Caro Che,
scrivo a te per scrivere a tutti coloro che mi hanno accompagnato durante questa traversata di territori che tu conosci bene. Sono i territori in cui i lupi mannari, per mangiarti, si travestono da nonne e dove poi, se non gli apri la pancia a forza, non ne esci vivo. Un territorio lungo sette anni, Che e amici miei, dal 9 maggio del 2003 al 19 giugno 2010. Inizia con il segretario di un partito che si dice comunista e finisce con un altro segretario del partito che si dice comunista. Entrambi, chi più chi meno, hanno marciato con gli anfibi sul corpo di un altro comunista, che sarei io, e un po’ se lo sono masticato, senza alla fine riuscire a mandarlo giù. Non c’è dubbio che basta il tuo bel naso greco, Che, per percepire quanti comunisti ci sono tra questi tre.
Ti scrivo all’ indirizzo de La Higuera, quello dell’escuelita tra i picchi battuti dal vento e dal gelo, nella quale un soldato ha dovuto essere ubriacato per avere la forza di guardarti negli occhi e spararti. I tuoi compagni cubani gli hanno ridato i suoi, di occhi, quando gli si erano spenti, forse perché quel tuo ultimo sguardo non erano più riusciti, nel tempo della memoria implacabile, a sostenerlo. Glieli ha passati, quarant’anni dopo, la rivoluzione. E’ come se gli avessi passato i tuoi. Spedisco a La Higuera e non a Santa Clara, dove nel monumentale mausoleo brulicano le migliaia che dal mondo, commossi e rapidi, ti vengono a visitare. Piuttosto che all’eroe consacrato, al mito, preferisco rivolgermi al combattente lacero, tradito, sconfitto, irriducibile, il cui sangue lì sparso non solo continua a nutrire arbusti che, come scogli nel mare, vivono a dispetto dell’accanimento degli elementi che assediano quel picco, ma ha nutrito un popolo intero, fino alla vittoria di oggi.
Meno topastro da cascami di rigattiere, con qualche increspatura nella sicumera di uomo di sinistra-che-più-a-sinistra-non-c’è-nulla, meno cattolico e più evangelico, al settimo giorno di catene e sole in testa, scende il nuovo segretario nazionale, Paolo Ferrero. Scese e mi guardò con occhi blù. Evangelici, non cattolici, devo ammettere. Provò a rifilarmi le ragioni del busillis giudiziario – abbiamo vinto l’appello, è la legge - ma penso di aver capito che attribuiva quel ragionamento più ai colleghi voraci di pezze al culo che a se stesso. Gli opposi il paradosso di chi insiste a volersi valere di quanto, prima della conclamata redenzione, il malaffare aveva rubato. Risolse di voler far passare una nostra Yalta: metà ciascuno. Metà di un risarcimento da violazione di verità, legge e giustizia, che così si ritrova mutato nei trenta denari fatti pagati dal sinedrio per il tradimento di Giuda.
C’è Brunella che mi ha scritto “Venceremos, già solo per averli smerdati”. Altri mi hanno intimato: “Guai se molli di un solo euro, sporcheresti tutta la tua storia”. Ho calcolato che vendendo qualcosa di famiglia, usufruendo di qualche elargizione, tagliando sui propositi di informazione intercontinentale, ce l’avrei potuta fare. Ho pensato alle responsabilità che ho ne confronti di compagna e figli a due e a quattro gambe, al pignoramento, alle vendita all’asta della casa. Ho pensato che, in questo modo, avrei comunque potuto continuare, su scala ridotta, ad andare per un po’ di mondo a vedere e raccontare ciò che tu, Che, vedevi e raccontavi, coi fatti e con le parole. E ho mollato. Se questo significa aver sporcato una vicenda umana, ditelo voi. Io mi attacco alla sentenza di Brunella, sperando e confidando che sia anche la tua, Che, la vostra. Se lo fosse, mi farebbe un gran baffo tutto il resto.
Resta una considerazione che tratta di lealtà, solidarietà, coraggio, coerenza. E, per converso, di accidia, viltà, opportunismo, ipocrisia. Sono di voi a cui scrivo, le qualità. Sono di altri, sebbene più deputati di voi alle responsabilità, le malformazioni. E si torna a La Higuera. A chi, Comandante, mentre a La Paz tuonava contro i reprobi del dominio e dello sfruttamento, lì a La Higuera, con il suo abbandono e tradimento, ti ci ha fatto arrivare e morire.
Penso di aver difeso Cuba e la verità. Allora e centomila altre volte. E dunque da Cuba, dagli amici laggiù, dall’ambasciata cubana, dall’Associazione cui appartengo, ho avuto la pretesa di aspettarmi un segno, che so, un incoraggiamento, un apprezzamento, un saluto, un amichevole suggerimento ai compagni usurai. Ma comprendo il silenzio. I primi come potevano sottrarre un attimo del loro appassionato, diuturno, irriducibile e totalizzante impegno per cinque grandi compagni sequestrati da aguzzini Usa per aver difeso giustizia e verità (anche loro)? Ubi major, minor cessat. Quanto agli altri, quale arroganza sarebbe mai stata quella di attendersi un’attenzione da chi impiega tutte le sue preziosissime ore ed energie ad appuntarsi o farsi appuntare sul petto le medaglie della solidarietà con Cuba “senza se e senza ma” (la mia è senza se, ma con qualche ma)? Sarebbe arrogante anche solo tenergli il muso.
Ma non c’era anche forse il mio sindacato, la valorosa Federazione Nazionale della Stampa, pronta a rintuzzare qualsiasi abuso o offesa arrecata ai suoi iscritti? Pronta a raccogliere masse sterminate e scendere in piazza, a farsi definire dal “manifesto” “partigiani del terzo millennio”, nientemeno, per combattere, all’arma bianca e all’ultimo respiro di Roberto Natale e Beppe Giulietti, con tutta la loro fanfara di trombettieri della libertà, contro gli assalti agli ultimi brandelli dell’ articolo 21: libertà d’opinione, d’espressione, di stampa. Per tutti! O no? No, il mio sindacato non c’era, E, se c’era, dormiva, verrebbe da dire. Ma sarebbe ingiusto. Non dormiva, tutt’altro. Scioperava, dibatteva, denunciava, proclamava. Con a fianco i valori supremi espressi dalla resistenza, Roberto Saviano, Reporters sans Frontieres (quelli, sì, veri amici di Cuba, alla faccia dei 100mila dollari regolarmente passati dalla Cia), lo spirito “Liberty” di Anna Politovskaja. Chissà perché non avevano richiamato da Gerusalemme il vindice delle verità mediorientali, Claudio Pagliara… Come poteva, la FNSI, in tanta foresta in fiamme, avvedersi del rovo semincenerito sotto il palazzo del PRC? O forse, facendo di tutta l’erba un fascio, aveva voluto includere anche questo filo di gramigna? Sarà stato questo discreto universalismo a convincere Ferrero e i suoi? Tu che dici, Che? Dici che per fare arrivare a Viale del Policlinico, ancora più penetrante e convincente, il richiamo da Piazza Navona, avresti fatto saltare il palco con sopra Saviano e i Reporters? Ma, e la nonviolenza?
scrivo a te per scrivere a tutti coloro che mi hanno accompagnato durante questa traversata di territori che tu conosci bene. Sono i territori in cui i lupi mannari, per mangiarti, si travestono da nonne e dove poi, se non gli apri la pancia a forza, non ne esci vivo. Un territorio lungo sette anni, Che e amici miei, dal 9 maggio del 2003 al 19 giugno 2010. Inizia con il segretario di un partito che si dice comunista e finisce con un altro segretario del partito che si dice comunista. Entrambi, chi più chi meno, hanno marciato con gli anfibi sul corpo di un altro comunista, che sarei io, e un po’ se lo sono masticato, senza alla fine riuscire a mandarlo giù. Non c’è dubbio che basta il tuo bel naso greco, Che, per percepire quanti comunisti ci sono tra questi tre.
