martedì 11 febbraio 2014

UN VOLGO DISPERSO CHE NOME NON HA




IL GIORNO DEL RICORDO – GLI ANNI DELL’OBLIO

“… E siamo scesi dalla nave bianca / i bambini, le donne e gli anziani / ci chiamavano fascisti / eravamo solo italiani / italiani dimenticati / in qualche angolo della memoria / come una pagina strappata / dal grande libro della Storia / come si fa / a morire di malinconia / per una vita che non è più mia / che male fa / se ancora cerco il mio cuore / dall’altra parte del mare. / Quando domani in viaggio / arriverai sul mio paese / carezzami ti prego il campanile…” (Simone Cristicchi, “Magazzino 18”)

Imperversano  - “ Emozionatemi, sennò mi tocca pensare” (Altan) – il Giorno della Memoria e, oggi, il Giorno del Ricordo e io sto per farmi un bel numero di nemici, tra nemici e amici. Ci sarebbe da trattare una grandinata di fatti, quali drammatici, quali drammatizzati da mistificatori e sciacalli. Vado alla rinfusa. La lista Tsipras per le europee, improvvisata dai pensosi resuscitatori semestrali di detriti da raccattare e resuscitare, cammina all’insegna del chi va piano va lontano (e chi non rompe troppo le scatole ha la possibilità di vivere all’ombra dei vampiri). Io Syriza l’ho ammirata e, come sanno i miei interlocutori, esaltata durante tutti i suoi tre anni di rivolta politica e fisica contro gli aguzzini della Troika e loro servitori indigeni (mentre gli ortotodossi del KKE se ne stavano in disparte a praticare onanismo). Ma né i suoi sostenitori, gli stessi dei vari tentativi falliti di reinventarsi una sinistra gentile e compatibile, né il leader greco, acclamato nella stessa chiave degli incensamenti al “moderato” Nelson Mandela (piuttosto che ai “radicali” Lumumba o Sarkana) e a Luther King (piuttosto che a Malcolm X o alle Pantere Nere), mi ha impedito di pensar male (e forse prenderci). In presenza di un maremoto di genti che pensano che per salvare la pelle tocca cavarsi il cappio dei necrocrati UE, spunta chi, da Vendola a La Repubblica, auspica che Tsipras ci risparmi le lacrime e sangue dello scontro, adagiandoci in un’Europa che, rettificando qua e là, si limi un po’ le unghie. Ebbene, non mi fido e vedendo come quelli che, nel panico in vista delle elezioni europee, stanno coventrizzando il Movimento Cinque Stelle, siano  in gran parte gli stessi che hanno lanciato nella mischia Tsipras, penso che forse quel lancio fosse indirizzato tra i piedi del M5S per farlo inciampare e portargli via un po’ di consensi. Sarà, in ogni caso un coccodrillo non smette di mangiarti se gli si tolgono un po’ di squame.


Bosnia, è primavera?

Avrei voluto parlare anche della Bosnia, dove è saltata per aria la Federazione bosniaco-croata, ma dove forse l’obiettivo finale è un marasma che spappoli invece l’indisciplinata Repubblica Srpska e faccia fare all’intera regione la fine dell’incastro nell’UE-Nato. Il che non toglie che i ragazzi che stanno incendiando questo aborto di Non-Stato sotto ferula fascisto-islamista, hanno tutte le ragioni del mondo per farla pagare ai farabutti che gli hanno tolto i diritti e le garanzie di cui godevano sotto la Jugoslavia: lavoro, salute, scuola, dignità, futuro. Dove passa l’Occidente non cresce l’erba. E neanche dove sono passati i pellegrini di Sarajevo, rivoluzionari colorati ante litteram, con alla testa falsari come Sofri, Langer, Pax Christi, Casarini, cappellani Nato vari, pacifinti di ogni risma, l’orrida marmaglia che sancì il perfezionamento del connubio “destra-“sinistra” anche nella geopolitica.

