giovedì 14 novembre 2013

DELITTI E CASTIGHI A CASA NOSTRA



DELITTI  E  CASTIGI  A  CASA  NOSTRA

“Se uno , con parole al miele ma mente malvagia, convince le gente, grandi mali cadranno sullo Stato” (Euripide - “Oreste”)

Una democrazia che conduce guerre, o si prepara a guerre moderne e scientifiche, dovrà necessariamente cessare di essere democratica. Nessun paese può davvero preparasi alla guerra moderna se non quando sia governato da un tiranno, alla testa di una burocrazia altamente addestrata e perfettamente obbediente”. (Aldous Huxley)
S’ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra uno squillo risponde… Tutti fatti a sembianza d’un solo / figli tutti di un solo riscatto / in qual ora, in qual parte del suolo, trascorriamo quest’aura vital, / siamo fratelli; siam stretti a un patto: / maledetto colui che l’infrange, / che s’innalza sul fiacco che piange, / che contrista uno spirto immortal” (Alessandro Manzoni – “Il conte di Carmagnola”)

Per formazione e passione, e anche perché da quelle parti si incontrano più soddisfazioni che in questo nostro paese degradato e disperato, sono tanti anni che mi occupo di esteri, là dove lo scontro tra imperialismo e liberazione è più acceso e visibile. Ma sono davvero felice di aver fatto uno strappo alla regola decidendo di occuparmi di Italia e di trarne un nuovo documentario. Se non ne fossi stato convinto già dall’esperienza valsusina, cui ho fatto riferimento nell’ultimo pezzo, a confermarmi definitivamente e felicemente nella scelta è stato un altro incontro con una realtà italiana che, quanto a nobiltà coraggio, determinazione, chiaroveggenza, tiene il passo con i migliori dei miei amici combattenti in mezzo mondo, che siano o meno già vincenti, siriani, libici, venezuelani, serbi, boliviani, honduregni e, via, volando di fiore in fiore. Se è vero che abbiamo sul collo da trent’anni una orribile banda di grassatori, ladri, rapinatori, truffatori, stupratori e reazionari travestiti da politici di opposte fazioni, ma perfettamente omologhi, sta diventando vero che da questo diluvio di letame è spuntato il noto diamante. E sono giovani, maturi, anziani - in Val di Susa c’è una perfetta sintonia tra ormai tre generazioni - donne, bambini, studenti, pensionati, operai, impiegati, precari, imprenditori, bottegai, molti sostenuti dai loro cani, un campione di quel famoso 99% su cui solo gli irrimediabili dietristi, appesi alla palingenesi da sola classe operaia, arricciano il naso.


I No Tav della Val di Susa hanno filiato e il serpente arancione che vedete nella foto in alto e che strozza  i territori per aprirvi oscene voragini, pozzi di San Patrizio per l’1%, pur presidiato da pretoriani in armi,  è un vermiciattolo rispetto al fiume di “NO” – No Tav Torino-Lione, No Tav Terzo Valico, No Tav Firenze, No Gronda, No Muos, No Basi, No Guerra, No discariche, No inceneritori, No Biocidio in Campania, No Senza Tetto, No Neoliberismo, No fascismo … - che si va snodando e gonfiando dalle Alpi al Lilibeo. Se ne è visto un bel campione il 19 ottobre a Roma. Questo enorme No, che viene scolpito da centinaia di migliaia di persone nella roccia e nel piano del paese, meglio che non le teste dei presidenti Usa sul Monte Rushmore, alla faccia delle cornacchie che deplorano “chi sa solo dire no”, è il retro di una medaglia sul cui lato principale c’è un SI ancora più grande. Inconcepibile per cornacchie e vampiri, perché è il SI a un altro mondo. Non al tiepido “altro mondo possibile” dei pallidi Social Forum. Il SI a un altro mondo necessario, come già lo vaticinano e praticano, a dispetto di blindati, gas e mitragliette, quelli della Valsusa.