Ti scrivo all’ indirizzo de La Higuera, quello dell’escuelita tra i picchi battuti dal vento e dal gelo, nella quale un soldato ha dovuto essere ubriacato per avere la forza di guardarti negli occhi e spararti. I tuoi compagni cubani gli hanno ridato i suoi, di occhi, quando gli si erano spenti, forse perché quel tuo ultimo sguardo non erano più riusciti, nel tempo della memoria implacabile, a sostenerlo. Glieli ha passati, quarant’anni dopo, la rivoluzione. E’ come se gli avessi passato i tuoi. Spedisco a La Higuera e non a Santa Clara, dove nel monumentale mausoleo brulicano le migliaia che dal mondo, commossi e rapidi, ti vengono a visitare. Piuttosto che all’eroe consacrato, al mito, preferisco rivolgermi al combattente lacero, tradito, sconfitto, irriducibile, il cui sangue lì sparso non solo continua a nutrire arbusti che, come scogli nel mare, vivono a dispetto dell’accanimento degli elementi che assediano quel picco, ma ha nutrito un popolo intero, fino alla vittoria di oggi.
Sia detto senza spocchia per i pellegrini in pullman di Santa Chiara, ma coloro che si arrampicano a trovarti lassù, tra quelle quattro casupole sbrecciate da pioggia e bufera, per tratturi che si proiettano verso le vette delle Ande e rasentano gli abissi già abitati dalla tua utopia del reale possibile, credo che il Che se lo ritrovino inciso nei muscoli stremati, nel respiro mozzato, nel tambureggiare del cuore. E dunque più dentro per sempre. Lo hanno incontrato là dove, trascinato ferito, ingiuriato inerme da giustizieri accecati dalla vergogna, assassinato per viltà e terrore di una nemesi sentita inevitabile, la sua vita si è sublimata nel massimo del dolore ed è diventata cammino del genere umano.
Scrivo a te è come scrivere a Francesco, Annalisa, Fabrizio, Antonio, Italo, Lidia, Sandra, Ivano, Walter, Maurizio…. i tantissimi (pensa alla fine erano più di 2000, li avessi avuti con te, altro che i rinnegati del Partito Comunista che ti consegnarono al boia, lasciandoti senza rifornimenti, senza rinforzi, senza informazioni) che hanno lottato con me perché al lupo mannaro non riuscisse quel pasto. Faccio prima a scrivere a te, anche perché qualcosa mi dice che quei compagni in te si riconoscono e a La Higuera preferirebbero ritrovarti, che è luogo irriducibile ai compromessi, alle astuzie, agli opportunismi. Per coloro che praticano questi percorsi ci vuole una viabilità meno ardua, più comoda. Venire con me alla battaglia con Liberazione, “Giornale del Partito della Rifondazione Comunista”, propriamente la difesa da una rapina più che di denaro, di onestà, è stato un po’ come salire a La Higuera tutti insieme. A quella nuda e brulla cima dove infingimenti, travisamenti, formule insincere, crediti indebiti, ipocrisie, insegne bugiarde, paccottiglia rituale, architetture ideologiche inscheletrite, tutto l’armamentario dell’autoconservazione nella finzione di qualcosa che è diventata altro, pettinando l’esistente e non più strappandolo al futuro. Diventando la frode dell’era, una circonvenzione di incapaci.
L’altra sera, caro Che, cari tutti, avrei voluto vedere anche le vostre reazioni davanti al deturpare lo schermo televisivo di un volto grifagno, la voce alterata dal rancore da invidia di uno finito fuorisquadra. Era Antonello Trombadori, chiassoso vessillifero della combriccola di sepolcri imbiancati revisionisti che hanno allevato i Fassino, D’Alema, Veltroni, Bersani, Occhetto, tutta la genìa di chi occulta dietro alla repulsa del socialismo, come era andato corrompendosi nel reale, la propria fregola di rifiuto del socialismo tout court e di partecipazione al banchetto, qualunque fossero coloro che apparecchiassero e con quali cibi, a chi sottratti. Trasmissione dei primi anni’70 con un protagonista in senile disarmo che lanciava smorfie di rabbia e vituperi contro chi in quel decennio aveva risollevato il vessillo dei partigiani e tentato di forare le ruote al carro da morto che, prevalendo soprattutto grazie alla spinta sua e dei suoi, ci avrebbe trascinato all’oggi della disfatta. Era un reperto piccista, di quelli che ancora non avevano ammesso di irritarsi a essere chiamati “compagni”. Stellarmente lontano dalla Higuera, da te, Ernesto Guevara. L’esibizione sconcia di questo catafalco annerito dallo smog delle emissioni tossiche di un partito delatore e sodale della repressione del giusto e del bello, della poesia dell’avvenire, mi fa venire in mente la ferocia dei tanti traditori che, accomodandosi nella complicità con i tiranni e le oligarchie dello stupro yankee dell’America Latina, si sono avventati alle spalle tue e dei mille e mille fiori di sangue e bellezza, portati al mattatoio dell’operazione Condor. Mi hanno ricordato il tuo rifiuto di una pratica che, nel paese accettato guida, era diventata burocrazia, sclerosi, supponenza, estraniamento dalle premesse di liberazione nel protagonismo delle masse, non delle gerarchie, rigor mortis. La tua fuga da una sorte che ritenevi destinata alla sconfitta nelle sue compatibilità con l’uomo vecchio. La tua nuova corsa alla rivoluzione, all’uomo nuovo.
Siamo alle solite, mio Che. Come i tuoi compagni nella foresta boliviana, e perdona l’azzardo della similitudine in sedicesimo, quelli che nella rete, nei gruppi di solidarietà, nelle strigliate e invettive al giornale e al partito, mi hanno sostenuto contro gli epigoni di Trombadori e della sua foia, qui ormai disperata, di potere e guadagno, hanno ripreso il discorso del Granma, del Moncada, della Sierra Maestra. Con, sul fronte opposto, despoti e chi alla loro ombra si accuccia. Veniamo ai fatti. Una vicenda, che sta alla tua, caro Che, come il polipetto sta alla piovra, ma che condivide i tuoi nemici, quale che ti arpiona, quale che ti cattura nella rete, tutti che ti tolgono l’acqua.
