venerdì 24 settembre 2010

MESSICO, NARCOSTATO, NECROSTATO (con un pensiero per Saddam)

Croci per le donne uccise a Ciudad Juarez


Salve amici e lettori, sono tornato dal Messico 24 ore fa e ancora non mi faccio capace di quello che ho visto durante un mese di attraversamento da Nord a Sud in questo paese martoriato e pure resistente, colpito dalla furia omicida degli Usa e del loro fantoccio Calderon attraverso l'uso generalizzato del terrore di Stato che si avvale dei narcotrafficanti e delle bande assassine legate alla classe dirigente e ai suoi padroni Usa.

Oggi il Messico, il cui strazio immenso fatto di stragi di migranti, di femminicidi, di assassinii che viaggiano sui 50 al giorno, è il paese più insanguinato del mondo, per quanto occultato e presentato come ameno luogo di vacanze, in misura maggiore dei paesi massacrati con guerre d'aggressione da Usa e Israele. 29mila morti ammazzati, in stragi di innocenti o conflitti tra cartelli, da quando l'illegittimo presidente, ladro di elezioni, ha preso il potere al servizio di Washington ai primi del 2007, 600 donne ammazzate a Ciudad Juarez, un paese ridotto allo stremo da disoccupazione, devastazioni ambientali, abusi delle multinazionali, corruzione totale di regime, mafie, narcodittatura.

Prima di scriverne e mettermi al lavoro per il nuovo documentario "MESSICO, ANGELI E DEMONI NEL LABORATORIO DELL'IMPERO", pronto spero per Natale, devo riordinare idee, documenti, materiali audiovisivi. Nel frattempo, per confermare la mia permanenza in vita e nel blog, e per salutare tutti voi, torno brevemente su un argomento che più di tutti mi sta a cuore e che mi è stato sollecitato dalla lettera in calce di un gentile lettore. La mia risposta precede quella lettera.



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Caro Paul, la ringrazio delle gentile lettera, delle espressioni di stima e delle osservazioni che divergono dalle mie valutazioni.
Torno da 24 ore dal Messico, dove ho trascorso un mese per raccogliere materiale per articoli e un nuovo documentario e sono ancora scosso dalle esperienze sconvolgenti fatte in un paese che è il più violento e insanguinato del mondo, più dei paesi in guerra, totalmente in mano al narcotraffico e a bande terroristiche legate allo Stato e agli Usa. Non sono per ora in grado di risponderle adeguatamente e perciò mi permetta di rinviarla ai tanti articoli nel mio blog in cui ho trattato di Iraq, Iran, Saddam, sciti e tutto il resto.
Le dico solo, in fretta, che la maggioranza del 60% degli sciti in Iraq è una balla come lo era quella del 90% di albanesi in Kosovo, atta a giustificare il dominio di quella cricca di religiosi e notabili sciti (da Sistani a Chalabi, a Jaafari, a Al Sadr a Al Maliki) che con le milizie di assassini e torturatori, addestrate e finanziate dall'Iran, coperte dagli Usa, a forza di stragi di sunniti nazionalisti e resistenti e di ruberie e devastazioni, si sono fatti distruttori dell'unità nazionale e dell'intero paese. In realtà gli sciti non superano il 45% della popolazione, contro altrettanti sunniti e confessioni minori. E' anche una patacca la leggenda della oppressione subita dagli sciti sotto Saddam. Si guardi la nomenclatura politica, militare e amministrativa dell'Iraq libero e troverà ai massimi livelli tanti sciti quanto sunniti. La religione non giocava proprio nessun ruolo divisorio nell'Iraq laicissimo di Saddam.
Ho spiegato più volte che l'Iran, la Persia, da sempre espansionista verso ovest, gioca su molti tavoli, con l'astuzia di una potenza che vuole riconosciuto il suo ruolo regionale. Distrutto d'intesa con gli Usa il nazionalista e socialista Iraq, massimo difensore dei palestinesi e dell'unità araba antimperialista, e occupatolo in cogestione con gli Usa, per altri versi confligge con gli Usa e con Israele per l'egemonia regionale. In questa doppiezza non c'è nulla di nuovo, la praticano da sempre tutti gli Stati imperialisti o subimperialisti. Oggi come oggi, l'Iran va difeso contro l'aggressività USA-Israele, massimo pericolo per il futuro dell'umanità, ma va condannato per il suo infame ruolo in Iraq.