Arquata Scriva. No Tav-Terzo Valico, domenica. Sto al presidio No Tav con una dozzina di ragazzi di varia età che si adoperano intorno a cucine, legna, camini, caffè, rinforzi della struttura e costanti perlustrazioni della zona. Dalla collina lo sguardo si allarga allo spiazzo, due campi di calcio in un anfiteatro di monti, devastato dall’eliminazione di ogni forma di vita, a partire dagli alberi, tagliati e ora in corso di sminuzzamento da grosse fauci d’acciaio, e, a finire, con tutti quelli che lì ci abitavano, le case espropriate, le radici dei funghi, i santuari dei caprioli. Il tutto stretto e tagliato dalle famigerate recinzioni arancioni e dai paletti di ferro. Lontani, a vegliare sull’opera che dovrebbe vedere aprirsi il buco piemontese del TAV Tortona-Genova (successivo al Milano-Genova, saltato per evidente imbecillità e sollevazione popolare, ma che sarebbe, pur lungo tre volte, costato un terzo), una serie di figure immobili: Digos.


Spuntano dal sentiero nei boschi che porta da Arquata al cantiere, località Radimero. Colorati dai riflessi che piovono da un tetto di bandiere No Tav, al centro la carrozzella di un disabile, una mescolanza di tipi ed età che fa pensare a una ghirlanda di campo, dieci, venti, cinquanta, cento, duecento… Invadono l’area, recidono gli attacchi delle recinzioni, le avvolgono, le spazzano via, afferrano le vanghe infilate nel terreno, prendono gli alberelli lì accanto, oltrepassano la “zona rossa”, piantano in quattro e quattr’otto gli alberi alle spalle dei tronchi uccisi accatastati,  riportano vita e gioia. E’ un formicolio di gente e uno svettare di bianco-rosse bandiere sui giovinetti alberi che dicono come qui siano tornati la vita, il diritto, la natura, il passo delle creature umane e non. Il sentiero fiancheggia dall’alto il campo liberato. Ci sono, lassù, altre decine e decine di allegroni commossi che festeggiano, applaudono, incitano. Poi, a riconquista avvenuta, megafoni e parole di resistenza, di verità. Ci sono alcuni veterani di Lotta Continua che non hanno dirazzato. Il vecchio logo rivive. Certo, domani la barriera verrà di nuovo nella terra da stuprare. Ma la partita è lunga. E’ nell’animo di questa gente che resta inciso qualcosa di più robusto: lotta continua” No pasaran. Anche prima ci hanno provato e riprovato, con gli espropri e su uno riuscito, in cambio dell’ultimo pasto al condannato, il compenso dello sconfitto, decine sono stati sventati.

S’ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra uno squillo risponde… Tutti fatti a sembianza d’un solo / figli tutti di un solo riscatto / in qual ora, in qual parte del suolo, trascorriamo quest’aura vital, / siamo fratelli; siam stretti a un patto: / maledetto colui che l’infrange, / che s’innalza sul fiacco che piange, / che contrista uno spirto immortal”.
A Genova, Pontedecimo, il giorno prima, l’altro squillo l’hanno suonato i NO TAV-Terzo Valico liguri, con delegazioni di Arquata e Val di Susa: “figli tutti di un solo riscatto”. Un corteo di mille NO, tamburi, vessilli, striscioni, attraverso i quartieri e lungo il Valpolcevera, fino alla scarpinata da fare su al cantiere dell’altra voragine. Un inghiottitoio da scavare e connettere a quello oltre il valico. Un  imbuto tagliato in rocce zeppe d’amianto, per dilapidare soldi per ospedali, scuole, lavoro, ambiente (al momento 6,2 miliardi, ovviamente da quintuplicare), nelle tasche di una manica di speculatori, faccendieri, mafiosi e dei politici che ne dipendono. Amianto, fanghi, milioni di tonnellate di risulta da scaricare in altre voragini dove ora si estendono messi da nutrire tutti. In alto, col fiato spezzato, si appendono gli striscioni alla reti di contenzione nell’ex-bosco desertificato (in terre franose!): “Questa terra è nostra e non l’avrete mai!”. Invisibili le forze della militarizzazione, nei loro covi i notabili complici. Ma non c’è da illudersi: i fogli di via, la repressione, le denunce torneranno. E anche le botte.
A Torino si processano e si vorrebbero condannare, su prove fabbricate o evanescenti, ad anni di prigione innocenti e giusti No Tav. In Val Clarea, Chiomonte, il mostro squarta-montagne ha fatto finta di muovere le zanne per aprire il tunnel detto geognostico, ma che dovrebbe essere poi di servizio al buco maggiore. Inaugurazione bufala, ma mirata a intimidire. Manca la corrente per mandare avanti la fresa a sette motori elettrici. Giubilavano i notabili e gli scavatori. Il capo di questi ha benevolmente invitato tutti a visitare il cantiere.Tutti, tranne quelli che da decenni si vedono sbarrare il passo nella loro terra da gas CS e Lince dell’Afghanistan. A Roma a giorni si incontrano i perpetratori agli ordini dei satrapi. Letta e Hollande dovrebbero sancire e celebrare l’accordo Roma-Parigi per lo squartamento di territorio, civiltà, convivenze, diritti, in cambio di 20 miliardi (presto il triplo) ai loro datori di lavoro bancari, industriali e di cosche varie.


