mercoledì 9 febbraio 2011

ITALIA EGITTO: LA GRAMIGNA SAPROFITA DEI GELSOMINI E I FIORI DELLA RIVOLUZIONE


La vittoria viene raggiunta grazie alla resistenza nell’ultima ora.
(Maometto)
Senza istruzione corriamo il terribile rischio di prendere sul serio gente istruita.
(G.K. Chesterton)
La tirannia di un principe in un’oligarchia non è pericolosa per il benessere pubblico quanto in una democrazia l’apatia del cittadino.
(Charles de Montesquieu)


Alcuni tra i miei gentili interlocutori esprimono dubbi e apprensioni sulla rivoluzione in corso in Egitto e nel mondo arabo, vista come possibile preda di manovre dell’oligarchia regnante, di Israele e dell’imperialismo. Sono le stesse apprensioni che mi pare io abbia manifestato nei miei commenti. Quella delle cospirazioni perché un movimento di massa teso a rovesciare un ordine esistente insopportabile sia sequestrato dalle forze della continuità, con un’apparenza di mutamenti che lascino intatte le fondamenta e le strategie di quell’ordine, è una costante dei nostri tempi. Si ricorre ai gelsomini, alle rose, ai gerani, alla maniera dell’infida Giuliana Sgrena del “manifesto”, sia per accreditare cospirazioni reazionarie contro governi disobbedienti all’ordine mondiale del pensiero unico e del nuovo colonialismo (Iran, Georgia, Ucraina, Serbia, Libano, Uzbekistan, Venezuela, Bielorussia, Russia…), sia per assimilare a questi moti eversivi eterodiretti lotte di massa autenticamente endogene e rivolte contro tirannie al servizio dell’imperialismo.

Queste operazioni, avvallate da una sinistra o accidiosamente passiva, o complice, o ottusamente inconsapevole, sono quasi sempre portate avanti da organizzazioni foraggiate e manovrate dagli appositi istituti cripto-Cia, come Freedom House e National Endowment for Democracy (NED). Si costruiscono all’uopo personaggi, affidabili perché accuratamente selezionati ed addestrati dalla metropoli imperiale, cui vengono cuciti addosso panni e formule che rieccheggiano alcune parole d’ordine delle masse in lotta e che, però, vengono svuotate della carica e dei contenuti rivoluzionari e ridotti a dialogo per la salvaguardia dal “caos” e la rigenerazione cosmetica del vecchio ordine gerarchico. Alla bisogna vengono mobilitati media falsamente democratici e indipendenti, intellettuali presentati come “venerandi maestri”, sindacati e l’accozzaglia mercenaria delle Ong, che a questi fantocci forniscono la visibilità e il carisma di un riconoscimento unanime, al cui traino si allineano comunicatori e politici della sedicente sinistra nel nome della democrazia, dei famigerati “diritti umani”, del contrasto all’estremismo (oggi quasi sempre islamico). Da noi tale funzione è stata egregiamente svolta dal togliattismo e dai suoi infiniti epigoni. Comune denominatore di queste forze della mistificazione è l’accantonamento e l’occultamento delle matrici imperiali che hanno generato il fantoccio e le oligarchie economico-politico-culturali da rimpiazzare nel processo di aggiornamento. Così le motivazioni delle rivoluzioni di massa nel mondo arabo vengono circoscritte al pane e alla libertà dall’oppressione e gli attentati in serie ai gasdotti del Sinai che svendono il combustibile egiziano a Israele e alla subalterna Giordania, indici della consapevolezza antisionista e nazionalista della rivolta, sono attribuiti, scimmiottando Mubaraq, a oscure forze esterne (islamiste?). A proposito di Ong, La Rete Italiana per il Disarmo, fin qui degna di rispetto per essere praticamente l'unica voce di contrasto a guerre e basi, chiede opportunamente di sospendere la cooperazione militare con i paesi del Maghreb e con l’Egitto. Possdibile che non chieda in primissima istanza la fine della massiccia cooperazione militare nostra e della Nato con Israele? Gelsomini anche loro?