La sua visione di Saddam e del suo governo, trascura il contesto. L'uomo non era un santo, ma sicuramente è stato un grande statista. In pochi decenni, resistendo a infiniti e micidiali pressioni, attacchi, sabotaggi, ha costruito con la sua ottima squadra (altro che famigli e clienti, pensi a Tariq Aziz e Izzat Ibrahim Al Duri che ora guida la Resistenza) dal nulla un paese, lasciato dagli inglesi in condizioni pietose. Ne ha fatto uno stato moderno, con i diritti umani fondamentali (salute, educazione, casa, lavoro) garantiti come neanche nel mondo industrializzato, a livello di Cuba e anche meglio, con un esplosione di creatività artistica, letteraria, culturale che attirava a Baghdad il meglio dell'intellettualità mondiale della sinistra. Ha dato agli iracheni, da millenni, sottomessi, la coscienza del proprio valore storico, autostima, dignità, forza, emancipazione delle donne. Tutto questo in pochissimo tempo e sotto costanti aggressioni. Fino all'ultimo giorno del suo governo ha sostenuto i palestinesi, unico tra gli arabi. E' morto da eroe, preso a calci e seviziato, anche da morto, dal brigante scita Muqtada Al Sadr.
Stia attento, non tutti gli sciti sono hezbollah, non tutti i cristiani sono per la teologia della liberazione. Hezbollah è una grande forza nazionale che sta maturando consapevolezze sociali e culturali. Gli sciti organizzati sotto i regimi fantoccio iraniano-statunitensi - certamente una minoranza rispetto agli sciti nostalgici del loro grande Stato - sono bande di delinquenti vendipatria, arraffattori di quanto resta della preda squartata che una volta era un nobile, fiero, degno paese, uscito in poche decine di anni dal sottosviluppo medievale e dall'oppressione tirannica dei colonialisti di varia specie. Infine, quanto ai "misfatti" di Saddam raccontati dalle centrali della disinformazione occidentali, quelle di sinistra al seguito, che lei accosta a quella di autentici serialkiller, la prego, ci faccia la tara. Pensi alla patacca delle Torri Gemelle e a come l'Occidente cristiano ha sempre dipinto i difensori della propria indipendenza, da Saladino a Ho Ci Min a Fidel Castro.
Cari saluti,
Fulvio



----- Original Message -----
From: Paul P. Pedicator
To: visionando@virgilio.it
Sent: Friday, September 24, 2010 12:18 PM
Subject: Ragionando di Iran e Irak


Pregiatissimo signor Grimaldi,

ero soltanto un ragazzo quando la vedevo sugli schermi del Tg3 di Sandro Curzi e, senza la minima piaggeria, le dico da subito che mi piacevano molto i suoi servizi, per la loro verve, la loro concisione e il loro essere ficcanti, e anche per la "vibrazione" che mi trasmettevano, grazie alla quale capivo che, persino in quello che io ritenevo (e continuo a ritenere, soprattutto rispetto alla brodosa e indifferenziata sbobba mediatica che filtra oggidì dai nostri schermi) il più libero e sincero telegiornale nazionale, leì era in qualche modo "disallineato", "autonomo", persino un po' "ribelle".

Adesso ho trentasei anni, alle spalle diversi tentativi falliti di costruirmi una carriera nell'informazione (o almeno nella comunicazione politico/economica) e, come d'obbligo per gli appartenenti alla mia generazione, un contratto precario per un lavoro avvilente e ripetitivo che mi dà meno di quel che sarebbe necessario a permettermi di sopravvivere in autonomia.