Avrei voluto condividere con voi la soddisfazione per la cacciata con ignominia del guru USraeliano Pannella dalla manifestazione antiproibizionista di Roma, o quella per la fine della mistificazione falso-sinistra e vero-sionista del quotidiano francese “Liberation”, consanguineo del “manifesto” e gioco di prestigio mediatico nientemeno che del barone Edmond de Rothschild che ne è il padrone e appartiene alla casata che da un paio di secoli, dal Congresso di Vienna a Bilderberg, contribuisce a determinare le nostre fortune. Ma avremmo avuto anche di che incollerirci per il giudizio di dio che  vorrebbe rifilare 9 mesi di carcere (magari al 41bis) e la multa demenziale di 215.000 euro ai No Tav Grillo e Perino perché colpevoli di mangiar polenta in un casotto costruito per impedire lo sfascio della Valsusa o di aver obiettato a trivelle che pugnalano a morte il cuore del territorio. Sono 600 al momento i No Tav sotto tiro dalla Procura di Torino per aver messo i loro corpi di traverso a katiusce di ruspe, trivelle, Co2,  F35 e uomini d’onore. Dello stesso segno sarebbe poi stato il nostro sdegno per quell’editto bulgaro sparato contro Gianluigi Paragone e il suo “La Gabbia” su La7 da un telecritico del giornalone di regime (Aldo Grasso). Il mandato a Grasso era: quel  programma eversivo e potenzialmente stupratore, dove si fanno parlare i Cinque Stelle, si sbertuccia Napolitano, si aprono le banche come scatolette di tonno e si osa la fuoruscita dall’Euro, va chiuso, cribbio!

Aveva battuto la fiacca la fiera viaggiante delle italiche eccellenze sulla flotta capeggiata dalla portaerei “Cavour”. Pochi gli sceicchi del Golfo interessati ai banchetti strapieni di promotori dei diritti umani come cacciabombardieri, missili, bombe perforanti, sommergibili, mortadelle e profumi Dolce e Gabbana. Alcuni commessi viaggiatori americani, britannici, tedeschi, francesi avevano detto ai nostri: “fatti più in là”. Però, a tutto c’è rimedio. Sorvolata la Siria e, forse, la Libia, con le loro popolazioni festanti intorno ai nostri portatori di diritti umani Al Qaida, proveniente dal Golfo dove, col cappello in mano all’angolo della strada, aveva ricevuto ben 500 milioni per il proprio contributo alla pacificazione della Siria,, Gianni Letta ci porta, insieme a quel dono, il grande insegnamento degli amici emiri:  come vanno  organizzato uno Stato efficiente, al passo con i tempi  e una società armoniosa di uguali. E subito, con la legge elettorale Renzusconi, tutti si sono precipitati a portarsi avanti col lavoro su quel modello.

Prima medaglia d’oro a Putin
Putin racconta agli arcobalenidi tedeschi che l’inno russo verrà cantato da due atlete lesbiche

E da qualche parte spunta anche una consolazione. Contro uno Zar Putin, che era arrivato al parossismo omofobico di proibire propaganda e attività omosessuali tra i ragazzini (pur praticata con tanto zelo dalla nostra Chiesa), si era attivato il Grande Coro. Il preludio eseguito dalle trombe esplosive degli ascari ceceni, il pezzo forte da piatti e percussioni della marcia Radetzky per l’Europa  di Kiev (la portavoce di Obama, Victoria Nuland, mandando affanculo l’UE, l’avrebbe voluta per gli Usa, la marcia), mentre la sinfonia finale veniva affidata ai provati fagotti e controfagotti GLBTQ, quelli che piacciono a tutti. Non vi pare che la feroce repressione della Sicurezza russa contro queste democratiche manifestazione di libertà d’espressione, abbia fatto apparire spensierate e libere da ossessioni securitarie le Olimpiadi di  Londra? Quelle di una sorveglianza davvero discreta che, nel sacro nome dell’emergenza olimpica, non aveva che espropriato e cacciato in periferia alcune decine di migliaia di famiglie per gentrificare, nel segno dei Cinque Cerchi, i loro quartieri. Che aveva impiegato, per guardarci nelle mutande, 200mila tra poliziotti e soldati. Che aveva sorvegliato con elicotteri e perquisito con teste di cuoio le case di tutti quelli che si trovavano lungo le strade d’accesso agli stadi. Che aveva proibito ai comuni mortali di anche solo avvicinarsi  alle strade già di tutti e da tutti pagate, ma ora riservate  agli olimpionici; Che, con la cerimonia d’apertura a esaltazione di cinque secoli di imperialismo inglese, aveva mostrato ben altre buone maniere e altro stile rispetto alla pacchiana e ambigua retorica di Sochi, dove, srotolando il filo della storia russa, ci si è addirittura permesso di onorare l’Unione Sovietica!.

