ha dato un altro giro al cappio sulla gola dei pensionati e lavoratori. Ma stavolta, innescato anche dalla rabbia del cedimento tsiprasiano alla Macedonia slava del nome usurpato al greco per eccellenza Alessandro Magno,  rinuncia finalizzata a permettere al vicino del Nord l’ingresso nei lager UE e Nato, il popolo greco, nelle sue varie componentidi popolo, si è mosso. Manifestazioni imponenti come quelle del grande ciclo 2010-2015 si sono riviste nelle maggiori città. Le guida una sinistra vera, qualcuno direbbe populista. L’abbiamo ascoltata.

ATENE

Alekos Alavanos, economista, psicoterapeuta, già presidente di Synaspismos e poi capogruppo di Syriza, oggi segretario della formazione “PLAN B”, staccatasi da Syriza dopo il referendum.

F.G. Cos’è il Plan B?
A.A. E’ un’idea alternativa per una politica totalmente diversa rispetto a quelle dettateci da Bruxelles, Francoforte e Berlino e che hanno distrutto la società e l’economia della Grecia. Non siamo io e altri compagni che abbiamo cambiato idea, è stata Syriza a cambiare totalmente. La rottura avviene nel 2011 quando Syriza sostiene che non era possibile avere una linea autonoma nel quadro dell’eurozona e dell’UE.

F.G. Che Grecia sarebbe quella del Piano B?
A.A. Nessuno può pensare che ogni cosa possa essere fatta senza correre rischi, trappole, difficoltà. Proponiamo una cosa molto semplice: le politiche che la maggioranza dei paesi evoluti ha attuato dopo una prolungata recessione. Significa liquidità, domanda, salari e pensioni in grado di far girare la ruota. Significa un ruolo diverso dello Stato, creativo e dinamico, una politica di bilancio opposta a quella dell’UE.

F.G. Pensi che ci possa essere vita fuori dall’UE?
A.A. Certamente c’è vita fuori dall’Europa. Ma non c’è alcuna Europa, non è Europa. Per oltre vent’anni sono stato un membro del Parlamento europeo, amo l’Europa, tengo al confronto con gli altri paesi, le altre forze politiche. Abbiamo bisogno di cooperazione in Europa. Ma deve essere una cooperazione basata sulla solidarietà, sul mutuo beneficio, sul rispetto. Se vuoi essere filo-Europa devi essere contro l’UE e la sua valuta. Siamo all’ennesimo memorandum: ancora tagli, riduzione delle pensioni, più tasse, meno esenzioni. Tutto questo mentre già stiamo in una gravissima depressione.

F.G: Il popolo greco aveva deciso diversamente…
A.A. Il venerdì, prima del referendum della domenica in cui vinse il no alla Troika, vidi la Merkel in tv che diceva che se i greci avessero votato no, il lunedì non sarebbero più stati membri dell’UE e dell’euro. Ci minacciò. Usano campagne terroristiche, ora anche in Italia, di fronte alla rivolta della gente. I greci non si fecero intimidire: oltre il 60% votarono no. Poi furono traditi, ingannati. Se io voto no e il governo il giorno dopo dice sì, ciò che si perde sono l’autostima, la fiducia, la prospettiva, la dignità morale.

F.G. E adesso?
A.A. Credo che ci siano dei buoni segni, che non ci vorrà molto prima che il popolo greco si svegli e riprenda in mano il fucile, il fucile della politica.

F.G. Anche noi abbiamo vinto un referendum contro i desideri della Troika. Credi che l’UE abbia per l’Italia un progetto come quello imposto a voi?
A.A. Spero che i poteri sistemici in Italia non si comportino come i nostri e le sinistre come le nostre sinistre. In effetti l’Italia è un boccone grosso. Ma potrebbe anche essere la leva per cambiare l’intera Unione. Le recenti elezioni, chiunque governi ora, hanno espresso una chiara volontà della maggioranza contro quanto all’Italia viene imposto. L’Europa non può sopravvivere nella forma e con i contenuti di adesso. Brexit è la soluzione. Spero che i popoli italiano e greco ritrovino la propria autostima e lottino, insieme ai francesi, ai tedeschi, a tutti, per un’Europa diversa, senza la BCE, senza questa valuta tossica. Un’Europa della libertà, creatività e della capacità sovrana dei popoli di autogovernarsi.

