martedì 23 novembre 2010

VOLTAIRE O ROBESPIERRE, VLADIMIR O REVOLUCION (dal Circolo della Tuscia)



Questa è una cronaca, diciamo ragionata e inquadrata nel contesto, di un significativo evento occorso nel piccolo paese di un grande paese dalle tante piccole realtà che tutte insieme potrebbero ridare al grande paese forza, intelligenza, coraggio, libertà di pensiero, direzione di marcia. Si è parlato di America Latina, di Cuba, di rivoluzioni e involuzioni, di dissidenti e mercenari, delle grinfie dell’imperialismo, di burocrati ottusi e di liberi pensatori. E si è pure cenato molto bene. Tutto merito di un vernacolare ma fortemente internazionalista e dunque fortemente impertinente e dunque fortemente criticato Circolo di Italia-Cuba. Quello della Tuscia. In fondo si trovano, come spesso in questo blog, interventi altrui che mi sembra valesse la pena diffondere. Uno è di Travaglio e mai nessuno si era espresso meglio su Bersani, l’altro è del prestigioso Centro antimafia “Peppino Impastato” e riguarda il nostro nuovo santo-subito Roberto Saviano.


Nichi Vendola nel suo giro statunitense, d’obbligo per ogni candidato a svolgere un ruolo nella colonia, immagino col cappello in mano e l’inchino pronto di tutti i suoi predecessori politici impegnati nella captatio benevolentiae dell’establishment Usa, si è pure intrattenuto amabilmente con i boss delle Fondazioni Ford e Rockefeller. Fondazioni benemerite dello zannuto impero Usa in quanto tentacoli finanziario-sociali di Pentagono, Dipartimento di Stato e Cia, da un secolo impegnate nell’eugenetica (sterilizzazioni, intossicazioni, esperimenti chimici) praticata da Washington nei confronti dei popoli nativi, dei poveri e dei paesi da spopolare, come nella destabilizzazione bellica, economica, sociale, culturale, di Stati disobbedienti. Avendo preso i gradi in quella scuola, possiamo essere certi che allo Svendola è assicurato un luminoso futuro. Al prossimo giro, quello dei futuri caudilli, passerà per la Scuola delle Americhe, dove ci si forma per imprese latine. Per altre scuole di genocidio Usa, riservate agli asiatici, già passano gli ufficiali vietnamiti. Quelli del paese che qualcuno a Cuba vede come modello.

A Lisbona, Frattini, sostenuto da frattaglie berlusconiane varie, con gran fiuto del buongusto, ha consumato la lingua sulle schiene intere di Obama e Rasmussen, rispettivamente imperatore e capo dei pretoriani (Nato) dell’imperatore, nel preciso momento in cui costoro esufflavano nuove flatulenze imperial-militari. Già undici anni fa D’Alema, impegnato a trasformarsi da barbieruccolo coi baffi in grande statista nutrendosi di cadaveri serbi, metteva la firma di caporale di giornata all’espansione Nato in spedizioni “di pace” ovunque i barbari mettessero in discussione la cupola necrofaga occidentale. Così il trio della risata che ci seppellirà, Berlusconi-La Russa-Frattini, al vertice licantropico lusitano firmavano la promozione della Nato a padrona del mondo, o se no…. Naturalmente non un accenno di riprovazione dai solidalissimi PD-SEL-FDS. Messi in un angolo dai compari fedifraghi iraniani e dalla resistenza nazionale in Iraq, messi alla porta dall’America Latina, bastonati dall’insurrezione di tutto un popolo in Afghanistan e avviati alla stessa sorte in Pakistan e ovunque, a questa ciurma di farabutti interessa solo una cosa: continuare finchè possibile a rapinare a mano armata. Si disintegra l’economia capitalista, va a ramengo ogni ordine sociale, è sventrato o desertificato l’ambiente planetario, il clima ci arrostisce un giorno e l’altro ci annega, come fare in modo che questa necrocrazia dell’1% possa continuare ad alimentare le sue vene col sangue del restante 99%? Ecco la Nato, ecco lo scudo missilistico, ecco i vermiciattoli da amo italiani. Come diceva Sordi? Finchè c’è guerra c’è speranza. Non importa che si vinca, importa che duri, ormai in Af-Pak fino al 2014 e oltre (ricordate la exit strategy del supervendola Obama, da completare entro il 2011?). Non gli rende più niente l’industria delle vita? Ebbene, con questa Terza Nato prima dell’apocalisse ci sarà per i suoi sette cavalieri un ricco banchetto di morti. Prima che clima e uranio si portino via anche loro.