Da quando ho scoperto il suo blog nel mare magno internettiano ho ripreso a seguirla con interesse e costanza, rallegrandomi del fatto che in Rete lei esprima con ancor più chiarezza e coraggio concetti (o meglio, "verità") che su qualunque medium di massa sarebbero considerate vere e proprie "eresie".

Arrivo finalmente al punto di questa mia, che riguarda la maniera in cui lei inquadra alcune dinamiche della politica mediorientale, riguardanti due stati che da circa un quarto di secolo sono quasi costantemente agli onori della cronaca: Irak e Iran.

Che lei provi grande simpatia per il popolo irakeno (martirizzato quant'altri mai con la possibile eccezione dei Palestinesi) è giustissimo e lampante; quello che mi incuriosisce è come lei estenda la sua simpatia anche al partito Baath; per carità, non voglio certo tediarla con le sciocchezze propalate riguardo ai misfatti di Saddam (molto meno gravi dei misfatti di molti 'paladini dell'Occidente' come Pinochet, Videla, Franco, Marcos e compagnia bella) ma, non le sembra che, sotto Saddam, il Baath Irakeno sia stato "dirottato" dalla sua concezione originaria di partito dedito al "socialismo arabo" e alla costruzione di una identità nazionale Irakena (che avrebbe dovuto coinvolgere anche le etnie sciita e kurda), e ridotto a fazione dell'uomo forte e dei suoi familiari e compagni di tribù, quindi con una decisa involuzione rispetto agli ideali che lo ispirarono?

Lei non prova grande simpatia per l'Iran, che più volte descrive come un'influenza malefica o comunque disgregatrice/distruttrice nell'area irakena; ma gli sciiti irakeni, nel clima di insicurezza seguito all'invasione angloamericana a chi altro avrebbero potuto rivolgersi per ricevere aiuto e supporto nella drammatica situazione in cui si trovavano?

Mi permetta poi l'impertinenza (per la quale l'autorizzo fin d'ora a sgridarmi severamente ;-) di farle notare che lei consideri gli interessi iraniani in Irak 'negativi', ma poi spenda parole di elogio (dovutissime, per carità) per il movimento Hezbollah, che non avrebbe certo potuto ottenere i suoi brillanti successi senza l'aiuto e il sostegno di Teheran.

Secondo me, in Irak ci sarebbe bisogno proprio di questo, di una sorta di Hezbollah Irakeno; una forza (politica, ma anche armata) che raggruppi e tuteli gli sciiti locali, riconoscendo che l'Irak deve essere uno stato multietnico e multiconfessionale (come è il Libano) e che si dedichi a preservare l'autonomia e l'indipendenza del Paese, accettando però al suo interno i normali processi della vita democratica.

Certo, il Libano è molto distante dall'Iran e forse anche per questo Nasrallah riesce a mantenere Hezbollah molto autonomo dai suoi sostenitori iraniani...non é detto che la stessa cosa possa succedere in un paese che con l'Iran confina direttamente. Inoltre in Libano gli sciiti, per quanto maggioranza, sono una maggioranza relativa (35-40% del totale), mentre in Irak sono oltre il 60% della popolazione, quindi se esistesse un Hezbollah irakeno forse la tentazione di impadronirsi subito di tutte le leve del potere forte di tale prevalenza risulterebbe essere troppo grande.

Concludo dicendole che sarebbe per me un grande onore ricevere una sua risposta; avevo 6 anni quando scoppiò il conflitto Iran-Irak e, nella mia mente di bambino, ricordo che trovavo inconcepibile come due paesi, apparentemente separati da una sola consonante, si muovessero guerra. Quell'evento, protrattosi per otto anni e un milione di morti, mi spinse a informarmi e documentarmi su quelle zone e quei paesi, sulla loro storia prossima e remota...quando ero all'università (tardi anni '90) stavo persino preparando un gioco di simulazione che permettesse di rivivere i punti nodali di quel tragico evento (non solo dal punto di vista militare, beninteso, visto che poche guerre sono state influenzate da fattori politici interni e internazionali quanto quella). Ricevere un suo punto di vista sulle questioni che ho sollevato (non importa quanto violentemente in contrasto col mio) sarebbe un grande contributo al mio tentativo di costruirmi un punto di vista il più possibile autonomo e informato in merito.

