Ahi serva Italia, di dolore ostello
Nave senza nocchiero in gran tempesta
Non donna di provincia, ma bordello.
(Dante Alighieri, Purgatorio, IV)
Nave senza nocchiero in gran tempesta
Non donna di provincia, ma bordello.
(Dante Alighieri, Purgatorio, IV)
Cosa abbiamo qui sopra? La rivoluzione che, innovando da capo, tutto travolge e trasporta a nuovi lidi (Delacroix); la zattera dei naufraghi “in gran tempesta” che, col suo carico di disperati e dispersi, veleggia verso destinazioni ignote (Gericault); il buio pesto della notte sulla palude dove ogni lucetta riflette se stessa (Van Gogh). A fianco, il gioco delle tre carte. Così, sinistre ed elezioni europee.
Nelle liste internet praticate da compagni circola di tutto. Un estremo è quell’Ettore Masina che, addolorato per non potersi schierare con il buon Franceschini, dalla padella rimpianta finisce nella brace dell’invocazione del voto per due pusher di oppiacei ai popoli resistenti, come Luisa Morgantini e Giuliana Sgrena, “non violenti” finchè non si tratta di dare in testa ai “terroristi islamici”. L’altro estremo sono i “Proletari comunisti” che scrivono: “Tutti i governi di destra, di centrodestra, di centrosinistra (chi sarebbero? N.d.r) che reggono i paesi europei sono uniti nella ricerca di soluzioni alla crisi fondate sul salvataggio di banche e padroni e sullo scaricamento di essa sui lavoratori e sulle masse popolari. Governi peraltro eletti in un quadro nazionale e quindi poco influenzati dagli esiti elettorali delle elezioni europee che eleggono un parlamento formato da una massa di fannulloni e parassiti…. Guadagnano tanto, non fanno nulla, la maggior parte di essi non si presenta neanche in parlamento e non contano nulla. Una sorta di villaggio-vacanze per politicanti in pensione o in trampolino di lancio. Queste elezioni e questo parlamento sono uno specchio fedele della politica resa vuoto rito e quindi dell’antipolitica, della sua funzione di puro servizio per le classi dominanti e di putrescente parassitismo del sistema imperialista”. Ineccepibile. Poi la conclusione: “Boicottare queste elezioni è un atto, questo sì, politico e di civiltà… L’indicazione dei Proletari comunisti alle elezioni europee è il boicottaggio nella forma di astensione di massa”. E qui ci si eleva sopra le brutture del mondo nel nirvana di quello che si vorrebbe che fosse e non è.
Cosa si fa al tavolino del biscazziere che ti fa vorticare sotto il naso tre carte – notte fonda, palingenesi rivoluzionaria, deriva allucinata di naufraghi che puntano a un qualche orizzonte ignoto – e ti fa beccare inesorabilmente la carta che a Bruxelles non vince di sicuro (ognuna delle tre)? Non è che mi sia rotto molto il capo in queste settimane su chi onorare del mio decisivissimo voto, anche alla luce delle sacrosante considerazioni dei Proletari di cui sopra. Votare, voterò, se non altro perché in questa occasione la truffa elettorale è un po’ meno truffa: non c’è premio di maggioranza che fa del mio voto, storicamente perdente, un votino rispetto al votone storicamente vincente. Una testa mezzo voto, un’altra testa due voti. E poi non mi hanno tolto le preferenze, infilandomi nella camicia di forza cucita da quattro farabutti che impongono i loro commensali, boss e picciotti. Se per le europee, per quanto esangui e farlocche, vota una marea di gente e sulle politiche, generali o locali, si abbatte uno tsunami di schede rifiutate o annullate, come raccomandai nell’ultima tornata per il mostro bifronte Prodisconi, beh, sara un confronto politicamente significativo, quel bel dì vedremo levarsi un fil di fumo, come da un accampamento Sioux dopo le mazzate a Custer. A coloro che rifiutano il voto in assoluto, come irrimediabile buggeratura borghese, consiglio di riflettere su Hugo Chavez, o Evo Morales, o su quel Lopez Obrador che, non fosse stato per il boicottaggio elettorale del transgender politico chapaneco, Marcos, avrebbe portato il Messico quanto meno fuori dalla catena di lupanari Usa e in linea con l’insubordinazione che dilaga nel continente latinoamericano, premessa per tutto il resto. Infine, basta una considerazione da due più due: le due cosche dei faccendieri all’ordine di mafie, banche e militari, Franceschini e Berlusconi, con sulle spalle il suggeritore USraeliano, vogliono che la lista unitaria vada sotto e scompaia. Motivo sufficiente per fare il contrario e mandarla oltre il 4%.
