Ti lascio la mia lotta incompiuta
e il fucile con la canna arroventata:
non appenderlo al muro. Il mondo
ne ha bisogno.
Kriton Athamasulis
e il fucile con la canna arroventata:
non appenderlo al muro. Il mondo
ne ha bisogno.
Kriton Athamasulis
Questo pezzo doveva incominciare con altro argomento, ma quanto ho saputo stamane, prima che dai media, dall’impagabile fonte antimperialista http://www.uruknet.info/ (per anglofoni, con periodici bollettini in italiano), merita di essere messo in cima a ogni cosa, anche perché con il resto dell’esternazione programmata ha a che fare. Lo so anche perchè me lo ribadì e dimostrò Oscar Olivera, leader della Guerra dell’Acqua di Cochabamba, Bolivia, guerra identica nei modi e mezzi all’attuale di Grecia e che trasferì questo bene comune dalla multinazionale yankee Bechtel al controllo popolare e inaugurò la stagione dell’acqua pubblica in Latinoamerica: “Tutte le lotte nel mondo sono collegate e complementari”, disse, parlando di indigeni, di NoTav e di precari. Partiamo dunque con il fatto più bello e che mette a confronto chi fa il giornalista e chi fa cagare. Noi qui abbiamo Giovanna Botteri, che strillava e saltellava come un’oca scampata al paté celebrando l’arrivo dei terminator Usa a Baghdad. L’ho vista con i miei occhi all’Hotel Palestine, attimi dopo che una cannonata dei cavernicoli a stelle e striscie aveva sventrato quell’albergo e due nostri colleghi. Abbiamo anche Giuliana Sgrena, riscattata e glorificata dal sequestro e tornata a imperversare sul “manifesto”. Il titolo dice che è “tornata in Iraq”, ma il reportage è dal sicuro Kurdistan, staccato con spartizione etnico-confessionale iraniano-statunitense dallo storico corpo nazionale e affidato a due loschi capitribù narcotrafficanti, di assoluta obbedienza USraeliana, Barzani e Talabani. Capi di mafia-Stati sulla cui identità di megapusher dello spaccio mediorientale e sulla cui infezione sionista alimentata dal petrolio la piagnucolosa signora islamofoba non ha niente da riferire.
Ricominciamo. L’illustrazione in alto vi parla di un gesto plateale, plebeo, volgare, rozzo, burino. Nobilissimo, eroico. Qualcuno nel PRC lo direbbe “provocazione utile alla destra”. Vi parla di un giornalista del tipo che in questo paese non alligna e forse non ha mai allignato. Qui passano per i “migliori” direttori un po’ degenerati che aprono con “Forza Obama” e, il giorno dopo, con “Forza Luxuria”. Non si smentiscono mai: a suo tempo, quando ancora regnava il tirannello in cachmere, lo stesso “Liberazione” aveva festeggiato in prima pagina con “Belgrado ride” il colpo di Stato Usa contro Milosevic e la fine della libera Jugoslavia. L’autore del gesto si chiama Muntather al Zaidi ed è reporter presso “Baghdadia TV”, un’emittente indipendente e anti-occupazione che ha già passato i guai suoi. Anche Muntather è stato rapito, umiliato e torturato dalle squadracce scite della pulizia etnica operata contro i sunniti, per conto di Iran e Usa. Ma è tornato al suo lavoro. Il minus habens che sta per cedere la Casa Bianca al suo clone nero era al termine dell’ultima visita nel paese che ha raso al suolo e il cui popolo tuttavia, sebbene ridotto in polvere, glielo aveva messo in quel posto. Aveva scambiato effusioni con le chiaviche locali: Talabani, presidente cleptocrate, Barzani, feudatario curdo e mercante di uomini e droga, Al Maliki, premier-burattino appeso a un filo Usa e a uno persiano. Mancava Moqtada, baciato in segreto per conservargli la credibilità di Masaniello anti-americano, utile all’emarginazione mediatica della Resistenza vera, patriottica, baathista o islamica, che Sgrena e Bush, in sintonia perfetta, hanno iniziato un anno fa a chiamare “Al Qaida”.