Gelsomini italioti
In Italia gli esempi proliferano e, se agenti della controffensiva padronale come Bonanni, Angeletti, Fassino, D’Alema, si scontrano con la denuncia di una forza di massa come la Fiom e i sindacati di classe, che hanno la capacità di tirarsi dietro quanto, nei media e nei rimasugli politici, pretende ancora di resistere, incondizionata e unanime, salvo voci isolatissime, è l’attribuzione del titolo di salvatori della patria ad espressioni della mistificazione come Roberto Saviano, Nichi Vendola o Luca Casarini. Il primo, taumaturgico eroe di un banda a denominazione sionista (Lerner, Bonsanti, Ovadia, Eco…), chiamata “Libertà e Giustizia” e fondata addirittura da Carlo De Benedetti, intimamente intrecciato a Israele da sempre, ha il compito di pervertire una montante collera e insofferenza popolare, dagli esiti potenzialmente radicali, nel passaggio da una destra bislacca, inaffidabile, totalmente squalificata e inetta, a una destra riverniciata da democrazia costituzionale, europea (!), educata, meno putiniana e gheddafiana e più in sintonia con l’”uomo del cambio” Obama e con l'"Unica Democrazia del Medioriente". Dei rapporti di forza tra le classi nulla viene messo in discussione, né del Nuovo Ordine Mondiale spurgato dai neocons, consolidato da Obama e benedetto dai papi. E a vedere parecchi dei corifei accorsi al Palasharp di Milano per “l’investitura” (così “Il Fatto Quotidiano”) di Saviano, colpisce la somiglianza antropologica con i tipi Dolce e Gabbana che rumoreggiavano due anni fa a Tehran. Fatti salvi - e rispettati - gli illusi puri, le tante persone in buonafede che, si tratti di popolo viola, della combine Vendola-Bersani-Casini, dei Disobbedienti, o di Saviano, pur di manifestare il sacrosanto disgusto per il guitto mannaro e la passione per la legalità, si precipitano ovunque. Agghiacciante il titolo “La primavera di Milano” con cui Norma Rangeri del “manifesto” titola il suo editoriale sulla gelsominata di Milano. Ricordate quell'infame “La primavera di Belgrado” con cui lo stesso giornale salutò la caduta di Milosevic e la distruzione della Serbia?

Il terzo, Casarini, in bilico tra utile idiota e amico del giaguaro, in ogni caso impegnato nell’autopromozione, è quello che faceva giochini di guerra a Genova, del tutto innocui per i carabinieri, ma assai propizi alla psicosi terroristica diffusa dal governo del guitto mannaro e dai suoi accoliti (il destro perbene Fini in testa, oggi arruolato nella nemesi democratica) e alla conseguente macelleria messicana contro gente che non aveva neppure gli scudi di polistirolo del guerriero padovano. E’ anche colui che si accoppiò in Serbia, al tempo dell’assalto Nato, con i “gelsomini” della radio Cia, B-94, poi evolutisi nelle bande Otpor, queste addestrate contro il governo socialista ed anti-Nato di Milosevic dai generali Usa a Budapest, onorandoli di visite a Belgrado e di ospitate a Padova. Fu la prima della “rivoluzioni colorate” fatte, vuoi, per ridurre popoli alla schiavitù imperialcapitalista, vuoi per ricondurre in recinti, magari ripuliti, buoi che hanno rotto le catene. Coronò, Casarini, la sua adesione al progetto mandando i teppisti Disobbedienti a malmenare nella manifestazione di Aviano chi alzava la bandiera della Jugoslavia libera. Otpor gli eresse una stele. Oggi, dopo anni serviti a coprire di polvere tali imprese. Casarini a Mestre, nella sede donatagli dal sindaco sovversivo Cacciari, ha messo la sua indubbia capacità organizzativa, compensatrice di un’altrettanto indubbia nebulosità ideologica, al servizio di “Uniti contro la crisi”, con una kermesse antiberlusconiana dal chiaro intento di mettere il cappello sull’onda montante della revulsione allo stato di cose presenti. Così Casarini cerca di rientrare in circolo. Rischia però di incontrare la sorte dell’icona di riferimento, sua e di Bertinotti, Marcos. Rannicchiato costui, si dice, nella selva Lacandona, a opporre raccontini edificanti alla violenza di un potere che, dice, non lo riguarda, ma estromesso da qualsiasi rilevanza nei processi politici di un paese che ha scelto altre “narrazioni” per uscire dalla sua incommensurabile tragedia. Fortunatamente Casarini, con a fianco il pensionato Rinaldini, ex-segretario Fiom, e la sua platea di furbetti padovani di Radio Sherwood, non regge al confronto con Maurizio Landini tra gli operai di Mirafiori. con tutte le tare che il nostro sindacalismo si porta appresso da dopo il '68 in poi e che vanno temute, e gli studenti della Sapienza e di tante altre università.


Quattro gelsomini egiziani in un mare di papaveri rossi
Veniamo ai fatti egiziani, punta avanzata di quanto sta ribollendo in gran parte del mondo arabo. E di questi giorni l’attesa e temuta spaccatura tra il popolo di Piazza Tahrir e di tanti altri luoghi d’Egitto, meno battuti dagli inviati, e le componenti, ridicolmente minoritarie, che, accreditatesi nei primi giorni dell’insurrezione, o inseritesi più tardi, si sono rivelate fiancheggiatrici del tentativo di riportare i moti negli argini riverniciati di un corso immutato. Contando e, auguriamoci, illudendosi di poter imporre una loro rappresentatività a folle che, all’avvicinarsi delle tre settimane di scontri, morti, feriti, penuria di cibo e sonno, si vorrebbero vicine all’esaurimento e a rischio di isolamento, hanno tirato fuori l’arma che le forze del continuismo, interne ed esterne, gli hanno assegnato: il dialogo per la resa.

