“Cosa valgono cinque
milioni di dollari, quando ho l’amore di otto milioni di cubani?” (Teofilo
Stevenson, pugile cubano, vincitore di 3 medaglie d’oro olimpiche, quando gli
offrirono quella somma per diventare professionista e battersi negli Usa con Mohammed
Ali)
“Dieci morti nel
tentativo di passare le frontiere blindate dell'Inghilterra contro pochissime
migliaia di persone. Pattugliamenti,fili spinati,ecc...Ma quella e' la culla
della democrazia europea, mica dei nazisti ungheresi qualsiasi. Poche centinaia
di siriani e la frontiera della Danimarca chiusa,con la polizia che aveva
l'ordine di ARRESTARE qualsiasi giornalista volesse documentare con immagini
gli eventi. Ma quella e' la civilissima Nordeuropa culla delle
socialdemocrazie, mica i nazisti ungheresi, perdipiù coglioni perche' la stampa
filma qualsiasi cosa senza censura”. (Luca).
''Il Partito Comunista Cubano chiede
ai militanti di andare alla messa, di andare a ricevere papa Francesco,
praticamente come se fosse un compito del partito. Cosa con cui io non sono affatto
d'accordo… Andare ad una messa questo no, perché qui c'è libertà di culto e io
non credo, pertanto non devo andarci.'' (Aleida Guevara, figlia del Che)
“L’Argentina
di Bergoglio è stata in grande misura complice dell' assassinio e della
sparizione di più di 30.000 argentini. Non so dov'era il papa in quel momento.
Cosa ha fatto veramente? Non lo so”. (Aleida
Guevara, figlia del Che)
Una
primavera vera
Intanto, in un mondo cui i fumi dei
turiferari di Bergoglio hanno annebbiato vista e cervello, un altro paese arabo
va sparendo dalla carta geografica e dal concerto umano. 20 milioni di yemeniti
senza cibo e senz’acqua per il blocco umanitario della coalizione a guida
saudita e a padrinaggio occidentale, da marzo sono sottoposti a un uragano di
bombe sganciate da aerei Usa e indirizzate da tecnologie israeliane. Se a volte
si abusa del termine “genocidio”, questo non è il caso. Su un paese che, prima,
con una rivoluzione di massa contro il tiranno filo-Usa Saleh e, poi, con la
rivolta armata della sua popolazione scita (Houthi), a cui si sono uniti
l’esercito e vasti settori progressisti sunniti, contro il clone del primo,
Hadi, la coalizione necrofaga Atlantico-Golfo esercita la sua bulimia di morte.
Ho vissuto per due anni in quel paese, povero, ma ancora
Arabia Felix, come l’avevano conosciuto i romani. Sebbene dilaniato da colpi di
Stato e separatismi, inevitabilmente manovrati dall’Arabia Saudita e concordati
con USraele per scongiurare che il paese a cavallo di Mar Rosso, Corno d’Africa
e Stretto di Hormuz potesse compromettere il controllo sul più massiccio
traffico di petrolio e merci del mondo, la vita scorreva, la nazione resisteva.
Tanto da aver poi prodotto un’insurrezione - primavera vera, laica, popolare,
quella yemenita – che, spazzati via i proconsoli dell’imperialismo e della
vandea wahabita, era riuscita a liberare l’intero paese, da Sanaa ad Aden. A
opporsi erano rimasti solo i gruppi terroristici di Al Qaida, preventivamente
installati da coloro che li avevano già generati in .Libia, Iraq, Siria,
Nigeria e che dovevano fornire ai droni assassini Usa il pretesto per colpire i
gangli infrastrutturali del popolo insorto sotto la guida di partito
rivoluzionario e antimperialista, Hansarullah.