Nel 2003, dopo cinque anni di lavoro per Liberazione, fui cacciato su due piedi da un piccolo capo, per disposizione del grande capo. Scrivendo degli attacchi alla tua rivoluzione e delle sue conquiste, avevo messo un granello nel grande ingranaggio della strategia di rientro nell’esistente, guidata da chi di quell’esistente, per quanto negazione assoluta dei valori vantati, si vedeva già protagonista di primo piano, terza carica dello Stato, onori, splendori, auto blù e buvette. Uno dei passaggi sotto le forche caudine di velluto riservate ai pentiti e rientranti, Che, era la propria voce nel coro della diffamazione della tua patria rivoluzionaria: terroristi fatti passare per dissidenti, mercenariato del nemico addobbato da anelito di democrazia. Accanto al direttore Sandro Curzi, uno che sapeva sottrarsi ai bagliori della vergogna rifugiandosi nell’oscurità dell’ignavia, apristrada belluina della regressiva avanzata di Bertinotti era la vicedirettrice, Rina Gagliardi, già corifea del’indomito reazionario D’Alema, testè deceduta e debitamente glorificata da tutto quanto il mondo dell’informazione, “il manifesto”, suo debutto giornalistico, in testa. Usa così con morti, nel mio paese, fosse anche Vittorio Mangano, capo-mandamento di Arcore. Vantata come riferimento ideologico una sbigottita Rosa Luxemburg e postasi sotto la luce politica di D’Alema e Bertinotti, ha accompagnato con fanfare degne del miglior picchetto presidenziale la discesa di costoro agli inferi morali e la loro ascesa ai campi elisi del libero mercato politico. Fino alla liquidazione di ogni identità con l’indistinto
risciacquo degli ultimi panni puliti nell’acqua sporca di formazioni politiche dalla radici recise e dal futuro da bancarella, o di giornali, “Il Riformista”, “L’altro-Gli altri”, quelli del boss del malaffare Angelucci con i suoi cavalli di razza Polito e Sansonetti. Campionessa della coerenza, del coraggio e del rigore come tu, caro Che, nei hai ben conosciuti, a partire da quel Mario Monje, segretario del Partito Comunista Boliviano che, con Stalin, preferiva il tuo paese sotto lo stivale del generale René Barrientos. Coronò la sua vicenda umana in Senato, Rina Gagliardi, pronube il Grande Vecchio dell’anticomunismo, votando perché il suo paese sventrasse il popolo afghano. Quello col quale tu, non v’è alcun dubbio, oggi saresti in armi, come in Congo, come in Angola.
Buttatomi fuori dal giornale con una telefonata dell’amministratore, impeditomi di far valere le mie ragioni, negatomi i modesti compensi dovuti, questa corifea del revisionismo utilitarista insultò le migliaia di compagni che firmarono proteste alla direzione, pubblicando menzogne, ingiuriose sul piano professionale, a giustificazione della mia estromissione. Motivi non ritenuti validi dal giudice del lavoro, che mi assegnò un risarcimento di danni morali, materiali, di immagine, credibilità, di 100mila euro. Liberazione proseguì nella sua evoluzione e passò a Piero Sansonetti, altro cantore dell’imperialismo svaporato, della nonviolenza, del subcomandante Marcos e, soprattutto, di Vladimir Luxuria. Dalla rivoluzione d’ottobre ai trionfi dell’Isola dei
Scrivo a te è come scrivere a Francesco, Annalisa, Fabrizio, Antonio, Italo, Lidia, Sandra, Ivano, Walter, Maurizio…. i tantissimi (pensa alla fine erano più di 2000, li avessi avuti con te, altro che i rinnegati del Partito Comunista che ti consegnarono al boia, lasciandoti senza rifornimenti, senza rinforzi, senza informazioni) che hanno lottato con me perché al lupo mannaro non riuscisse quel pasto. Faccio prima a scrivere a te, anche perché qualcosa mi dice che quei compagni in te si riconoscono e a La Higuera preferirebbero ritrovarti, che è luogo irriducibile ai compromessi, alle astuzie, agli opportunismi. Per coloro che praticano questi percorsi ci vuole una viabilità meno ardua, più comoda. Venire con me alla battaglia con Liberazione, “Giornale del Partito della Rifondazione Comunista”, propriamente la difesa da una rapina più che di denaro, di onestà, è stato un po’ come salire a La Higuera tutti insieme. A quella nuda e brulla cima dove infingimenti, travisamenti, formule insincere, crediti indebiti, ipocrisie, insegne bugiarde, paccottiglia rituale, architetture ideologiche inscheletrite, tutto l’armamentario dell’autoconservazione nella finzione di qualcosa che è diventata altro, pettinando l’esistente e non più strappandolo al futuro. Diventando la frode dell’era, una circonvenzione di incapaci.
L’altra sera, caro Che, cari tutti, avrei voluto vedere anche le vostre reazioni davanti al deturpare lo schermo televisivo di un volto grifagno, la voce alterata dal rancore da invidia di uno finito fuorisquadra. Era Antonello Trombadori, chiassoso vessillifero della combriccola di sepolcri imbiancati revisionisti che hanno allevato i Fassino, D’Alema, Veltroni, Bersani, Occhetto, tutta la genìa di chi occulta dietro alla repulsa del socialismo, come era andato corrompendosi nel reale, la propria fregola di rifiuto del socialismo tout court e di partecipazione al banchetto, qualunque fossero coloro che apparecchiassero e con quali cibi, a chi sottratti. Trasmissione dei primi anni’70 con un protagonista in senile disarmo che lanciava smorfie di rabbia e vituperi contro chi in quel decennio aveva risollevato il vessillo dei partigiani e tentato di forare le ruote al carro da morto che, prevalendo soprattutto grazie alla spinta sua e dei suoi, ci avrebbe trascinato all’oggi della disfatta. Era un reperto piccista, di quelli che ancora non avevano ammesso di irritarsi a essere chiamati “compagni”. Stellarmente lontano dalla Higuera, da te, Ernesto Guevara. L’esibizione sconcia di questo catafalco annerito dallo smog delle emissioni tossiche di un partito delatore e sodale della repressione del giusto e del bello, della poesia dell’avvenire, mi fa venire in mente la ferocia dei tanti traditori che, accomodandosi nella complicità con i tiranni e le oligarchie dello stupro yankee dell’America Latina, si sono avventati alle spalle tue e dei mille e mille fiori di sangue e bellezza, portati al mattatoio dell’operazione Condor. Mi hanno ricordato il tuo rifiuto di una pratica che, nel paese accettato guida, era diventata burocrazia, sclerosi, supponenza, estraniamento dalle premesse di liberazione nel protagonismo delle masse, non delle gerarchie, rigor mortis. La tua fuga da una sorte che ritenevi destinata alla sconfitta nelle sue compatibilità con l’uomo vecchio. La tua nuova corsa alla rivoluzione, all’uomo nuovo.