Il parlamento europeo conta quanto una pippa malriuscita sulla foto di una sciacquetta da Villa Certosa.. Al massimo sparge zefiri, vuoi maleodoranti, ma vuoi anche profumati, quando invece dal parlamento italiota, non si sprigionano che miasmi da cloaca maxima. Fetori che da decenni si sposano, senza perdere vigore, all’alitosi di Berlinguer intorno a Nato, austerità e “provocatori sessantottini” e alle esalazioni vipparole dei Vendinotti, esufflate perlopiù nelle maison di lusso di Valeria Marini o Bruno Vespa. A volte, comunque, quelle brezze disperse nell’aere di Bruxelles, e lì subito catturate e messe al chiuso dalla Commissione Europea, hanno assunto la foga di un turbine che un po’ di polvere l’ha sollevata. Penso a quel Claudio Fava, ora ridotto a scimmiottare le levigate vaghezze del neo-sodale Svendola, ma che allora seppe in solitaria condurre un’inchiesta su uno degli obbrobri più clamorosi nel processo di nazificazione planetaria: le extraordinary renditions. Rapimenti Cia su scala industriale condotti con la piena complicità di governi. servizi, dogane, aeroporti europei, a partire dalla farsa dell’11 settembre 2001 e seguenti, per sistemare turbative umane nelle varie carceri segrete sparse dagli Usa tra paesi satelliti. Carceri e carcerieri le cui torture non rischiassero lo scoperchiamento subito dalle forze della democrazia e dell’ordine ad Abu Ghraib, Guantanamo, Bolzaneto. Non sarà servito a molto, Abu Omar, sequestrato da agenti Cia, che imperversavano nella colonia italiana con l’assistenza di tirapiedi nostrani (proprio come da Piazza Fontana alla stazione di Bologna), una volta sminuzzato perbenino dai seguaci egiziani del cristianissimo Torquemada, resta – e resterà per sempre - con la testa infilata nel cappuccio del segreto di Stato prodiano e berlusconide. Ma quel lavoro di Fava e dei suoi colleghi non si è perso tra le guglie liberty intorno al Berlaymont. C’è un po’ di gente che ha potuto prendere le misure dell’infinita capacità della borghesia imperialista di procedere oltre tutti le dimensioni criminali della pur sanguinolenta storia umana. Oggi, con il nero contraffatto e ultrabushista Obama, stragista ed eversore nei cinque continenti, prosseneta dei licantropi di Wall Street, massacratore degli operai dell’auto, più che mai.
Una rondine non fa primavera. Ma non è un buon motivo per abbatterla. Anche se quella rondine, svendolizzata, assomiglia ormai più a una gazza ladra che rubacchia la medaglietta della cresima dalle case dei proletari. Torniamo a questo stramaledetto voto. Non si prova che fastidio. Fastidio per dover chiudere gli occhi mentre si traccia la croce su falci e martelli corredati di un rosario di nomi scaturiti, alla faccia del “rinnovamento dal basso”, dagli scantinati di robivecchi. Trito e logoro funzionariato di partito, assessori e consiglieri precipitati dalle mangiatoie di vecchi parchi buoi e mandati a rifocillarsi in Europa, sconci ominicchi e donnicchie coperte d’oro per aver annegato nel sangue contadini afghani (remember Menapace?), qualche carneade da cui non si ha idea cosa aspettarsi. Ma a me dà personalmente un fastidio vasto come il Patto Atlantico, smisurato come le infamie che si compiono al suo interno su popoli diffamati e massacrati, profondo come la penetrazione del gladio Nato fin nelle più riposte viscere del nostro vivere sociale e civile, circolare come è la blindatura della nostra libertà-sovranità-autodeterminazione, l’urlante silenzio di proprio tutti i programmi e pronunciamenti elettorali con la falce e il martello sul leviatano che ci calpesta sotto i suoi anfibi: la guerra (salvo qualche inoffensivo pigolìo di Ferrero e di Ferrando). Silenzio-complice, volente o nolente, che avvolge e condanna all’ineffettività assoluta anche tutte le pattugliette che, dal largo, affluiscono ora al voto per la lista “unitaria”. Silenzio cagasotto che purtroppo non viene nemmeno scalfito dalle postazioni isolate di compagni antimperialisti la cui luminosità ricorda “l’orizzonte in fuga, dove s’accende rara la luce della petroliera” (penso a Lotta e Unità).