F.G. Vedi un filo che corre dalla vostra guerra contro i nazifascisti, alla guerra civile, a quella partigiana contro i britannici, alla dittatura Nato di Papadopulos, fino alla Troika?
A.A. C’è un filo, un filo assai pericoloso. E’ il filo della dipendenza, della subordinazione, militare, politica, anche psichica. La Grecia, inizio e simbolo della nazione che resiste, fin dall’800, è un simbolo increscioso, intollerabile. Dobbiamo farla finita. Non siamo agli inizi dell’800, quando qui comandavano i sultani. Sai, non c’è più sovranità nazionale. Una sovranità che non sarebbe  in contraddizione con la collaborazione internazionale. Anzi. C’è sovranità nazionale quando il popolo si autogoverna e quando la cooperazione internazionale rispetta e favorisce una sovranità nazionale democratica. Il frutto è sull’albero. Lasciamolo maturare. Arriverà sulle nostre tavole.


Panagiotis Lafazanis,  segretario di “Unità Popolare”, già dirigente del KKE (PC greco) e ministro nel primo governo Tsipras, poi staccatosi da Syriza

F.G. Sembra che in Grecia rinasca una resistenza.
P.L. Per la prima volta dopo molto tempo si sono viste manifestazioni popolari di massa davanti al parlamento e in molte città contro la Troika, l’alleanza con Israele di un paese da sempre vicino ai palestinesi, la cessione del nome Macedonia (“Macedonia del Nord”), nome greco di terra greca, al vicino slavo. E si è vista la brutalità della repressione di un governo che si dice di sinistra, per quanto alleato all’estrema destra. Pensiamo che il movimento risponderà e si rafforzerà, in vista anche di una data molto importante, quella del referendum vittorioso contro l’austerità e la Troika, il 5 luglio.

F.G. Come siete messi, dopo l’ennesimo memorandum?
P.L. La condizione della società greca è catastrofica, una situazione in cui non ci si vuol far vedere nessun futuro. Il 34,6% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, 3.796.000 persone su 10 milioni. E il debito che dovremmo pagare con questo strangolamento continua a crescere. E’ ancora forte la sensazione che tutto è perduto. Ma c’è anche l’altra faccia della luna: resta un potenziale sociale in grado di riprendere in mano la situazione e reagire. Insomma, c’è un corpo sociale che si convince di essere fottuto e un altro che è deciso a uscire dal vicolo cieco impostoci da Tsipras.

F.G. Basteranno le sole forze greche, o ci vorrà il concorso di altri paesi?
P.L. In effetti, perché il popolo greco possa liberarsi, gli occorre il concorso di altri popoli europei, in prima linea di quello italiano. Però a noi tocca l’impegno di non aspettare che si muova un popolo vicino. Dovremo comunque essere i primi a rompere le sbarre del carcere tedesco. Forse saremmo l’ispirazione per altri, fino all’affondamento di tutta l’eurozona, come di questa Unione Europea.

F.G. Qual è il progetto strategico dei vostri nemici?
P.L. Per la Grecia è la distruzione del paese, non c’è dubbio. Per l’Europa si tratta di una nuova feudalizzazione che elimini i soggetti nazionali in modo da riunire sotto il controllo dell’oligarchia tutte le ricchezze dei singoli paesi. Per noi del Sud si tratta dell’applicazione di classici criteri colonialisti. Sono questi i caposaldi del progetto europeo. Sono caposaldi razzisti, ma a dispetto del suo razzismo, l’Europa sta conoscendo l’inserimento massiccio nel suo seno di altre popolazioni spodestate e sradicate e chi nutre dubbi sull’onestà del fenomeno, che non nasconda qualcosa di letale, viene accusato di xenofobia.