Siamo alle solite, mio Che. Come i tuoi compagni nella foresta boliviana, e perdona l’azzardo della similitudine in sedicesimo, quelli che nella rete, nei gruppi di solidarietà, nelle strigliate e invettive al giornale e al partito, mi hanno sostenuto contro gli epigoni di Trombadori e della sua foia, qui ormai disperata, di potere e guadagno, hanno ripreso il discorso del Granma, del Moncada, della Sierra Maestra. Con, sul fronte opposto, despoti e chi alla loro ombra si accuccia. Veniamo ai fatti. Una vicenda, che sta alla tua, caro Che, come il polipetto sta alla piovra, ma che condivide i tuoi nemici, quale che ti arpiona, quale che ti cattura nella rete, tutti che ti tolgono l’acqua.
Nel 2003, dopo cinque anni di lavoro per Liberazione, fui cacciato su due piedi da un piccolo capo, per disposizione del grande capo. Scrivendo degli attacchi alla tua rivoluzione e delle sue conquiste, avevo messo un granello nel grande ingranaggio della strategia di rientro nell’esistente, guidata da chi di quell’esistente, per quanto negazione assoluta dei valori vantati, si vedeva già protagonista di primo piano, terza carica dello Stato, onori, splendori, auto blù e buvette. Uno dei passaggi sotto le forche caudine di velluto riservate ai pentiti e rientranti, Che, era la propria voce nel coro della diffamazione della tua patria rivoluzionaria: terroristi fatti passare per dissidenti, mercenariato del nemico addobbato da anelito di democrazia. Accanto al direttore Sandro Curzi, uno che sapeva sottrarsi ai bagliori della vergogna rifugiandosi nell’oscurità dell’ignavia, apristrada belluina della regressiva avanzata di Bertinotti era la vicedirettrice, Rina Gagliardi, già corifea del’indomito reazionario D’Alema, testè deceduta e debitamente glorificata da tutto quanto il mondo dell’informazione, “il manifesto”, suo debutto giornalistico, in testa. Usa così con morti, nel mio paese, fosse anche Vittorio Mangano, capo-mandamento di Arcore. Vantata come riferimento ideologico una sbigottita Rosa Luxemburg e postasi sotto la luce politica di D’Alema e Bertinotti, ha accompagnato con fanfare degne del miglior picchetto presidenziale la discesa di costoro agli inferi morali e la loro ascesa ai campi elisi del libero mercato politico. Fino alla liquidazione di ogni identità con l’indistinto
risciacquo degli ultimi panni puliti nell’acqua sporca di formazioni politiche dalla radici recise e dal futuro da bancarella, o di giornali, “Il Riformista”, “L’altro-Gli altri”, quelli del boss del malaffare Angelucci con i suoi cavalli di razza Polito e Sansonetti. Campionessa della coerenza, del coraggio e del rigore come tu, caro Che, nei hai ben conosciuti, a partire da quel Mario Monje, segretario del Partito Comunista Boliviano che, con Stalin, preferiva il tuo paese sotto lo stivale del generale René Barrientos. Coronò la sua vicenda umana in Senato, Rina Gagliardi, pronube il Grande Vecchio dell’anticomunismo, votando perché il suo paese sventrasse il popolo afghano. Quello col quale tu, non v’è alcun dubbio, oggi saresti in armi, come in Congo, come in Angola.
Buttatomi fuori dal giornale con una telefonata dell’amministratore, impeditomi di far valere le mie ragioni, negatomi i modesti compensi dovuti, questa corifea del revisionismo utilitarista insultò le migliaia di compagni che firmarono proteste alla direzione, pubblicando menzogne, ingiuriose sul piano professionale, a giustificazione della mia estromissione. Motivi non ritenuti validi dal giudice del lavoro, che mi assegnò un risarcimento di danni morali, materiali, di immagine, credibilità, di 100mila euro. Liberazione proseguì nella sua evoluzione e passò a Piero Sansonetti, altro cantore dell’imperialismo svaporato, della nonviolenza, del subcomandante Marcos e, soprattutto, di Vladimir Luxuria. Dalla rivoluzione d’ottobre ai trionfi dell’Isola dei
Famosi. Con Bertinotti ormai presidente della Camera, si era creato l’ambiente ideale per un ricorso in appello. Ambiente ideale per la vittoria, stavolta, per chi mi aveva accusato di aver deviato, magari anche quando raccontavo guerre e infamie da Belgrado, Gerusalemme, Baghdad, o Arcore, dal tema assegnatomi dal giornale: l’ambiente (visto come aiuole, panda e spiagge pulite). Un giudice creativo, però, di questo non tenne alcun conto e addusse una formula inedita e originale: avevo deviato dalla linea del partito. Dovevo restituire con gli interessi quanto i lottatori pro-articolo 18 e pro-libertà d’opinione-espressione mi avevano dovuto dare per aver represso queste due cose, pur sancite, oltreché dalla Costituzione, dallo Statuto del partito. Ma cos’è una costituzione, cos’è uno statuto, davanti a un sindacalista proiettato nell'empireo dei padroni e alla sua corte?
Quei soldi, caro Che, non c’erano più. Fiducioso nella giustizia che fa di qualsiasi presidente un pari di qualsiasi cittadino, li avevo sparsi qua e là nei mondi dove quella giustizia è un anelito, il cuore di un conflitto, o una realtà sostanziale. Se li erano mangiati telecamere, cassette, montaggi, dvd. Qualche spicciolo era rimasto anche dalle parti tue, delle tue vittorie e del tuo martirio. A Liberazione, nel PRC, grandi cambiamenti erano avvenuti. Se n’erano andati, per la tangente del quieto vivere nel brodo primordiale del capitalismo, le zavorre varie appese ai “diritti umani”, alla nonviolenza, alla centralità GLBTQ, alla falce e martello mai, allo strapuntino del PD certo, all’UDC di Cuffaro forse. Sarebbero rimasti, con qualche elemento spurio, i bravi, quelli veri, corretti, irriducibili, di lotta e di classe. Inimmaginabile che, fatta dichiarazione formale di sostegno a Cuba a smentita dell’ukase bertinottista, postisi in prima fila contro la barbarie controriformista del regime del guitto mannaro e le sue leggi-bavaglio, rivendicata una sacrosanta libertà d’espressione, di stampa, d’opinione, di sberleffo, la nuova Rifondazione, la nuova Liberazione insistessero a riavere il bentolto, traendo frutto sia dagli abusi di un monarca assoluto che aveva disintegrato i diritti degli iscritti, sia dalla cultura della censura propagata dal satrapo vituperato. E invece no. Qualcosa di fondamentale non era cambiato. Me lo fece capire con evidenza solare colui che, pure, ai tempi di altre convenienze, aveva fatto fuoco e fiamme contro gli abusi del tirannello domestico: Claudio Grassi, ex-leader dell’opposizione “marxista-leninista”, un duro e puro contro il revisionismo. Vistomi incatenato sotto le finestre di Liberazione e del partito, mi era danzicchiato via ghignando: “Li hai presi i soldi, e ora ce li ridai tutti!” Non fosse emiliano, avrebbe esultato: “Cornuto e mazziato”.