Chiudiamo questa parte con un’altra nota di sdegno. Chi ci fa indignare sono gli indiani. Ma come, prendono per terroristi due “nostri” eroi (nostri de ché, piuttosto dell’ineffabile trio patriottico  Napolitano-Mauro-Bonino), solo perché hanno difeso la patria e la pace sparando addosso a due omini con lenza in una barchetta, con ogni evidenza pirati? Pretendono di giudicare con la legge anti-terrorismo due che non hanno fatto altro che difendere democrazia e diritti umani , proprio come i tanti loro camerati che hanno neutralizzato con bombe e missili covi di terroristi in Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia? Paradosso che indigna. Forse che noi si abbia processato per terrorismo chi a Baghdad ha ammazzato Calipari, un pirata vero che  rischiava di farci sapere che la giornalista Sgrena era stata fatta rapire perché non raccontasse cosa gli Usa avevano combinato a Fallujah? E bene ha fatto il nostro ministero della Difesa, Mauro, a chiamare all’assalto dell’India le truppe da sbarco, l’UE, la Nato, gli Usa, l’ONU, le armate celesti di serafini, cherubini e troni. Ce l’hanno insegnato i presidenti Usa, da Truman a Obama: gli eroici crociati dell’Occidente con licenza di uccidere mica si processano!  Ù
Giornata della memoria

Cambiamo tono e passiamo al sodo, che è anche ostinato e contrario. La “Giornata della Memoria” ha innescato la solita bufera di ipocrisia e cinismo con cui, a furia di scrosci di scheletri e filo spinato, si pretende di nettare la coscienza perennemente sporca di tutti gli italiani e tedeschi, seppure dell’ennesima generazione dopo quella dei misfatti. Le lobby sono in fibrillazione: è l’occasione per rintuzzare le critiche di un universo mondo “antisemita” e guadagnare spazi e indulgenze. Le colpe dei padri, si sa, ricadono sui figli. E sui nipoti e pro-nipoti e pro, pro, pro, ad libitum. Servono a coprire il nostro capo di ceneri, al punto da non vedere più niente. Nemmeno Gaza, o le carceri con dentro bambini, o la cementificazione progressiva di quanto resta della Palestina, o le 200-400 bombe atomiche, o gli ordigni piazzati in giro… “Il manifesto” e “Micromega”, quelli della “lista Tsipras”, hanno superato sullo scatto perfino i grandi media, “house organ” della Comunità. Io, pecorella nera goy, noto per esuberanze anti-israeliane, ero stato travolto dal ciclone. Ma ne ero finito nell’occhio che, come è noto, è il punto della massima quiete. Quiete amica della memoria. Memoria altra.

Ero un ragazzetto e già vivevo una fine. Mio padre era stato fatto prigionieri dai tedeschi e stava in un albergo a Wiesbaden. Costretto con madre e sorella, in quanto “traditori italiani” dopo l’8 settembre 1943, al domicilio coatto in una cittadina bavarese, avevo sentito fischiare le mitraglie ad personam degli Spitfire, deflagrare bombe che avevano mancato la mia scuola, disintegrare un insediamento di rifugiati dalla Ruhr rasa al suolo. Avevo, insieme ad altri ragazzini inquadrati nella squadre di soccorso (quelli dai 14 ai 65 anni erano tutti al fronte), raccolto uno di questi profughi: un compagno di classe, con le viscere che quelle mitraglie gli avevano sparse su tutto il corpo. Un altro compagno di scuola si era sbriciolato insieme al ponte sul Meno, quando il comandante tedesco in fuga lo aveva fatto saltare con tutta la gente sopra.

Le autorità ci davano tessere annonarie per i viveri, un po’ più scarse di quelle appena sufficienti dei cittadini, ma c’erano dei rimedi per sopravvivere, pur con quei tanti chili in meno. C’era la solidarietà del pane e del surrogato di caffè sottobanco di chi se lo poteva permettere, quella del fornaio, del macellaio, del lattaio; c’erano le fattorie di là dai monti dove potevi scambiare un indumento dei tempi buoni con mezzo chilo di burro e sei uova. E ci guadagnavi comunque, perché ti invitavano anche a pranzo, C’erano le mele da rubare al contadino, i pomodori da coltivare in cortile, l’ortica – ottima, come gli spinaci – da raccogliere lungo i sentieri.