In poche settimane, tra il 2014 e il 2015, la rivoluzione
aveva eliminato dalla scena i mercenari di AQAP (Al Qaida in the Arabic Peninsula) e aveva conquistato il paese dal
Nord di Marib fino alla propaggine sud-est di Hadramuth, dal Mar Rosso al Golfo
di Aden. Allo Yemen si apriva un nuovo capitolo di storia all’insegna di
emancipazione, autodeterminazione, sovranità popolare. Un incubo per chi in
questo territorio tra due continenti e due mari, tra due stretti, Bab el Mandeb
e Hormuz, aveva individuato la chiave per il dominio geopolitico non solo
regionale. Ed è stato il via libera ai vassalli feudatari del Golfo, padroni di
paesi governati dalle proprie famiglie e popolati da schiavi, per i quali uno
Yemen democratico, di cittadini liberi dalle radici millenarie, costituiva
un’aberrazione dal terrorizzante potenziale contagioso.
All’aviazione, agli armamenti, all’intelligence, forniti dall’Occidente e da Israele, non sono
bastati sette mesi di bombardamenti stragisti (per l’ONU, a fine settembre, le
vittime, quasi tutte civili, donne, bambini, senza la benefica sorte, questi,
della misericordia riservata dai bravi europei ai figli dei rifugiati,
rasentavano le 6.000) e neppure un blocco navale criminale che ha perfino
impedito la forniture umanitarie vitali, farmaci, vettovaglie, acqua. Le navi
iraniane o irachene che le portavano, venivano rimandate indietro e, semmai,
fornivano lo spunto per rinverdire la propaganda che trasformava la rivoluzione
popolare in complotto iraniano per estendere “l’arco scita”. Svaporata Al
Qaida, è arrivata la fanteria dell’imperialismo, Isis, dotata stavolta di ben
altri mezzi, uomini, regole d’ingaggio. E sono iniziati i massacri e le
atrocità, le deflagrazioni nelle moschee con centinaia di morti, insomma la
missione che i mandanti affidano ai
sicari dello Stato Islamico, nella speranza che il terrore finisca con il
fiaccare la popolazione nel suo sostegno alla Resistenza, più di quanto non
abbiano saputo domarla bombe, fame e sete.
Quando penso ai miei tempi nello Yemen, insieme al calore dei
suoi gentili e sorridenti abitanti,
all’ospitalità e amicizia sempre prontissime, alla preferenza, tutta araba, per
la vita collettiva, alla cura amorosissima per i bambini, al fervore
intellettuale dei giovani, dominano l’immaginario le fantastiche, fiabesche
abitazioni verticali, antiche di millenni. Mattoni di fango solidissimi,
decorati fino ad altezze vertiginose con fantasmagorie di calce bianca. Arabeschi,
filigrane, archi e merli, interrotti da lampi di vetri multicolori alle
finestre. Musei e siti archeologici senza uguali nella regione, risalenti al 1°
millennio avanti Cristo, alla civiltà dei Sabei. Questa sconfinata e
ineguagliabile ricchezza di un popolo incontaminato, che, con l’aiuto di
generose spedizioni archeologiche, li ha curati e custoditi con perizia e
amore, non esiste più. Polverizzata dai sauditi, tanto parvenu volgari quanto
cavernicoli ignoranti, raccattati dai britannici nei caravanserragli, dotati di
corona e messi lì, a far da palo al colonialismo.. Caricature della
depravazione dinastica inglese, garanti delle comuni predazioni e della comune
obliterazione dei diritti dell’uomo.
Qualche pigolìò dal breve fiato si è udito in Occidente sulla
cancellazione delle memorie dei popoli e dell’umanità a Palmira, Nimrud,
Niniveh, sulla devastazione e sui furti, gestiti dagli Usa, nel Museo Nazionale
e nella Biblioteca Nazionale a Baghdad. Sull’assassinio dello Yemen, anche
attraverso la cancellazione di cultura, storia, identità, non s’è alzato che
qualche sopracciglio. Eppure sempre gli stessi sono i committenti, dello stesso
mercenariato gli esecutori. E’ identico è lo scopo. Quello dei conquistadores quando, oltre a compiere
genocidi, sgretolavano a cannonate le opere nel tempo dei popoli nativi.