Non so cosa avresti fatto tu, caro Che, se, naturalmente per assurdo, Fidel ti avesse chiesto di parlar bene del PCUS, mummificatosi dietro le mura del Cremlino e ringhioso guardiano, nel nome di una coesistenza stronca-rivoluzioni, del condominio bipolare “Mondo” messo su a Yalta. Proprio come, all’inverso, il compagno-segretario Bertinotti aveva voluto che i suoi, me compreso, parlassero male di Cuba (e poi di Milosevic, di Saddam, dei violenti, di tutte le zanzare che punzecchiano il mezzo condominio assegnato) e di parlar bene solo di Marcos e dei GLBTQ, a consolidamento della propria sistemazione in quella parte del condominio in cui Yalta aveva rinchiuso gli “anticapitalisti” occidentali. Avresti assaltato di nuovo il Moncada, cosa che sarebbe parsa brutta per la rivoluzione vittoriosa, avresti polemizzato, avresti evidenziato i pericoli che potevano derivare da una dipendenza da Stati-guida dediti esclusivamente ai propri interessi? O, semplicemente, te ne saresti andato in Africa, o in Bolivia, a buttare per aria un po’ di coesistenza?
Qui da noi parlare di Moncada a proposito del ridotto di Viale Policlinico sarebbe come chiamare bue la famosa rana. Escluso quindi l’assalto, anche perché quelle bertinocchiane siringate di nonviolenza avevano ormai provocato il disarmo unilaterale non solo rispetto all’armamentario supergalattico del padrone, ma anche a quello pacifisticamente militarizzato del capo “nonviolento”. Polemizzare con chi, in vista di scranni d’oro, rovesciava la verità in un contrario gradito agli affittuari di quegli scranni? Bè, le polemiche le abbiamo fatte, a migliaia, compagni, lettori, dirigenti del partito. Su Liberazione è piovuta una gragnuola di improperi e disdoro, a difesa di Cuba, della verità, della libertà d’espressione, del diritto di critica sancito proprio in quello che dovrebbe essere l’arnese più caro al burocrate, lo statuto. Niente, muro di gomma, muro di bugie e calunnie, eravamo da clinica psichiatra, secondo il più vituperato (formalmente), ma anche il più seguito (nei suoi aspetti deteriori) dei modelli. L’uragano di lettere, facebook, ricorsi, appelli da firmare, puntò nuovamente su Viale del Policlinico. Riuscì appena a lambire le mura esterne di un fortino Bastiani che, proprio perché andava sgretolandosi, puntava a tappare le crepe con la malta sottratta anche alla baracca di Grimaldi. Il fortino è quello, Che, dove stavano, assediati da una malasorte autocostruita con il perfezionismo di un genio del Lego, i detriti di chi aveva preteso di riportare te, Che, e quel comunismo, tra le ipotesi possibili di un presente fluente nel futuro, e invece aveva finito col proporre un miscione di Brezhnev, Cernienko, Flavio Lotti e Vladimir Luxuria.”
Non so se tu, Che, avresti approvato. Forse ti sarebbe parso un gesto individualista. Ma, se le masse non c’erano? Se stavano tutte nel web? In ogni modo, mi conforta il consenso di costoro che, tutti, tengono da qualche parte un pezzetto di Che, anche se inconsapevole, nel cuore. Così mi misi in catene e mi incatenai accanto al portone del fortino. Nel raggelarsi degli anni e nella desertificazione del mio paese, vidi tramutarsi quattro corsie superstradali, battute da un’ininterrotta, demenziale carica di macchine tanto rumorose quanto mute, tanto scintillanti quanto mortifere, in un rigoglioso giardino di colori, profumi, voci. Sarà leziosa, ma permettetemi questa similitudine. Se non posso vedere dei fiori in coloro che mi stettero accanto su quel marciapiede gretto e bollente, che vennero a portare acqua e vettovaglie al milituzzo che si voleva ignoto, se non posso udire per canti quelle voci che chiamavano dal computer, allora, si parva licet, neanche Guido Guinizzelli può dire Al cor gentil reimpara sempre amore.Non so cosa avresti fatto tu, caro Che, se, naturalmente per assurdo, Fidel ti avesse chiesto di parlar bene del PCUS, mummificatosi dietro le mura del Cremlino e ringhioso guardiano, nel nome di una coesistenza stronca-rivoluzioni, del condominio bipolare “Mondo” messo su a Yalta. Proprio come, all’inverso, il compagno-segretario Bertinotti aveva voluto che i suoi, me compreso, parlassero male di Cuba (e poi di Milosevic, di Saddam, dei violenti, di tutte le zanzare che punzecchiano il mezzo condominio assegnato) e di parlar bene solo di Marcos e dei GLBTQ, a consolidamento della propria sistemazione in quella parte del condominio in cui Yalta aveva rinchiuso gli “anticapitalisti” occidentali. Avresti assaltato di nuovo il Moncada, cosa che sarebbe parsa brutta per la rivoluzione vittoriosa, avresti polemizzato, avresti evidenziato i pericoli che potevano derivare da una dipendenza da Stati-guida dediti esclusivamente ai propri interessi? O, semplicemente, te ne saresti andato in Africa, o in Bolivia, a buttare per aria un po’ di coesistenza?
Qui da noi parlare di Moncada a proposito del ridotto di Viale Policlinico sarebbe come chiamare bue la famosa rana. Escluso quindi l’assalto, anche perché quelle bertinocchiane siringate di nonviolenza avevano ormai provocato il disarmo unilaterale non solo rispetto all’armamentario supergalattico del padrone, ma anche a quello pacifisticamente militarizzato del capo “nonviolento”. Polemizzare con chi, in vista di scranni d’oro, rovesciava la verità in un contrario gradito agli affittuari di quegli scranni? Bè, le polemiche le abbiamo fatte, a migliaia, compagni, lettori, dirigenti del partito. Su Liberazione è piovuta una gragnuola di improperi e disdoro, a difesa di Cuba, della verità, della libertà d’espressione, del diritto di critica sancito proprio in quello che dovrebbe essere l’arnese più caro al burocrate, lo statuto. Niente, muro di gomma, muro di bugie e calunnie, eravamo da clinica psichiatra, secondo il più vituperato (formalmente), ma anche il più seguito (nei suoi aspetti deteriori) dei modelli. L’uragano di lettere, facebook, ricorsi, appelli da firmare, puntò nuovamente su Viale del Policlinico. Riuscì appena a lambire le mura esterne di un fortino Bastiani che, proprio perché andava sgretolandosi, puntava a tappare le crepe con la malta sottratta anche alla baracca di Grimaldi. Il fortino è quello, Che, dove stavano, assediati da una malasorte autocostruita con il perfezionismo di un genio del Lego, i detriti di chi aveva preteso di riportare te, Che, e quel comunismo, tra le ipotesi possibili di un presente fluente nel futuro, e invece aveva finito col proporre un miscione di Brezhnev, Cernienko, Flavio Lotti e Vladimir Luxuria.”