Logo dei Fratelli Musulmani


I Fratelli Musulmani, dalla nascita negli anni ‘2O complici del colonialismo britannico e, da allora, forza di riserva della restaurazione contro il panarabismo antimperialista di Nasser e opposizione di sua maestà con i rinnegati Sadat e Mubaraq (gente ben diversa da Hezbollah e Hamas), avversata inizialmente la rivolta e poi saliti sull’autobus per mettere il piede sul freno, si sono precipitati all’invito del neo-vicepresidente Omar Suleiman. Dietro si sono trascinati i destri d’antan del Wafd, la sinistra alla Veltroni Tagammu, frammenti del Movimento 6 aprile, protagonista politico, ma spurio, a Piazza Tahrir, e della eterogenea e litigiosa coalizione della “società civile” Kifaya, staccatisi dal corpo centrale delle rispettive organizzazioni. La contradditoria natura del Movimento Giovanile 6 aprile, veniva confermata dall’immediato disconoscimento della delegazione al “dialogo” – composta anche da amici di El Baradei – da parte dei dirigenti rimasti in piazza. Scaduto, per ora, come opzione “moderata” dei burattinai d’oltreoceano e, quindi, posto in seconda fila rispetto all’amico privilegiato di Israele, Omar Suleiman, torturatore in prima persona, terminale egiziano delle extraordinary renditions con cui Bush e Obama affidano ai carnefici locali soggetti tipo Abu Omar, la speranza dei liberal e moderati nostrani, Mohammed El Baradei, di cui al tavolo è stato ammesso solo un emissario.






 A questo livello “transigente” dell’opposizione si sono aggiunti altri luminari della società bene.In particolare evidenza, per il peso negoziale, i titolari e manager di industrie e banche (in difesa dei quali si è appassionatamente erta Hillary Clinton), da Amr Mussa, compiacentissimo segretario della Lega Araba, al Nobel Ahmed Zuwail, già consigliere di Obama, al magnate Nagib Suez e a tutto un codazzo di miliardari beneficiati dal trentennale saccheggio eseguito in combutta con il FMI. La qualità politica e morale di questa gente, resa subito visibile dall’ulteriore impetuosa crescita dei resistenti in Piazza Tahrir, segno di chiara sconfessione, si misura sulla figura di Suleiman, seconda scelta degli Usa, imposta come prima da Israele che nel delinquente vendipatria aveva, per il sofferto dopo-Mubaraq, il socio preferito, colui che con Netaniahu aveva un filo diretto e che nel 2008 aveva addirittura offerto a Israele di dislocare proprie truppe nel Sinai, “onde ostacolare il traffico d’armi verso Hamas”. Del resto, tra torturatori ci si intende al volo. Se un’iniziativa del genere non ha potuto essere attuata, probabilmente perché avrebbe anticipato lo scoppio della rivolta di massa, zitti zitti l’hanno eseguita gli Usa, evidentemente terrorizzati che la rivoluzione possa spazzare via tutte le loro opzioni di stabilità regionale: è di questi giorni la notizia che il 15 gennaio è partito da Fort Benning, Georgia, il Distaccamento 2 della Guardia Nazionale, 185° reggimento Aereo di Groton, per sistemarsi nel Sinai alla frontiera tra Egitto e Israele e garantire, così si dichiara, il Trattato di pace tra i due paesi. Più specificamente, il blocco di Gaza contro chiunque, fallendo l’opzione Suleiman e simili, dovesse azzardarsi ad aprire il valico verso i “fratelli arabi” di Palestina.