Questo, forse, è il connotato più forte e letale dell’imperialismo, il suo fine
escatologico. Privare le terre delle loro presenze storiche, umane (ed ecco gli
svuotamenti chiamati migrazioni, con il bonus imperialista aggiunto della
destabilizzazione dei luoghi d’arrivo) e testimoniali. Quelle che danno il nome a mondi e popoli, la
consapevolezza di sé e la sopravvivenza nel tempo. Il proprio contributo alla
vicenda umana. Perché, senza nome, non sei nessuno, anche per te. Estirpare le
radici che sorreggono e alimentano la pianta e ne favoriscono la continuità e
l’espansione. Da un albero mozzato spesso rinascono virgulti. Da uno sradicato,
viene solo secchezza e putredine. Le classi dirigenti dell’Uccidente lo sanno,
lo praticano. Il culto monoteista di Mamona celebra così i suoi riti.
Restiamo nel mondo arabo. A Tripoli si sono inventati un
capo-scafista (no, questo non si chiama Nato, sarebbe solo un subalterno),
Salah al Maskhout, e parrebbe che si siano anche inventati la sua esecuzione da
parte di quattro pistoleri con armi e munizioni dell’ambasciata Usa. Però
commandos italiani, che avrebbero sopraffatto, “con incredibile efficienza e
precisione”, la superiorità numerica e di armi della di lui guardia del corpo.
Cosa che rende del tutto incredibile l’attribuzione a forze speciali del nostro
pasticcione paese. Siamo quelli di Abu Omar, noi. Senza uno squadrone Cia non
combiniamo niente. Salvo qualche strage di Stato, ma anche lì obbediamo a
ordini di servizio da fuori e da molto in alto, vedi Gladio. E c’è un altro
elemento che mette in dubbio una paternità italiana. Gli scafisti sono la
manovalanza dei trafficanti, e i trafficanti sono i tour operator di coloro che
governano il business militare e civile delle migrazioni di massa. Guai a
disturbare questo business e la geopolitica che lo governa e non solo per i
profitti del racket. Soprattutto per disseminare nel vento popolazioni,
spargere sale sui loro territori e, al tempo stesso, sgambettare qualche
alleato, l’UE?, che non si rizzi troppo
in piedi.
Figurati se gli scagnozzetti della Pinotti e di Gentiloni
possano aver anche solo immaginato di intralciare questa remunerativa
strategia. Anche perché irritare i Fratelli musulmani di Tripoli, che
gestiscono gli imbarcaderi sulla loro costa e il cui capo-Congresso, Nuri Abu
Sahmain, si qualifica apertamente amico del boss presuntamente ucciso (ma che
poi ha telefonato chiedendo che cazzo succede) e che ha alle spalle potentati
investitori in Italia come il Qatar, non è proprio cosa nostra.
A proposito di sgambetti, c’è una notiziola intrigante. I
curdi del PYD, quelli d Kobane, tanto cari a tutti coloro che vorrebbero
oscurare la vera, grande, quadriennale lotta del popolo siriano e, dunque,
assolutamente credibili, ci rivelano che il profugo sgambettato col figlioletto
in braccio dalla stronza ungherese e perciò divenuto un idolo dei
misericordiosi e destinatario di offerte d’asilo da mezzo mondo, ha un nome:
Osama Abdul Mohsen, E chi è questo Osama? Nientemeno che un terrorista di Al
Nusra, la formazione Al Qaida che, con l’Isis, condivide gli oneri e onori Nato
di stuprare e massacrare donne e bambini siriani. Rivelano i curdi che il
figuro, della città di Tel Abyad, entrò
nelle bande terroriste fin dal 2011, combattè contro i curdi a Amudeh e
Serekanieh e fuggì quando il PYD conquistò la zona. Sarebbe colpevole di
atrocità contro i civili, da allenatore
di una squadra di calcio nel 2010 avrebbe causato tumulti finiti con 50 curdi
ammazzati, e nella sua pagina Facebook abbondano le foto di lui miliziano
impegnato in bravate con i suoi compari. C’è da chiedersi chi l’abbia mandato
in Europa e se sia una “rara flor”, oppure
se faccia parte di una missione per qualche False
Flag dalle nostre parti. A Madrid lo ha abbracciato Cristiano Ronaldo (The New Free Syrian Press, 21 Settembre
2015).