15 commenti:

  1. e se stiamo ancora inerti e non vigili...faremo la fine del messico... ne abb iamo tutti i requisiti che la sorte ci sia propizia... ma porkalamiseria... smuoviamole ste'kiapp!

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  2. Gentile signor Grimaldi,
    non so perché ma le premetto che scrivo con il sorriso. Forse mi viene da dirglielo perché a volte poi tra chi scrive e chi legge ci si fraintende. Anch'io sono di ritorno dal Messico. 24 giorni fa, non 24 ore, ma la differenza è poca.
    Avendo mezza famiglia messicana di solito vado lì per vacanza, ma ovviamente mi tengo ben largo dai circuiti turistici. Diciamo che vivo un Messico più casalingo, più quotidiano. Per di più un Messico centrale. Stato di Guanajuato, "lontano" dalle tragedie del nord e "lontano" dalle plasticose cartoline di un certo sud da tour operator. Leggevo quella che credo sia una piccola premessa ad un suo futuro reportage e subito mi è salita un'inquietudine. Non cadiamo sempre nella descrizione del contrasto (stereotipato?) tra il Messico-narcotraffico e Messico-turismo. Ricordiamoci che c'è tanto altro in mezzo. C'è un paese normale fatto di gente come noi. Gente che si alza alla mattina e va in ufficio, bambini che vanno a scuola. Famiglie che stringono la cinghia per arrivare a fine mese e adolescenti che sognano un futuro migliore. Ci sono i cretini che si spendono lo stipendio in telefonini e supertelevisori da 50 pollici e ci sono quelli che si inventano il secondo o il terzo lavoro per risparmiare qualche peso in più. Ci sono quelli che girano con dei vecchi scassoni americani e quelli che girano con la Smart. (A Città del Messico ci sono 12 linee di metropolitana ed è una delle città al mondo con il più ambizioso programma di riduzione delle emissioni.) E' banale? Si, certo. In Messico ci sono cento milioni di persone banali. Banali come noi. Ma raccontiamola questa banalità. O almeno raccontiamo ANCHE questa banalità. Raccontiamolo perchè le persone che vedranno il Messico solo attraverso i nostri occhi non vedano solo lo stereotipo Narco-Turismo (e poi i vecchi sombrero-chile-siesta...). Spero che mi capisca. Non sto dicendo di nascondere la polvere sotto al tappeto. Di non raccontare e tentare di spiegare il delirio che si è scatenato in Messico. Ma sono un po' stufo di sentirmi fare solo domande tipo "ma è vero che uccidono 70 persone al giorno e poi gli tagliano la testa?"
    Buon lavoro. La seguirò con (ovvio) interesse. Sergio

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  3. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  4. Davvero curiosa questa idea di suggerire linee guida a un giornalista prima ancora che se ne sia letto il reportage. Evidentemente l'interlocutore Sergio non mi conosce molto bene.
    Apprezzo le buone intenzioni, ma prima vedere cammello, poi valutare....