Siamo aggrediti da licantropi che hanno imparato a muoversi anche di giorno, seppelliti dalla spazzatura, lanciati in guerre di sterminio, affogati nel fango della volgarità, assediati dalle mafie, spiaccicati sotto il tacco degli Usa? Ma c’è anche un intero continente che spara anticorpi in tutte le direzioni. Milioni di anticorpi. A volte piccolissimi, quasi invisibili, ma vivi e reattivi. Ne basta uno per bucare la sfera di fuffa gonfiata da Obama quando fa quei suoi discorsi epocali che tanto arrapano i sinistri. Sabato 20 novembre, per esempio, si è materializzata una microscopica cellula di anticorpi a Manziana, biblioteca comunale, per iniziativa del Circolo della Tuscia dell’Associazione Italia-Cuba. E di quale catena di cromosomi poteva far parte se non di quella che, partita da Cuba, si è andata poi avvolgendo attorno a Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua e via latinoamericaneggiando? Vabbè che il borgo è selvaggio, la platea nobile ma non straripante, il relatore sul tema “Cosa succede in America Latina” giornalista e superesperto di un giornale che però annaspa ("il manifesto"), ma intanto c’era la cena a base di quel picadillo che ha sostenuto generazioni di fibre rivoluzionarie, c’era el son felicemente eversivo di Leonardo. E c’erano parole come “imperialismo”, “antimperialismo”, “sovranità”, “progressisti”, “rivoluzioni”, “giustizia sociale”. Insomma, per farla breve, Maurizio Matteuzzi, portabandiera di un’informazione corretta e competente sull’America Latina, e alcune dozzine di persone curiose e non rinscimunite dalla multinazionale delle bugie, se la sono vista per quattro ore abbondanti, picadillo, torte, tortini e libagioni compresi, con quel “continente della speranza” che, da Omero Ciai a Piero Ostellino a Angela Necioni a tutti i pennivendoli da angiporto, ci viene rifilato come un’accozzaglia più o meno omogenea di “paesi canaglia”, magari inclini al terrorismo.



Vasto il giro d’orizzonte su un’America Latina che, con passo differenziato, quale lungo, quale esitante, quale cortino e a volte con qualche inciampo (il Brasile del passaggio di 20 milioni dalla miseria alla povertà, ma anche della devastazione etico-ambientale dell’agrobusiness e dei necrocombustibili, come esempio), toltasi i paraocchi e il morso a stelle e strisce galoppa verso un’altra distribuzione della ricchezza e della sovranità. Roba da far ammattire Wall Street, il FMI, la Banca Mondiale e i loro terminali nella Casa Bianca e nel Pentagono, con al seguito le salmerie di Bruxelles. Tanto da presentarci come orchi e caudilli genuine espressioni di popolo, confermate e riconfermate in ineccepibili elezioni (altro che Messico o Afghanistan), quali Chavez, Morales, Correa i quali, quanto a sociale, democrazia e sovranità, stanno agli amichetti yankee, sauditi, egiziani o colombiani, come Garibaldi sta a Petain. E, a proposito di sovranità s’è sviluppata un’ampia e sorprendentemente consapevole (siamo o non siamo un anticorpo?) discussione con il pazientemente illuminante Maurizio su tempi, modi e contenuti del processo. L’anticorpo, fecondato dai racconti del bravo giornalista, ha ingravidato un frammento di Italia, tanto da scuotere il sonno dell’intera penisola con una frase dal sapore antico, ma immarcescibile, ispirata al “Patria o muerte” di Fidel, Hugo, Evo, Rafael e Daniel e sottratta alla polvere degli scantinati revisionisti: “Fuori la Nato dall’Italia, fuori l’Italia dalla Nato!”. Erano d’accordo 40 persone, ma se si pensa che a fare la rivoluzione che ha poi contagiato l’intero continente ne sono bastati una decina, c’è da lisciarsi i baffi.