Siria, la trappola di
Putin
Ottime notizie dalla Siria. Premetto che se si accende una luce
sulla Siria martirizzata e resistente, ciò è dovuto a quasi cinque anni di fantastica lotta, sotto
la direzione di Assad e del Baath, di un popolo di cui ho documentato i
sentimenti, l’amore per il proprio presidente e la determinazione, nel film “Armageddon
sulla via di Damasco”. Un popolo che già nelle precedenti tre guerre contro
Israele aveva dimostrato il suo valore. Ovviamente la Russia di Putin, non più
quella di Medvedev che aveva subito l’annientamento della Libia, ha giocato un
ruolo decisivo. Non fosse stato per Mosca, le orde Nato si sarebbero già da
tempo abbattute dal cielo, in soccorso alle bande di briganti mercenari che ne
costituiscono la fanteria in tutto il Medioriente e che in 5 anni non hanno
saputo avere la meglio sulle forze armate dello Stato e sulle sue milizie
popolari (che non sono solo scite, né in Siria, né in Iraq, come vorrebbero le
cronache del “manifesto”, ligie alla vulgata della guerra civile confessionale.
Sia l’esercito, sia le forze popolari di autodifesa comprendono tutte le
confessioni presenti nei due paesi).
Nelle ultime settimane, di fronte al ventilato intervento di
terra della coalizione uccidentale, già anticipato dai turchi con la zona cuscinetto
oltre il confine siriano, Putin s’è mosso sui due fronti.
Su quello diplomatico ha coinvolto in dialoghi per una composizione
politica del conflitto le varie parti in causa, con incontri diretti tra il
ministro degli esteri Lavrov e i governanti del Golfo, fino a quello con un
Obama in grave difficoltà per i fallimenti successivi di tutte le sue opzioni,
ultima quella che tentava di risuscitare la famosa forza ribelle moderata,
risoltasi con l’ennesimo passaggio di quattro gatti raccattati in Siria, subito
passati armi e bagagli con gli alqaidisti di Al Nusra. Ha affermato
perentoriamente, insieme all’Iran, contro tutti i corvi, anche nostrani, che
diffondevano voci su un abbandono russo di Assad, come nessuna soluzione alla
crisi fosse possibile tagliando fuori il legittimo presidente della Siria e che
l’unica forza effettiva contro il terrorismo jihadista era quella siriana. Ha
ribadito l’evidenza solare di una finta guerra contro l’Isis pretesa dagli Usa
e dagli alleati del Golfo, guerra che se fosse vera avrebbe potuto spazzare via
i terroristi in men che non si dica, a partire dalle linee di rifornimento.
Mentre Obama, Netaniahu e soci si divincolavano nella
paralizzante contraddizione tra il proprio uso contro Assad dei jihadisti
importati da ogni dove, e la conclamata identificazione degli stessi quale apocalittica
minaccia all’Occidente, Putin è passato al fronte militare. A Latakia arrivano
mezzi e armamenti avanzati, a rinforzo dello schieramento governativo, e porti
e aeroporti sulla costa vengono potenziati per accogliere aerei e truppe di
Mosca. Se è vero che in Occidente si vuole combattere il terrorismo jihadista,
fa capire Putin, ecco noi ci stiamo, siamo pronti. In quattro e quattrotto il
carcinoma che tanto spaventa la “comunità internazionale” e dai cui orrori scappano
le sterminate folle che invadono l’Europa, può essere sradicato. Per la seconda
volta, come dopo la False Flag delle
armi chimiche di Assad, disinnescata da Putin con le prove che si trattava di
operazione sotto mandato turco e con la consegna dell’intero arsenale chimico
siriano, il presidente Putin salva la Siria dall’olocausto pianificato dal
mostro tricefalo Nato-Israele-Golfo. E una mano gliela dà, nel segno del blocco
euroasiatico costituito tra Mosca e Pechino, anche la Cina. E’ del 25
settembre, come rivela Igor Morozov, presidente del Comitato per gli Affari
Esteri della Federazione russa, la decisione cinese di partecipare alla lotta
contro l’Isis.Una flotta cinese, composta da portaerei e incrociatori, è entrata
nel Mediterraneo.
