“Apparentemente una democrazia è il luogo dove si tengono numerose elezioni
a elevati costi, senza contenuti programmatici e con candidati
interscambiabili”.(Gore Vidal)
“Preferisco i vinti, ma non potrei adattarmi alla condizione di vinto” (Curzio Malaparte)
Il 16
gennaio, 25° anno dall’inizio dell’annientamento della nazione irachena,
abbiamo manifestato a Roma e Milano e in qualche altro posto. Parlo di Roma.
Qualcuno ha detto tremila. Forse. Comunque pochi e totalmente privi di slogan,
cioè di partecipazione politica audio. Ha sopperito un tonante sound system e
qualche orchestrina ambulante. L’età media era alta e la dissonanza tra i vari
spezzoni pure. Dissonanza vigorosamente manifestatasi già nella fase
preparatoria, caratterizzata da dispute, mediazioni su mediazioni,
dissociazioni. C’era chi pensava di inserire nella piattaforma un riferimento
ai “ribelli” siriani e all’impegno di difendere (quindi portare) “democrazia”
dappertutto, dando implicito credito alle valutazioni di coloro che la
“democrazia” la esportano radendo al suolo chi ne dovrebbe beneficiare. Peggio,
essendo la democrazia che si conosce e di cui si auspica la difesa quella
totalmente finta, è implicito che là fuori, in Siria, Iraq e via deprecando, di
democrazia non ce n’è.
Altri
portavano il loro contributo inalberando gli stendardi, decorati a Washington e Langley, dei diritti
umani come esemplificati da Amnesty International e Human Rights Watch.
Presenze trasudanti perbenismo moralista e inquinamento ideologico,
pretendevano manifestare “contro ogni
governo che sceglie la guerra contro il proprio e gli altri popoli”. Qui riecheggia
forte e chiara l’eco, mica dell’autoattentato tramite esplosivo dai servizi
collocato nelle Torri Gemelle, costato la vita a 3000 concittadini (e di
analoghe stragi di Stato precedenti e successive), ma del consuntissimo stereotipo su Gheddafi, Saddam,
Assad, dei cui popoli si è dovuto decidere l’estinzione in virtù del fatto che
venivano “bombardati dai propri leader”. Cosa che magari condividevano, ma ne
erano turbati meno, i veterobigottoni
che, vittime di ossificazioni dogmatiche degenerate in superstizioni,
insistevano che non aveva senso impicciarsi di genocidi e resistenze, fino a quando
i rispettivi proletariati non avessero sistemato le proprie borghesie.
Guerra di classe, o di popolo? O l’una sta nell’altra?
Veri
oscurantisti, irretiti dal ragno della pigrizia mentale in una tela tra bare
polverose abbandonate nelle segrete. Ancora non si rendono conto che c’è stato
un rimescolamento delle classi e che la progressiva uccisione del ceto medio in
Occidente rende grottesco parlare di borghesia e proletariato, tanto meno di
una classe operaia-avanguardia che da un secolo è abituata ad arrendersi. Abbiamo
quei 62 super-ricchi che manovrano mezzo pianeta e ne hanno fatto una piramide
anomala, in cui tra una base enorme e un vertice a spillo non c’è più nulla. Saranno
ancora lì, a ripetere le loro giaculatorie, quando l’élite antropofaga dell’1%,
nuova forma di capitalismo ed estrema forma di imperialismo, si sarà divorata
proletariato, borghesia e mondo intero.
Non-violenza e non-non-violenza
Per niente
dissimili, per quanto, diversamente da questi, privi di classe ma ornati di piume arcobaleno,
i non-violenti. Ho visto un cartello che diceva più o meno “Non bombe, ma diplomazia”. Davvero
contundente, per dire. Sa di liberal amerikano, scritto con la k perché, a
dispetto delle migliori intenzioni, irrimediabilmente incapsulato in logiche e
formule con cui il paese di Lincoln, Jefferson, Roosevelt, nato e cresciuto
nella pratica del genocidio, è ritenuto depositario di democrazia, libertà
d’espressione, giustizia, liberatore da nazifascismi e totalitarismi vari.