Animate e urticanti, a conclusione, le considerazioni fatte da alterni valutatori su Cuba e sui rivolgimenti in atto nell’isola. “Strutturali” li ha definiti il relatore, sminuzzando la veste sacrale della mera e innocua “modernizzazione del socialismo” che gli irriducibili idolatri gli cuciono addosso. Idolatria col turibolo incorporato di cui quel nostro anticorpo non soffriva la minima traccia. Come avevo invano sperato sarebbe successo anche al Congresso Nazionale di Italia-Cuba, interrompendo e riscattando una processione di corifei, dal cervello appaltato a un altro tipo di “pensiero unico”, e dalle membra sparse sulle spiagge di Varadero, qui ci si è confrontati con quello che succede, oltre che con quanto era successo nel 1959. Al Congresso hanno fatto “Vladimir”, qui abbiamo fatto “rivoluzione”. Al Congresso sotto gli occhi tipo giuria di X Factor di Vladimir, commissario politico d’ambasciata, si sono celebrate le liturgiche novene del “Tizio ora pro nobis, Caio ora pro nobis, Sempronio ora pro nobis”. Al Congresso tonitruanti gerontocrati, in vladimiriana lista d’attesa per la periodica vacanza delle cuccagne, declamavano orazioni trasudanti allori e stereotipi. Vladimir compiaciuto applaudiva. A volte l’esuberanza oratoria gli strappava qualche standing ovation. Faceva eccezione qualcuno che deviava verso il problematico, da Vladimir sgradito assai. Azzardava qualche dubbio, qualche proposta di innovazione, di cambio di rotta anche per chi si deve dar da fare qui acchè le rivoluzioni non si inquinino aspirando arie stantìe. Erano pochini, erano gli amici veri del popolo cubano, della sua rivoluzione. Vladimir, seduto, batteva mani più lievi di ali di farfalla. Poi tutti si ritiravano a cena euforici e soddisfatti, proprio come succede alle convention del Sant’Egidio.


Nella nostra accogliente e intima biblioteca comunale, invece, abbiamo tutti infilato le mani nel frullatore. Chi, ottimista della volontà, fidandosi non senza qualche ragione della coscienza e determinazione delle masse cubane, ne ha estratto una Cuba in travaglio per merito preponderante dell’infame embargo, ma che resta tuttavia l’ispirazione primaria di tutto quello che in Latinoamerica s’è messo a far salti da canguro. Chi, con l’artiglio del pessimismo della ragione, ne ha ricavato la ripetizione di esperienze altrui che partite, come ora nella Cuba di Raul, da deregolamentazione del pubblico e ampliamento del privato, ripiegamento in “auto impieghi” (bancarelle?) di oltre un milione di lavoratori pubblici (parsimoniosa manodopera per future multinazionali, come in Vietnam?), campi da golf e porti per briatoreschi panfili, formicai turistici incastonati in torreggianti navi da crociera, crescita di un ceto di dollaromuniti saprofiti del turismo, da tutto questo partite sono poi arrivati…sappiamo dove. Non succederà, non potrà succedere. I cubani non sono tutti disponibili a buttare al macero 50 anni di fantastica resistenza al rettile privato, individualistico, burocratico. Non sono tutti Vladimir.