F.G. Potrebbe trattarsi di una strategia dei globalisti finalizzata a svuotare delle proprie generazioni giovani il Sud del mondo, ricco di risorse appetite dall’imperialismo?
P.L. Evidentemente. Ma si noti che i paesi costretti a ricevere queste masse di migranti sono la Grecia e l’Italia. Non è un caso. E si prevede che queste masse aumenteranno man mano che l’Africa viene impoverita e si diffondono altre guerre. Non per nulla gli Usa e la Nato hanno intensificato in questi giorni i bombardamenti su Iraq e Siria, mentre si accentua la militarizzazione dell’Africa. Di questi sviluppi Grecia e Italia sono le grandi vittime.
F.G. Siamo tutti figli della civiltà greca. E’ per questo che la Grecia deve essere punita?
P.L. E’ da qualche secolo che ci si vendica della nostra civiltà. Poi, per le élite euro-atlantiche punire la Grecia alla vista di tutti gli altri ha lo scopo di fornire un esempio. Se voi non accettate incondizionatamente l’impero, sarete puniti come i greci. Ma potrebbe anche succedere che la Grecia si riveli il tallone d’Achille di questo progetto.


Grigoriou Panagiotis, antropologo, sociologo, economista,  giornalista, autore di “Asimmetrie” sulla vicenda UE-Grecia,  intellettuale di punta della sinistra greca
F.G. Anche qui per certe finte sinistre del neoliberismo globalista la parola sovranità è diventata reazionaria e sovranismo sinonimo di destra?

G.P. Posso solo dirti che il governo Tsipras ha ceduto controllo e sovranità del paese, compresi i beni pubblici, ai creditori, titolari di un debito sistematicamente creato da dominanti esterni e complici interni. E questo per 99 anni. Si è perso il 40% dell’industria, il 40% del commercio, il 30% del turismo, tutti i porti, tutti gli aeroporti. Il 30% dei greci sono esclusi dalla sanità pubblica e al 30% è anche la disoccupazione reale. Per un po’ si è ricevuta un’indennità di 450 euro, poi più niente. Tutto questo si chiama effetto Europa, effetto euro. L’ingresso della Grecia nell’UE e nell’euro ha comportato il progressivo smantellamento della nostra economia produttrice. Importiamo addirittura gran parte dei nostri viveri. E’ una condizione di totale dipendenza. Non c’è patria, non c’è autodeterminazione e, ora con il vicino slavo titolato “Macedonia del Nord”, non ci sono più neppure gli spazi e confini della nazione greca. Un processo che interessava a UE e Nato che ora possono incorporare anche Skopje.

F.G. Come e più dell’Italia  questo massacro sociale ed economico è stata aggravato dall’afflusso di decine di migliaia di migranti da Siria e altri paesi.
G.P. Un gravame terribile, insostenibile e sicuramente non innocente da parte della Turchia e di coloro che hanno messo queste persone in condizione di dover fuggire. E’ sconcertante come a questi profughi sia garantita, giustamente, un minimo di copertura sociale, mentre a milioni di greci è stata tolta. Le Ong straniere sollecitano l’immigrazione, per esempio affittando abitazioni a basso prezzo e riempiendole di migranti, cui pagano anche elettricità, gas e acqua. Migliaia di greci rimangono senza casa e senza niente.

F.G. Stavo filmando un gruppo di persone dell’OIM (Organizzazione Internazionale Migranti), un organismo a metà tra Onu e privati. Non gradivano essere ripresi. Poi mi è piombato addosso un arcigno poliziotto che mi ha intimato di cancellare quelle riprese, se no mi avrebbe addirittura arrestato. Cosa significa tutto questo?

G.P. Non appena si affrontano queste cose si viene accusati di razzismo. Qui abbiamo una strategia contro certi paesi del Sud. Da un lato la gente viene indotta a lasciare casa sua dalla violenza o dalla miseria importate a forza; dall’altro, chi li riceve non deve sentirsi più padrone a casa sua. Tanto meno, in quanto forze ed enti esterni assumono il controllo della tua economia nazionale. E qui, a difenderla, sei tacciato di nazionalismo. I greci pensano a ragione di aver perduto la loro sovranità. E’ come essere sotto occupazione. Di nuovo un’occupazione tedesca. Pensa che in tutti i settori dello Stato ci sono dei controllori della Troika!  Ricevono i ministri all’Hotel Hilton. Della Costituzione non c’è più traccia e neppure i diritti fondamentali del lavoro sanciti dall’UE sono rispettati.

