Simón Bolívar, padre della nostra Patria e guida della
nostra Rivoluzione, giurò di non dare riposo alle sue braccia, né dare riposo
alla sua anima, fino a vedere l’America libera. Noi non daremo riposo alle
nostre braccia, né riposo alla nostra anima, fino a quando non sarà salva
l’umanità. (Hugo
Chavez, 1954-2013)
Non si trovano parole
che sfuggano a un’emozione incontrollata e, dunque, alla retorica. L’anima di
colui che ha affrontato e vinto il mostro nel nome di noi tutti, vola oggi sul
mondo e addolora e conforta l’umanità dei giusti, dei bastonati, degli
sfruttati, dei dominati, dei rivoltosi, dei resistenti, dei rivoluzionari.
Chiuso un secolo nella sconfitta e nell’abiezione, ha aperto un secolo, un
millennio nuovi che, nel suo paese, nella nazione latinoamericana da lui
avviata alla liberazione e all’integrazione, ha seminato vittoria dopo
vittoria: Alba, Unasur, Celac, Mercosur. Popoli alfabetizzati, sottratti alla
povertà e al dominio di necrofori, per la prima volta dal loro sterminio padroni
della salute e della conoscenza e, soprattutto, restituiti alla dignità, alla
libertà, a quel presente-futuro che secoli di predazioni e stupri europei e
nordamericani, di servilismi di sguatteri tiranni, avevano conculcato. Un
piccolo uomo gigante, un soldato di un piccolo popolo gigante, valoroso e
indomito, divenuto, con lui per motore e faro, avanguardia dell’umanità
sofferente, a dispetto di quanto contro di essa i licantropi stragisti del Nord
progettano e praticavno con gli strumenti della loro infinita voracità e della
loro satanica ferocia.
Ho potuto guardare in
faccia quell’uomo, l’ho potuto toccare, gli ho potuto parlare, l’ho ascoltato e
i ricordi coltiveranno fiori nella mia anima. C’erano stati, nel 2002, dopo il
colpo di Stato Usa, i lunghi mesi del sabotaggio economico allestito dagli esqualidos, affannati al recupero di un
servaggio nutrito dei resti della tavola dei predatori. Nei llanos di un latifondo che riduceva i
campesinos ai margini della vita e negli interrati senza luce di un destino
immutabile, il comandante Chavez venne a offrirgli il fucile della sua nuova
costituzione, che sta alla glorificata nostra come un purosangue sta a un mulo.
La costituzione dell’uguaglianza, valida per tutti, indigeni, donne, bambini,
vecchi. Decine di migliaia di contadini si videro restituire la terra, con
tutti gli strumenti per farne sovranità alimentare per sé e per tutti. Insieme
con l’uomo più trasudante del carisma dell’onestà, dell’intelligenza, della
bellezza di parola e spirito, cantarono Viva
el bravo pueblo”, l’inno nazionale, il retaggio e la promessa di Simone
Bolivar, primo padre della Patria Grande.
A Caracas, negli
stessi giorni della vendetta dei ratti sconfitti, il volto di Hugo Chavez
guidava dai cartelli, dalle bandiere, dagli striscioni, ma più ancora
dall’immaginario collettivo di una folla di proletari, donne in testa come in
tutti i teatri della resistenza umana, lo scontro con schiere di signori,
signore, giovinastri fichi dei quartieri alti. Scontro che veniva risolto,
presto in modo definitivo con la vittoria sul paro padronale, dall’unità di milioni di cittadini con il loro
esercito divenuto, nel corso dei lunghi anni del lavoro clandestino del
capitano Chavez, esercito del popolo. Da un lato del ponte che vedeva opposte
le forze dell’abuso e della giustizia, insieme ai militari, si cantava El pueblo unido jamas serà vencido. E l’uragano
sonoro correva giù per il ponte ad annichilire ingiurie, livori, iattanze.
Ranchitos si chiamano in Venezuela le favelas. Quelle
della casupole e baracche senz’acqua, luce, fogne, lavoro, presenza, con cui la
classe vampira, proconsole dei diffusori imperiali di miseria e ignoranza,
aveva butterato le alture di Caracas. Venne Chavez, abbattè i tuguri e consegnò
titoli di proprietà a chi non aveva mai avuto altro che i suoi stracci, garanti
di esclusione dal consesso umano. Abbracciò e baciò donne e vecchi restituiti
alla cittadinanza e tra i suoi baci e quelli che da noi vengono elargiti dai
potenti a sudditi offerti in pasto a ipocrisia e illusione, correva la stessa
distanza che corre tra la leonessa col cucciolo in grembo e i baci di vasa vasa
Cuffaro., o le carezze di Monti al cagnolino elettorale.