Poi, esaminato con un certo sconcerto la liberazione a Cuba, per intervento della Chiesa cattolica (da sempre protagonista di controrivoluzioni), di detenuti che da “mercenari” erano passati a “politici”, senza peraltro ottenere in cambio un analogo intervento della Chiesa a difesa dei cinque cubani sequestrati negli Usa, si è aperto il fuoco pro e contro i “dissidenti”. Dissidenti infilati dagli uni sullo spiedo della pugnalata alle spalle del popolo per conto del boia incombente a 90 miglia, e dagli altri appesi sulla facciata del Campidoglio a fianco di Sakineh o Giuliana Sgrena. Altri ancora, forse pensando a come gli imperialisti si sono fatti la Serbia, hanno diffidato di aperture a dissidenti i cui giornali, radio, televisioni verrebbero ingrassati e resi prevalenti su tutti grazie a ricchi contributi finanziari e tecnologici del nemico imperiale. Tesi e antitesi che hanno trovato una corretta sintesi nel distinguo: dissentire si può, dissentire si deve, ma andiamo pure a vedere per conto di chi e per cosa si dissente. Se è per riportare il bimbetto cubano alla mercè di una sanità accessibile solo a quattro gatti e volpi pieni di zecchini d’oro, come puntuto rilevava Antonio, e se è perché al Fidel dell’epopea materialistica preferisci l’arcivescovo della salvezza dell’anima (nonché del controllo sulla vita dal feto alla carogna). Oppure, diversamente, se è perché stai dalla parte dei giusti, onesti e bisognosi e, come tale, difenderai con le unghie la sanità pubblica e ottima e gratuita, ma magari ti piacerebbe votare per un altro partito, o fare un giornale con le cazzate che stanno bene a te. E’ consentito anche questo, s’è concluso, ma, ha rilevato qualcuno, se poi hanno le mutande foderate dei dollari passatigli dall’Ufficio di Interessi Usa, per favore non chiamateli “detenuti politici”. Male che vada basta “detenuti”. C’era chi: “personalmente preferisco mercenari” e poi “i colpevoli di alto tradimento subiscono il massimo della pena in tutto il mondo”. Vero, gli Usa, addirittura, li fanno fuori sul semplice sospetto e con assassinii extragiudiziali.


Come sempre si sono materializzati, su un fronte, Voltaire, “non condivido, ma rispetto”, e, sull’altro, Robespierre, “via la testa ai controrivoluzionari”. E la dialettica, bellezza. Aspettiamo anche qui la sintesi. Alla bella serata ha poi posto il punto esclamativo uno che ha concluso: “Saranno trent’anni che vado consumandomi le scarpe per Cuba, ho scritto, parlato, manifestato, picchettato, presidiato, fatto cortei, campagne contro il bloqueo, per la liberazione dei Cinque, per la condanna del terrorista Posada Carriles, ho propagandato il verbo di Fidel, ho fatto cineforum cubani, ho appeso striscioni, attaccato manifesti. Ho speso barche di soldi per sostenere il turismo salvavita cubano. E ai cubani stava bene. Ora, per la miseria, voglio partecipare alla discussione. Coloro  che cercano portatori d’acqua la rivoluzione non sa nemmeno dove stanno di casa ”. Anche, se come molti hanno sperimentato, ad alcuni cubani questo  non sta proprio bene. Se la vedranno con il loro popolo.
*************************************************************************************************

da Il Fatto Quotidiano, 17 novembre 2010
Marco Travaglio

Pubblichiamo la versione integrale delle liste dei valori di sinistra e di destra, peraltro intercambiabili, lette l’altra sera da Bersani e Fini a "Vieni via con me" e tagliate all’ultimo momento per motivi di tempo.