Le marionette delle corporation, legali e illegali, sono pronte a spazzare via anche la nostra sovranità. Il trattato stabilisce che, per la tratta italiana del TAV Torino-Lione (il Corridoio 5 Lisbona-Kiev, scintillante asse europeo, iniziale foglia di fico sul crimine, è già stato mutilato, da governanti meno infoiati e miopi, delle tratte iniziale e finale), vale il diritto francese. Curioso? Mica tanto: chi sta devastando mondi e comunità ha sul groppone una serie di imputazioni e condanne da far invidia ad Al Capone. Grazie alla legge francese, che non la prevede, non lo disturberà nessuna richiesta di certificato anti-mafia. Alla sceneggiata della Talpa ha risposto la costituzione a Torino di un “Osservatorio No Tav”, composto da scienziati, accademici, tecnici, studiosi, con in testa l’ex-magistrato Livio Pepino (nel sollievo della Valsusa e oltre, se ne andato in pensione il procuratore capo di Torino, Torquemada Caselli). Si occuperà di fornire informazioni corrette e documentate, anche sulla sottrazione di democrazia e sull’addizione di mafie, a contrasto con le balle rigurgitate da fonti complici o ignoranti.
 L’assurdità tecnico-economica dell’opera e l’oggettiva apertura alle mafie è stata clamorosamente ribadita l’altro giorno in Parlamento, mentre il regime bifronte stava facendo passare, ma grottescamente nella sola Camera dei deputati, quindi a metà, la ratifica dell’accordo italo-parigino. Merito  dei parlamentari Cinque Stelle. Unici – e inascoltati proprio come i popoli colpiti nelle valli, sui monti e di là dal mare – pronti a spogliare l’imperatore e a votare contro lo sconcio arraffa-arraffa dei soliti noti. E nella morta gora dell’emiciclo hanno aperto la scatola di tonno e ne sono uscite le bandiere No Tav. E’ stato un bel vedere.
 Ora tutti a Susa, sabato 16.novembre.
DELITTI  E CASTIGI  A CASA LORO