“Il varco è qui?” ci si deve chiedere, ancora con Eugenio Montale. Pare proprio di sì, anche se lo smarrimento di guerra, Nato, basi, asservimento coloniale, tra i flutti delle compatibilità e delle bulimie poltronare, assomma a codardie opportuniste la cecità circa gli effetti della nostra servitù imperialista. Effetti determinanti su macelleria sociale e involuzione fascista e anche sul nostro tradimento dei combattenti contro l’eterno terminator, taliban, saddamisti, islamici, o “kamikaze” che siano, esattamente come lottavano i nostri partigiani, in primis per la liberazione di una “patria” che, poi, si sarebbe fatta a immagine e somiglianza dei propri sogni. Il voto per due persone perbene come Ferrero (non me lo perdoneranno i miei amici Hamas) o Ferrando (non me lo perdonerà Chavez) sortirà gli stessi effetti della mia clavicola fratturata offerta in cera come ex-voto al fattucchiere Padre Pio. Ma qui si tratta di affermare che la materia uscita dal tritacarne della repressione borghese, della decerebrazione piduista da Craxi a Berlusconi e del collaborazionismo controrivoluzionario di un Togliatti, baronetto di Yalta, e di un innestato spurio come Bertinotti, non finisca tutta nel famoso immondezzaio della storia. In quella materia si sbattono, per la ricomposizione nel segno dell’antagonismo assoluto, tantissimi compagni cui non si deve negare la possibilità di travolgere domani con la forza dell’organo e del tamburo i tenui violini dei critici di corte.
Così, dopo aver volteggiato sui due simboli con la falce e martello, la mia matita infilzerà uno dei due, non senza essere passata a volo radente anche accanto al gabbiano di Di Pietro. Già, perché c’è un altro fattore di grande fastidio. Ed è la spocchia ottusa con cui i bravi compagnucci della coerenza ideologica abbattono la scure dell’anatema politico su chi meditasse un voto nientemeno che al “questurino”. Sono affetti dalla stessa torpidezza mentale che rincoglionisce coloro che si sciacquano la bocca dopo aver detto “Hamas”. Apostoli del vangelo delle contraddizioni come codificate da certi postmarxiani, hanno in uggia e tempestano di scomuniche qualsiasi vangelo apocrifo che magari annota qualche contraddizione nuova, eterodossa, via dalla centralità ormai mitologica di una “classe operaia” che per decenni sindacato e partito hanno educato a interessarsi di redditi e condizioni di lavoro che la mantengano agganciata alla piccola borghesia, di cui in massima parte condivide i “valori”. Magari nel frattempo crisi e rivolgimenti hanno sconvolto gli assetti sociali facendo emergere nuovi soggetti in sofferenza e dotati di carica antagonista, penso al precariato intellettuale e tecnologico, al popolo inquinato nei territori manomessi, agli immigrati. Soggetti che, come gli studenti del ’68, trascinino quanto non è finito omologato nella “classe operaia” verso una strategia che vada oltre il tinello, la spiaggia di Rimini, certezza e sicurezza del e sul lavoro. In fondo a quel percorso ci aspetta inesorabile la rivoluzione, dove tocca mettere in gioco beni e vita. E allora per i più è meglio restarsene al sicuro in un’ortodossia dai pochi rischi. E’ stata la corrosiva lezione del PCI qui e in tutti i Sud del mondo, dove infatti le rivoluzioni si sono fatte senza e contro di esso.
Io comprendo e rispetto quelli che, sentendo Di Pietro imbullonare i delinquenti e le mignotte di regime, sorprendere il colto e l’inclita con inedite rivendicazioni sociali, meditano di votarlo. E’ con qualche perplessità che finisco con il non condividerne la scelta. Di Pietro questurino, giustizialista (vivaddio!), populista speculare a Berlusconi, finto Robin Hood, accidioso sui migranti, sodale dei manganellatori e via stereotipando e deprecando, per oscurare il dato che, in parlamento e fuori, il questurino e la sua schiera di intellettuali borghesi oggi rappresentano l’unica opposizione istituzionale al caterpillar postribolare di marca mafiofascista, con alla guida il guitto mannaro. Non solo, nel giro di Di Pietro c’è anche chi, forse meglio di altri, contribuisce a demistificare la truffa svendoliana dell’arcobalino, “Sinistra e libertà”, mela davvero marcia nel cesto dei rossi frutti avvizziti, ultima evacuazione del dead man walking Bertinotti. E’ dell’altro giorno lo scontro tra il brogliatore pugliese e l’ex-pm di Catanzaro Luigi De Magistris. E la posta era di quelle strategiche. Con la puntualità con la quale ha denudato il principotto di Cepaloni e scoperchiato la melma del tribunale della ‘ndrangheta a Catanzaro, Il magistrato massacrato da regime, media e corporazione ha ricordato che il governatore allora “comunista” della Puglia aveva privatizzato il più importante acquedotto dell’assetato Sud, il più grande d’Europa, appunto quello pugliese, costringendo alle dimissioni Riccardo Petrella, massimo difensore italiano e internazionale di quel bene comune.