Siccome tout se tien
in Medioriente, in parallelo Mosca costruisce a Baghdad un coordinamento per la
sicurezza, l’intelligence e le operazioni di difesa dall’Isis, tra Iraq,
Russia, Iran e Siria. L’intento dichiarato, secondo il premier iracheno Al
Abadi, è “monitorare i movimenti delle bande terroriste e degradarne il
potenziale militare”. In concreto, la mossa sembra indicare un ulteriore
impegno iraniano, con le brigate Al Quds, a fianco dell’esercito di Baghdad e
delle milizie popolari scite-sunnite, e ulteriori forniture di armi e mezzi
russi, compresi aerei da combattimento. Devono rimpiazzare quelle che gli Usa
hanno cominciato a negare quando i rapporti tra Washington e Baghdad sono
andati deteriorandosi in seguito alle innumerevoli accuse mosse dagli iracheni
sui lanci Usa di armi e rifornimenti alle unità dell’Isis.
Dalle capitali che fin qui avevano sostenuto, con mercenari e
consenso politico, le ragioni dell’eliminazione di Assad e dello squartamento
della Siria, si iniziano a flautare voci sulla possibilità di contemplarne la
permanenza, almeno per una “fase di transizione” (benissimo, poi saranno i
siriani a decidere, come hanno già ripetutamente fatto). A Cameron il parlamento
britannico ha negato il consenso all’intervento (ovviamente trascurando l’annosa
presenza sul campo delle teste di cuoio SAS). A Berlino, le cui posizioni
contano più di ogni altra, si è detto chiaro e tondo che a un attacco contro la
Siria non si partecipa. E perfino Roma, dell’internazionalmente irrilevante
Renzi, nicchia. Solo un omuncolo, un autentico quaquaraquà, il presidente
francese Hollande, pensa di giocare d’anticipo scatenando in contropiede i suoi
quattro Rafale. Ovviamente l’obiettivo Isis strombettato dal sottopancia Nato è
il solito falso scopo. Hollande è l’unico che ancora insiste a urlare via
Assad. Ma se la sua grandeur d’accatto
ha potuto esercitare muscoli
colonialisti in Costa d’Avorio, Libia, Mali e dintorni, qui le cose le decidono
i grandi.
Apocalissi biblica?
Dopo anni in cui l’Uccidente, Israele e sgherri regionali,
hanno utilizzato ogni immaginabile mezzo per dissanguare e spopolare Siria e
Iraq, i due popoli sono ancora in piedi. E i loro alleati sono potenti e sanno
muoversi assai meglio. E’ concepibile che Obama tenti una fuga guerrafondaia in
avanti e rischi nei cieli sopra Baghdad e Damasco la conflagrazione universale
finale? Quella a cui puntano gli apocalittici che prendono per manuale d’istruzioni
la bibbia. Per passare alla storia, a due passi dalla fine del mandato, come
colui che ha provocato l’ultima guerra mondiale? Si tratta di psicopatici, è
vero, al servizio e comando di psicopatici ancora più fuori di testa, ma un po’
di calcoli costi-benefici, c’è da sperare, li sappiano ancora fare.
C’erano alcune altre cose da dire. Ma già sono troppo lungo
per molti. Mi limito a qualche telegramma.
Papa-Cuba-Usa
Su papa e Cuba, la figlia del Che (vedi sopra) ha detto in nuce quel che è successo all’Isola da
quando è stata presa al guinzaglio da tre pontefici e un presidente Usa.
Meravigliosa, ma non stupefacente perché ricorrente, l’unanimità degli orgasmi sinistri e destri nel giubilo per
le astratte genericità buoniste che Bergoglio ha sciorinato a manetta tra l’Avana
e Washington, alla corte di un rinnegato della rivoluzione e di un criminale di
sette guerre e innumerevoli terrorismi. Ha condannato la pena di morte. Bene,
bravo, grazie. Detto dal capo di un’organizzazione che nei secoli ha fatto fuori
e fatto far fuori più gente da sola di tutte le altre messe insieme, non è
male. Intanto, ciò che conta, al di là dei carezzevoli bla bla bla, è l’America
Latina, già in corso di guevarizzazione, da riconsegnare al cattoliberismo
della dottrina sociale della Chiesa. Meno Stato è più scuole, ospedali, media
cattolicamente privati. Raul ha già detto sì. Obama e gli americani si sono
commossi.