Bandiera della Repubblica Sociale nella camerata di Nassiriya
C’è un’altra fresa intenta a disintegrare qualcosa che ci auguriamo sia ancora più solida delle rocce all’amianto in Valsusa. Questa talpa la corrente la riceve, il cavo ha la spina in una presa del Quirinale. Sparge qualcosa di peggio delle micropolveri, nanoparticelle, fibre d’amianto, sparate su valligiani, fauna e flora. Scavando nella Costituzione, lacera il tessuto della convivenza civile, distrugge le ultime vestigia della democrazia e, alla fine del tunnel, ci introduce nello Stato di Polizia. Il ciellino, nominato a larghe intese ministro-macchietta della guerra e caporale di giornata della Nato, che compra F-35 contro il disposto del Parlamento, si dà da fare in casa e fuori. Trasferiti 400 alpini dal rude Afghanistan (dove, grazie alle cure Nato, la produzione di oppio è cresciuta in un anno del 45%) nei costosi alberghi e ristoranti valsusini, impegnato altri milioni nei giochi di guerra condotti facendo scorazzare blindati e impiantando rosari di posti di blocco da un capo all’altro della Valle, s’è fatto passare dai malati di Sla e disabili vari, dalle scuole fatiscenti, dagli ospedali e tribunali chiusi, dagli addetti a frane e alluvioni, dai pensionati (ma non d’oro) 20 milioni in aggiunta ai 21 miliardi e passa del bilancio 2013 (10° al mondo). Ringalluzzito dall’orgoglio con cui il Capo dello Stato assicura la continuità dei nostri sfracelli militari mondiali, sollecitato dalle celebrazioni del 12 novembre, 10° anniversario, in onore  degli eroi di Nassiriya (quelli col vessillo fascista in camerata, colpiti dalla Resistenza dopo aver massacrato civili in ambulanze e pullmini; c’è la sequenza nel mio “Un deserto chiamato pace”), ha usato il gruzzolo per mettere in mare l’EXPO 2013-14 dei nostri strumenti di sterminio.
A proposito del narcostato Afghanistan, creato dagli Usa con un governo locale di trafficanti e custodito dai militari Nato-Isaf, va segnalata una chiavica di articolo di Emanuele Giordana sul “manifesto” (14/11/13), a completare il discorso mediatico narco-imperialista fatto su “Repubblica” dal noto Adriano Sofri, in giro sotto scorta in quel paese, e in cui il poveretto continua a sdebitarsi con quelli che gli hanno concesso una prematura liberazione dal carcere, raccontando le infamie dei Taliban e glorie e onori degli invasori e occupanti. Questo Giordana, è un accanito sostenitore della civiltà occidentale come ambita da certa “società civile” afghana, è rimodellatore della realtà da far invidia al Berlusconi della nipote di Mubaraq. Nel citare i dati ONU sull’aumento vertiginoso della produzione di oppio, si scorda di dimenticare che quella la governa la famiglia Karzai, messa alla presidenza proconsolare del paese. S’inventa una produzione-record dei Taliban quando erano al potere, rovesciando il fatto che, assieme all’ONU, i Taliban, prima dell’invasione, avevano del tutto sradicato la coltivazione di oppio. Attribuisce alla Resistenza i proventi del traffico quando, come si vede nel mio “Target Iran”, ogni giorno le guardie di frontiera iraniane devono affrontare trafficanti in combutta con gli occupanti che, in armi, ne proteggono la coltivazione. Il clamoroso parallelo con il narcostato Colombia che, con le sue 7 basi Usa, garantisce la seconda voce delle entrate nei paradisi fiscali legati a Wall Street attraverso un corridoio centroamericano sotto totale controllo Usa, oppure con il narco-pseudo-stato Kosovo, sbocco dell’eroina turca e afghana, non lo sfiora neanche. Bel giornale, “il manifesto”.

Con la nuova portaerei “Cavour” da 2 miliardi, ansiosa di ospitare gli F-35 da 14 miliardi, è partita in crociera una flotta della Marina Militare con a bordo i gioielli Finmeccanica, Oto Melara e delle altre industrie del settore. Navigando al costo di 250mila euro al giorno, la fiera galleggiante punterà, a colpo sicuro, ai porti dei paesi che ci sono più cari, perché più vicini all’assetto istituzionale e sociale programmato per il futuro nostro e dell’Occidente democratico tutto. Scelta non determinata solo dalle affinità di quel tipo. In comune c’è anche l’impegno ad “armare la pace” (motto di Mauro che, cristianamente, intende quella dei morti). Infatti nei primi due mesi Cavour, fregate e pattugliatori si aggireranno nel Parco Giochi più promettente del Medioriente, offrendo la scintillante mercanzia a chi attualmente ne fa più uso: cannoni, missili, elicotteri, bombe, puntamenti e altri strumenti idonei al genocidio che questi ammirevoli Stati-famiglia impiegano attualmente in Siria, contro i propri schiavi indisciplinati e, in prospettiva anche più in là: Arabia Saudita, Oman, Emirati, Qatar, Kuweit.  Il resto del tempo verrà impiegato in Africa, sempre privilegiando regimi impegnati ad armare la pace all’interno e all’esterno, tipo Somalia e Kenya,  Angola e Congo. Ne discenderanno benefici che consoleranno esodati, esuberi e disoccupati,  consolati della crisi grazie agli utili derivanti ai nuovi padroni stranieri delle nostre grandi industrie di guerra.
 Obama si inchina al re saudita Abdallah
Tutto questo ci riconsegna un Medioriente arabo stravolto. L’ennesimo giro della giostra geopolitica ci presenta una fisionomia nuova. A Ginevra, alle conferenze sulla Siria, impedita, e sull’Iran, fatta fallire, gli Stati Uniti, resi perplessi dall’ergersi dell’Idra islamista-reazionaria-sionista, come anche dall’incapacità del terrorismo Al Qaida di sopraffare la libera Siria, abbandonati da Regno Unito, Germania, frenati dal disgusto per altre guerre della propria popolazione e di quasi tutti gli altri Stati, sono finiti fuori dalla giostra. Quella che, negli anni ’30, era stato costruito e poi consolidato come avamposto coloniale, fonte massima di energia e acquirente vorace di armamenti, l’Arabia Saudita, è partita per una tangente imperialista propria.Tirandosi dietro gli altri famigli del Golfo e il proprio mercenariato armato in Siria e politico a Istanbul, annunciando una nuova brigata da 50mila tagliagole, da farla finita con i quattro inetti miliziani sostenuti dall’Occidente, esibendo una perfetta sintonia bellica con Israele, sponsor del Pentagono e del Congresso, i nababbi di Riad hanno cancellato la Ginevra 2 sulla Siria e bloccato la ventilata tregua tra Occidente e Iran.