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  5. Certo, ha ragione. Non la conosco. Mi scuso perché nonostante la premessa le devo aver dato un'impressione contraria alle mie intenzioni. Non volevo assolutamente "suggerire delle linee guida". Semplicemente, leggendo il suo post, riflettevo su come raccontiamo il Messico. Giornalisti, viaggiatori, turisti, messicani che vivono in Italia.... (Non faccio troppe differenze.) A volte raccontiamo un Messico piccolo. Stretto tra i narcos del nord e i villaggi vacanze del sud. Volevo solo condividere questa riflessione. Aspetterò il cammello. Non per valutare. Per vedere quello che i miei occhi non hanno potuto vedere. Di nuovo buon lavoro. Sergio

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  6. Detto fatto. (Magia di internet.) Ho letto qua e là un po' di profili e biografie che la riguardano (non me ne voglia, non la conoscevo) e ho "scoperto" che: abbiamo quarant'anni di differenza, e non essendo io ancora arrivato ai miei quaranta, significa che lei calpesta questa terra da più del doppio del tempo rispetto a me. E ho "scoperto" pure che non ha mai sprecato il suo tempo a farsi raccontare il mondo dalla televisione. Anzi, il contrario. Ho "scoperto" che ha fatto, visto e scritto più lei di quanto farò io probabilmente nelle prossime quattro o cinque vite.
    E allora? Allora ne approfitto per girarle la mia riflessione come una domanda. E le assicuro che sono davvero impaziente di ricevere, se vorrà, una sua risposta. Cordialmente. Sergio

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  7. Caro Sergio, quale riflessione?

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  8. x Anonimo
    Il fatto che spesso si descriva il Messico attraverso gli "stereotipi" narcotraffico-turismo. (Ma vale anche per la nostra Italia, storicamente ridotta a mafia, spaghetti, pizza e ultimamente Berlusconi)
    Ovvero un paese piccolo. Ridotto a puro nord e sud.
    E allora mi chiedevo se non sarebbe giusto raccontare ANCHE la "banalità" dei 100 milioni di messicani che vivono "come noi".
    (ma non mi faccia essere noioso, sta tutto sopra... ;-) )

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  9. Un amico che vive là mi racconta che a Tepoztlan c'è un proverbio: "Benvenuto nella terra degli stregoni; cosa vuoi imparare?".
    Mi raccontra che là tutto è considerato sacro: le piante, le rocce, i fiumi - come gli uomini anziani - sono tutti "abuelo", antenati; che là tutto è sanaciòn, la vita umana è concepita come una cura, una terapia ininterrotta per rimuovere la corruzione fisica e spirituale che ci separa dal sacro potere dell'universo; che là gli sciamani hanno un patentino che li autorizza ad usare "piante di potere" - medicine visionarie: coca, peyote, ayahuasca, funghi ecc. - che qui da noi sono ancora denunciate come il culmine dell'abiezione; che si tengono ovunque e spesso rituali legati al Cammino Rosso, come temazcal, ricerca della visione, danze del sole; che gli huicholes vivono molto a lungo e che i loro marakamè superano di molto i cent'anni di vita, assumendo hikuri fin da bambini; che esiste la possibilità di esercitare e applicare terapie di frontiera che Big Pharma non permetterebbe mai di lasciare a disposizione del popolo del vecchio mondo; che Don Juan ( si, lui, quello di Castaneda ! )è ancora vivo, ha 96 anni, vive in Baja California e ha 46 figli...

    Tu Fulvio, racconterai solo il "necrostato" o hai colto anche la metafisica che anima il popolo messicano?

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  10. All'anonimo che sogna Tepoztlan.
    Ognuno ha le sue fisse, chi della metafisica e del peyote, chi di Padre Pio. Io ho la fissa della fisica e della lotta di classe e di liberazione dei popoli. Per i messicani mi pare una priorità. E le vaghezze di tanti nostrani "indigenisti" scompaiono davanti a un regime fascista, succube degli Usa che fa 28mila morti in meno di 4 anni di cui 600 donne solo a Ciudad Juarez, affida il paese ai narcos, si sostiene. con bande assassine, ha ridotto in miseria il popolo,liquida i suoi popoli nativi. Scompaiono anche davanti alle eroiche isole di resistenza sociale, da Oaxaca ad Atenco, dal Chiapas, alle madri di Chihuahua. Risolte queste questioni, uno può anche farsi una pipa (pippa?) di peyote.
    Fulvio