Seppure recentemente corrotto, tocca ammetterlo, da energumeni alieni al suo
spirito fondativo. Democrazia, dunque, vorrebbe dire diplomazia. E viceversa.
Ma la
democrazia in Occidente non esiste e la diplomazia, praticata da un Occidente
privo di democrazia, sarebbe intesa esclusivamente a raggiungere gli stessi
scopi delle bombe, ma prendendoti alle spalle con la vasellina (vedi Cuba, o
Iran). Insomma, proporre che siano sempre coloro che la saprebbero più lunga
sulle questioni del mondo, inevitabilmente i civili occidentali, ONU, UE, o
qualche governo, a mettere le mani in pasta, non è che una forma dolce di
colonialismo. Non si vuole capire che
colonialismo è ogni forma di intervento occidentale fuori campo, tanto più che si trascina appresso il
peso terribile di un millenario passato predatore e assassino. Qualcuno si è
mai sognato di invocare l’intervento del Cairo, di Dar es Salam, o di Hanoi,
per risolvere una disputa, mettiamo, tra Londra e Dublino? O Washington e Corea
del Nord?
In ogni
caso, prima della diplomazia, ci sono i rapporti di forza e quelli si
stabiiscono sul terreno. Come ha fatto la Russia, sparigliando il gioco. Cosa
pensa il nostro liberal amerikano, che con la Nato e i suoi ascari Isis pronti
a consegnare Siria e Iraq, petrolio incluso, a Wall Street, l’aggressore si
faccia da lui convincere alla diplomazia? E, poi, quale diavolo di diplomazia?
Cosa c’è da trattare, mediare, concordare? Con dall’altra parte antropofagi e
narcomafiosi che campano di armi, droga e guerre? Un’altra Oslo-capestro tipo
palestinesi? Qui c’è un mostro a cui si devono tagliare le zanne affondate nella
vittima. Punto.
Qualche
strappo nei travestimenti democratici delle perenni oligarchie l’hanno prodotto
le lotte operaie, studentesche, le guerre di liberazione. Mai non-violente. Come
non guadagna un rigo sui media (s’è visto il 16 gennaio) e nella storia e non
incide un graffio sulla protervia del potere, qualsiasi corteo che non
rivendichi con la forza il diritto alla piazza e alla contestazione. Provate a
immaginare lo scombussolamento degli assetti del potere culturale e politico
senza la forza dei movimenti del ’68. O l’epifania di uno Tsipras (per quanto,
ahi-Grecia!, infiltrato e traditore) e la stravittoria referendaria da far
tremare gli euroboia, senza quattro anni di scontri di popolo contro i gendarmi
dei proconsoli di BCE, FMI e UE. O il ritiro dell’esercito britannico dall’Irlanda
del Nord senza l’IRA. O un’attenzione del mondo sull’olocausto palestinese
senza le Intifade. Hanno portato a poco, a niente? Nell’immediato. Ma ti hanno
mantenuto in piedi! Si potrebbe continuare con gli esempi, a partire dalla
presa della Bastiglia, o dalla Repubblica Romana, ma non serve a convincere
nessun non-violento. Sapete perché? Perché la non-violenza è un’assicurazione
dei beni e sulla vita. Tutto lì, al di là delle buone intenzioni.
Tutti uguali, coscienza a posto.
C’è chi è
arrivato nel corteo proclamando “Tutti i governi sono criminali”. Mosca come
Washington. Riyad come Damasco. Altri giuravano “Guerra no, mai – senza se e
senza ma, bombardamenti no, mai - senza se e senza ma”. Gente con un acuto
senso delle proporzioni e degli eccessi, sentenziava “25 anni di guerra
bastano”. Bastano a chi? Pensate che cazzata: con uno, due, dieci anni di
guerra si sarebbe potuto convivere? Ed ecco che, col discorso di “nessun
bombardamento mai”, dopo lo scontato guerrafondaio Usa, s’è messo nel sacco
anche quello russo. L’imperialismo si risente, ma lo conforta l’equiparazione. Ci lascia poi solo la scelta tra ottusità,
ignoranza e malafede chi, tra pseudotrotzkisti e pacifinti, fa scempio della
realtà oggettiva cianciando di “scontri tra potenze” e di “opposti
imperialismi”, mettendo sullo stesso piano la mamma di Haensel e Gretel e i
bambini che vuole infornare.Perso nella nebbia del fondamentalismo
pacifista, il senso delle cose e la possibilità di uscirne bene, con giustizia.