Tirato per i capelli dall’azionista principale di Tel Aviv, il Segretario di Stato, John Kerry, ha fatto buona bazza a cattivo gioco, mentre il proconsole americano di Tel Aviv a Washington si tappava le orecchie all’ukase di Netaniahu e la vista davanti alla fuga dei petrotiranni via dall’abbraccio con gli Usa, verso quello con Israele. Qualcuno, dalle sue parti, gli suggerisce di fregarsene, visto che gli Usa, a forza di rapine, scisti e fracking domestici, promettono di diventare autosufficienti in idrocarburi. Ma Netaniahu ha mobilitato all’assalto di Obama e di altri Tentenna l’intera comunità ebraica internazionale, armata e guidata da 52 organizzazioni sioniste in patria, dai media, dai boss bancari e dal caporale di Via XX Settembre. Ci si è aggiunta, udito il fischio del principale: “garcon!”, la Francia, dove i due criptorabbini Hollande e Fabius, militanti di Sion e usufruttuari degli acquisti d’arma sauditi, si sono sparati un po’ di anabolizzanti nei flaccidi muscoli  e hanno condiviso a Ginevra il dietrofront israelo-saudita e i latrati all’Iran. Così Kerry, sostenuto da quel direttore generale dell’AIEA, il giapponese Yukiya Amano, uno che da Wikileaks era stato intercettato a giurare fedeltà agli Usa e a chiederne quattrini in cambio, si è ridotto a dare la colpa del nulla di fatto all’Iran che non avrebbe rinunciato all’arricchimento dell’uranio (seppure per scopi clinici ed energetici). Iran che, del resto, cortesie o meno del neopresidente Rouhani, non si era mai sognato di rinunciare allo sviluppo del nucleare civile. Ma agli Usa una tregua, almeno temporanea, anche alla vista di ulteriori spese militari in un paese squassato dall’impoverimento di un quarto della sua popolazione, pareva preferibile.
Kerry implora il boss
In questo quadro dalle alleanze letteralmente rovesciate (c’è anche l’Egitto che occhieggia verso Mosca e intanto ne riceve le armi sospese dagli Usa), il duo Israele-Arabia Saudita vorrebbe estendere il proprio modello di democrazia e giustizia sociale all’intera regione. Così anche sventando il ruolo potenzialmente egemone di un Iran progressista, sviluppato, democratico e infinitamente più laico di loro. Che nemesi! Dai sunniti, protagonisti dell’antimperialismo panarabo, pluralista e laico, ai sunniti che, a partire dal Golfo, massacrano i fratelli sciti nella prospettiva di un mondo arabo normalizzato sotto gli scettri delle dinastie. Buffo che gli Usa, che, insieme ad Israele, la frantumazione etnico-confessionale della regione l’avevano sempre perseguita, ora si trovino espropriati dell’operazione da parte dei soci di minoranza. Ricupereranno, magari riuscendo a re-inserirsi nel gioco? Del resto, non ha Obama ripetuto la giaculatoria che, contro l’Iran, “tutte le opzioni restano sul tavolo”? Si vedrà.
 Obama: “Prenditela con l ‘Iran”.
Israele, straripante di bellicosità, approccio necrogeno al mondo, dotato del quarto tra tutti gli eserciti, zeppo di atomiche e armi biologiche, distoglie l’attenzione dall’oscenità dei suoi ulteriori 24mila alloggi in Gerusalemme e Cisgiordania che compromettono la farsa del dialogo israelo-palestinese patrocinato da Obama, e dichiara che, se non lo fanno gli Usa, l’attacco all’Iran lo farà da solo. E, a ribadire il concetto, esibisce i suoi esperimenti missilistici sulla Siria. Ma non c’è da farsi minchionare da un Netaniahu che, da anni, annuncia “la bomba iraniana entro due mesi” e la determinazione di andarci anche da solo a fracassare Tehran. Le loro guerre, finora, gli Israeliani le hanno sempre fatte fare agli Usa. Salvati da Pentagono e Cia nelle due guerre del 1967 e, soprattutto, 1973, si sono visto togliere di mezzo da Usa e Nato due notevoli seccature come Libia e Iraq. Sono allibiti che, stavolta con la Siria, l’appalto non sia stato portato a termine e che il subappalto sia in frantumi e ritirata.
Quell’esercito ricorda tanto la “tigre di carta” di Mao. Valorosamente abituato a radere al suolo ragazzini che lanciano pietre e le case dei semiti palestinesi e ad avanzare solo quando tempeste di fuoco dall’alto gli hanno sgomberato il terreno, due volte in Libano, 2000 e 2006, le ha prese da quattro sfigati Hezbollah e se la è dovuto dare a gambe. Vi potete immaginare questi eroi da soli all’attacco del più saldo e forte paese della regione? Un paese “isolato” blatera qualcuno sul “manifesto”, ma che ha dalla sua Russia, Cina e 120 paesi non allineati, già incazzati per la penetrazione degli spioni NSA fin nelle loro camere da letto, nei Bundestag, nelle cancellerie e nei consigli d’amministrazione. E magari sono pure stufi di pagare le guerre USraeliane con le predazioni delle multinazionali e di Wall Street.