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  11. Bentornato Fulvio....ci sei mancato. Attendo il tuo resoconto del viaggio in Messico...paese che ho girato in lungo ed in largo venti anni fa...prima dell'avvento del subcomandante Marcos. Trovai tanta povertà...troppe diseguaglianze....tanta gente moriva quotidianemente di colera come se fosse una cosa inevitabile...paese dove i nativi indios subivano discriminazioni politiche e sociali riducendo anno dopo anno la loro presenza fino a quasi scomparire. Sul femminicidio ho letto molte cose e visto anche un film che tutto sommato non è così male che si chiama "Bordertown"...aspetto il tuo racconto e sono con te per un percorso di lotta di classe che deve essere una priorità per ogni essere sulla terra....solo con la lotta di liberazione e resistenza forse potremo uscire dalla lunga notte buia e ritrovare la luce....

    HASTA SIEMPRE COMPANEROS

    COMPAGNOPABLO

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  12. Fulvio ha detto...


    Ognuno ha le sue fisse, chi della metafisica e del peyote, chi di Padre Pio. Io ho la fissa della fisica e della lotta di classe e di liberazione dei popoli. Per i messicani mi pare una priorità. E le vaghezze di tanti nostrani "indigenisti" scompaiono davanti a un regime fascista, succube degli Usa che fa 28mila morti in meno di 4 anni di cui 600 donne solo a Ciudad Juarez, affida il paese ai narcos, si sostiene. con bande assassine, ha ridotto in miseria il popolo,liquida i suoi popoli nativi. Scompaiono anche davanti alle eroiche isole di resistenza sociale, da Oaxaca ad Atenco, dal Chiapas, alle madri di Chihuahua. Risolte queste questioni, uno può anche farsi una pipa (pippa?) di peyote.
    Fulvio

    eh no! per me ti è autolesionista rinunciare a priori a quelle pratiche ancestrali, utili non solo per il recupero psicofisico personale ma soprattutto come sotterranea struttura comunitaria; adattogeni sociali che fanno parte della resistenza collettiva all'omologazione imperialista.


    Ciao
    L'anonimo che sogna.

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  13. cosmico fratello!Sciogliamoci nell'infinito e nell'era dell'acquarioooooo!

    eh,che ci vuoi fare fulvio:sti hipponi!^_^

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  14. Copala è stata distrutta:
    http://ch.indymedia.org/it/2010/09/77787.shtml

    @Davide: chi l'ha detto l'autodeterminazione dei popoli deve passare per il collo di bottiglia ideologico che piace a te?
    Anche in Chapas l'elaborazione teorica non è separabile dal contesto culturale locale; e credi che Marcos&Co non abbiano lavorato anche sul piano metafisico per costruire la loro resistenza? Allora ti assicuro che sbagli.
    E poi se non avete un'idea di quello che ha scritto Drunvalo Melkisedek sarebbe ora di provvedere.

    L' AcS

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  15. La lotta di classe non è un collo ideologico, e il modo in cui va il mondo e con cui questo mondo va affrontato, se no ci si limita a masturbazioni esoteriche, superstizionali ed etniciste. Eviterei riferimenti a Marcos. Dopo le sporadiche apparizioni,che lo rendono irrilevante, il tradimento elettorale di Obrador, la latitanza dalle lotte di Atenco e Oaxaca, le fumose e suicide teorie della nonviolenza e del disinteresse per il potere, cose graditissime a padroni e imperialisti, tranne tra gli zapaturisti italiani Marcos in Messico non conta più niente. Le più forti organizzazioni indigene in Chiapas lo ignorano o ne diffidano. Si chiamano Oraganisacion Campesina Emiliano Zapata e non si limitano alle chiacchiere megagalattiche o all'isolamento in cinque caracoles. Il resto della sinistra vera messicana ne ha ignorato le sceneggiate cinematografiche da molti anni.
    Fulvio

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