F.G. Perché si impedisce di filmare migranti e chi se ne occupa? Cosa si vuole nascondere?
G.P. Il fatto è che altri decidono sulle sorti del tuo paese e che devi fare o non fare quello che vogliono loro. Sempre di più la vicenda dei migranti, come in Italia, diventa un segreto.  Un segreto delle ONG e dei loro finanziamenti occulti o, comunque, finalizzati a fargli assumere un ruolo che non è il loro e che sottrae prerogative allo Stato nazionale, uno Stato che non è più padrone delle proprie frontiere, del proprio territorio, delle persone che vuole o può accogliere. Tutte queste decisioni sono prese altrove, con le Ong che gestiscono un fenomeno, in effetti nella piena illegalità, dato che non esiste un quadro giuridico entro le quali farle agire. Dobbiamo integrare chi non lo vorrebbe quando dalla nostra comunità nazionale, costituzionale, espelliamo tre quarti dei greci? A cosa ti fa pensare un paese mandato in default dall’Europa e a cui l’Europa, Dublino, impongono di ricevere e tenersi decine di migliaia di migranti che ne sono la rovina definitiva?

F.G. All’Italia.

Abbiamo sentito parole come sovranità, nazione, patria, identità, confini .… Che i dirigenti della Sinistra radicale greca, quella che lotta contro UE, euro, BCE, Berlino, Nato, FMI, ONG speculatrici, per salvare la Grecia, possano essere di destra, nazionalisti, razzisti, xenofobi, compari di Orban?

sabato 9 giugno 2018

Rossi sbiaditi e rossi vivi UTILI IDIOTI DI PRIMA CLASSE - Quando chi dà del “rossobruno” lavora per il re di Prussia




In coda sono riprodotti i comunicati del Comitato contro la Guerra di Milano e del CSA Vittoria di Milano

Il fumo e l'arrosto
Ricevo dall’amico Comitato contro la Guerra di Milano e inoltro perchè ritengo questo scambio altamente significativo, emblematico per la spaventosa arretratezza e pericolosità delle posizioni politiche di molta sinistra. Quella che legge “il manifesto” e ci crede, quella che ha come attività monotematica la questione migranti interpretata in chiave sorosiana, cioè da perfetti ingenui  con forti sottotoni colonialisti  e quella che, se non c’è un interlocutore di classe, aderente alle specifiche marxiste-leniniste, anche queste malissimamente interpretate e falsate, tutto il resto è da scartare o da avversare. Indipendentemente dalle condizioni di vita, dalla giustizia sociale, dalla difesa dell’autodeterminazione, dal benessere, dall’uguaglianza che governi come quello libico, siriano, iracheno, iraniano hanno assicurato ai loro popoli. Sono cose che per certa “sinistra” demofobica non contano. Così si arriva all’affermazione davvero scandalosa e ottusa che i vietnamiti si sarebbero offesi se Ho Ci Minh fosse stato accostato a Gheddafi. Lo lasciassero dire ai vietnamiti, che io, diversamente da loro, ho conosciuto in tempi pre-svendita al capitalismo.  Saprebbero che farsene della loro arroganza.

 A queste gente, sclerotizzata nei bunker del solipsismo, va imputato un demenziale collateralismo con l’imperialismo, di cui assume le strumentali definizioni valoriali (dittature). Suona vuoto e retorico ogni proclama antimperialista, antiguerra, e anticapitalista, quando si separano i popoli a cui si concede, bontà loro, la qualifica di avanguardie di classe, da quelli che invece non la meriterebbero. A questi protettori della dogmaticità del Verbo, sfugge ogni capacità di comprensione di bisogni, programmi, strutture e concetti di società che sorgano da altre tradizioni, da altri processi storici, da altre condizioni oggettive, da altri immaginari collettivi. Così si isolano Palestina, grazie all’ FPLP che si valuta ideologicamente accettabile, da Siria, Libia, Iraq, Iran, e magari Afghanistan, Somalia, Yemen, Eritrea, implicitamente lasciati in pasto al nemico. Proprio le nazioni laiche arabe sono state le massime sostenitrici, anche materiali, della causa palestinese, anche tenendo a bada la deriva della Lega araba corrotta dai satrapi del Golfo. In varie guerre hanno sacrificato beni e cittadini per la causa palestinese.