Per accedere alla conferenza stampa dello psicolabile farabutto di Washington, Muntather non poteva far passare ai controlli iperuranici ciò che avrebbe probabilmente preferito: se non una bomba a mano, almeno una busta di escrementi degna degli odori e colori dell’anima di Bush. Poteva portare solo quello che aveva addosso. Scarpe comprese. Alzatosi di scatto, le ha scagliate una dopol’altra sull’idiota “comandante in capo” con a fianco l’atterrito attendente Al Maliki. Colpire con la suola è l’ingiuria massima nel mondo arabo. Contemporaneamente gli ha urlato “Questo è un bacio d’addio, cane!”, appellativo che al mio bassotto Nando giustamente non torna tanto bene, ma che da quelle parti sta per “bastardo”. Quanto di più educato e corretto si possa indirizzare allo “stragista in nome di dio”. Era il 14 dicembre 2008 e, alzandosi quella mattina con questo proposito in mente, il collega e compagno Muntather sapeva benissimo che sarebbe andato incontro alla ripetizione, e anche a qualcosa di peggio, di quello che già aveva subito per aver sfrucugliato gli occupanti e i trapanatori di partigiani e civili sunniti di obbedienza Moqtada. Infatti gli sgherri del bordello lo hanno subito massacrato a calci in faccia. Probabimente non immaginava che nell’Iraq liberato e rinato dell’immancabile futuro, quel 14 dicembre sarebbe stato poi festeggiato in ogni angolo del paese e che in quel posto ci verrà una sua statua con la dicitura “EROE DELL’IRAQ”…
Ora è in prigione. In quelle prigioni. Anche perché le sue scarpate erano il congedo non solo all’assassino seriale di massa, ma anche il sigillo iracheno al rifiuto del SOFA, il patto leonino tra padroni e servi per un ritiro-farsa degli occupanti entro il 2011 che lascia 50 basi, 50mila militari e 500 predatori multinazionali a guardia del paese frantumato e venduto. A ribadirlo ai torturatori marines e alle mignotte nei lupanari governativi della “Zona Verde”, ci sono poi state le piazze d’Iraq stracolme come non mai. Abbiamo udito milioni di altre voci riprendere e potenziare l’imprecazione di Muntather e rovesciarla dal dolore e dalla rabbia della Mesopotamia sulle coscienze dell’umanità. Ne hanno ammazzato più di un milione e mezzo, ne hanno fatti fuggire due milioni dal paese e altri due ne hanno spostati nel nulla della migrazione baraccata interna. Hanno stuprato e commerciato donne e bambini che, qui, nessuna occhiuta vindice delle donne conculcate da Nazinger e Ahmadi Nejad, si sogna di cagare. Con squadroni della morte di scuola israelo-persiana hanno assassinato l’intera classe intellettuale del paese insieme ai patrimoni di cui era custode. Hanno avvelenato fiumi e terre perché si portino lentamente via un popolo di troppo. Il migliore del Medio Oriente. Hanno fatto a 25 milioni di iracheni ciò che i maestri israeliani stanno facendo a un milione e mezzo a Gaza. Li hanno voluti seppellire sotto la letale coltre del silenzio internazionale, silenzio dei sinistri compreso. Poi sul muso di Bush e del mondo sono volate delle scarpe. Chi vivrà…Iraq!
Forse qui da noi, salvo Uruknet e questo blog, nessuno vi inviterà a sostenere l’impresa di questo iracheno augusto e coraggioso. Come non vi riferiscono, se non per trafilettare infastiditi su “terroristi Al Qaida”, dell’indomabile resistenza irachena. Quella che con gli Usa, dopo la carneficina del Surge del generale Petraeus, con i macellai in uniforme Usa ormai rintanati nei loro covi corazzati, sta decimando giorno dopo giorno, sia le forze surrogate dei mercenari, sia le milizie fantoccio incaricate di mantenere il paese nel tritacarne colonialista, ora manovrato dall’ Uomo Nero del Cambio. Non vi sarà chi di Muntather appenderà la gigantografia in Campidoglio, modello Sgrena o, addirittura peggio, la gaglioffa dama ex-prigioniera colombiana che, nello stesso giorno delle sante scarpe, proseguiva dal leccapiedi di “Che tempo che fa” la sua apologia del narcotrafficante fascista Uribe e dei suoi padrini Usa. Bravo il “liberatore” Uribe e fetenti i combattenti delle Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane, FARC (sorvolando ovviamente, nella perorazione per gli “ostaggi”, sulle segrete della tortura in cui Uribe tiene 500 guerriglieri agonizzanti). Nessuno, vi inviterà a firmare l’appello per la liberazione di Muntather dal sequestro degli sgherri fantoccio. Neanche “Reporters Sans Frontieres” , troppo impegnati a prestarsi, per il guiderdone di qualche milione di dollari Usa, a diffamare Cuba o i palestinesi. Neanche le rispettabilissime nostre corporazioni associative e sindacali, nessun Comitato di Redazione, nessun velinaro dirittoumanista, tutti ancora presi dal lacrimare sulla fine della Politkovskaya e, quindi, della tossica disinformazione antirussa di questa operativa Cia, incaricata di guadagnare la Cecenia all’Occidente. Ma voi questa storia di un giornalista grande perché “scrive con le scarpe” ora la conoscete. Non c’è scampo per i giusti, i liberi, gli schifati: tocca firmare. Firmare l’”Appello dei 50.000 per la liberazione di Muntather Al Zaidi”, Eroe della Scarpa, Eroe Iracheno. Ecco qui.