Visto che vengono intrecciati senza più possibilità di distinguerli, carnefici e
vittime. Chi bombarda, correndo in soccorso all’aggredito, per salvare
integrità, sovranità, diritto internazionale, autodeterminazione, storia,
presente, futuro, vita. E chi dalla scena del mondo vuole eliminare queste
cose.
Nei proclami
pacifisti e non-violenti si obietta alla guerra tout court, compresa quella dei resistenti alle aggressioni e si
finisce, che lo si voglia o no, col delegittimare, se non criminalizzare, chi
spara per non farsi sparare, lui insieme a madri, padri, figli, patria. Oggi
siriani, iracheni, afghani, yemeniti, somali, libici. O africani sub sahariani, sotto lo scudiscio
del neocolonialismo armato francese che, anch’esso, utilizza i jihadisti per
lastricare la via allo stivale della Legione Straniera. Ieri le brigate
Garibaldi. O Beppe Fenoglio. O i Fratelli Cervi. O Franco Serantini.
Un Ponte per…dove?
Chi sfila
perché così usava, così fanno i buoni e bravi e così ci si sente a posto. Chi
marcia perchè contro il nemico tocca marciare. E chi ci marcia. Ho partecipato
a due viaggi organizzati di “Un Ponte per…” in Iraq, al tempo dell’embargo, e a
uno in Serbia. Storico presidente Fabio Alberti (consigliere regionale del PRC
e manifestante con i ratti contro Assad), oggi lo presiede una Martina Pignatti
Morano. Allora non ci si sarebbe sognati di dire una anche vaga parola di
critica a Saddam o Milosevic. Anzi, avendo il monopolio dei tour
politico-culturali, ci si guadagnava. Al punto da finire in una brutta polemica
su come fossero stati adoperati certi fondi. Ai viaggiatori si accompagnavano
scatoloni di medicinali e quaderni per le scuole. Niente male. Poi le cose
cambiarono e pure il Ponte per. E sui corpi dei vinti si accodò al coro delle
contumelie contro i leader caduti e contro chi si ostinava a resistere, mentre
prese a far comunella con la “società civile” collaborazionista. Molto male, anzi miserevole.
Ong di
scarsa rilevanza, ma epitome del pacifismo di cui vado parlando, si guadagnò
ampia notorietà con la storia delle “due
Simone”. Due cooperanti, secondo non verificate fonti giornalistiche
stipendiate a 8000 euro mensili da questa Ong che si diceva poverissima, nel
settembre 2004 rapite nella zona di Baghdad più controllata dagli occupanti. Rapite
da chi non s’è mai voluto capire.Tenute nascoste per tre settimane e poi
riapparse. Il deus ex machina finale era degno del più scrauso regista di
atellane e fescennini. Con lo staff berlusconiano, il capo berlusconide della
Croce Rossa e decine di telecamere schierati come a una passerella di star
sulla Croisette, si vedono le due ragazze incappucciate caracollare in pieno
deserto, avvicinarsi e solo allora togliersi il capuccio. Standing ovation. Scena costruita a sfida del
più acuto degli imbarazzi. Oggi questo ponticello rotante si presenta al corteo
con dichiarazioni tutte mutuate dalla propaganda di chi doveva dotarsi di alibi
per la distruzione dell’Iraq. Notarella:
una delle Simona, la Pari, s’era adoperata in Kosovo per “Save the children”,
l’organizzazione “umanitaria” che per lubrificare la guerra alla Libia ci aveva
raccontato di un Gheddafi fornitore di Viagra ai suoi soldati perché
stuprassero bambini e le loro madri, magari davanti ai rispettivi padri e
mariti. Notevole curriculum.…
“Gli americani ‘liberarono’ il Kuweit”
(storica provincia sottratta all’Iraq dai britannici e per questo non
riconosciuta come Stato se non 40 anni dopo), ma, sprovveduti, “lasciarono al comando Saddam che ne
approfittò per far fuori 200mila sciti e curdi”. “Migliaia di soldati iracheni scelsero la diserzione e si rivoltarono
contro Saddam” (evidentemente risentiti dal fatto che l’ONU, nel 1990,
aveva riconosciuto all’Iraq il più alto indice di sviluppo umano del
Medioriente). Ma forse l’analista militare s’è confusa con i 100mila soldati
seppeliti dai tank Usa nelle loro trincee. Quanto alla Libia, c’è da lamentarsi
che non esista ancora “un’alternativa funzionale e democratica” (implicito:
alla dittatura di Gheddafi). Ovvio che “l’Iraq ha innanzitutto bisogno di aiuti
umanitari”, adeguatamente sovvenzionando le Ong che se ne fanno carico (altrimenti
che ci sta a fare il Ponte?), mica di sostegno alla lotta di liberazione da
Isis e predoni curdi. Per carità, pace e coesistenza! Rifornimenti aerei della
Coalizione all’Isis, denunciati con mille prove, è roba umanitaria. Ma armi a
Baghdad per riunificare il paese mai!. Non sarebbe non-violento.