Chi stava con i palestinesi



Ricordo che quando nell’aprile 2003 uscii da Baghdad in fiamme, già occupata dagli americani, con Saddam alla testa della resistenza (altro che la truffa Moqtada al Sadr!), viaggiavo accanto all’ultimo pullmino del governo iracheno che stava andando in Palestina per consegnare l’ennesima e ultima somma alle famiglie palestinesi che avevano perso la casa o un figlio (20.000 dollari nel primo caso, 10.000 nel secondo). Oggi  questi popoli sono le trincee della resistenza al rullo compressore del globalismo imperialista. Vanno sostenuti con ogni forza, Siria di Assad in testa, come va sostenuta l’azione strategica della Russia (altro che imperialismi al plurale, intendendo quello russo, magari quello cinese; ce n’è uno solo, atlantico-sionista-europeo), indipendentemente dalle considerazioni che si possono fare sulle sue vere o supposte motivazioni.

 Il motivo per il quale il Centro Sociale Vittoria, uno di quelli storici di Milano, con il Leoncavallo passato ad altra “destinazione d’uso” già da molti anni, s’è scatenato contro la manifestazione per la Palestina e la partecipazione di una delle più vive e valide realtà della politica antimperialista della città, era che, nel corteo, i compagni del Comitato Contro la guerra inalberavano anche bandiere della Siria e dell’Iran.


 La posizione di questa sinistra vaiolizzata da ignoranza, protervia, formule incartapecorite, immiserimento culturale, è determinata da un eurocentrismo politico e culturale che si affianca al colonialismo in corsa per un rinnovato assalto ai paesi delle risorse e dello svuotamento delle loro generazioni giovani e attive tramite un processo di coatta emigrazione. Non per nulla si infervorano, non per l’eroica difesa del popolo siriano da 7 anni di aggressione Uccidentale, Nato e dei rispettivi mercenari jihadisti, ma per i curdi e il Kurdistan, restando indifferenti all’offesa all’integrità territoriale e alla sovranità di uno Stato laico, antimperialista, antisionista, portata da questi pulitori etnici al servizio dei licantropi imperialisti.

curdi-Sion

Molti dei centri sociali nei quali in passato ho presentato miei documentari sulle guerre a Iraq, Libia, Palestina, sulle aggressioni ai paesi latinoamericani e asiatici e che allora condividevano in pieno la solidarietà a questi popoli in lotta e ai rispettivi gruppi dirigenti, hanno poi subito un inarrestabile regressione ideologico-politica. Questa si distingueva dalla parallela degenerazione delle sinistre di massa solo per il mantenimento di slogan antimperialistici che, dato il contesto, si autonegavano. Al sostegno ai mercenari curdi che svuotano a forza terre e centri abitati arabi per assicurare la frantumazione della Siria e garantire ai colonialisti americani e francesi basi militari e lo sfruttamento delle risorse petrolifere e agricole del paese, associano solitamente anche l’acritica adesione al buonismo solidaristico per i migranti. Come tutte le sinistre tradizionali, non hanno fatto il minimo sforzo per capire cosa ci potesse essere dietro a un fenomeno enorme, che viene scatenato su paesi fragili a rischio di destabilizzazione e che, al tempo stesso, privandone le generazioni giovani e preparate, pone i paesi del Sud, ricchi della risorse richieste dal capitalismo occidentale, alla mercè del dominio e dello sfruttamento militare ed economico. Neanche il protagonismo nell’operazione migranti e Ong di un ceffo della speculazione spoliatrice di interi paesi, come Soros, finanziatore di tutti i rovesciamenti di governi non graditi all’ Occidente, riesce ad aprirgli gli occhi.