PIER LUIGI BERSANI. La sinistra è l’idea che, se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli, puoi fare davvero un mondo migliore per tutti (non vediamo l’ora di imbarcare Luca Cordero di Montezemolo e il banchiere Alessandro Profumo). Abbiamo la più bella Costituzione del mondo (infatti, con la Bicamerale del compagno Massimo, facemmo di tutto per riscriverne più di metà con Berlusconi). Ci sono beni che non si possono affidare al mercato: salute, istruzione e sicurezza (l’acqua invece no: quella si può tranquillamente privatizzare, e magari anche l’aria). Chiamare flessibilità una vita precaria è un insulto (non per nulla la legge Treu l’abbiamo fatta noi). Chi non paga le tasse mette le mani nella tasche di chi è più povero di lui (non a caso abbiamo approvato la riforma del diritto penale tributario, detta anche “carezze agli evasori”, che depenalizza l’evasione tramite la dichiarazione infedele fino a 100 mila euro e tramite la frode fiscale fino a 75 mila euro l’anno). Se 100 euro di un operaio, di un pensionato, di un artigiano pagano di più dei 100 euro di uno speculatore vuol dire che il mondo è capovolto (mica per niente abbiamo sponsorizzato speculatori come Chicco Gnutti e Giovanni Consorte). Indebolire la scuola pubblica vuol dire rubare il futuro ai più deboli (il primo ministro dell’Istruzione che ha regalato soldi pubblici alle scuole private è il nostro Luigi Berlinguer). Dobbiamo lasciare il pianeta meglio di come l’abbiamo trovato (tant’è che vogliamo riempire l’Italia di inceneritori e centrali a carbone). Se devo morire attaccato per mesi a mille tubi, non può deciderlo il Parlamento (del resto la legge sul testamento biologico mica l’abbiamo approvata). Per governare, che è un fatto pubblico, bisogna essere persone perbene, che è un fatto privato (ricordate il nostro ministro della Giustizia? Mastella). Chi si ritiene di sinistra e progressista deve tenere vivo il sogno di un mondo in pace e deve combattere contro la tortura (infatti abbiamo fatto guerra alla Serbia chiamandola missione di pace, poi abbiamo lasciato dov’erano le truppe di occupazione dell’Iraq e abbiamo pure messo il segreto di Stato per coprire le spie del Sismi imputate per aver sequestrato lo sceicco Abu Omar e averlo deportato in Egitto per farlo torturare per sette mesi).

GIANFRANCO FINI. Essere di destra vuol dire innanzitutto amare l’Italia (è per amore che le abbiamo regalato per 16 anni uno come Berlusconi). Apprezziamo imprese e famiglie che danno lavoro agl’immigrati onesti, i cui figli domani saranno italiani (vedi legge Bossi-Fini). Destra vuol dire senso dello Stato, etica pubblica, cultura dei doveri (non faccio per vantarmi, ma le leggi sul falso in bilancio, Cirami, Cirielli, Schifani, Alfano ecc. le abbiamo votate tutte). Lo Stato deve spendere bene il denaro pubblico, senza alimentare clientele (salvo quando c’è da salvare il Secolo d’Italia). Lo Stato deve garantire che la legge è davvero uguale per tutti (esclusi, si capisce, i ministri e i parlamentari, che abbiamo sempre salvato dalla galera e dalle intercettazioni). Chi sbaglia paga e chi fa il proprio dovere viene premiato (non a caso abbiamo approvato tre scudi fiscali e una quindicina di condoni tributari, edilizi e ambientali). Senza una democrazia trasparente ed equilibrata nei suoi poteri non c’è libertà, ma anarchia (pure la Gasparri che consacra il monopolio Mediaset e la Frattini che santifica il conflitto d’interessi sono farina del nostro sacco). L’uguaglianza dei cittadini va garantita nel punto di partenza (soprattutto alle suocere per gli appalti Rai e ai cognati per le case a Montecarlo). Dalla vera uguaglianza delle opportunità, la destra vuole costruire una società in cui merito e capacità siano i soli criteri per selezionare una classe dirigente (avete presenti i ministri Ronchi e Urso? No? Ecco, appunto).
********************************************************************************
Il Mattino

Umberto Santino, presidente del centro di documentazione “Giuseppe Impastato” denuncia: «Quello che Saviano scrive su Peppino Impastato è falso ma non ci vuole rispondere».

«Quanto scrive Roberto Saviano, in merito alla storia di Peppino Impastato, nel libro “La parola contro la camorra” è assolutamente menzognero».