Volkswagen, che
combinazione!
Avete fatto caso alla tempistica della micidiale botta data alla
Germania con la siringata al curaro al suo cuore industriale? Alla Fiera di
Francoforte, la Merkel stava incitando l’industria automobilistica tedesca ad
altre grandi imprese imperialiste. Magari con il sostegno dei validissimi
quadri siriani appena accolti. Magari a ulteriore danno dell’agognata egemonia
automobilistica Usa. E uno. E due, più importante, Merkel aveva appena
dichiarato che a partecipare alla guerra alla Siria non ci pensa nemmeno e che,
sull’Ucraina, si atteneva agli accordi di tregua di Minsk. Sale sulle ferite
aperte nel corpaccio imperialista dall’offensiva diplomatica e militare russa.
Il fatto è che, come si è saputo, tutti sapevano tutto della
truffa al gas asfissiante Berlino, Washington, Bruxelles. Greenpeace l’aveva
denunciata nel 2013, i media ne avevano parlato. Il fatto è anche che di truffa
e avvelenamento collettivo campano governi e case automobilistiche. Tutti e
tutte. Basta pensare allo scherzetto dei filtri Diesel italiani che bloccano le
polveri grosse, ma bruciandole, poi ne diffondono di microscopiche,
infinitamente più micidiali. Mortali.
Torna in mente quella intemerata reporter investigativa della
Gabanelli che, seccato l’eterodosso Di Pietro con un reportage zeppo di falsità
e calunnie, ha servito al potere multinazionale il ben più succoso piatto ENI.
Tangenti all’Algeria! Potete scommetterci
l’intero vostro TFR che non c’è società petrolifera al mondo che non lubrifichi
i governanti da cui si aspetta che le
diano accesso ai giacimenti. Ma l’ENI lavorava alla grande sia con gli arabi
(quasi monopolista in Libia e Algeria), sia con i russi. Partner di Gazprom e
padrona di giacimenti in Siberia, costruiva con i russi il gasdotto South
Stream che tagliava fuori gli americani. Fetente, d’accordo, basti pensare alla
Val d’Agri e alle trivelle in Basilicata. Ma un po’ troppo nazionalista.
Parolaccia. Ci ha pensato Gabanelli e la testa dell’Eni, Scaroni, è saltata.
Tsipras, un boia santo
subito
Pare che la fenomenologia Tsipras si stia moltiplicando.
Avete presente quel brav’uomo di Sanders, candidato democratico che sta
sopravanzando la gorgone Hillary con promesse di giustizia sociale e pace?
Qualcuno dei suoi sicofanti nostrani ha menzionato la conferenza in cui,
contestato da chi gli rimproverava la solidarietà a Israele, ha risposto “Basta!
Chiudete il becco!”? E qualcuno vi ha fatto notare che l’altro ancor più brav’uomo,
Corbyn, ha inveito contro il tiranno Assad
da obliterare? Oppure vi hanno fatto trapelare che Pablo Iglesias di Podemos ha
espresso tutta la sua solidarietà al martire della democrazia venezuelana
Leopoldo Lopez, altro brav’uomo che, dopo aver sostenuto il golpe contro Chavez
del 2001, si è ribellato al Venezuela di Maduro con pogrom terroristici di
bande fasciste (43 morti, centinaia di feriti) e sabotaggi economici ed è stato
ingiustamente condannato al carcere dal dittatore erede di Chavez? Rispetto all’altro idolo, Tsipras, questo è
niente.
Faccio fatica a parlare di questo personaggio, esecutore
testamentario del suo popolo. Ma faccio ancora più fatica a parlare dei corifei
che continuano a intrecciargli sul capo corone d’alloro e ad andare in
processione salmodiando novene e peana. Un’autentica macchia nera sulla storia trimillenaria
di un popolo che ha bucato con la luce della ragione e della bellezza l’oscurità
della superstizione e delle tirannie, le quali tutte di superstizione si nutrono. Vinta un’elezione
col trucco del colpo ravvicinato ai dissidenti, grazie all’astensione di un
greco su due, la perdita di un terzo dei voti e quindi il consenso del 20%
scarso, il “manifesto” lo ha salutato in prima pagina con questo fuoco d’artificio:su
gigantografia: “BENE, BRAVO, TRIS”.