Gli scissionisti del movimento giovanile “6 aprile”, di stampo vendolian-savianeo,  personaggi ospitati mesi fa preveggentemente al Dipartimento di Stato, era nell’aria dai primi giorni della rivoluzione. Alla “Delegazione dei 25” precipitatasi da Suleiman con l’offerta della solita “unità nazionale” il despota in seconda ha graziosamente concesso alcune “aperture” destinate a trasformare nei media internazionali gli intransigenti in “estremisti” e a infinocchiare i più sprovveduti tra le composite masse in lotta: fine del trentennale stato d’emergenza (non è detto quando), libera stampa (nel momento in cui gli sbirri del torturatore facevano sparire decine di giornalisti, arrestavano il capostazione di Al Jazira e ne distruggevano la sede), creazione di un comitato per la revisione della costituzione, con scadenza alle calende greche, liberazione dei prigionieri politici (mentre altri se ne aggiungono ai 10milla rastrellati dai servizi di Suleiman dal 15 gennaio in qua). Mentre questi “rappresentanti del popolo” dialogavano con il Torquemada di Mubaraq, il braccio militare del regime, che, dopo tre decenni di controllo USraeliano non è neanche più l’ombra delle forze armate nasseriane che misero spalle al muro Israele, iniziava a tirarsi via la maschera di esercito del popolo e a premere sui rivoltosi perché lasciassero la piazza e, così, offrissero alla repressione la vena giugulare della rivoluzione. Tutto doveva rientrare nell’alveo di una nazione normalizzata sotto il dominio di burattini e burattinai, con i fili rimessi in ordine. Risultato, eminentemente, di un riequilibrio mentale al vertice Usa, dopo i grotteschi andirivieni tra opzioni e fazioni diverse, quale sostenuta da un Israele nel panico, abbarbicato al compare collaudato, prima di vedersi costretto scegliere il fiduciario meno impresentabile all’estero, quale sollecitata dagli esperti gelsoministi Usa, più provetti nel cambiare per non cambiare. La soluzione è una sintesi: ci si tiene a tempo determinato il vecchio sicario, finchè ne scade il mandato o la precarissima salute, gli si sovrappone un alter ego truccato da riformatore, si cooptano i gelsomini e vai come sei sempre andato. A proposito del “6 Aprile”, movimento ambiguo che poi ha dovuto però subire un’egemonia di rivoluzionari genuini, si noti come i suoi iniziatori abbiano adottato un simbolo del tutto simile a quello degli infiltrati Usa in Serbia e in Georgia: il truffaldino pugno chiuso e lo slogan “basta”.





Certo, le variabili, in una situazione corrosa da contraddizioni così forti, ci sono. Se quelli di Tahrir (Liberazione) non cedono, se le articolazioni organizzative nate sul campo, comitati popolari, ronde di autoprotezione, nuove realtà organizzate espresse dalla lotta e nuove leadership si stabilizzeranno, se i collegamenti con il resto del paese – e dei paesi – resisteranno e si rafforzeranno, se la prova di forza, in quel caso inevitabile per il regime e i suoi padrini, verrà imposta, il tavolo può ancora essere rovesciato. Si dovrà vedere se un esercito di ufficiali allevati nell’incubatrice Pentagono, un comando supremo sintonizzato sugli ordini di servizio israeliani potrà essere neutralizzato da centinaia di migliaia di coscritti che esitino a sparare sulla propria gente. Un bagno di sangue, quasi certo se la carta Suleiman dovesse essere travolta dalla resistenza di massa per l’obiettivo di un rovesciamento di regime e, dunque, dei suoi connotati internazionali, riaprirebbe ulteriormente le prospettive di vittoria. Anche per i suoi riflessi nel mondo arabo. Dalla Tunisia all’Egitto i moti popolari sono cresciuti ininterrottamente, Algeria, Giordania, Yemen, Iraq (dove alla resistenza armata di nuovo in grande spolvero contro le forze dei fantocci si sono aggiunte in questi giorni grandi manifestazioni di massa, ovviamente stampigliate “Al Qaida” dal “manifesto”), perfino Marocco, Mauritania e Saudia. Un’apocalisse di sangue perpetrata su commissione USraeliana dal nuovo rais potrebbe provocare onde anomale incontrollabili in tutta la regione. Altro che “Nuovo Medio Oriente”. Ci dà speranza che a tale massacro non si arrivi per far vincere la rivoluzione, l'incredibile crescita del movimento, a dispetto delle cornacchie che gufavano su stanchezza e lento esaurimento, con tanto di classe operaia che dappertutto esce dalle fabbriche privatizzate e ceto medio che si sommano ai rivoluzionari, nonchè una piazza Tahrir che va dilagando verso i palazzi del potere, della TV di Stato e del presidente. 
Ci vuole la dabbenaggine burina, a essere tenui, del solito Campo Antimperialista, ad accreditare parte delle tensioni egiziane ai “jihadisti”, fondamentalisti islamici cari al campetto fin dalla venerazione per gli sciti collaborazionisti e anti-saddamisti di Moqtada in Iraq, al punto da attribuirgli la paternità dell’eccidio di capodanno dei copti di Alessandria, evidente anello della strategia israeliana di frantumazione degli Stati arabi, come già riuscita con la secessione del Sud Sudan. Secessione da decenni armata e sostenuta da Tel Aviv in vista soprattutto di eliminare la Cina dalla scena petrolifera sudanese e assicurarsi un dominio assoluto sulle acque del Nilo, dominio destinato in prospettiva anche a strangolare un Egitto partito per la tangente. Si inserisce in questa strategia anche l’ennesimo rapimento di viaggiatori europei tra Algeria, Niger e Mali, immancabilmente da parte di quell’”Al Qaida nel Maghreb” con cui i servizi occidentali si affannano a rilanciare, sullo sfondo dell’Egitto in fiamme, la “minaccia islamista”. In questo quadro tocca non trascurare il ruolo parallelo giocato dal Vaticano attraverso l’Ordine dei Comboniani, da sempre quinta colonna coloniale dal Sud Sudan al Darfur. E sconcerta il comboniano Alex Zanotelli, altro gelsomino, quando sul “manifesto”, occupandosi di migranti, ci copre di ceneri perorando: “Noi bianchi dovremmo andare a Dakar (sede oggi del solito ambiguo e fortunatamente spento Forum Sociale Mondiale) per chiedere perdono”. In Sudan ci sono motivi altrettanto buoni perchè i comboniani chiedano perdono per aver collaborato alla divisione imperialista di un grande e autonomo paese arabo-africano.