Meno topastro da cascami di rigattiere, con qualche increspatura nella sicumera di uomo di sinistra-che-più-a-sinistra-non-c’è-nulla, meno cattolico e più evangelico, al settimo giorno di catene e sole in testa, scende il nuovo segretario nazionale, Paolo Ferrero. Scese e mi guardò con occhi blù. Evangelici, non cattolici, devo ammettere. Provò a rifilarmi le ragioni del busillis giudiziario – abbiamo vinto l’appello, è la legge - ma penso di aver capito che attribuiva quel ragionamento più ai colleghi voraci di pezze al culo che a se stesso. Gli opposi il paradosso di chi insiste a volersi valere di quanto, prima della conclamata redenzione, il malaffare aveva rubato. Risolse di voler far passare una nostra Yalta: metà ciascuno. Metà di un risarcimento da violazione di verità, legge e giustizia, che così si ritrova mutato nei trenta denari fatti pagati dal sinedrio per il tradimento di Giuda.
C’è Brunella che mi ha scritto “Venceremos, già solo per averli smerdati”. Altri mi hanno intimato: “Guai se molli di un solo euro, sporcheresti tutta la tua storia”. Ho calcolato che vendendo qualcosa di famiglia, usufruendo di qualche elargizione, tagliando sui propositi di informazione intercontinentale, ce l’avrei potuta fare. Ho pensato alle responsabilità che ho ne confronti di compagna e figli a due e a quattro gambe, al pignoramento, alle vendita all’asta della casa. Ho pensato che, in questo modo, avrei comunque potuto continuare, su scala ridotta, ad andare per un po’ di mondo a vedere e raccontare ciò che tu, Che, vedevi e raccontavi, coi fatti e con le parole. E ho mollato. Se questo significa aver sporcato una vicenda umana, ditelo voi. Io mi attacco alla sentenza di Brunella, sperando e confidando che sia anche la tua, Che, la vostra. Se lo fosse, mi farebbe un gran baffo tutto il resto.
Resta una considerazione che tratta di lealtà, solidarietà, coraggio, coerenza. E, per converso, di accidia, viltà, opportunismo, ipocrisia. Sono di voi a cui scrivo, le qualità. Sono di altri, sebbene più deputati di voi alle responsabilità, le malformazioni. E si torna a La Higuera. A chi, Comandante, mentre a La Paz tuonava contro i reprobi del dominio e dello sfruttamento, lì a La Higuera, con il suo abbandono e tradimento, ti ci ha fatto arrivare e morire.
Penso di aver difeso Cuba e la verità. Allora e centomila altre volte. E dunque da Cuba, dagli amici laggiù, dall’ambasciata cubana, dall’Associazione cui appartengo, ho avuto la pretesa di aspettarmi un segno, che so, un incoraggiamento, un apprezzamento, un saluto, un amichevole suggerimento ai compagni usurai. Ma comprendo il silenzio. I primi come potevano sottrarre un attimo del loro appassionato, diuturno, irriducibile e totalizzante impegno per cinque grandi compagni sequestrati da aguzzini Usa per aver difeso giustizia e verità (anche loro)? Ubi major, minor cessat. Quanto agli altri, quale arroganza sarebbe mai stata quella di attendersi un’attenzione da chi impiega tutte le sue preziosissime ore ed energie ad appuntarsi o farsi appuntare sul petto le medaglie della solidarietà con Cuba “senza se e senza ma” (la mia è senza se, ma con qualche ma)? Sarebbe arrogante anche solo tenergli il muso.
Ma non c’era anche forse il mio sindacato, la valorosa Federazione Nazionale della Stampa, pronta a rintuzzare qualsiasi abuso o offesa arrecata ai suoi iscritti? Pronta a raccogliere masse sterminate e scendere in piazza, a farsi definire dal “manifesto” “partigiani del terzo millennio”, nientemeno, per combattere, all’arma bianca e all’ultimo respiro di Roberto Natale e Beppe Giulietti, con tutta la loro fanfara di trombettieri della libertà, contro gli assalti agli ultimi brandelli dell’ articolo 21: libertà d’opinione, d’espressione, di stampa. Per tutti! O no? No, il mio sindacato non c’era, E, se c’era, dormiva, verrebbe da dire. Ma sarebbe ingiusto. Non dormiva, tutt’altro. Scioperava, dibatteva, denunciava, proclamava. Con a fianco i valori supremi espressi dalla resistenza, Roberto Saviano, Reporters sans Frontieres (quelli, sì, veri amici di Cuba, alla faccia dei 100mila dollari regolarmente passati dalla Cia), lo spirito “Liberty” di Anna Politovskaja. Chissà perché non avevano richiamato da Gerusalemme il vindice delle verità mediorientali, Claudio Pagliara… Come poteva, la FNSI, in tanta foresta in fiamme, avvedersi del rovo semincenerito sotto il palazzo del PRC? O forse, facendo di tutta l’erba un fascio, aveva voluto includere anche questo filo di gramigna? Sarà stato questo discreto universalismo a convincere Ferrero e i suoi? Tu che dici, Che? Dici che per fare arrivare a Viale del Policlinico, ancora più penetrante e convincente, il richiamo da Piazza Navona, avresti fatto saltare il palco con sopra Saviano e i Reporters? Ma, e la nonviolenza?
A presto, Che. A presto, compagni. E hasta la victoria siempre
questo finale dinamitardo mi sarebbe piaciuto e moltissimo anche.
RispondiEliminaCarissimo compagno,io so di aver fatto poco per te:una lettera rancorosa a liberazione,due post sul mio blog,tante chiacchiere con compagni e compagne.
Purtroppo siamo ridotti così,l'indignazione e l'azione talora trovano spazio solo su internet,presi come siamo dal sopravvivere alla precarietà,alla lotta impari contro gli infiltrati stile mossad -saviano.
Su alcuni punti non concordo affatto con te ,sono stalinista inside,ma che bello e come è commovente nel senso alto e nobile del termine,vedere un vero guerriero- non quello pompato negli studi del gf- un irriducibile, un cavaliere solitario degno delle grandi storie western , come te portare avanti con grande dignità una lotta contro l'ipocrisia dei democretini.
Hai fatto benissimo ad accettare il sistema "metà",perchè i sacrifici seppure simbolicamente forti e toccanti,sono inutili se non portano un minimo vantaggio o un dignitoso pareggio a chi combatte.
Quel coraggio che probabilmente un animale a sangue freddo,un fervente sostenitore dell'unione sovietica come me,probabilmente non ha e non avrà mai.Ognuno ha la sua natura.Un po' come quando guardo Pat Garret e Billy The Kid di Sam Peckinpah....Io mi rivedo in Garret,che ci vuoi fare.