Tutte bischerate. Israele non attaccherà mai da solo. Né al paese munito del quarto armamentario atomico del mondo interessa una cippa la non esistente minaccia nucleare dell’Iran. Gli interessa, e qui anche agli Usa, che l’Iran non ci sia in quanto Stato sovrano, libero, indipendente, dignitoso, coeso , tecnologicamente all’avanguardia, punto di riferimento dell’antimperialismo e antisionismo, fiancheggiatore dei palestinesi e di altri oppressi ed esclusi. A questo dovrebbero bastare la caterva di sanzioni (le ultime sono in discussione al Congresso), il terrorismo interno dei secessionisti del Beluchistan e del MEK, l’infiltrazione dall’Afghanistan amerikano in Iran, a squassare la società, di buona parte dell’eroina che soddisfa il 92% del consumo mondiale. Ma basterà? Se a Chiomonte non bastano i miliziani dell’Ordine post-democratico e mafioso, uno ogni 4 abitanti….

   

10 commenti:

  1. Caro Fulvio,
    sai che dopo Iraq e Libia ero alquanto pessimista e rassegnato per quanto riguardava l'esito delle vicende siriane,ulteriore carrarmatino delle armate dei necrofagi nel risiko mondiale.Ma adesso mi sembra di avvertire un vento nuovo,per ora un lieve zeffiro , di speranza.Mi auguro che questo vento diventi un aliseo.Un aliseo,bel vento.Un vento forte,costante ,deciso,affidabile.Non mi auguro invece la tempesta.Le tempeste puliscono,e' vero,ma prima provocano troppe morti.E abbiamo anche visto di recente le facce di quei morti ,nelle Filippine.Sono le stesse facce dei bambini di Baghdad e di Damasco .
    Buon vento,Fulvio.Un abbraccio.
    Luca.