Alcuni degli interlocutori di questo blog, ai quali tengo molto per l’impegno e la competenza con cui si confrontano con le mie argomentazioni, ovviamente spesso discutibili, e con le questioni sollevate, fanno prevalere il pessimismo della loro ragione sull’ottimismo della loro volontà. Finiscono col consegnare una rivolta di massa dai chiari connotati rivoluzionari, sociali, nazionali, geopolitici, connotati che confido alla distanza emergeranno, alle mosche cocchiere della restaurazione. Li sosterebbe una delle immancabili patacche di Wikileaks che, con puntualità quanto meno sospetta, diffonde cablogrammi che indicherebbero come da tre anni gli Usa terrebbero in pugno gli esponenti della loro versione di oppositori. Ecco che gli Usa vengono accreditati della “democratizzazione” dell’Egitto. Fa il paio con quell’altra sua “rivelazione” secondo cui la Cia darebbe la caccia a tre cittadini del Qatar implicati, oggi, dopo 10 anni, nell’attacco dell’11 settembre. Botta evidente non solo al Movimento per la verità sull’11/9, che negli Usa non conosce arretramenti e si rafforza di giorno in giorno di dati e testimonianze, ma anche a quell’emittente del Qatar, Al Jazira, che da tre lustri rivela al mondo e, con particolare rilievo al mondo arabo, di che lacrime grondino e di che sangue i suoi satrapi e le “democrazie” che li tengono sul trono. E che perciò viene bandita e aggredita nelle colonie della “comunità internazionale”, associata attraverso presunti terroristi del Qatar alle Torri Gemelle e vilipesa dalla cupola imperialista.

Ambasciata Us al Cairo


Non v’è dubbio che storicamente l’aggressore inserisce i suoi agenti in schieramenti tra loro opposti per poter manovrare su entrambi i fronti. Ne sono una dimostrazione sia i gelsomini del momento, sia, nel nostro miserando piccolo, i radicali di Pannella, o Fini di qua e Saviano-Fassino-Colombo-Lerner-De Benedetti di là. Ma da lì a concludere che una rivoluzione di milioni, con fiamme che lampeggiano in tutta una regione costretta dal neoliberismo imperialista nell’abisso dell’abiezione sociale e nazionale, sia stata innescata e venga manovrata da forze etero-dirette contro un vassallo improvvisamente passato nel campo dei riottosi e inaffidabili, ce ne corre. Mubaraq, come i sovrani sauditi e giordani, come il tunisino Ben Ali, come Pinochet, come Berlusconi, non ha e non desidera scelta che non sia la totale subordinazione ai poteri economici e militari che ne garantiscono la sopravvivenza e la licenza di rubare, opprimere, uccidere. Di autonomia ne hanno quanto una tartaruga rivoltata sul dorso. Un loro ricambio viene imposto ai padrini, alquanto riluttanti come si vede nel caso di Mubaraq, solo quando le circostanze ne impongono l’ineluttabile necessità. E la necessità è determinata solo dalla confluenza di un eccesso di arbitri del fantoccio (nel caso del guitto mannaro, di puttanate, più che dai giri di valzer con Putin o Gheddafi, concessi anche ad altri clienti) con i segni di una sopportazione popolare giunta al limite. Senza quest’ultima, come si constata da noi, hai voglia di strafare. In un sistema in cui l’intera classe parassita e predatrice dirigente, di cui Mubaraq è l’espressione, è legata al carro del turbocapitalismo trainato dagli organismi economico-finanziari sovranazionali e garantito dai sicari di Pentagono, Cia, Tsahal e Mossad, un passo fuori dal seminato, tipo fronte moderato e semiautonomo turco-saudita-egiziano, è semplicemente inconcepibile. Ogni ricambio di personale sarà puramente fittizio. Come è detto nel meraviglioso coro dell’Adelchi.

 Tornate alle vostre superbe ruine, All'opere imbelli dell'arse officine, Ai solchi bagnati di servo sudor. Il forte si mesce col vinto nemico, Col novo signore rimane l'antico; L'un popolo e l'altro sul collo vi sta. Dividono i servi, dividon gli armenti; Si posano insieme sui campi cruenti D'un volgo disperso che nome non ha.