http://www.ipetitions.com/petition/iwffomuntatharalzaidi?e
Il verminaio della “sinistra” ridicolmente pensa di pararsi il culo davanti all’uragano mafiofascista. E così stappa bottiglie di purulenze mediatiche e si inebria di bollicine di cerchiobottismo. Che si tratti degli schiaffazzi ai necrocrati dati da Muntather, un iracheno come dall’alto al basso li avevo conosciuti nei miei trent’anni di frequentazioni del più cazzuto dei popoli, da bilanciare subito con qualche reminiscenza sul “sanguinario Saddam”, o che si tratti della compunta critica al governaccio Karamanlis, che però si offusca alla luce delle banche incendiate da “anarchici” e “teppisti”. O, ancora, di mantenersi in prudente equilibrio, nel nome del più scriteriato antigiustizialismo, tra giudici venduti e giudici (Salerno) che prosciugando la fogna politico-giudiziaria di Catanzaro, tributano il sacrosanto riscatto a De Magistris, uno degli ultimi magistrati italiani non soggetto alla “dipendenza psicologica” ormai ontologica negli “arbitri” d’ogni tipo. E a questo proposito voglio spiegare ai tanti ortomarxisti cui fa senso la difesa della legalità “borghese”, che quella legalità, se non gliela avessero strappata a partire dal 1789 e a finire col 1917, gli iracheni di tutti i paesi, le classi subalterne, i popoli schiavizzati, ma anche le lotte dei partigiani e poi dei nostri comunisti, i signori della spada e della moneta non gliela avrebbero concessa mai. Ci hanno comunque rimesso. Tanto va difesa quella legalità che limita gli eccessi di padroni e sbirri, di scienziati pazzi superomisti che fabbricano Lodi Alfano e macellerie genovesi, quanto va offesa una legalità da Stato Guida e proconsoli ladroni, come oggi viene affondata da masse all’offensiva e trafitta da sassi, molotov e fiamme. E’ la Grecia del tirannicidio. Noi siamo il paese del vicario di Cristo. Né infrangiamo le tavole della legge del Signore, né difendiamo quanto di esse i nostri padri hanno saputo volgere a difesa di chi diritti ne aveva meno del popolo schiavizzato dai lama tibetani.
Qui succede un paradosso. Giornali obamisti, politovksayani, dalailamisti come “Il manifesto” e “Liberazione”, senza per una volta grilloparlare sulle manifestazione di forza resistente dei ragazzi “incappucciati” (grazie Angelo Mastandrea), denunciano l’ipocrita e codarda presa di distanza dei brezhnevcomunisti del KKE. Quel KKE, erede di “comunisti” che con il dittatore Papadopulos si dichiararono pronti a convivere, quel KKE che invece viene difeso appassionatamente da altre vestali del bolshevismo-per-scherzo che fanno proprie, di quel mucchio di opportunisti politically correct, gli anatemi contro i “provocatori, privi di ogni legame di massa, che stanno facendo il gioco della destra greca”. La sentite l’eco degli anatemi che, dal 1945 in poi, i collaborazionisti di “sinistra” vanno scagliando contro “avventuristi”, “provocatori”, “strumenti della destra”, per aiutare a tagliare le gambe e i propositi di chi si oppone ai regimi delle macellerie sociali con modi e mezzi che sfuggono al galateo della “dialettica democratica tra maggioranza e opposizione”? L’eco delle perorazioni disfattiste che vorrebbero preservare a questi compagni di merende e di banche la rendita elemosinata dal capitalismo a “oppositori” che stanno al gioco e si alleano contro gli intemperanti che il gioco lo buttano per aria. Un’eco che viaggia sul ricordo di tanti “provocatori” che facevano “il gioco della destra”, fin da quando resero i conti alle camicie nere, a Tambroni, ai capitalisti e politici delle stragi di Stato messi in crisi dal ’68 al ’77, mentre il PCI non c’era o, se c’era, dormiva. Anzi delazionava.