Nelle liste internet praticate da compagni circola di tutto. Un estremo è quell’Ettore Masina che, addolorato per non potersi schierare con il buon Franceschini, dalla padella rimpianta finisce nella brace dell’invocazione del voto per due pusher di oppiacei ai popoli resistenti, come Luisa Morgantini e Giuliana Sgrena, “non violenti” finchè non si tratta di dare in testa ai “terroristi islamici”. L’altro estremo sono i “Proletari comunisti” che scrivono: “Tutti i governi di destra, di centrodestra, di centrosinistra (chi sarebbero? N.d.r) che reggono i paesi europei sono uniti nella ricerca di soluzioni alla crisi fondate sul salvataggio di banche e padroni e sullo scaricamento di essa sui lavoratori e sulle masse popolari. Governi peraltro eletti in un quadro nazionale e quindi poco influenzati dagli esiti elettorali delle elezioni europee che eleggono un parlamento formato da una massa di fannulloni e parassiti…. Guadagnano tanto, non fanno nulla, la maggior parte di essi non si presenta neanche in parlamento e non contano nulla. Una sorta di villaggio-vacanze per politicanti in pensione o in trampolino di lancio. Queste elezioni e questo parlamento sono uno specchio fedele della politica resa vuoto rito e quindi dell’antipolitica, della sua funzione di puro servizio per le classi dominanti e di putrescente parassitismo del sistema imperialista”. Ineccepibile. Poi la conclusione: “Boicottare queste elezioni è un atto, questo sì, politico e di civiltà… L’indicazione dei Proletari comunisti alle elezioni europee è il boicottaggio nella forma di astensione di massa”. E qui ci si eleva sopra le brutture del mondo nel nirvana di quello che si vorrebbe che fosse e non è.
Cosa si fa al tavolino del biscazziere che ti fa vorticare sotto il naso tre carte – notte fonda, palingenesi rivoluzionaria, deriva allucinata di naufraghi che puntano a un qualche orizzonte ignoto – e ti fa beccare inesorabilmente la carta che a Bruxelles non vince di sicuro (ognuna delle tre)? Non è che mi sia rotto molto il capo in queste settimane su chi onorare del mio decisivissimo voto, anche alla luce delle sacrosante considerazioni dei Proletari di cui sopra. Votare, voterò, se non altro perché in questa occasione la truffa elettorale è un po’ meno truffa: non c’è premio di maggioranza che fa del mio voto, storicamente perdente, un votino rispetto al votone storicamente vincente. Una testa mezzo voto, un’altra testa due voti. E poi non mi hanno tolto le preferenze, infilandomi nella camicia di forza cucita da quattro farabutti che impongono i loro commensali, boss e picciotti. Se per le europee, per quanto esangui e farlocche, vota una marea di gente e sulle politiche, generali o locali, si abbatte uno tsunami di schede rifiutate o annullate, come raccomandai nell’ultima tornata per il mostro bifronte Prodisconi, beh, sara un confronto politicamente significativo, quel bel dì vedremo levarsi un fil di fumo, come da un accampamento Sioux dopo le mazzate a Custer. A coloro che rifiutano il voto in assoluto, come irrimediabile buggeratura borghese, consiglio di riflettere su Hugo Chavez, o Evo Morales, o su quel Lopez Obrador che, non fosse stato per il boicottaggio elettorale del transgender politico chapaneco, Marcos, avrebbe portato il Messico quanto meno fuori dalla catena di lupanari Usa e in linea con l’insubordinazione che dilaga nel continente latinoamericano, premessa per tutto il resto. Infine, basta una considerazione da due più due: le due cosche dei faccendieri all’ordine di mafie, banche e militari, Franceschini e Berlusconi, con sulle spalle il suggeritore USraeliano, vogliono che la lista unitaria vada sotto e scompaia. Motivo sufficiente per fare il contrario e mandarla oltre il 4%.