Dove il “bene”, immagino, è per come ha fregato chi non ci
stava a buttare nel secchio il proprio paese ed era appena nato. Il “bravo”, lo
deve aver suggerito la lobby, ormai egemone nel giornale, per aver rinnovato
abbracci, effusioni e alleanza con Kammenos, capo del partito ancora più di
destra e quindi in coalizione, da poco reduce dalla congiunzione ideale, materiale
e militare a Tel Aviv con il fratello Netaniahu.
Il capo dell’unica democrazia in Medioriente, d’ora in poi,
potrà contare, per la promozione militare dell’eletta civiltà sionista, sull’intero
territorio greco, con tutte le sue armate. Proprio quelle che, grazie alle cure
tedesche, hanno precipitato il paese nell’abisso di un debito che, grazie a
Tsipras, ne curerà le esequie. Tutto questo non può disturbare la fede a prescindere
di chi aveva già offerto ogni comprensione allo Tsipras, ancora in fieri, che giurava
fedeltà alla Nato e all’UE.e nominava la signora Bilderberg, Spinelli, a capo
dell’analoga buggeratura italiana (felicemente estinta). Per convocare ai festeggiamenti di colui che ai greci ha inflitto un cappio
ancor più stretto di quello che in massa avevano respinto col referendum, il “manifesto”
ha usato le sue pagine come trombe del giudizio. E dalle tombe sono emersi i
Marco Revelli, i Guido Viale, le Norme Rangeri, i Burgio, tutte le teste d’uovo
della “vera e unica sinistra”, in gran parte anche un po’ rincitrullite poiché spossate
dall’inane fatica di Sisifo di far risalire il masso che poi regolarmente gli ricade
in testa. Tutti, con grande coerenza, a battere le mani in standing ovation al masso piombato in testa alla Grecia.
A proposito di Yemen, non è necessario o andare su folnti troppo alternative:
RispondiEliminahttp://www.corriere.it/esteri/15_settembre_29/yemen-bombe-festa-nozze-l-onu-accusa-oltre-130-morti-fe205c48-6694-11e5-ba5a-ab3e662cdc07.shtml
Ma sbaglio o fu proprio l'Arabia Saudita verso il 199javascript:void(0)0 ad occupare e mettere fine all'esperienza dello Yemen del Sud, unificato a forza allo Yemen del Nord, a regime monarchico feudale? Correggetemi se sbaglio.
Grazie per il bel lavoro di sintesi. Ti seguirò assiduamente.
RispondiEliminaGrazie per ciò che fai,Fulvio.E per come lo fai:una boccata d'aria nel mondo fognatico dell'informazione.Grazie !
RispondiEliminaRibelli filo-USA, ribelli moderati? La Stampa dà il meglio di sé! Io propongo: tagliagole coscienziosi, prostitute timorate e squartatori abilitati! Vomitele!
RispondiEliminaInteressante articolo di Contropiano sulla migrazione in Europa: alla faccia dell'accoglienza. Poi sembra che siano di piu' gli italiani che emigrano rispetto agli stranieri che vi entrano. L'Italia, sia pure limitatamente, tornerebbe ad essere terra di emigrazione.
RispondiEliminahttp://contropiano.org/internazionale/item/33286-la-ue-cala-la-maschera-400mila-profughi-da-imprigionare-e-rimandare-a-casa
Quando organizziamo un'opposizione "moderata" in Italia? Tranquilli Digos, SERVIzi.......sto scherzando.... La CIA non ci darebbe assistenza, Qui il governo è amico, non serve un merceNAriaTO!
RispondiEliminaLudovico
Proprio ieri è stato assegnato il Nobel per la letteratura a tale Svetlana Aleksievic, scrittrice bielorussa di cui spulciando ieri sera il televideo ho colto le dichiarazioni di amore verso Mosca, non verso la Russia di Stalin e Putin.