Quando parlano di assimilazione, integrazione, multiculturalismo, adoperano implicitamente, ma facendo strillare l’inconscio, una gerarchia di valori che pone in cima quelli europei, bianchi, cristiani, a cui conviene adeguarsi. Si ritorna al Kipling del “fardello dell’uomo bianco”. Si tratta di eurocolonialismo. E come dimostrano tutti i dati circa le condizioni nelle quali si ritrovano i migranti nel paese che avrebbe dovuto migliorare la loro esistenza, si tratta della nuova tratta degli schiavi, manodopera disponibile a tutto, che ha anche il benefico effetto collaterale di abbassare le pretese e le condizioni degli autoctoni. Si tratta in definitiva di portatori d’acqua al mulino della sopraffazione occidentale, rilanciata dopo l’arretramento imposto al colonialismo dalle lotte di liberazione nazionale del secolo scorso. Sopraffazione mimetizzata da accoglienza solidale e carità dalla Chiesa. Come sempre. In Africa, dove opera da poliziotto buono accanto alle multinazionali, poliziotto cattivo, la chiamano evangelizzazione. E come tutte le azioni dell’imperialismo, si punta alla de-identizzazione. E’ il mondialismo, bellezza.

Oro africano

Una delle fesserie, tra le tante cose grandi mai più viste dopo, praticate nel ’68 e segg. è stata ripresa e rilanciata da queste aggregazioni cavernicole. E’ il cosiddetto “antifascismo militante” che, allora, procurò un sacco di teste rotte – e peggio – a entrambi i contendenti e assomigliava più ai cazzari scontri tra tifosi che una contesa con valide ragioni politiche. Spreco di energie e di integrità psicofisiche, ma ottima arma di distrazione di massa rispetto alla marcia verso la restaurazione che il sistema andava preparando a forza di leggi, manganelli, montature, provocazioni, stupefacenti letali e lottatori armati. Era la strategia della tensione basata sull’ obnubilante concetto degli “opposti estremismi”. Quando si dice che dalla Storia si impara che non si impara dalla Storia, se ne ha una riprova con la riesumazione di questo “antifascismo militante”, lanciato da soggetti spuri, ma consapevoli, come la Boldrini e “il manifesto” ed entusiasticamente ripreso dalle ormai avvizzite tifoserie che si rifanno a quelle d’antan. Siamo al punto che l’Italia assiste a più manifestazioni antifasciste e antirazziste dirette contro l’apocalittica minaccia dei rozzi epigoni di una vicenda morta, che non a espressioni di contrasto ai panzer economici, di sorveglianza-sicurezza, giuridici, economici, culturali e militari, che avanzano verso il totalitarismo planetario. Lo Stato Maggiore di questa Armata ce l’abbiamo in casa da oggi.

Bilderberg, che riunisce tutti i responsabili di questa e di altre operazioni maltusiane e nichiliste, svolge il suo consesso annuale a Torino dall’8 al 10 giugno. Come sempre a porte chiuse. E se ti avvicini, c’è un’armata pronta a spararti. Lo Stato italiano finisce davanti alle porte di quell’hotel. Basta questa presenza nel nostro paese per far capire al governo populista e ai suoi elettori che gli scherzi devono finire. C’è di nuovo anche una nostra giornalista, Lilli Gruber. Quella che di solito, nel suo “Otto e mezzo”, usa l’imparzialità delle tre voci contro una (populista).Vuoi vedere che non ci racconterà niente. Né lei, né nessun altro. E’ la democrazia aggiornata ai Rothschild del terzo millennio. Ma di tutto questo il CSA Vittoria non gliene potrebbe fregare di meno.


 Ogni solidarietà ai bravissimi compagni del Comitato contro la guerra di Milano, addirittura tacciati di rossobrunismo. E miserabile è l’accusa di essersi associati a gruppi para- o neo-fascisti in manifestazioni contro la guerra alla Siria. La risposta del CGM è stata puntuale  inconfutabile.

 Vorrei però ricordare che la Resistenza palestinese non è che sia stata proprio al massimo livello morale e politico quando si è trattato di scegliere tra il sostegno alla Siria, che per decenni si era impegnata per la Palestina (anche con un trattamento di grande generosità e dignità dei profughi, comune all’Iraq), e lo schierarsi  accanto ai nuovi ufficiali pagatori  delle petromonarchie del Golfo, Qatar in testa, che, in combutta con l’imperialismo occidentale, si sono dati da fare per uccidere la Siria. Nello stesso campo di Yarmuk, a Damasco, tutte le organizzazioni palestinesi, all’infuori del Fronte Popolare-Comando Generale, si sono affiancate ai jihadisti nella battaglia contro le forze nazionali. Una scelta vergognosa, sbagliata, per fortuna poi parzialmente rientrata. A Cagliari, dove presentavo il mio documentario girato in Siria durante questa guerra, di fronte al mio chiaro appoggio alle ragioni della Siria e di un suo governo appena riapprovato dall’80% della popolazione, sotto controllo internazionale, si è  espresso con vibrante protesta il rappresentante del FPLP, mio grande amico, per denunciare il “carattere autoritario del regime di Assad”. Contraddizioni principali e contraddizioni secondarie, vero?  Tutto questo spiega anche certe ambiguità tuttora manifestate da gruppi di solidarietà con la Palestina.  
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Comunicato del CCLGM sulla questione palestinese a Milano