Il parlamento europeo conta quanto una pippa malriuscita sulla foto di una sciacquetta da Villa Certosa.. Al massimo sparge zefiri, vuoi maleodoranti, ma vuoi anche profumati, quando invece dal parlamento italiota, non si sprigionano che miasmi da cloaca maxima. Fetori che da decenni si sposano, senza perdere vigore, all’alitosi di Berlinguer intorno a Nato, austerità e “provocatori sessantottini” e alle esalazioni vipparole dei Vendinotti, esufflate perlopiù nelle maison di lusso di Valeria Marini o Bruno Vespa. A volte, comunque, quelle brezze disperse nell’aere di Bruxelles, e lì subito catturate e messe al chiuso dalla Commissione Europea, hanno assunto la foga di un turbine che un po’ di polvere l’ha sollevata. Penso a quel Claudio Fava, ora ridotto a scimmiottare le levigate vaghezze del neo-sodale Svendola, ma che allora seppe in solitaria condurre un’inchiesta su uno degli obbrobri più clamorosi nel processo di nazificazione planetaria: le extraordinary renditions. Rapimenti Cia su scala industriale condotti con la piena complicità di governi. servizi, dogane, aeroporti europei, a partire dalla farsa dell’11 settembre 2001 e seguenti, per sistemare turbative umane nelle varie carceri segrete sparse dagli Usa tra paesi satelliti. Carceri e carcerieri le cui torture non rischiassero lo scoperchiamento subito dalle forze della democrazia e dell’ordine ad Abu Ghraib, Guantanamo, Bolzaneto. Non sarà servito a molto, Abu Omar, sequestrato da agenti Cia, che imperversavano nella colonia italiana con l’assistenza di tirapiedi nostrani (proprio come da Piazza Fontana alla stazione di Bologna), una volta sminuzzato perbenino dai seguaci egiziani del cristianissimo Torquemada, resta – e resterà per sempre - con la testa infilata nel cappuccio del segreto di Stato prodiano e berlusconide. Ma quel lavoro di Fava e dei suoi colleghi non si è perso tra le guglie liberty intorno al Berlaymont. C’è un po’ di gente che ha potuto prendere le misure dell’infinita capacità della borghesia imperialista di procedere oltre tutti le dimensioni criminali della pur sanguinolenta storia umana. Oggi, con il nero contraffatto e ultrabushista Obama, stragista ed eversore nei cinque continenti, prosseneta dei licantropi di Wall Street, massacratore degli operai dell’auto, più che mai.
Una rondine non fa primavera. Ma non è un buon motivo per abbatterla. Anche se quella rondine, svendolizzata, assomiglia ormai più a una gazza ladra che rubacchia la medaglietta della cresima dalle case dei proletari. Torniamo a questo stramaledetto voto. Non si prova che fastidio. Fastidio per dover chiudere gli occhi mentre si traccia la croce su falci e martelli corredati di un rosario di nomi scaturiti, alla faccia del “rinnovamento dal basso”, dagli scantinati di robivecchi. Trito e logoro funzionariato di partito, assessori e consiglieri precipitati dalle mangiatoie di vecchi parchi buoi e mandati a rifocillarsi in Europa, sconci ominicchi e donnicchie coperte d’oro per aver annegato nel sangue contadini afghani (remember Menapace?), qualche carneade da cui non si ha idea cosa aspettarsi. Ma a me dà personalmente un fastidio vasto come il Patto Atlantico, smisurato come le infamie che si compiono al suo interno su popoli diffamati e massacrati, profondo come la penetrazione del gladio Nato fin nelle più riposte viscere del nostro vivere sociale e civile, circolare come è la blindatura della nostra libertà-sovranità-autodeterminazione, l’urlante silenzio di proprio tutti i programmi e pronunciamenti elettorali con la falce e il martello sul leviatano che ci calpesta sotto i suoi anfibi: la guerra (salvo qualche inoffensivo pigolìo di Ferrero e di Ferrando). Silenzio-complice, volente o nolente, che avvolge e condanna all’ineffettività assoluta anche tutte le pattugliette che, dal largo, affluiscono ora al voto per la lista “unitaria”. Silenzio cagasotto che purtroppo non viene nemmeno scalfito dalle postazioni isolate di compagni antimperialisti la cui luminosità ricorda “l’orizzonte in fuga, dove s’accende rara la luce della petroliera” (penso a Lotta e Unità).
“Il varco è qui?” ci si deve chiedere, ancora con Eugenio Montale. Pare proprio di sì, anche se lo smarrimento di guerra, Nato, basi, asservimento coloniale, tra i flutti delle compatibilità e delle bulimie poltronare, assomma a codardie opportuniste la cecità circa gli effetti della nostra servitù imperialista. Effetti determinanti su macelleria sociale e involuzione fascista e anche sul nostro tradimento dei combattenti contro l’eterno terminator, taliban, saddamisti, islamici, o “kamikaze” che siano, esattamente come lottavano i nostri partigiani, in primis per la liberazione di una “patria” che, poi, si sarebbe fatta a immagine e somiglianza dei propri sogni. Il voto per due persone perbene come Ferrero (non me lo perdoneranno i miei amici Hamas) o Ferrando (non me lo perdonerà Chavez) sortirà gli stessi effetti della mia clavicola fratturata offerta in cera come ex-voto al fattucchiere Padre Pio. Ma qui si tratta di affermare che la materia uscita dal tritacarne della repressione borghese, della decerebrazione piduista da Craxi a Berlusconi e del collaborazionismo controrivoluzionario di un Togliatti, baronetto di Yalta, e di un innestato spurio come Bertinotti, non finisca tutta nel famoso immondezzaio della storia. In quella materia si sbattono, per la ricomposizione nel segno dell’antagonismo assoluto, tantissimi compagni cui non si deve negare la possibilità di travolgere domani con la forza dell’organo e del tamburo i tenui violini dei critici di corte.