Poi c’è stato “L’Incontro
Mondiale degli Studenti e della Gioventù” e, dal podio del Tribunale
Antimperialista allestito dal Venezuela in travolgente marcia, alle migliaia di
giovani accorsi da cento paesi per legarsi al filo rosso della rivoluzione,
Hugo Chavez gridò parole che poi sono riverberate nelle piazze del mondo, dal
Cairo a Lisbona, da Atene a Roma, da Santiago del Cile a Madrid, dai resistenti
delle patrie azzannate o maciullate in Libia, Siria, Mali, Afghanistan, da un
capo all’altro di un pianeta sollecitato dal sisma chiamato rivoluzione
bolivariana. L’avevano vista, udita, vissuta quella rivoluzione, avevano visto
che ridare alfabeto, istruzione, sanità, casa, lavoro, cibo adeguato, ambiente,
dignità, libertà, uguaglianza, era stato possibile, pur contro l’armamentario
genocida dei mostri. Se l’erano portata a Piazza Tahrir, Piazza Syntagma, Plaza
del Sol. Scintille di un incendio che del nuovo millennio farà un’araba fenice.
Le parole di Chavez erano O socialismo o
barbarie, La condizione più alta dell’essere umano e quella del rivoluzionario.
Noi saremo rivoluzionari sempre! In piedi, a migliaia, a pugno chiuso
abbiamo ripetuto quelle parole. E qualcosa a casa ci siamo portati.
In Latinoamerica, in
Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua, in Uruguay, nel Paraguay e nel Honduras
non piegati dai colpi di Stato di Obama, ma anche tra le masse di Argentina,
Brasile, Colombia, tra gli studenti che in Cile hanno saputo coinvolgere un’
intera società, tra quei popoli nativi, come i Mapuche o i Lenka, che non si
sono fatti strumentalizzare in chiave sediziosa e separatista dai complotti
destabilizzanti israelo-statunitensi, Hugo Chavez ha diffuso quel seme della
speranza e della fiducia che aveva colto nella lezione di Bolivar, Martì,
dell’amatissimo Gramsci, del Fidel
rivoluzionario.
In Venezuela si è
convinti che a Chavez e, come a lui, a molti altri governanti latinoamericani
affetti dal cancro, siano stati i serialkiller Usa a inoculare il male. Negli
Stati Uniti, nel nome del Freedom of
Information Act, si va esigendo che siano pubblicati i documenti attinenti
alla innumerevoli cospirazioni di Washington contro la vita di Hugo Chavez che
si sa comprendono tentativi di assassinio. L’accusa ha il suo fondamento nella
pratica omicida che i governi Usa (e israeliano) hanno condotto dalle origini, contro chiunque
si ponesse sulla loro strada e volesse
riscattare la sua gente, l’umanità: Lumumba, Sankara, Milosevic, Allende, Arafat, Panagulis,
Saddam, Gheddafi, Lincoln, John Lennon… Il sangue delle loro vittime li ha
marchiati di un morbo che è mille volte più letale di quello inflitto a Chavez,
ma fluisce oggi nelle vene di chi non li ha dimenticati e, per proprietà
transitiva, perfino in quelle di chi non li ha mai conosciuti, ma dal loro
spirito è stato invaso.
Possono ucciderci,
uno dopo l’altro, ma non ci possono uccidere tutti. Lo hanno dimostrato i
partigiani, prima di essere traditi. Lo stanno dimostrando i popoli
dell’America Latina che, con gli assedi di massa, la forza dei loro corpi e
strumenti, nuotando attraverso laghi di sangue, hanno raggiunto l’altra riva. E
anche i popoli non lontani da noi che, resistendo a ogni congiura, a ogni
efferatezza, sanno che non finirà così. Lo dobbiamo imparare noi cogliendo il
vento di quell’anima del mondo che si chiama Hugo Chavez. Se lui è morto
combattendo per noi, noi possiamo morire per quanto ci ha insegnato.
Un altro grande statista che ha segnato quelli che per una parte di umanità supina sono anni di disperazione e crisi, anni comunque - al contrario - esaltanti per quanti hanno avuto la ventura di guardar oltre la cortina delle menzogne mediatiche propalate dai sacerdoti di un modello di sviluppo innaturale e dai servi sciocchi (ma ben remunerati) del Golem della finanza mondiale. Statisti veri, dalle nostre fonti di propaganda (chiamarli organi di stampa sarebbe troppo nobilitante) dipinti come folkloristiche macchiette nella miserabile logica di quel "calunniate calunniate qualche cosa resterà " di baconiana memoria che ha voluto etichettare i vari Gheddafi, Chavez, rei principalmente di non essersi allineati alla corte dei "dominatori del mondo".
RispondiEliminaA Te che non hai certo il difetto di aver millantato un impegno ed una presenza fisica in luoghi e momentiperlomeno "complicati" resta un "privilegio" non da poco: quello di aver condiviso alcuni momenti di questa Grande Storia, e l'obbligo di ricordarla.
Con riconoscenza, anche a Te, Fulvio e col mio personale rammarico di aver incrociato le Tue tracce solo molto tardi.