All’Associazione dei Palestinesi in Italia (API) e a quanti hanno a cuore la causa palestinese
Abbiamo scelto di lasciar passare un po’ di tempo, dopo la manifestazione del 19 maggio u.s., e le (a nostro avviso inutili) polemiche che sono seguite; avendo però a cuore la causa, come Comitato Contro la Guerra Milano, vorremmo chiarire alcune questioni.
È vero che la confusione è grande ma qualche coordinata l’abbiamo mantenuta ferma.
Lo scorso 18 maggio abbiamo preannunciato con una mail all’API la nostra presenza in piazza, senza peraltro ricevere alcun riscontro.
In passato,  come è accaduto ad esempio nel presidio milanese pro Palestina del 9 dicembre 2017, abbiamo verificato la presenza di bandiere del Free Syrian Army, cioè dei terroristi alleati (ormai senza più dubbio alcuno, visto la messe di prove raccolte e di evidenti fatti) a Israele e USA, oltreché a chi, a capo dell’Arabia Saudita, ha detto ultimamente ai Palestinesi di starsene zitti.
Per la precisione il 12 dicembre dell’anno scorso abbiamo postato sul blog del Comitato Contro la Guerra Milano un comunicato su questo argomento, in cui esponiamo le nostre posizioni in merito, che sono le stesse espresse dal Fronte Popolare di Liberazione della Palestina. Il 17 maggio scorso, sempre sul nostro blog, abbiamo pubblicato un comunicato che riportava le ragioni per cui avremmo partecipato alla manifestazione del 19 maggio per la Palestina. Lì scriviamo, come abbiamo poi fatto, che saremmo stati presenti e avremmo affiancato le bandiere della Palestina a quelle dei Paesi che immediatamente avevano dichiarato la loro solidarietà alla lotta in atto, che sono poi quelli sotto attacco  dalle stesse forze e Stati che sono contro la causa palestinese: USA e Israele, in primis. Pertanto: la bandiera della Repubblica Bolivariana del Venezuela, la bandiera di Cuba, la bandiera della Repubblica Araba di Siria, le bandiere dell’Iran e del Libano.
Fra il 14 e il 16 maggio Iran, Siria, Libano, Cuba, Venezuela, Bolivia e Sudafrica hanno espresso ufficialmente la loro solidarietà al popolo palestinese.
Nel frattempo tutte, ma proprio tutte, le organizzazioni palestinesi, Hamas, Fatah, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina,il Movimento per il Jihad Islamico in Palestina, il Fronte Democratico per la liberazione della Palestina, il movimento dei Mujahideen della Palestina, pur ognuna a suo modo, hanno condannato i bombardamenti statunitensi sulla Siria bollandoli come una aggressione imperialista.
Sull’evento FB di API, relativo alla manifestazione del 19 maggio, compare ancora la bandiera a tre stelle dei tagliagole in Siria armati e finanziati dagli USA, perché quel post non è ancora stato rimosso?
D’altro canto gli USA come Israele stanno cercando di manipolare le minoranze curde sempre con lo scopo di destabilizzare il Medio Oriente, al momento buono i curdi verranno abbandonati, quando si valutasse che non servano più.
L’Iran, l’Iraq e la Siria sono Paesi antisionisti ed è chiaro che non sono esattamente nelle simpatie di Israele così come degli USA. Il dedalo mediorientale è scosso da fibrillazioni ed è ineludibile il legame tra le tessere che lo compongono.
La complessità è grande da affrontare, occorrono strumenti che lo consentano. Di fronte all’improvvisa accelerazione, alle svolte repentine ed alle brusche frenate è indispensabile avere una chiave di lettura dialettica. Sapendo che i media  mainstream hanno il compito di manipolarci.