Ho avuto uno scambio con chi, addirittura dell’area PRC dell’”Ernesto”, presunta sinistra non-nonviolenta e antimperialista del partito, sparava in tutte le direzioni contumelie KKE contro i ragazzi che, con al seguito masse che il KKE si sogna, davano l’assalto alle basi della criminalità organizzata al potere in Grecia. Migliaia di persone che, per giorni e giorni, hanno tenuto testa agli sbirri di una classe dirigente tanto corrotta e predatrice da contendere alla banda del nostro guitto-mannaro il suo primato mondiale. Si preferiscono giornate festose e cortei educati tra tricche e ballacche, alla Cofferati o Veltroni, dove alle famose masse rossobandierate si possono raccontare due balle-placebo a innesco di una disperata autosuggestione, per poi rimandarle a casa cornute e mazziate. Vizio terrificante e inveterato, quello del togliattismo, inestirpabile come la gramigna nei campi, come tutto ciò che preferisce sopravvivere da saprofita. L’edera sulle giovani querce. A costoro rispondo con le parole di chi le battaglie di Atene le ha viste e fatte.
“L’assassinio di Alexis ha fatto esplodere la sommossa più grande del periodo dopo i colonelli. Abbraccia tutto il territorio ed è più vasta, più di massa, più decisa di quella del 25 maggio 1997, di quella del Politecnico dell’80, del movimento greco contro l’assassinio di Kaltezas nel 1985… E’ stata l’espressione dell’asfissia, della rabbia e dell’odio di un mondo intero, il mondo del precariato universale… Tra le migliaia di gente che scaglia sassi e riceve rivoltellate, che distrugge banche (e purtroppo, ma spiegabile, anche piccoli negozi) è coinvolta gran parte della nostra gioventù, precari e disoccupati, scolari e studenti, greci e stranieri… che trova sbocco al suo odio nei confronti degli sbirri e dei ricchi, simboli del potere, della ricchezza e del consumismo, ma anche di quanto desiderano e non possono avere.,.. Gran parte della sinistra radicale, benché contraria al “rompere” e “devastare”, non si è schierata con “l’ordine”, non ha condannato le violenze, è uscita per strada, ha manifestato insieme agli “incappucciati”, ha urlato “loro parlano di profitti perduti e danni, noi parliamo di vite umane”, ha capito che “l’azione precede la teoria” e si è contrapposta in maniera incondizionata alla crudeltà della polizia. Speriamo che questo continui…” ( DIKTIO, Rete per i diritti politici e civili). Non contate sul KKE, compagni, né sull’Ernesto, quello che, con la faccia come il culo, ti dice che fai “il gioco della destra” dopo aver giocato, lui, con la destra alla guerra in Afghanistan e Libano. Signori, di sommossa si tratta, non di scampagnata. “Noi che volevamo la gentilezza, non potevamo essere gentili…”
Contate sulle vostre pietre e sulle scarpe di Muntather. A volte basta il sasso di Balilla.
Contate sulle vostre pietre e sulle scarpe di Muntather. A volte basta il sasso di Balilla.
Sei un mito Grima....
RispondiEliminaRiuscissi a scrivere un po meno "articolato" saresti un Dio...
Hasta la victoria Grima!
Sei un mito Grima....
RispondiEliminaRiuscissi a scrivere un po meno "articolato" saresti un Dio...
Hasta la victoria Grima!
Il giornalista del giornale radio qualsiasi, con tono compiaciuto quasi divertito, ci informa che Muntather è stato sottoposto a test su alcol e droga.
RispondiEliminaOrmai non lo fanno per sevilismo: vivono della loro realtà prefabbicata... ed i Muntather sono i pazzi.
"Partiamo dunque con il fatto più bello e che mette a confronto chi fa il giornalista e chi fa cagare."
RispondiEliminaQuesto frammento è grandioso!