A me i compagni davano del “Badoglio”, per scherzo e per scherno, e mi menavano pure a volte, ma ci ho avuto i migliori amici perché mi hanno fatto conoscere i boschi e il fiume, e Grimm e Schiller e come si sta insieme quando suona la sirena dell’allarme e noi non si va nei rifugi, ma in collina a guardare le bombe che si sganciano. Ero piccoletto, ma ci sentivo e capivo anche. E quando a questa comunità riunita si è detto dei campi di concentramento, delle camere a gas, dei forni, non ce n’era uno, vi giuro, che non sia rimasto attonito, sgomento, agghiacciato. Non sapevano. Il 90% dei tedeschi non sapeva..

Le autorità, piuttosto comprensive (più di quelle Usa che, a paese occupato, per altri 16 mesi dall’armistizio ci impedirono di rimpatriare), ci davano qualche permesso di viaggio. Così ebbi modo di vedere in diretta alcune città storiche rase al suolo: la gotica Colonia, la barocca Wuerzburg, la guglielmina Coblenza. Tutte ridotte da Churchill e Roosevelt come Dresda. Mia madre aveva nervi forti, credeva nel fato greco e non le andava di fare la fine del topo. Così, dalle finestre, osservavamo gli aerei e contavamo le bombe che cadevano. A fine-allarme suonato andavamo per strade ostruite dalle macerie, sotto facciate che le guardavano con occhi vuoti. Vedevo l’occasionale corpo esanime e carbonizzato (bombe incendiarie, fosforo), il lavello di cucina appeso allo stipite, il cavallo cui usciva fumo dal ventre squarciato, la bambina spettinata e impolverata che correva non si sa dove. Grandissimi silenzi.

A dispetto dell’incriminazione ora vaticinata per chi non si unisce all’epos della Shoah, insisto a dire che, essendoci due campi contrapposti e non fidandomi degli uni, alla luce dei fatti, e non conoscendo bene gli altri, non ho il diritto di affermare l’una o l’altra cosa.Tanto più efferata trovo la fregola di sbattere in galera sia i negazionisti, sia gli affermazionisti.  Qualsiasi negazionista o affermazionista, anche quelli del genocidio dei pellerossa, o dei 20 milioni uccisi dai belgi in Congo, o dei tre milioni di iracheni fatti fuori tra il 1991 e il 2012. A forza di prendersela con i negazionisti, vedi un po’ se non si finisce con chi negava l’esistenza di un popolo palestinese.  

In quell’occhio del ciclone ho dunque vissuto la mia giornata della memoria. Passavano per le vie della cittadina, strascinandosi, a volte con una gruccia, spesso bendati, sempre laceri, chi con l’arma, chi senza, soldati tedeschi sbandati, fuggiti, in cerca di un comando, verso casa, o solo via dalla guerra, chissà. Era marzo-aprile della rotta finale, fino a qualche giorno prima arrivano ancora la posta e il latte, di stazione bruciata in stazione bruciata. Poi tutto crollò di schianto e per settimane si mangiava ortiche. I soldati dalla fame erano ridotti all’osso, peggio di noi. Dal marciapiede la fornaia, il lattaio, il pizzicagnolo, il contadino, il farmacista, gli passavano qualcosa. Qualcuno restava seduto sul ciglio, inebetito. Qualche settimana prima erano anche passate alcune decine di militari italiani e polacchi, già ai lavori forzati, rilasciati dai lager. Per un paio di italiani rubai delle biciclette ai miei vicini e mi vergogno ancora. 