Attraverso la ricerca, l’osservazione e con la consapevolezza della nostra inadeguatezza-cosa questa che non ci sembra accomunare tutti quelli che dicono di essere a fianco del popolo palestinese- abbiamo maturato la convinzione che la distruzione della Siria sarebbe oltremodo dannosa anche per il popolo palestinese e la sua causa.
Qualcuno sostiene che saremmo stati in piazza per provocare con bandiere siriane e iraniane, quali cantori di una nuova frontiera teoantimperialista. Stiano sereni, perché Cuba, Venezuela e Bolivia, per dirne alcuni, sono Paesi di cui è ben nota l’amicizia verso Siria e Iran, anche loro sarebbero da considerare a rischio di “teoantimperialismo”?  È vero che all’interno di un certo mondo autoreferenziale, il quale non sa guardare la realtà, si è alla continua ricerca di nuove frontiere, noi ci sforziamo di essere più “classici”.
Per esempio promuovendo il presidio del 14 Aprile contro il bombardamento alla Siria partito nella notte tra il 13 e il 14 Aprile, che ha visto molte adesioni (alcune sezioni ANPI, circoli dell’Ass.ne Italia-Cuba, lo storico Circolo CIP Tagarelli, il PC con la sua giovanile, il PCI, etc).
Precedentemente avevamo discusso con l’Ass.ne Italia-Cuba di Milano ed il Coordinamento Lombardo Palestina, pervenendo ad un documento-appello unitario che chiamava alla mobilitazione, in cui si diceva che  in America Latina, così come in Medio Oriente, occorre individuare quello che è il nemico principale, ovvero: gli Stati Uniti d’America.
Sull’antifascismo, ci spiace, non prendiamo lezioni da nessuno. Non ci fidiamo infatti di coloro che, attraverso una fotografia prodotta da Stato e Potenza circa 90 minuti prima dell’inizio del presidio in piazza S. Babila il 26 Luglio del 2014, per la giornata di Al Quds, quella foto nella quale i rossobruni si autoritraggono in perfetta solitudine nella piazza vuota, vorrebbero far credere che gli asini volino. Ovvero che noi si fosse in combutta con i fascisti. Questa è una bieca strumentalizzazione, la messa in scena dei loschi figuri della foto è stata poi rilanciata, essendone noi ignari come è ben noto, da soggetti ai quali non pareva vero di poter attaccarci con questo maleodorante pezzetto di dossieraggio. Quella foto viene, guarda caso, ripescata periodicamente con lo scopo di togliere slancio ad un lavoro politico, che  a Milano si caratterizza per la sua diversità rispetto alla linea politica della  “sinistra imperiale”, sempre pronta a dare credito alle notizie del mainstream.
Chiaro è il nostro messaggio politico: l’accompagnarsi delle bandiere del Venezuela bolivariano e di Cuba (che non si prestano certo  ad equivoci) con quelle amiche  di Palestina, Siria, Iran e Iraq, sottolinea  la necessità urgente di un fronte unito contro la politica imperialista di aggressione di USA, Israele, UE-NATO e petromonarchie. In queste condizioni isolarsi è solo fare un favore a chi ti attacca. Non è un caso che noi ci sentiamo vicini al Comitato Ghassan Kanafani e all’UDAP(Unione Democratica Arabo Palestinese) per le posizioni corrette che esprimono.
Comitato Contro la Guerra Milano, 05/06/2018

Pubblichiamo il comunicato di solidarietà pervenutoci dal Partito Comunista Lombardia in merito alla manifestazione per la Palestina del 19 maggio: A proposito di metodo e di merito - Partito Comunista Lombardia

A proposito di metodo e di merito - Partito Comunista Lombardia

Sul sito del Csa Vittoria sono apparsi dei comunicati che fanno riferimento ad alcuni fatti accaduti lo scorso 1...




Qui di seguito i due testi in questione pubblicati sul sito CSO Vittoria:


Siria, rosso/bruni e infiltrazioni fasciste nella solidarietà alla Palestin...




Comunicato della Comunità Palestinese di Lombardia e dell'Associazione