Però quando i lestofanti spocchiosi,stalinisti senza il coraggio di praticare lo stalinismo,socialistini,vecchie e acide zitelle,dirittoumanisti a stelle e tante strisce, si fan vedere all'orizzonte pronti ad assalire quello spazio ancora decente di informazione comunista,mi viene naturale tirare fuori i picconi ed usarli.I nostri picconi sono le parole:dure e taglienti contro questo esercito che ha fucilato il comunismo,la sinistra,la lotta e poi anche:l'organizzazione,la disciplina,la formazione.Con arroganza e in malafede.Per questo non posso che sostenerti sempre e comunque,anche quando non condivido certi tuoi pensieri-che ti ha fatto woody allen????-ma è bellissimo leggerti.Vale sempre la pena!
Si,Vittorini aveva scritto un libro:Uomini e No.
Noi stiamo nella prima categoria!
questo finale dinamitardo mi sarebbe piaciuto e moltissimo anche.
RispondiEliminaCarissimo compagno,io so di aver fatto poco per te:una lettera rancorosa a liberazione,due post sul mio blog,tante chiacchiere con compagni e compagne.
Purtroppo siamo ridotti così,l'indignazione e l'azione talora trovano spazio solo su internet,presi come siamo dal sopravvivere alla precarietà,alla lotta impari contro gli infiltrati stile mossad -saviano.
Su alcuni punti non concordo affatto con te ,sono stalinista inside,ma che bello e come è commovente nel senso alto e nobile del termine,vedere un vero guerriero- non quello pompato negli studi del gf- un irriducibile, un cavaliere solitario degno delle grandi storie western , come te portare avanti con grande dignità una lotta contro l'ipocrisia dei democretini.
Hai fatto benissimo ad accettare il sistema "metà",perchè i sacrifici seppure simbolicamente forti e toccanti,sono inutili se non portano un minimo vantaggio o un dignitoso pareggio a chi combatte.
Quel coraggio che probabilmente un animale a sangue freddo,un fervente sostenitore dell'unione sovietica come me,probabilmente non ha e non avrà mai.Ognuno ha la sua natura.Un po' come quando guardo Pat Garret e Billy The Kid di Sam Peckinpah....Io mi rivedo in Garret,che ci vuoi fare.
Però quando i lestofanti spocchiosi,stalinisti senza il coraggio di praticare lo stalinismo,socialistini,vecchie e acide zitelle,dirittoumanisti a stelle e tante strisce, si fan vedere all'orizzonte pronti ad assalire quello spazio ancora decente di informazione comunista,mi viene naturale tirare fuori i picconi ed usarli.I nostri picconi sono le parole:dure e taglienti contro questo esercito che ha fucilato il comunismo,la sinistra,la lotta e poi anche:l'organizzazione,la disciplina,la formazione.Con arroganza e in malafede.Per questo non posso che sostenerti sempre e comunque,anche quando non condivido certi tuoi pensieri-che ti ha fatto woody allen????-ma è bellissimo leggerti.Vale sempre la pena!
Si,Vittorini aveva scritto un libro:Uomini e No.
Noi stiamo nella prima categoria!
Caro Fulvio, se altri lettori del tuo blog sono d'accordo, sono pronto a partecipare a qualche sottoscrizione per fare in modo che l'accordo che hai raggiunto con quelli lì ti sia meno gravoso.
RispondiEliminaSottoscrivo quanto appena dichiarato, son certo di poter coinvolgere anche altre persone in questo risarcimento. Ho scritto e riscritto questo post. Questa è l'ultima volta. Ho troppo da dire ma preferisco autocensurarmi.
RispondiEliminaTi auguro ogni bene.
Una volta compravo liberazione... direttore mi pare il fufufu sandro curzi...poi mi scocciai per il fufufu mi suppostava un giorno si e l'altro pure articoli di gladio.moroass cossiga fra'incesto
RispondiEliminaprotestai anche con LiberAZZOne. Fra l'altro pubblicavano foto di pugni chiusi destri anziché sinistri... orripilante inversione di stampa...dico io... a dimostrazione primordiale che pe5r loro non c'è MAI sta differenza fra dx e manca... perché il centro è uno:in inglese forbito "output"
dove l'input è la "bokkuccia di rosa". Col pollice sinistro"verso" ed il medio destro in "erezione" mi auguro che il TOLTO vada a tutti loro in FARMACI che vuol dire VELENI...Se c'è da Sottoscrivere... siamo pronti nel ns piccolo
caro Fulvio sei un grande e un coraggioso. La lettera al Che è splendida, commovente, per me almeno che, avendo passato gli "anta", ho avuto la fortuna di conoscerlo, apprezzarlo e amarlo e riconoscermi nel suo pensiero. Dico questo con grande amarezza nel convincimento che "loro" hanno vinto. Hanno vinto con l'inganno e le menzogne, saccheggiando il lavoro del popolo, ma hanno vinto. Nemmeno questa crisi li spazzera' via, perche' ricominceranno da capo. Sono riusciti ad anestetizzare totalmente tutti o quasi. siamo quattro gatti e non abbiamo possibilita'. perdonate il mio sconforto. P.S. Il suggerimento dell'amico che ha scritto il secondo commento mi trova d'accordo. Pensaci
RispondiEliminaL'intervento di Anonimo, perdonato per la lunghezza grazie dello spessore del ragionamento. Il blog da fuori di matto quando si supera un certo numero di caratteri, ma stavolta si è trattenuto compiaciuto, alla luce di queste intelligenti considerazioni su Saviano e la metodologia che lo ha prodotto. Me ne avarrò, da buon saprofita, nelle mie conferenze. Grazie.
RispondiEliminaScusate i refusi del commento precedente (avvarrò, grazie allo spessore...).
RispondiEliminaAncora una volta ripeto ai generosi che si offrono per un contributo che compensi il furto effettuato dal PRC, che non è proprio il caso. Collette si accettano magari per pagare un avvocato che ti tiri fuori da un carcere ingiusto, o per sfamare chi sta in stracci, o per pagare un chirurgo esoso. Certamente non è il mio caso e sarebbe totalmente assurdo. Me la cavo, cari amici, me la cavo e presto vi stupirò con nuovi effettacci speciali, nel senso di docufilm.
Comunque la vostra amicizia e disponibilità mi confondono e commuovono. Anche perchè immeritate.
Fulvio
Caro Fulvio, sono l'anonimo del commento di lunghezza spropositata del precedente articolo, e lo stesso che ha proposto una sottoscrizione qui sopra (sono un po' troppo pigro per registrarmi a dovere). Innanzitutto mi fa piacere che tu abbia apprezzato le mie considerazioni. Poi, in virtù delle tue idee sulla sottoscrizione, a questo punto vedrò di tramutarla in un acquisto di libri e documentari tuoi che ancora non conosco o da poter regalare ad amici. Tieni duro.
RispondiEliminaSaluti.
Caro Anonimo, questa sì che è una proposta generosa, ma giusta e gradita. Per ricevere i miei dvd o libri, fai una cernita andando sul blog www.fulviogrimaldicontroblog.info e poi scrivi alla distribuzione: visionando@virgilio.it
RispondiEliminaGrazie, sei un amico!