RispondiEliminaLa neoinsignita del Nobel per la letteratura avrebbe anche detto di non amare neppure i russi che a suo dire all'84% vorrebbero uccidere tutti gli ucraini; di fronte a queste dichiarazioni si capisce bene i motivi per cui gli abbiano assegnato il Premio.
A posteriori si capisce anche meglio l'assegnazione del Nobel per la Pace al guerrafondaio sanguinario Obama appena eletto, nel 2009.
Per chi prendesse ancora sul serio il Premio Nobel.....
Immaginati Ludovico una piazza Maidan davanti al campidoglio di Washington.Al primo manifestante che tira fuori un bastone lo crivellano di colpi...
RispondiEliminaLuca.
@Massimo: Non c'era da sorprendersi. Una scrittrice "democratically correct", tale e quale ad Obama, che fa della campagna antirussa la sua arma vincente. A lei piace la Russia e Mosca, ma non I russi. Interessante, chissa se propone le conquiste dei polacchi nel XVII secolo, un nuovo cordone sanitario piu' efficace di quello del 1919 od in alternativa una "civilizzazione" per questi "barbari" come fu l'operazione "Barbarossa" non portata a termine, magari con le ricostituite armate ucraine a tentare la rivincita di Stalingrado. E meno male che in Bielorussia non ci sarebbe liberta' e che Lukashenko sarebbe al solito "un dittatore". Per inciso vorrei ricordare che subito dopo la conquista della Serbia ed il rovesciamento di Milosevic, proprio Lukashenko era finito nel mirino della democratica UE, con sanzioni e caccia pronti, poco prima che gli eventi dell'11 settembre proposero altri scenari.
RispondiElimina@Luca : lo hanno gia' fatto alcuni anni fa, una decina di agenti contro un homeless che aveva un temperino...
RispondiEliminaIntervento sibillino un po' cerchiobottista di Sibilia deputato M5s. Che la voglia di non dispiacere a nessuno fa fare solo confusione e portare comunque acqua a chi vuole rovesciare I governi "non democratically correct"?
RispondiEliminahttp://www.pandoratv.it/?p=4307
2 scritti da oltre 10 minuti...non li pubblicate?
RispondiEliminaCENSURA
Oggi c'è stata una carneficina ad una pacifica manifestazione ad Ankara in Turchia che chiedeva semplicemente la pace e vedeva tra i suoi partecipanti molti curdi; adesso il neosultano Erdogan potrà procedere a stringere ancora di più il cappio sull'opposizione con la scusa del terrorismo che probabilmente è da egli stesso ispirato.
RispondiEliminaOttimo risultato per il criminale che guida da alcuni anni la Turchia....ho visto di sfuggita alcune immagini subito dopo l'esplosione; il fastidio e la rabbia che mi hanno assalito per tante giovani vite sacrificate con indicibile malvgità mi ha fatto star male.
Sonia@
RispondiEliminaNiente censura. Semplicemente cautela legale. Il tuo linguaggio, oltre a essere inutilmente disgustoso, sollecita interventi legali, e
di buon gusto.
Poco fa sul TG2 della notte si parla delle elezioni in Bielorussia. La giornalista non commenta l'elezione di Lukashenko ,parlando giustamente di "sparuti gruppi dell'opposizione" ma nel servizio si intervista alcuni oppositori, fra cui un presunto poeta che afferma, almeno secondo la traduzione, "L'Europa ci ha abbandonato" (piu' realista del re) perche "ha tolto le sanzioni" (si riferiva alla Russia?). Un altro ha affermato che "finora abbiamo privilegiato la protesta pacifica, ma se Lukashenko non se ne va useremo altri metodi". Una richiesta di finanziare una nuova Maidan, mostrando una disponibilita' a svolgere la parte dei "manifestanti democratici" e del loro "intellettuale in lotta per le liberta'"? Comunque se la trduzione fosse giusta, si dimostreerebbe che forse il governo attuale non sarebbe poi cosi' autoritario. Per molto meno da noi Erri De Luca e' sotto processo.
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