È quanto ha affermato ai microfoni di Radio Città Aperta Umberto Santino. Il 4 ottobre scorso il Centro Impastato ha inviato una lettera di diffida alla Giulio Einaudi, la casa editrice che ha pubblicato il libro in cui lo scrittore campano, tra le tante storie (Pippo Fava, Giovanni Falcone, Don Peppe Diana ecc.) cita anche quella di Peppino Impastato. Secondo Saviano il famoso film di Marco Tullio Giordana, “I cento passi”, avrebbe recuperato la memoria del militante politico e giornalista, assassinato dalla mafia la notte tra l'8 e il 9 maggio del '78, ma soprattutto contribuito alla riapertura del processo.

«Tutto falso - attacca Santino - le indagini, e non il processo come dice Saviano, sono state riaperte prima che il film venisse presentato al Festival di Venezia (31 agosto 2000). Il signor Saviano in poche righe riesce a cancellare più di trent'anni di lavoro portato avanti dai familiari, dai compagni e dal Centro, cominciato già il giorno dopo l'assassinio di Peppino. Un lavoro che è riuscito ad ottenere, seppur in ritardo, due risultati storici: la condanna di Badalamenti e del suo vice Vito Palazzolo. Anche su questo Saviano è totalmente disinformato perchè i processi erano due.

«L'altro secondo risultato, ottenuto grazie al nostro operato - prosegue Santino - è stato il riconoscimento da parte della Commissione Parlamentare Antimafia che tutto quello che noi dicevamo sul depistaggio operato dalle forze dell'ordine e dal magistrato Martorana. Anche su questo Saviano dà prova della sua ignoranza, perchè non è stata Cosa Nostra ad aver diffuso la voce che si fosse trattato di un attentato kamikaze ma il procuratore capo Martorana. Dal punto di vista giudiziario dunque, il film non ha avuto nessuna influenza».

Santino poi, ricordando che il giornalista freelance Simone Di Meo ha ottenuto dalla Mondadori l'inserimento solo dall'undicesima ristampa del libro "Gomorra" del suo nome, dopo aver intentato causa sempre contro Saviano per l'utilizzo nel suo libro di ampi stralci di inchieste condotte dal freelance senza citarlo, chiede che anche per il centro "G. Impastato" valga lo stesso principio. «Chiediamo la rettifica di quanto scritto su Peppino Impastato e il riconoscimento del nostro ruolo».

Prosegue Umberto Santino lamentando inoltre un totale silenzio da parte degli organi d'informazione sulla vicenda e su tutto il lavoro portato avanti in questi trent'anni dal Centro siciliano di documentazione “G. Impastato”. «Sembra esserci un silenzio stampa dei media, quotidiani che lottano per la libertà d'informazione come l'Unità, Il Fatto e Il Manifesto, ma che evidentemente hanno il mito di Saviano, non ci hanno degnato neanche di una breve. La Repubblica inizialmente pubblicò, solo dopo l'ennesimo sollecito, una nostra lettera in gran parte tagliata». Cosi come Radio Città Aperta questa mattina, anche in quell'occasione La Repubblica chiese allo scrittore campano di replicare. Al momento però Saviano non ritiene opportuno farlo.
«Il fatto che Saviano non ci risponda e non abbia accettato il confronto - conclude il presidente del Centro di via Villa Sperlinga a Palermo - dimostra che è un presuntuoso».

Gabriele Paglino - Radio Città Aperta

7 commenti:

  1. che voltaire vada con pasolini...
    ma l'avrà poi veramente detta questa zzata il voltaire? certo voltaire non è Diderot! a proposito di "zzari" ma chi è che ha "lanciato" l'ano savi? quando lo vedi per caso zampettando da unva tivizzata all'altra e hai la malasorte di vederlo per un fuggevole attimo ti gratti le OO anche se ne sei sprovvistA! ieri sera però sono stata zappingamiracolata... ho beccato Corrado Guzzanti. peccato abb ia quel papa...la sorella grande mi piaciucchiava ma poi scoprii che era anticastrista come beppecricri e che aveva come roberto maligni distribuito con pirlasconi, il guardato a vista dal somararo mango..no! a naso lanosavi mi sembra proprio una pubblicità ingannevole come il poliziotto buono e il prete operario in tuta.
    ma per me è un "carciofaro" !