Così, dopo aver volteggiato sui due simboli con la falce e martello, la mia matita infilzerà uno dei due, non senza essere passata a volo radente anche accanto al gabbiano di Di Pietro. Già, perché c’è un altro fattore di grande fastidio. Ed è la spocchia ottusa con cui i bravi compagnucci della coerenza ideologica abbattono la scure dell’anatema politico su chi meditasse un voto nientemeno che al “questurino”. Sono affetti dalla stessa torpidezza mentale che rincoglionisce coloro che si sciacquano la bocca dopo aver detto “Hamas”. Apostoli del vangelo delle contraddizioni come codificate da certi postmarxiani, hanno in uggia e tempestano di scomuniche qualsiasi vangelo apocrifo che magari annota qualche contraddizione nuova, eterodossa, via dalla centralità ormai mitologica di una “classe operaia” che per decenni sindacato e partito hanno educato a interessarsi di redditi e condizioni di lavoro che la mantengano agganciata alla piccola borghesia, di cui in massima parte condivide i “valori”. Magari nel frattempo crisi e rivolgimenti hanno sconvolto gli assetti sociali facendo emergere nuovi soggetti in sofferenza e dotati di carica antagonista, penso al precariato intellettuale e tecnologico, al popolo inquinato nei territori manomessi, agli immigrati. Soggetti che, come gli studenti del ’68, trascinino quanto non è finito omologato nella “classe operaia” verso una strategia che vada oltre il tinello, la spiaggia di Rimini, certezza e sicurezza del e sul lavoro. In fondo a quel percorso ci aspetta inesorabile la rivoluzione, dove tocca mettere in gioco beni e vita. E allora per i più è meglio restarsene al sicuro in un’ortodossia dai pochi rischi. E’ stata la corrosiva lezione del PCI qui e in tutti i Sud del mondo, dove infatti le rivoluzioni si sono fatte senza e contro di esso.
Io comprendo e rispetto quelli che, sentendo Di Pietro imbullonare i delinquenti e le mignotte di regime, sorprendere il colto e l’inclita con inedite rivendicazioni sociali, meditano di votarlo. E’ con qualche perplessità che finisco con il non condividerne la scelta. Di Pietro questurino, giustizialista (vivaddio!), populista speculare a Berlusconi, finto Robin Hood, accidioso sui migranti, sodale dei manganellatori e via stereotipando e deprecando, per oscurare il dato che, in parlamento e fuori, il questurino e la sua schiera di intellettuali borghesi oggi rappresentano l’unica opposizione istituzionale al caterpillar postribolare di marca mafiofascista, con alla guida il guitto mannaro. Non solo, nel giro di Di Pietro c’è anche chi, forse meglio di altri, contribuisce a demistificare la truffa svendoliana dell’arcobalino, “Sinistra e libertà”, mela davvero marcia nel cesto dei rossi frutti avvizziti, ultima evacuazione del dead man walking Bertinotti. E’ dell’altro giorno lo scontro tra il brogliatore pugliese e l’ex-pm di Catanzaro Luigi De Magistris. E la posta era di quelle strategiche. Con la puntualità con la quale ha denudato il principotto di Cepaloni e scoperchiato la melma del tribunale della ‘ndrangheta a Catanzaro, Il magistrato massacrato da regime, media e corporazione ha ricordato che il governatore allora “comunista” della Puglia aveva privatizzato il più importante acquedotto dell’assetato Sud, il più grande d’Europa, appunto quello pugliese, costringendo alle dimissioni Riccardo Petrella, massimo difensore italiano e internazionale di quel bene comune.
Ricordo dai tempi del TG3 che ero andato a fare una serie di servizi sulle mafie che in Puglia, sull’altopiano della Murgia, seminavano rifiuti tossici del Nord sotto le colture pregiate e stavano assediando proprio quel condotto di acqua e di denari. Per aver interferito, riprendendo un bacino artificiale abusivo, con la mia troupe ci trovammo davanti appeso un agnello appena sgozzato che ancora buttava sangue. Intorno, a vista d’occhio, nessuno. Poi venne Petrella e blindò il bene comune. Poi venne faccia-di-gomma Svendola e svendette il bene comune alla solita SPA, gradita ai poteri criminali. De Magistris, candidato dell’IDV, ha dichiarato: ”Io so che la regione Puglia sta lavorando per la privatizzazione dell’acqua che, secondo noi, è un bene pubblico e non deve appartenere ai privati. Loro non vogliono migliorare il servizio, ma solo fare affari aumentando le tariffe agli utenti". Non male per un dipietrista. Del resto con il suo coraggio, il suo lavoro, la sua resistenza ai soprusi e alle persecuzioni dei potenti, i suoi colpi di bisturi nel tumore del malaffare mafioso-giudiziario-politico, De Magistris ha dimostrato più comunismo, che lo sappia o no, di tanti sedicenti tali.