Finora dalle manifestazioni degli egiziani, salvo qualche maglietta del Che Guevara e i gasdotti verso Israele fatti saltare, non sono venuti grandi segnali di contrasto alle potenze e ai metodi che di Mubaraq hanno garantito il regime e le devastanti ricette del FMI, sostenute dalle forze repressive armate e controllate da quelle potenze. Tra gli obiettivi della collera popolare dovrebbero essere, per esempio, l’ambasciata degli Stati Uniti, le missioni di FMI e Banca Mondiale, le rappresentanze dell’entità sionista e dell’Europa. Nelle denunce dei rivoluzionari non dovranno mancare quelle dei rapporti tra il despota, la sua accolita economica e militare e i burattinai Usa, UE, Israele, quelli che esercitano la vera autorità politica nel paese. Può anche darsi che la mancata evidenziazione della dimensione internazionale della tragedia egiziana sia dovuta a cautela tattica, onde non farsi cacciare nel calderone propagandistico dei vari "estremismi", magari islamici, che renderebbero più digeribile una repressione sanguinaria. Dà fiducia l’indiscutibile avversione di tutto il popolo a Israele, vista come responsabile prima delle umiliazioni e della perdita di dignità, benessere e sovranità. Altrettanto presente è il rimpianto per il ruolo catalizzatore svolto dall’Egitto di Gamal Abdel Nasser nella vittoria dei popoli arabi sul colonialismo e nella garanzia, da parte di un socialismo di Stato, di un benessere fin lì sconosciuto. Resta, d’altra parte, in molti strati di quella che viene definita la società civile, cioè nella parte più rassegnata e politicamente meno sviluppata del paese, l’eco confortante delle demagogiche e truffaldine sparate filo-arabe e filo-islamiche di Barack Obama nel famoso discorso del Cairo. Gli Usa come promessa di riequilibrio economico e geopolitico. Discorso che avendo incantato anche gli sprovveduti chiccosi del “manifesto” (Valentino Parlato: “Miracolo al Cairo”), vuoi che non facesse presa su un popolo cui da 40 anni non erano stati inflitti che smacchi, avvilimenti, offese e mortificazioni? Il naufrago si attacca anche alla pinna dello squalo.

Gli egiziani, gli arabi, hanno grandi forze e ricchezze nel l’immaginario collettivo. Un immaginario che presto o tardi diventa nei popoli volontà e azione. Tutto questo serpeggiava da anni, dalla prima e dalla seconda guerra all’Iraq, veniva portata al parossismo dal mostruoso massacro di Gaza, si rispecchiava nelle aberranti condizioni di vita della maggioranza a fronte del lusso protervo e osceno della cricca dirigente. Mettiamo pure che l’incendio in corso possa essere domato. Ma le condizioni che lo hanno innescato non cambieranno e la brace sotto la cenere, vista la grande disponibilità di combustibile e l’ambiente infiammabile come e più di prima, il fuoco tornerà a farlo divampare.

16 commenti:

  1. Caro Fulvio, stavolta sottoscrivo in tutto il tuo discorso. Anzi, aggiungo che i "dubbi e le apprensioni sulla rivoluzione in corso in Egitto e nel mondo arabo, vista come possibile preda di manovre dell’oligarchia regnante", da te menzionati, mi sembrano proprio farina seminata dal sacco di chi vuole sminuire o coprire l'importanza epocale di quanto sta avvenendo.

    Se, dieci anni fa o poco più, i Neocon si illudevano di essere riusciti, con l'11 settembre da loro orchestrato, a imprimere una svolta fondamentale per un "New American Century", oggi la rivoluzione in Nord Africa e in Egitto sta segnando un nuovo inizio di quel secolo XXI che sembrava ormai una cosa amorfa, materia inerte e malleabile tutta nelle mani dei Neocon. Ma ci vogliamo accorgere di come questi eventi spezzino un futuro per la regione che sembrava già scritto a tavolino dai Neocon molti anni fa? (MI riferisco al "Project for a New American Century").

    Riconoscere l'importanza di questi movimenti arabi di liberazione (pur con tutte le necessarie sfumature e cautele del caso), sarà un'altra cartina di tornasole per mettere alla prova chiunque si dica "antimperialista" (purtroppo, molti cascheranno invece nelle lusinghe e nei tranelli "Repubblicani" per loro allestiti, vedi appunto le iniziative alla Saviano, Eco, ecc. ecc.)

    Una lettrice.