    RispondiElimina
  2. Caro Fulvio,
    sai che dopo Iraq e Libia ero alquanto pessimista e rassegnato per quanto riguardava l'esito delle vicende siriane,ulteriore carrarmatino delle armate dei necrofagi nel risiko mondiale.Ma adesso mi sembra di avvertire un vento nuovo,per ora un lieve zeffiro , di speranza.Mi auguro che questo vento diventi un aliseo.Un aliseo,bel vento.Un vento forte,costante ,deciso,affidabile.Non mi auguro invece la tempesta.Le tempeste puliscono,e' vero,ma prima provocano troppe morti.E abbiamo anche visto di recente le facce di quei morti ,nelle Filippine.Sono le stesse facce dei bambini di Baghdad e di Damasco .
    Buon vento,Fulvio.Un abbraccio.
    Luca.

    RispondiElimina
  3. bello tra i belli questo articolo,una pagina di storia che se leggeremo sui libri vorra dire che si starà vivendo in un mondo certamente migliore.

    Cio che dici dei socialnetwork è purtroppo vero,si perdono in infinite discussioni su deflazione ,disoccupazione,spred ed altre porcherie proponendo cervellotiche soluzioni senza capire che il problema sono essi stessi ritenendosi più scaltri del diavolo correggendolo coi suoi stessi argomenti ed invece finiscono col mettere il coperchio sopra la pentola.

    RispondiElimina
  4. mi auguro che tutti quelli che chiedono la liberazione degli attivisti greenpeace imprigionati in russia facciano altrettaqnto per gli attivisti notav imprigionati in italia, altrimenti non sarebbero coerenti !
    suggerisco poi ai notav di chiamarsi anche loro greenpeace ;-)

    RispondiElimina
  5. x Anonimo: tieni pero' conto che l'estrazione petrolifera non e' di per se necessariamente un'attivita' inquinante, anche se il rischio di incidenti esiste, vedi l'oil spill del golfo del Messico, ma l'impatto ambientale e' sicuramente minore di una grande opera come la TAV su di una piccola valle, gia' servita da una statale e da una linea ferroviaria. Personalmente ritengo la TAV della val di Susa un'opera sopratutto inutile e costosa. Le ferrovie dovrebbero ristrutturare le line di trasporto locale, spesso vetuste o addirittura abbandonate.

    RispondiElimina
  6. E' uscito fuori un super teste per la strage di Ustica. Secondo la sua versione, l'aereo sarebbe stato colpito da un missile di un aereo israeliano che intendeva cosi' fermare un accordo fra l'Italia e l'Iraq relative a forniture per la costruzione di una centrale nucleare. La Libia non c'entrava niente, ma visto il clima pesantemente antilibico dell'epoca, culminato con il tentativo francese (guarda un po' che novita') di conquistare la Libia armando dei "ribelli" in Ciad, e' stata tirata dentro dal senso comune alimentato dai media del tempo. Senza voler prendere questa versione per oro colato, perche' c'e' da ricordare che alcuni piloti militari e diversi militari e civili in servizio nelle basi radar sono poi morti in strani suicidi ed incidenti vari,risulterebbe pero' chiaro che 1) l'aereo fu colpito da un missile e non esplose in volo (contrariamente alla tesi della "bomba" a bordo tirata fuori ogni volta che il giudice Rosario Priore si avvicinava alla pista giusta) 2) C'era un esercitazione areonavale in atto, e nessun aereo militare libico 3) All'incrociatore Vittorio Veneto, relativamente vicino alla zona in questione, fu ordinato di allontanarsi. Sembra inoltre che I soccorsi furono appositamente ritardati per evitare il "rischio" di superstiti scomodi. Arrivarono in zona solo nella mattinata successiva, quando l'aereo fu colpito poco prima delle 21.00. Nella mia memoria di ragazzo preadolescente, ero andato al mare in giornata con la famiglia e sentivo la radiolina che nella trasmissione "bollettino del mare", avvisava I naviganti in zona di stare in guardia nell'avvistamento di eventuali naufraghi superstiti. Le notizie fino al telegiornale della sera sono state pochissime. Adesso, con l'amarezza che escano fuori frammenti di verita' taciuta fino a pochi anni fa (sembra che il governo di Romano Prodi pose il segreto di Stato nel 1998) proprio adesso che la situazione internazionale e' cambiata e molti dei politici protagonisti non sono piu' in vita, credo che e' necessario trasmettere ai giovani la storia e raccontare questi eventi, per loro lontani, ma che servano a creare una consapevolezza basata anche su di una conoscenza trasmessa loro, con spirito critico e senza filtri di tipo "mediatico" dale generazioni precedent che li hanno vissuti in pieno