Più tardi girarono voci di prigionieri tedeschi in campi americani, inglesi, francesi. Si mormorava sottovoce – avevamo addosso il vincitore – di maltrattamenti, addirittura di decimazioni, di epidemie, di morte per inedia. Milioni di prigionieri. Della Wehrmacht, dunque automaticamente nazisti, criminali. Voci stroncate sul nascere, seppellite nelle pagine bianche della Storia. Qualcuno, però, più tardi ci ha scritto. L’8 maggio 1945 il Generale Eisenhower, comandante di tutte le forze alleate, diramò l’ordine di giustiziare ogni civile tedesco che desse da mangiare ai prigionieri. A 6.1 milioni di prigionieri europei degli Usa, a 2, 4 dei britannici, a 300mila dei canadesi, a 200mila dei francesi, nei campi in Germania e Francia. 1 milione di prigionieri tedeschi scomparvero per sempre. Guai a chiamarlo olocausto, neanche a metterli accanto ai 2 milioni e 100mila civili tedeschi inceneriti dalle bombe. Non esiste un cimitero, una tomba. Il governatore alleato in Baviera ordinò di “sterminare il più alto numero possibile di prigionieri fintanto che la cosa rimaneva fuori dal controllo internazionale”. Lo si fece negando il cibo, favorendo e ignorando le malattie, facendoli dormire in buche nel fango, impedendo l’igiene, sparandogli a capriccio. La situazione si estese a tutti i campi degli alleati. Centinaia di sopravvissuti e di testimoni raccontano di soldati che morivano come le mosche, di figure ischeletrite, di cataste di cadaveri, di trasporti blindati. Curiosa similitudine con immagini simili, ben più visibili e che da sessant’anni ci incastrano nella colpa.
    
Il mio giorno della memoria sente le ore suonate da quei racconti, da quelle immagini, dal soldato sbrindellato e inebetito sul ciglio della strada, da queste figure che emergono tra i reticolati delle Grandi Democrazie. E se volete documentarvi andate a vedervi le copie dell’ordine di Eisenhower; ad ascoltare Martin Brech, professore di filosofia a New York, che fu guardiano al campo di Andernach, ha visto morire di fame 50 mila prigionieri, ha sentito decine di testimoni; leggetevi  “Crimini e pietà: il destino dei civili tedeschi sotto occupazione alleata 1944-1950” di James Bacque (disponibile in inglese), o, dello stesso autore, “Gli altri lager”, 1989. A conferma ci sono i rapporti di due colonelli, James B. Mason e Charles Beasley, del Servizio Sanitario Militare Usa, il libro di Heinz Janssen “Prigionieri di guerra a Rheinberg”, 1988, più un gran numero di rapporti e racconti di funzionari e militari americani, francesi e della Croce Rossa. Il tutto in http://www.angelfire.com/folk/ library/1bacque_fr.htm  e in http://www.egaliteetreconciliation.f/Malheur-aux-vaincus-21675.html   

La Giornata del Ricordo

Dato per scontato, inconfutabile, alla faccia di tutti i negazionisti, che nelle foibe ci finirono più slavi trucidati dai fascisti che italiani e che, dal 1943 alla fine, i fascisti imperversarono nei territori istriani facendo pulizia etnica, epurarono, sradicarono, incarcerarono, seviziarono, decimarono. le popolazioni croate e slovene, tanto da provocare una rivalsa, comunque infinitamente meno feroce, passiamo allo spinoso tema dell’esodo dei giuliano-dalmati. In questi giorni gira per l’Italia e per le televisioni lo spettacolo “Magazzino 18” di Simone Cristicchi. E’ stato accusato di fascismo, comunismo, revisionismo e altre nefandezze. Gli hanno dato addosso da 360 gradi,  fascisti, criptofascisti, piddini, forzitalioti, conformisti della memoria, pseudosinistri, sballati.  L’ANPI gli ha  tolto la tessera di socio onorario, perfino gli storici che hanno dissotterrato la verità, lo hanno vituperato. 
Mentre nel lavoro di Cristicchi, un accorato racconto della tragedia degli esuli istriani, nulla si fa di più che ricollocare nella storia la vicenda cancellata, dimentica, pure un po’ schifata, dell’esodo di 350mila italiani dalle terre dove avevano vissuto per generazioni. Si fa confusione. Si parla d’un fiato, da una parte, dello stupro fascista di quelle terre, ampiamente denunciato da Cristicchi, dall’altro delle efferatezze dei titini. E qui l’autore non si fa scrupolo di seguire acriticamente le manipolazioni e strumentalizzazioni degli anti-jugoslavi. Al netto della considerazione di chi avesse allora e abbia oggi ragione, il merito di Cristicchi  è di aver messo in scena, per la prima volta, la realtà di un popolo sradicato, o perché non voleva la Jugoslavia, o perché presagiva il peggio nel dopo-Tito, o perché era fascista, o perché, perlopiù, si sentiva italiano, ha subito la sorte dei molto meglio compresi, accompagnati e raccontati, palestinesi. Chi andava perdeva le radici e si seccava. Chi restava, ne subiva le conseguenze. Come i sudtirolesi, ma senza il conforto di una madrepatria. Tra questi io c’ero. C’ero, per un documentario RAI. Tra gli esuli rinchiusi per anni in campi e poi, elemento di imbarazzo, abbandonati e isolati, spesso bollati di “fascisti”, alla faccia di profughi come Sergio Endrigo, comunista di Pola. Tra i rimasti dimenticati, segregati nel disgusto per chi s’era rassegnato a stare sotto il comunismo. O, per gli ortodossi del Pci, sotto il “deviazionismo” di Tito.