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  2. È un articolo che offre molti spunti interessanti che mi sollecitano degli approfondimenti. Ho anche letto un articolo,scritto da un giornalista israeliano, smaccatamente di parte, che ai più farà sobbalzare sulla sedia, ma che permette forse di intuire, al di là delle dichiarazioni ufficiali, quale sia il reale attegiamento d'Israele su ciò che sta avvenendo in Egitto e sul "fedele" Mubarak. http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=115&sez=120&id=38376

    Ludovico

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  3. caro fulvio,
    secondo me nessuno vuole che il popolo arabo-egiziano si sollevi e frantumi tutta la rete di alleanza che fin quì l'occidente ha tessuto per una parvenza di stabilità in medio-oriente.

    destabilizzare il medio-oriente non significa scatenare una guerra arabo-israeliana che sarebbe una catastrofe per tutti?

    capisco che tolto mubarak in sua vece andrebbe un figuro non certo migliore di lui, ma io credo che il volere degli egiziani non sia quello di fare una rivoluzione, ma di mandare mubarak al diavolo con la speranza che arrivi una vera democrazia di tipo occidentale;
    d'altra parte non è l'aspirazione di quella parte di italiani insofferenti al guitto?

    insomma, la rivoluzione non la vuole fare nessuno e nessuno ha intenzione di esacerbare gli animi oltre a una sostanziale protesta; tutti cercano di calmare gli animi, tutti si appellano alle costituzioni o alla legalità.

    ma fulvio: chi al giorno d'oggi vorrebbe rischiare la pelle per un ideale politico?
    gli uccisi in egitto sono le vittime di una reprerssione crudele perché in quella parte di mondo la crudeltà è forse norma; in italia quando ci scappa un solo morto è una tragedia inenarrabile, figuriamoci se ci fossero sollevamenti di piazza del tipo egiziano!!

    eppoi noi italiani siamo già figli di una rivolta, siamo figli della resistenza; sovvertire la costituzione con una rivolta significa distruggere l'eredità della resistenza; a meno che si pensi che la costituzione e la resistenza siano dei miti utilizzati da un potere venduto che ha tradito l'origine della nostra repubblica; si, in certi momenti lo penso, ma credo possa essere ancora un abbaglio.


    saluti

    alberto

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  4. Alberto. Nessuno? NOn universalizzare le tue paure o speranze. Decine di milioni di arabi ed egiziani la vogliono e ci daqnno una bellissima lezione. E' che sono rimasti giovani, anche da vecchi, diversamente da quelli che tu chiami nessuno. Ti pare poco? Destabilizzare il M.O, significa riaprire un discorso di giustizia e libertà e dare respiro a un mondo portato al baratro dall'imperialismo e dai negativisti come te. E se gli israeliani non accettano i diritti palestinesi, l'unica via è la guerra. Sarà responsabilità loro.
    Quanto a ciò che vogliono gli egiziani, pare che la sappiano più lunga di te. Vai a vedere la richiesta fatte dal movimento operaio. La cacciata dei Mubaraq e dei Suleiman contiene gli elementi della lotta di classe e per la sovranità che una finta democrazia occidentale come la nostra vedi benissimo non può soddisfare. Nessuno vuole morire per la rivoluzione? Credo che gli egiziani, a milioni, ti stiano dimostrando il contrario. Stanno lì nonostante i mortri e per loro merito. Quando affronti le fucilate e resisti, vuol dire che hai perso la paura di morire e che preferisci giocartela per la rivoluzione, cioè per il rovesciamento dell'infame ordine esistente, da loro come da noi.
    Quanto al curioso sillogismo che fare una rivolta significa sovvertire quanto hanno voluto i partigiani, beh, una nostra rivoluzione, ovviamente di là a venire visto che le rese, i moderatismi, i tradimenti, i negativismi, ci hanno portato nella merda in cui stiamo, sarà proprio in difesa di quella eredità edi mantenimento di quelle promesse. E nonostante gli utili idioti che si acconciano all'esistente criminale e disperato, la rivoluzione verrà, presto o tardi.
    Fulvio

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  5. il punto è che anche a sinistra si ha una forte vena paternalista euroatlantista.Ci piacciono gli stranieri quando stanno dentro al ruolo che noi anime pie e non legaiole diamo a loro,ma appena dalle loro parti si decide una rivoluzione o una lotta che noi non possiamo piegare al laicismo di comodo,o alla democrazia pacifica e dabbenista...tragenda!
    Certo io non sopporto nemmeno le teste calde e i positivisti a priori.La rivoluzione per vincere deve essere anche razionale e saper modificare direzioni intercettati dal nemico,quindi non può essere solo un atto morale.Come ad esempio si dovrebbe comprendere da parte di molti estremisti che certe frenate erano imposte dai servizi segreti già pronti a farci far la fine greca.
    In ogni caso:speriamo che le popolazioni arabe spingano verso la loro liberazione,e se ciò dovesse significare guerra anti imperialista e anti sionista,ben venga.Certo si potrebbe rispondere è facile fare il rivoluzionario con il culo degli altri,ebbene mi piacciono le cose facili!

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  6. Intanto gli egiziani ce l'hanno fatta: via lo zio d Ruby e Suleyman!
    E noi? Cosa aspettiamo a liberarci del faraone pedofilo di Arcore?