Senza il minimo dubbio, Di Pietro è la trincea più avanzata contro la melma berlusconiana, “piduista, razzista e fascista”, come correttamente la definisce. L’antiberlusconismo? Roba vecchia, superata, depistaggio dalle questioni vere. Mettiamo in discussione il capitalismo, compagni! (rigorosamente senza parlare di imperialismo, s’intende). E’ la litania che fa il paio con le barzellette dell’energumeno di cosca che sposta il diritto a blindatura dei ladri e assassini e a liquidazione degli onesti e poveri. Come se in questo paese da Gran Guignol il capitale non si fosse scelto come rompighiaccio il berlusconismo. Vogliamo ignorare il rompighiaccio che ci manda in acqua come foche sulla banchisa in scioglimento, per mirare, annegando, all’armatore sulla terraferma? Quanto poco si sono letti Marx e Lenin nel valutare le priorità, i passi avanti e il passo indietro, che la congiuntura impone al processo rivoluzionario. Tutti questi vivono una regressione all’infanzia di quando un Tambroni poteva venire buttato giù dall’insurrezione (incontrollata dal PCI) delle masse. Oggi c’è un pacchetto di mischia al vertice dello Stato al quale Tambroni, Borghese o De Lorenzo stanno come Kronstadt alla Rivoluzione d’Ottobre, per fare un paragone del cazzo ma chiarificatore, o piuttosto come Crispi a Mussolini. Quanto nei due secoli trascorsi le masse subalterne e specialmente quelle della seconda metà del Novecento, seppure sedate dal PCI, si sono conquistate a difesa della vita, della salute, dell’agibilità politica, della pace, dell’internazionalismo, del piatto di pasta, di una scuola corretta, della legge uguale anche per i cafoni, viene oggi spazzato via da questo verminaio di cinismo sanguinario, soperchieria e corruzione. Contro l’annichilimento di ogni speranza di ripresa e riscatto che minaccia di protrarsi oltre i limiti biologici di generazioni, in prima fila oggi sta questo rustego e intelligente borghesuccio di campagna e commissariato. E’ tattica strumentale? Gli altri non sanno mettere in piedi neanche quella. Primum vivere, sopravvivere. Poi ce la vedremo anche con Di Pietro. Intanto non mi permetterò neanche un sorrisetto di sufficienza su chi vota il castigamatti abruzzese.
Sarà mica il caso di ripensare il comunismo? Magari evitando l’abisso dove ci condurrebbero i pifferai vendolottiani. Come dice Alain Baidou, filosofo francese, il comunismo è un’ipotesi i cui fallimenti, dando luogo dialetticamente come le scienze alle condizioni per il suo ripensamento, sono da considerare tappe di un cammino di costruzione.. Il comunismo che viene esige un’organizzazione e soggetti nuovi ed è per questo che non possiamo non dirci contemporanei, non tanto dei partiti comunisti di ogni dove, quanto del ’68-’77, della Comune di Parigi, della Rivoluzione Culturale, del processo bolivariano. La linfa per questa contemporaneità viene dall’alleanza con i nuovi proletari dei Sud del mondo, venuti qui o rimasti là, dalle vittime pensanti della crisi portatori di nuovi saperi, e dagli intellettuali eredi delle battaglie politiche degli ultimi decenni. Alleanza, dice ancora Badiou, che non intratterrà alcun rapporto organico con i partiti istituzionali, i soliti gruppi ossificati nell’autoreferenzialità e il sistema elettorale e istituzionale che li fa vivere. Ma questo è un altro discorso. Pensiamo brevemente alle europee e poi, a lungo, a come buttare per aria quest’Europa di schifo, padronale, schiavista e imperialista. L'hanno fatto in Irlanda e Francia (paese della Comune).