Avevo visto le città della costa, da Capodistria a Parenzo a Rovigno a Pola. Membri italiani del parlamento erano due fratelli comunisti.  Era in corso la guerra dei primi ’90. I croati di Tudjman avevano incominciato a chiudere le scuole e i circoli italiani, a proibire le manifestazioni e ricorrenze, a distruggere le lapidi nei cimiteri. La resistenza dei due nostri deputati comunisti che, giorno dopo giorno, vedevano ridursi l’agibilità politica, sociale, culturale che la Jugoslavia aveva garantito alle minoranze, a Roma non riceveva una jota di sostegno. Comunisti!. Vicino a Pola sta la cittadina di Gallicano, unico comune dove gli italiani erano rimasti maggioranza.. Il sindaco italiano era comunista e anche mio omonimo. Con l’orgoglio di chi è riuscito a far sopravvivere una pianta mozzata dalla grandine, mi portò in giro per il paese a incontrare le donne all’edicola che cercavano la rivista italiana, il negozietto-bazar che si riforniva a Trieste, la chiesa antica, la sede del PCI e quella della DC, quando queste due sigle nella madrepatria erano già evaporate, il circolo sportivo “Forza e coraggio”.

E poi, nel ventre scuro di una casa annerita dalla fuliggine di secoli, sui cui muri di pietra rosseggiavano le fiamme del camino, ci fu la chiacchierata con un gruppo di esuli in visita, compreso il presidente della loro Associazione. Un po’ fascistello questo, per la verità (il MSI era l’unico che si era dato da fare per acchiappare il voto dei profughi), ma il brindisi con il sindaco comunista, dedicato ai tempi perduti, al tricolore sotto il ritratto di Tito, a quanto era stato espulso dai libri di storia ma viveva scritto nei cuori, aveva il suono di una fratellanza ritrovata. Tragicamente solo nel dolore di una separazione irrimediabile, di destini divaricati come  rami,  che però salgono dall’unico tronco. Al di là  e sopra scelte ideologiche e manipolazioni mistificatrici, la nobile solidarietà tra gli sconfitti.. Se erano rimasti perché credevano in Tito e nel socialismo, ci ha pensato la Nato, il papa, la Germania a castigarli. Se, gli altri, si erano fidati di una madre-patria, forte, giusta, rispettosa e sollecita nei confronti dei figli sfortunati, si sono beccati le tende dei campi e poi l’Italia di Andreotti e di Gladio, di Piazza Fontana e delle larghe intese, di Berlusconi e Renzi, di un’Europa che, salvo il nome, alla “madrepatria” ha tolto tutto. Gli è rimasto solo, a dispetto di tutto, di sentirsi italiani. Come i palestinesi da una parte e dall’altra del reticolato. Come gli irlandesi sull’una riva e sull’altra del Foyle. Come i tedeschi della Slesia, ora polacca, e gli altri. In una situazione come questa, non il peggiore dei sentimenti. Non mi pare di gran buon gusto divaricare la forbice politic-ideologica sulle tragedie.


Sopra la credenza del sindaco comunista Fulvio c’era un dipinto di Lamarmora con il cappello piumato. E, sul comodino, le “Novelle per un anno” di Pirandello accanto a “L’Unità”. Penso che a Cristicchi si possano perdonare errori indotti dall’amore per “un volgo disperso che nome non ha”. Innocente.

13 commenti:

  1. Il padre che tutti vorremmo e che abbiamo trovato!

    Meraviglioso!