Fulvio
A proposito di sottoscrizioni....
RispondiEliminaSe Fidel, Hugo ed Evo partecipas-sero come Nazione, ognuno per 16,666 euro, si potrebbe imnstaurare un "commercio" onesto e partecipe con loro. Nessuno ci perderebbe, anzi, tutti ci guadagnerebbero e gli impostori di liberCAZZione che *OH IMMENSO GAUDIO* fanno il piagnisteo per non esseree trombaDORAti, non avrebbero la soddisfazione di togliere denaro a FG o a Noi!
E'molto tempo che cerco un'importazione di avocados, boicottando quelli di nazisrael. Si trovano solo quelli e poichè i marrani sanno del boicottaggio, tolgono l'etichetta o "dicono" che sono del sud-africa. Io non ci credo. Mi devo perciò togliere questo piacere... Io Vegan! Le associazioni boh? pro-cuba?... fanno orecchio da mercante, tutti occupati a primadonnetteggiare...!
Non so i prodotti di Hugo ed Evo, ma Voi li saprete senz'altro. Che ne dite di questa ideuzza? I giovani non hanno lavoro... ma la fantasia... eresia.. jè!
Caro Fulvio, senza retorica e senza tante parole,
RispondiEliminaper quello che hai fatto, per pezzi come "lettera a Ernesto Che Guevara e a tutti voi" , per quello che farai
GRAZIE!
Italia-Cuba Senigallia.
Persino lirica la lettera a Che Guevara. Bravo Fulvio continua a farci sentire questi benefici brividi hasta la victoria!. Morgana Schopenhauer mi sto innamorando di te!
RispondiEliminaFabrizio Stella
Grazie Fulvio...
RispondiEliminala tua lettera mi ha commosso. Prima di scrivere un commento ho aspettato qualche giorno...l'ho riletta...avevo bisogno di metabolizzare la rabbia e le emozioni che dentro di me hanno ribollivano. Sono con te...sono con i compagni del CHE....la nostra lotta non si fermerà per questa mezza sconfitta....forse ora molta gente ignara ha potuto toccare con mano quanta ipocrisia ci sia nei corridoi di via del Policlinico...
Penso di sapere caro Fulvio quali siano stati i tuoi pensieri quando dovevi fare la scelta...i dubbi...la rabbia e poi l'accettazione ben sapendo che sti burocrati legalisti (che una volta erano Marxisti-leninisti)prima o poi pagheranno la loro ottusità...il loro essere uomini piccoli piccoli.
Ora penso che il modo migliore per aiutare Fulvio nel suo lavoro sia fare pubblicità ai suoi DVD, ai libri....si otterrebbe il doppio risultato : Fulvio avrebbe un piccolo aiuto economico e molta gente avrebbe finalmente un informazione libera e potrebbe avere nuovi stimoli per il grande percorso della ricerca della giustizia e della verità
Cari COMPAGNI...(noi siamo ancora fieri di definirci così....) diamoci da fare...
LA LUCHA SIGUE
HASTA SIEMPRE
COMPAGNOPABLO
Morgana, se uno una volta buona riuscisse a capire che cacchio significa quello che scrivi, ti potrebbe anche rispondere.
RispondiEliminaLe associazioni italia cuba saranno sicuramente impegnate a primedonneggiare, ma pure te mica scherzi.
Questi sono i commenti di un blog, non c'è nessuna necessita' di fare l'alternativa linguistica, quella falla nei tuoi libri, nelle tue poesie,ma qui a che serve?
sono capace anche io di fare "lo strano" e scrivere in maniera originale,ma non ne vedo l'utilita' in questa sede.
Ottieni solo di dare l'impressione di cercare di farti notare a tutti i costi.
E guarda che chi ti scrive è un accanito lettore di Burroughs-Gysin,io ci faccio colazione con la ricerca linguistica.Il problema,ripeto,è che ti capisci da sola e che questi sono semplicemente commenti ad un blog,non ha senso.
Tornando a noi : che cazzo ci dobbiamo fare con gli avocado? Chiediamo a Evo i soldi per la causa di Fulvio e gli diamo in cambio gli avocado israeliani?che volevi dire????
fate come me,
RispondiEliminaacquistate più DVD possibile da Fulvio e saremo tutti contenti
Ciao Fulvio sono uno dei duemila, considerata la tua storia, non devi ringraziarmi, sono io che devo ringraziarti e che ti ringrazio per avermi concesso l'onore di stare al tuo fianco.
RispondiEliminaCon rispetto
Marcello
ingunonHo preso nota per l'acquisto di libri [già fatto] dvd, ecc.
RispondiEliminaRingrazio Fabrizio Stella per l'apprezzamento. Che il "piccato" Valerio sia sicuro... può primomettare quanto vuole... un po' più di Fantasia non guasterebbe...In ogni caso il Mio Maestro Lao-Tzu spiega che il Saggio non compete, perché nessuno può competere con Lui. Nel senso[e mi tocca spiegare il Maestro] CHE IL sAGGIO non accetta competizzione. Inutile intestardirsi a fare la cosa che il tuo vicino sa fare eccellentemente. Trova la tua personale facoltà...
Mejo de Marx... sto' Lao-Tzu ed è tutto dire...!
me cojoni!
RispondiEliminaanche questo sostiene lao-tzu,me l'ha imparato a ladispoli.Gajardo sto cinese!
ciao!!!!^_^
Ora che fidel ha fatto [[sembra]] l'accordo con i pretofili e Liberato 52 "terroNisti", in cambio della cancellazione dell'embargo [io che sono KATTIVA e CINICA] non credo che i "cattoevangnazision" mantengano il "verbo". Nell'eventualità "favorevole" mi importerò PERSONALMENTE una quantità enorme di avocado cubani e me li divorerò con "muchogusto" alla facciaccia degli anticastri-sti. Ultimo triste esempio a 1a pagina rai3 un certo mimmo "candito" che dichiarò fu espluso da Cuba perché ritenuto una spiacia...L'intelletto dimostrato mi spinge a crederci...!
RispondiEliminaA proposito di menzogne occidentacapitaliste... Comincio ad avere dubbi sulla reale posizione dei gheddafi nella questione degli eritrei. Sarà vero? Certo sempre u-mani capaci di qualsiasi bassezza... sono... ma... vorrei saperene di più.
Stamattina alla rassegna stampa di RCA 88,9 hanno accennato al fatto che ville lussuose siano intestate a prestanome pensionati con social card. Mi domando... ma se questi nullatenenti o quasi prestano il nome per lussuose ville eccetera, automaticamente NON sono più nullateneti. Mi sembra una BUFOLA giornalettaistico-pennivendolista
per PROTEGGERE gli EVASORI. bOH!
Caro Fulvio,
RispondiEliminati segnalo questo ottimo blog www.attuazionista.blogspot.com che per me è stato come un fulmine a ciel sereno.
Ciao.
Giacomo D'almacivica
grazie sempre per i tuoi bellissimi articoli che ci informano sempre in modo veritiero
RispondiElimina