Senza il minimo dubbio, Di Pietro è la trincea più avanzata contro la melma berlusconiana, “piduista, razzista e fascista”, come correttamente la definisce. L’antiberlusconismo? Roba vecchia, superata, depistaggio dalle questioni vere. Mettiamo in discussione il capitalismo, compagni! (rigorosamente senza parlare di imperialismo, s’intende). E’ la litania che fa il paio con le barzellette dell’energumeno di cosca che sposta il diritto a blindatura dei ladri e assassini e a liquidazione degli onesti e poveri. Come se in questo paese da Gran Guignol il capitale non si fosse scelto come rompighiaccio il berlusconismo. Vogliamo ignorare il rompighiaccio che ci manda in acqua come foche sulla banchisa in scioglimento, per mirare, annegando, all’armatore sulla terraferma? Quanto poco si sono letti Marx e Lenin nel valutare le priorità, i passi avanti e il passo indietro, che la congiuntura impone al processo rivoluzionario. Tutti questi vivono una regressione all’infanzia di quando un Tambroni poteva venire buttato giù dall’insurrezione (incontrollata dal PCI) delle masse. Oggi c’è un pacchetto di mischia al vertice dello Stato al quale Tambroni, Borghese o De Lorenzo stanno come Kronstadt alla Rivoluzione d’Ottobre, per fare un paragone del cazzo ma chiarificatore, o piuttosto come Crispi a Mussolini. Quanto nei due secoli trascorsi le masse subalterne e specialmente quelle della seconda metà del Novecento, seppure sedate dal PCI, si sono conquistate a difesa della vita, della salute, dell’agibilità politica, della pace, dell’internazionalismo, del piatto di pasta, di una scuola corretta, della legge uguale anche per i cafoni, viene oggi spazzato via da questo verminaio di cinismo sanguinario, soperchieria e corruzione. Contro l’annichilimento di ogni speranza di ripresa e riscatto che minaccia di protrarsi oltre i limiti biologici di generazioni, in prima fila oggi sta questo rustego e intelligente borghesuccio di campagna e commissariato. E’ tattica strumentale? Gli altri non sanno mettere in piedi neanche quella. Primum vivere, sopravvivere. Poi ce la vedremo anche con Di Pietro. Intanto non mi permetterò neanche un sorrisetto di sufficienza su chi vota il castigamatti abruzzese.
Sarà mica il caso di ripensare il comunismo? Magari evitando l’abisso dove ci condurrebbero i pifferai vendolottiani. Come dice Alain Baidou, filosofo francese, il comunismo è un’ipotesi i cui fallimenti, dando luogo dialetticamente come le scienze alle condizioni per il suo ripensamento, sono da considerare tappe di un cammino di costruzione.. Il comunismo che viene esige un’organizzazione e soggetti nuovi ed è per questo che non possiamo non dirci contemporanei, non tanto dei partiti comunisti di ogni dove, quanto del ’68-’77, della Comune di Parigi, della Rivoluzione Culturale, del processo bolivariano. La linfa per questa contemporaneità viene dall’alleanza con i nuovi proletari dei Sud del mondo, venuti qui o rimasti là, dalle vittime pensanti della crisi portatori di nuovi saperi, e dagli intellettuali eredi delle battaglie politiche degli ultimi decenni. Alleanza, dice ancora Badiou, che non intratterrà alcun rapporto organico con i partiti istituzionali, i soliti gruppi ossificati nell’autoreferenzialità e il sistema elettorale e istituzionale che li fa vivere. Ma questo è un altro discorso. Pensiamo brevemente alle europee e poi, a lungo, a come buttare per aria quest’Europa di schifo, padronale, schiavista e imperialista. L'hanno fatto in Irlanda e Francia (paese della Comune).
La conclusione dell'articolo mi riporta alla mente le trasmissioni nella televisione pubblica bolivariana VTV del professore venezuelano marxista Vladimir Acosta in occasione dell'anniversario della Comune di Parigi.
RispondiEliminaPor Vladimir Acosta
(VIDEO) La otra mirada: La Comuna de París
http://www.aporrea.org/actualidad/n134994.html
Luise Michel
http://www.aporrea.org/actualidad/n135370.html
Fin de la Comuna de Paris
http://www.youtube.com/watch?v=LgCXG3Q8TJE
Il filo rosso che collega la Comune, La Rivoluzione russa, la cinese, la cubana e la venezuelana e tante altre esperienze rivoluzionarie nel mondo è più attuale che mai.
bravo, se lo voti tu perde sicuramente. grazie!
RispondiEliminaLa obra de bertinotti ha dado sus frutos.La division ha impedido una manifestaciòn de recupero de los comunistas,a pesar de las carencias ideològicas y de sus posiciones internacionales,muchas imperialistas.
RispondiEliminaLo curioso de la divisiòn comunista italiana,es que cuando se pierde un congreso,se hace la divisiòn.Es post-factum.Conociendo las diferencias,podrìan irse antes.Pero no tienen el coraje ni la entereza de comunistas verdaderos.Eduardo