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  2. Proprio solo italiani? Neanche un pochinino fascisti?
    Cristicchi è molto bravo e, proprio per questo, quando ho comprato “Album di famiglia” la canzone “Magazzino 18” mi ha subito fatto incazzare. Un po’ come “Il potere dei più buoni” di Gaber, che sembra scritta da Borghezio. Parlare di tutti i profughi e gli sconfitti, compresi gli istriani, è sacrosanto. Ma se non si sta attenti si rischia, quando non lo si vuole davvero, di arruolare ancora una volta questi disgraziati nella propaganda dell’odierno regime. Come, su ben altra scala, fanno i sionisti con le vittime dell’Olocausto. Sarebbe bastato (mi riferisco alla canzone, non allo spettacolo che non ho visto) un piccolo riferimento alle atrocità italiane per mettere i doverosi puntini sulle i e fugare quel miasma di “italiani brava gente infoibati dai mostri titini” del quale ci hanno già impestato a sufficienza. Ma così non gli avrebbero mai perdonato “Genova brucia”. Penso che, se queste cose le capisce anche uno stronzo come me, un comunicatore di mestiere come un cantante o è stupido o è in malafede e per questo non ha scusanti. Come non ne ha un sindaco comunista che, fra tutti i protagonisti del risorgimento italiano, si fregia proprio del sabaudo stupratore di Genova Lamarmora.

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  3. Mauro Murta@
    Calma e gesso, Mauro. Conviene sempre conoscere per intero ciò di cui si parla. Cerca di vedere lo spettacolo. Troverai una lunghissima tirata contro i crimini fascisti in Istria, tra italianizzazione forzata, pulizia etnica, campi di sterminio.... E se i fascisti hanno inventato le foibe e le hanno riempite di slavi, qualche fascista ce l'hanno buttato pure i titini. E allora non si andava tanto per il sottile. Come diceva il Grande? Non è un pranzo di gala... Quanto a Lamarmora, un minimo di indulgenza per un comunista italiano segregato all'estero, in ambiente ostile, ci potrebbe pure stare. Probabilmente non pensava a Genova, ma a Porta Pia.

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  4. già ero a conoscenza dei campi di sterminio di prigionieri tedeschi ,sia in uniforme che civili, così come sono certo che di fronte alle prove schiaccianti gli Usa siano stati costretti a scuse ufficiali,mi chiedo,domanda retorica, come mai gli esportatori di "democrazia "non si siano sentiti in obbligo di far seguire a tutto ciò formali accuse verso chicchessia. Tutti colpevoli nessun colpevole mentre fra stupri e massacri sui libri di storia continua la demonizzazione dell'Armata Rossa

    @Fulvio

    grazie per la toccante testimonianza

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  5. @Fulvio
    Sull'opera di Cristicchi ho cercato informazioni sul Web,qui

    http://www.diecifebbraio.info/2014/01/recensione-dello-spettacolo-magazzino-18-di-simone-cristicchi/

    ho pescato questa recensione molto articolata dove le conclusioni sono diverse dalle tue,ovvio che per farmi una idea mia dovrei vedere lo spettacolo,però mi piacerebbe sapere che ne pensi.

    grazie

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  6. tutti questi "intellettuali" italiani pronti ad appoggiare Tsipras in Europa alle prossime elezioni italiane in base alla nuova legge che prevede il ballottaggio tra i due maggiori schieramenti in un eventuale scontro CDX-M5s a chi darebbero il voto? o forse preferirebbero un servile astensionismo?

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  7. rossoallosso@ Cosa vuoi che ti dica. Molto di quanto scrive quel recensore esce dalla vulgata strumentale delle sinistre che detestavano gli esuli perchè "scappati dal comunismo" e quelli rimasti perchè stavano con il "deviazionista" Tito. Mi sono abituato, credo maturando, di non buttare a mare il bambino con l'acqua sporca. Delle cose prendo il buono e butto il cattivo. Anche perchè il perfetto, oggi più che mai, non c'è. Così con Travaglio, grande censore della classe politica e ottuso liberale filo-americano; così con i Cinque Stelle e Grillo; così con Putin, Saddam, perfino certi pubblicisti anti-Euro di destra.... Così con Cristicchi. E una cosa è certa, checchè ne ironizzi il recensore: quella tragedia è stata rimossa indegnamente.