Emilio
Avvoltoi e sciacalli mi hanno detto che sei morto, Presidente! Lo hanno fatto con quel ghigno fetido che tu e il tuo popolo conoscete bene; che noi conosciamo bene - perchè anche noi siamo il tuo popolo. "Finalmente!" - mi hanno detto - "ora si mangia! e che c'è di meglio di un corpo indigeno per saziare la nostra insaziabile famelicità!?" Non ho avuto lo stomaco di accostarmi a loro e dirgli che non è vero; che non sei morto; che sei vivo - e che sei vivo di una vita di cui loro non sospettano nemmeno la possibilità. Ma lo scopriranno, Presidente, e a proprie spese (come si dice - e come si addice a queste bestie che si nutrono solo di morte). Sei vivo, Presidente, e il tuo popolo non ha più paura. Noi non abbiamo più paura:
RispondiElimina"Il popolo del Venezuela, in esercizio dei suoi poteri creatori e invocando la protezione di Dio, l'esempio storico del nostro Liberatore Simón Bolivar e l'eroismo e il sacrificio dei nostri antenati aborigeni e dei precursori e forgiatori di una patria libera e sovrana; al fine supremo di rifondare la Repubblica per stabilire una società democratica, partecipativa e protagonistica, multietnica e pluriculturale in uno Stato di giustizia, federale e decentralizzato, che consolidi i valori della libertà, dell'indipendenza, della pace, della solidarietà, del bene comune, dell'integrità territoriale, della convivenza e l'imperio della legge per questa e le future generazioni; assicuri il diritto alla vita, al lavoro, alla cultura, all'educazione, alla giustizia sociale e all'eguaglianza senza discriminazione né subordinazione alcuna; promuova la cooperazione pacifica tra le nazioni e dia impulso e consolidi l'integrazione latinoamericana d'accordo con il principio di non intervento e di autodeterminazione dei popoli, la garanzia universale ed indivisibile dei diritti umani, la democratizzazione della società internazionale, il disarmo nucleare, l'equilibrio ecologico e i beni giuridico ambientali come patrimonio comune ed irrinunciabile dell'umanità..."
(Preambolo alla Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela)
hasta siempre, comandante chavez.....
RispondiEliminaOggi e una giornata molto triste.Tutta Latinoamerica piange la morte di un revoluzionario.VIVA HUGO CHAVEZ! VIVA LATINOAMERICA UNITA!
RispondiEliminaChavez è morto fisicamente ma non lo è veramente perché l'esempio e l'eredità che ha lasciato principalmente al suo popolo ma anche al mondo intero, germoglierà in lotte e consapevolezza che dai diritti acquisiti grazie a lui non si torna più indietro!
RispondiEliminaW Chavez, vivrai per sempre nei nostri cuori, non ti dimenticheremo mai, camminerai con noi al nostro fianco nel cammino per l'emancipazione e la liberazione del popolo dall'oppressione!
Non ci doveva lasciare... così giovane il nostro Amatissimo Maetro Comandante Hugo Chavez...
RispondiEliminaSe l'OPP è realtà, li distruggeremo in Tuo Nome Carissimo Compagno Hugo
per vendicarci dell'odio che hanno avuto verso di Te...
Morgana
bello ricordarlo così,uomo semplice ma determinato e coraggioso,visionario come solo i grandi sanno esserlo
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=P6rx7Z1SQYw
La notizia della morte del comandante Hugo Chavez, socialista, antimperialista, uomo di popolo, ha portato la tristezza nella mia casa dalla prima mattina di oggi.
RispondiEliminaHo letto una volta che la morte arriva per coloro che fanno del male come per coloro che fanno del bene, perchè se la morte fosse legatA alle proprie opere questi ultimi dovrebbero vivere in eterno. Ed è esattamente il caso del comandante Chavez.
Oggi il Sole 24 ore titolava in prima pagina con un un disgraziato..morto il caudillo del sudamerica. Ecco gli sciacalli delle banche e del capitalismo che stanno già festeggiando sperando che il loro rappresentante, quel cane sionista di Capriles che nulla ha a che fare con la storia ed il sentimento del popolo venezuelano, possa approfittare della morte del comandante come un avvoltoio.
Ma no, no, no non devono riuscirci. Lo so che è un paragone disgraziato ma lasciatemelo fare. Se quando mor' Berlinguer il PCI prese il suo massimo storico spero che con la morte di Chavez il PSUV e il PCV portino a casa una vittoria schiacciante.
Per te compagno, comandante
che hai lottato fino alla morte e contro la morte,
che hai difeso, in quasi totale solitudine, il martire Gheddafi, e che hai dato tutto per il tuo popolo e per difendere Cuba ed il sud america...
HASTA LA VICTORIA SIEMPRE!!!
QUE VIVA CHAVEZ!!!!
voglio correggere il mio commento precedente nel quale risulta un'accezione negativa del l'aggettivo semplice,lo correggo con "semplice e diretto" togliendo naturalmente il "ma"
RispondiEliminascusate