    RispondiElimina
  2. L'Avana. 24 Novembre 2010



    Non si deve regalare niente a chi può produrre e non produce, o produce poco

    L’avanzare in maniera coerente, solida e ben pensata, sino a far sì che il salario recuperi il suo ruolo ed il livello di vita sia in relazione diretta con le entrate che si ricevono legalmente, cioè con l’importanza e la quantità di lavoro che si apporta alla società, costituisce oggi un obiettivo strategico.

    Come ci ha detto Fidel nella sua Riflessione del 16 gennaio: “Non si deve regalare niente a coloro che possono produrre e non producono o producono poco. Che si premi il merito di coloro che lavorano con le proprie mani o la loro intelligenza”.

    Raúl - 24 febbraio del 2008

    si puo' interpretare in diverse maniere,le spinte interne per una riforma economica sono molto forti,io spero solo che vadano coi piedi di piombo,troppo facile commettere errori strategici che si pagherebbero a caro prezzo

    RispondiElimina
  3. svendola sta studiando da premier.
    in fondo è meglio lui o berlusconi?
    è meglio lui o casini?
    è meglio lui o bersani?

    visto che diliberto e ferrero non ce la faranno mai, si può sempre tentare di provare la strada di pietro-svendola.

    dai ragazzi, non è proprio il meno peggio, no?

    ma ve l'immaginate fini casini e monteprezzemolo?

    voi pensate che questi ultimi tre non siano peggio che di pietro-svendola?

    domanda: ma fidel e raul si sono per caso sentiti ultimamente con vargas llosa?

    saluti

    alberto

    RispondiElimina
  4. "Pino Daniele: “Saviano? Se fosse pericoloso sarebbe già morto”

    mi sa che 'sto saviano riesce ad imbonire solo i lobotomizzati televisivi,se poi ci aggiungiamo il nuovo libro di fini su israele direi che la propaganda usraeliana funziona a pieno regime.
    e' per questo che fede si e' "preso" due pugni in faccia?per sparare contro la rete?

    RispondiElimina
  5. accusare di malafede un poveraccio che a 30 anni vive sotto scorta mi pare un'enormità. Certo è che si tratta di un uomo di DESTRA (cosa che lui stesso non ha mai nascosto). I suoi sproloqui su Israele e similaria sono esecrabili quanto quelli di Fede e Pannella. D'altro canto Saviano è apprezzato per il suo impegno in materia di criminalità organizzata (che a mio avviso rimane ammirevole nonostante gli errori), non per le scemenze che scrive sulla Politkovskaja.

    RispondiElimina
  6. anche sulla sua presunta conoscenza del problema mafia ci sarebbe da ridire.Vedi come ha spiegato i rapporti tra galasso e falcone,la sua presa di posizione su sciascia,la spiegazione superficiale della mafia al nord e del problema dei rifiuti tossici.
    O di cosa ha scritto su Impastato.
    Visto che per voi il fatto di essere sottoscorta autorizza a un sostegno morale ,bè ce ne sono moltissimi che vivono la stessa situazione-grimaldi scriveva qualche post più giù di giornalisti calabresi abbandonati a sè stessi-perchè non vi impegnate a dar voce pure agli altri e più meritevoli?
    Saviano è un trucco svelato.Passiamo oltre

    RispondiElimina
  7. fra l'ano savi e totò ri ina preferisco l'ultimo, almeno si sa chi sia. è un compare di "coloro" caduto in dis grazia. ma ci starà veramente in galera? allora occorrerà schiaffarci anche il mio ascensore... che mafia pure lui e quando lo scopri e glielo dici, miracolo, riprende a funzionare !
    una piccola indigine sul'ano savi...per scoprire che ce l'ha schiaffato a mo' di supposta in tv? sempre che si veda la tv... io no, ce l'ho "delicato" !

    RispondiElimina