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  8. Perdona Fulvio un'ultima considerazione che nulla o poco c'entra col lavoro di Cristicchi,poi non ti rompo più le scatole,vista la perdurante ostilità nei nostri confronti che si respira dalle parti istriane e slovene che nulla ha a che vedere con la contrapposizione ideologica credo che una "giornata della memoria"portata avanti in questi termini non aiuti certo ad una riappacificazione,sarebbe auspicabile un'azione condivisa dove entrambe le parti ammettano le proprie responsabilità altrimenti si continueranno a leggere parole come quelle di Uto Ughi che cito:"sono orgoglioso di appartenere a quella gente che ha saputo dimostrare compostezza,dignità e capacità di perdonare" tanto per chiarire da che parte stanno i buoni,però io dico che è più facile occultare e poi perdonare sei sai di portare il peccato originale

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  9. Ciao Fulvio,

    oramai siamo alla dittatura. Del voto se ne infischiano e qualora votassimo se ne infischierebbero del risultato che manderebbe a picco il PD. Forse aveva ragione Machiavelli: il cristianesimo ci ha reso effeminati ( lobby gay permettendo la citazione....).

    Ma è possibile che gli italiani siano tutti degli idioti??

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  10. Un apprezzamento particolare a Fulvio per l'articolo, quando scrive di esperienze in prima persona, fa veramente vivere le atmosfere, I colori, le emozioni e di questo gliene va dato merito. Il dramma dei tedeschi conquistati alla fine della seconda Guerra mondiale e' impopolare a molta della sinistra "politically correct" che trova nell'"anomalia" della Germania e del nazismo in particolare una facile ed in fondo rassicurante spiegazione...dimenticando che le prime vittime del nazismo (ma anche della repressione socialdemocratica di Noske) erano tedeschi e che sono stati cnetinaia di migliaia I processi politici a tedeschi, ben prima delle guerre e dello sterminio nei campi di concentramento. Trovo anche giusto ricordare che piu' di due milioni di tedeschi furono costretti ad abbandonare in pochissimi giorni la Slesia, I Sudeti ed altri territori assegnati alla Polonia. Senza per questo procedere a revisionismo o negazionismi sulle colpe del nazismo. Credo che possa essere fatto nelle dovute proporzioni lo stesso anche nei confronti dei profughi istriani degli anni 46 - 47, separando questo con la questione delle foibe. Se da un lato il regime italiano commise crimini feroci contro la popolazione slava in genere (cosa che purtroppo e' stata negata in una trasmissione di Radio Rai proprio il 10 febbraio, da un presunto storico intervistato) e' altrettanto necessario dire che nel dopoguerra la popolazione italiana dell'Istria si trovo' a dover fare da caprio espiatorio. Chi emigrava era ignorato e dileggiato, sia a destra che a sinistra, a loro indirettamente fatte pagare le colpe del fascismo verso sloveni e slavi in genere, a chi restava veniva attribuita la colpa di collaborare con un "regime comunista". Pur condividendo in pieno che una giornata del ricordo debba essere fatta nel senso della riconoscimento delle proprie colpe per una riconciliazione fra le varie componenti (e non per rivendicare territori e ragioni per revisionismo storico in chiave antislava) credo che l'equazione italiani dell'Istria = tutti fascisti non debba essere presa in considerazione. Loro hanno pagato colpe anche di altri. Riguardo all'opera di Cristicchi credo che prima di formulare un giudizio definitivo sia necessario vederlo parafrasando Rino Gaetano in una sua canzone.

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  11. Alex 1. Ma che bel contributo! Non si poteva chiudere il tema in modo migliore. Bravo e grazie!

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  12. Ciao Fulvio,
    riguardo alla Bosnia ti segnalo gli ultimi 2 articoli del sito E.T.L.E.B.O.R.O. .

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  13. Siamo messi molto male, destinate a stare peggio, per ora ci salvano le illusioni e poco altro. Ame Tsipras non dispiace, mi sembra un giovane non solo all'anagrafe (non come un certo neo pres. del consiglio), il programma che presenta è condivisbile, qualcosa per cui non mi vergognerei a fare volantinaggio, per restare coi piedi per terra. Poi un greco rappresenta il sud dell'Europa, che a me sembra che noi italiani ultimamente ci siamo convinti di essere più simili ai tedeschi che agli spagnoli o, appunto, ai greci, invece scendere dal piedistallo non ci farebbe che un gran bene. Alle Europee voglio votare, almeno a quelle, e oltre a Alexis Tsipras non vedo altro che mi somigli, si perchè mi sento ancora comunista e senza nessun motivo per cui debbo abbassare la testa o negarlo, foibe comprese.

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