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  7. "In ogni caso:speriamo che le popolazioni arabe spingano verso la loro liberazione,e se ciò dovesse significare guerra anti imperialista e anti sionista,ben venga"

    é questo che intendevo dire quando ho deciso di non postare piu' i miei dubbi e le mie debolezze, ma di ammirare affascinato la caparbieta' e il coraggio con cui queste genti portano avanti le loro lotte,lasciando dubbi e incertezze nel cassetto,sperando di ottenere un futuro migliore per loro stessi ma che puo essere anche nostro.abbiamo molto da imparare invischiati come siamo nelle nostre paure che non sono di perdere un pezzo di pane,che meriterebbe pure rispetto, ma di perdere il telefonino.

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  8. per fulvio.
    io non sono negativista;
    io parto dai fatti che conosco, forse li conosco male e dunque il mio giudizio può non essere corretto.

    tuttavia non credo però che il popolo arabo voglia una guerra, nessun popolo la vuole, e credo che anche se israele volesse una guerra e ne sarebbe responsabile i morti e le tragedie che ne seguirebbero non potrebbero essere giustificabili.

    però è chiaro che a israele la guerra non fà schifo, bisognerà quindi vedere se anche i popoli arabi sono disponibili a un grande ulteriore sacrificio.

    per quanto riguarda l'italia sarei meno temerario al momento.
    l'italia è un paese ove c'è una sacca di ricchezza diffusa e la povertà è ancora una minoranza, intendo minoranza nei termini di coscienza "rivoluzionaria".
    non siamo ancora alle condizioni egiziane, almeno secondo me.

    comunque è vero che in italia è mancata storicamente una rivoluzione vedremo se il popolo italiano prima o poi la farà.

    saluti

    alberto

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  9. http://rossoallosso-lammazzacaff.blogspot.com/2011/02/egitto-strikers-oggi-e-stata.html#links

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  10. ecco come la Stampa celebra la fine
    di Mubarak


    http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8401&ID_sezione=&sezione=


    il popolo egiziano sarà della stessa opinione,chissà se conta la loro opinione.
    Si potrebbe accettare tutto ciò se dovesse essere un passo verso la crisi usa e israele,sarebbe importante tatticamente..ma si sa i sogni son desideri,i desideri speranze e chi visse sperando morì...^_^

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  11. A chi mi avvisa di un inserto pubblicitario riferito a Berlusconi nel mio trailer in blog e fessbuc, ricordo che viene messo da google e io non ho nessun controllo. Basta cliccare sulla x per eliminarlo, come altri messaggi pubblicitari.
    Fulvio

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  12. moralmente ed eticamente nessuno è a favore della guerra e della tragedia umana che porta con sè.Mi par un punto comune per tutti quelli che sono catalogabili nel settore :essere umano.
    Non piace a nessuno di noi che arabi o meno perdano la vita in un conflitto,nondimeno la Storia viaggia anche su altri binari e ci chiede valutazioni altre e oltre rispetto alla morale,all'etica.Purtroppo.
    Ripeto la liberazione dal colonialismo euroatlantista e sionista è un passaggio obbligatorio per quelle popolazioni.Trovando un punto di equilibrio tra il nostro dolente paternalisto e amara costernazione occidentale e la necessità assoluta di quei popoli di rivoltarsi.Ora vediamo come procederà questa "svolta " egiziana.Certo l'america è felice,questo dovrebbe farci venire mille dubbi,ma ripeto potrebbe anche essere un momento di crisi tra storici alleati,chi lo sa?

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  13. AUGURO MILLE DI QUESTE VITTORIE AD OBAMA!!!

    ahahahahah!!!

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  14. Io auspico una sollevazione del mondo arabo contro Israele, per porre fine alla barbarie sionista nei confronti del popolo palestinese.
    Certo è che questo innescherebbe un bel pò di sommovimenti geopolitici ma, ritengo, qualsiasi condizione sarà migliore rispetto a questo criminale equilibrio imperialista fondato sulla cancellazione di un popolo.

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  15. Maurizio.
    Bravo! Così puoi restare seduto al calduccio! Alla faccia di quei milioni che ci hanno messo la pelle, l'intelligenza e il coraggio a fottere il fantoccio di Obama. Fotteranno anche i ballerini di fila.
    Inutile esorcizzare.

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  16. pare proprio che sia una cosa seria... Nefertiti alla riscossa sta riscuotendo. ho ascoltato ad una radio, 87.9 una corrispondenza diretta di Sharif giornalista egiziano con eccellentissimo italiano che assicurava che gli egiziani sono insieme quelli da 0.80 centesimi al giorno e quelli da 5mila euro.mese! eltrojo ha smubarackato e 1! riguardo la pubblicità fascia sul trailer dei Messico, è capitato anche a me... ma non è 1 tecnica nuova... pensate che sui siti atei c'è la pubbicità della maronna... non quella ke kanta... ovviamente eh eh ! lo fanno per xqularci ma molto male glie ne incoglierà... il pispolo a lor cadrà ah ah
    FORZA EGITTO !

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