    RispondiElimina
  7. ad alex1 "...con spirito critico e senza filtri di tipo "mediatico"...
    ed il problema dei "filtri" e della libertà di visione è piuttosto grande, se è vero come è vero che esistono veri e propri percorsi di "formazione" per fotografi e giornalisti EMBEDDED, corsi a cui partecipano anche insospettabili operatori di viaggi esotici.
    interessante quanto inquietante questo articoletto in calce ad un sito (il link è in fondo) di viaggi in Cambogia
    "Formazione Media Embedded per Daniele Borghello 
    Dal 9 aprile, ho avuto il privilegio e il piacere di essere ospite del 3° Genio Guastatori, per la formazione di Giornalisti Embedded e operatori legati alla fotografia. Un’iniziativa che mi ha coinvolto assieme a Instagramers, comunity Italiana dell’ormai noto Social Network dedicato alla fotografia, Instagram. Il “Lebanon Media Tour”, è stato per me, ed altri colleghi fotografi, Giornalisti, VideoReporter ecc… un programma formativo di grande utilità. Imparare ad indossare un giubbotto antiproiettile, salire e scendere dai mezzi militari, come agire in caso di attacco esplosivo.. tutto questo il corso organizzato dalle forze armate che si concluderà seguendo da embedded la brigata di cavalleria Pozzuolo del Friuli prossima a partire per la missione in Libano. Un susseguirsi di lezioni teoriche, per portarci a conoscere la situazione Geopolitica del paese dove il reggimento opererà e le condizioni sociali, usi e costumi delle persone, con cui noi reporter dovremo relazionarci. Di seguito, presso l’area addestrativa del Cormor vere e proprie simulazioni di uscite sul territorio Libanese. Le forze armate Italiane, ci tengono a formare oltre che il proprio personale, anche i Reporter Embedded per garantire ai Fotografi e Giornalisti il massimo della sicurezza in teatri operativi, senza mettere a rischio la nostra incolumità e quella dei propri militari. Non vedo l’ora di scrivere il prossimo post su questo argomento, perchè saro’ in Libano a documentare gli impieghi dei nostri militari in territorio Libanese. Questa opportunità, che mi è stata concessa grazie alla disponibilità del 3° Genio Guastatori, e della comunity Instagramers sarà molto importante per la mia formazione in continua evoluzione. Saranno certamente esperienze che potro’ condividere assieme a tutti i partecipanti ai nostri School Travel. Continuate a seguire i nostri approfondimenti e riflessioni sulla fotografia, aspettiamo i vostri commenti.
     DANIELE BORGHELLO
    http://www.worldphotographyexpeditions.com/formazione-media-embedded-per-daniele-borghello/ "

    RispondiElimina
  8. X alex1
    Se vuoi sapere la storia di ustica
    devi leggerti una grande persona che ha pagato duramente la sua fame e sete di giustizia:
    si chiama Mario Ciancarella ed era un capitano dell'areonautica italiana,poi radiato, Troverai qualcosa in rete.

    Non posso risponderti perche' mi sono ripromesso di non entare in questo blog
    finche' fulvio (che si e bevuto completamente il cervello) non la smette di rompere i coglioni con la peggiore truffa d'italia :
    il movimento 5 stelle.

    Son passato qua' per caso

    RispondiElimina
  9. In questi minuti un “giornalista” di RaiNews24 sta intervistando un manifestante, forse un dirigente No TAV a Roma e le uniche domande che ripete come un disco rotto sono “ma che bisogno c’era di fare un corteo, non vi bastava manifestare in piazza?”, “voi condannate la violenza?” “unire la vostra protesta a quella per la casa non rischia di indebolire il vostro movimento?”. L’intervistato mostra una calma ed una civiltà quasi irritanti, io al suo posto avrei fatto ingoiare il microfono al mercenario.
    Per fortuna sono in un albergo dove posso guardare Russia Today.

    RispondiElimina
  10. tengo ad anticipare di qualche settimana gli auguri di buon anno,
    Roma e a tutte le capitali europee auguro per il 2014 buon "Piazza Tahrir" a tutte

    RispondiElimina