C’è chi non fa i nomi. E chi li fa.
E così
quattro amici del giaguaro riescono a convogliare nelle manifestazioni un sacco
di utili idioti, o di semplici disinformati, e di farsene scudo per sopperire
alla propria inconsistenza numerica e ambiguità politica. E’ la tecnica della pianta
saprofita che si attorciglia attorno all’albero per soffocarlo. Non che la
scarsità quantitativa significhi sempre fragilità qualitativa. Anzi, di questi
tempi è già tanto se bastano le mani a reggere uno striscione giusto. Come nel
caso romano dove si diceva “NATO=GUERRA E TERRORISMO – FUORI DALLA NATO FUORI
DALLA GUERRA”. Dove si ricordava ai dimentichini che quelli che fanno la guerra
sono gli stessi che fanno il terrorismo. O in quello analogo milanese del
Comitato contro la guerra. Nessun dubbio, anche, sulla sintonia tra Roma,
Sigonella e Vicenza, per una piattaforma
che diceva pane al pane e vino al vino, facendo nomi e cognomi. Come, va detto,
li faceva anche lo spezzone degli USB in testa al corteo.
Già, perché
nomi e cognomi sono quelli la cui assenza è pervicacemente e saggiamente
coltivata da pacifisti e non-violenti (e lo dico esonerando alcuni miei amici
pacifisti che con me hanno vissuto l’Iraq, la Serbia, la Libia, la Siria e ne
hanno tratto introspezioni ed estrospezioni ben più mature dei loro affini
rimasti al calduccio. Penso a Marinella, penso a Enzo). Che lo sappiano o no, la
non-violenza e certo pacifismo applicati indistintamente a qualsiasi
situazione, consciamente o inconsciamente, garantiscono sicurezza personale
rispetto al monopolio statale e imperiale della violenza. Monopolio nel cui
statuto sta l’eliminazione giuridica e, se necessario, anche fisica, di chi lo
contesta. Ben sapendo questo, Bertinotti, da rivoluzionario scassa-sistema, si
è addirittura arrampicato fino alla terza carica dello Stato installandosi tra
i padri nobili della Repubblica
mafio-massonico-pontificia-atlantica.
Anonimizzare,
livellare ogni cosa e sistemare tutti sullo stesso banco degli imputati, assimilare
vittime a carnefici. E’ il regalo dei né-né all’imperialismo e ai violenti per
scelta. E’ la coltellata alla schiena dei violenti per necessità. E’ una
tecnica che ti evita fastidi, visto che entrambi le parti in conflitto si
consolano del fatto che hai incriminato anche l’altra. Non sei un nemico
assoluto. Sei compatibile. Noi siamo potenti, i più potenti, ci possiamo
permettere che ci critichi. Basta che non ti schieri. Criticando il nostro
nemico ci dai una mano, più di quanto non ci danneggi. Tanto più se non fai
nomi.
Dire solo
“pace”, punto, vuol dire certamente niente bombe e botte. Ma evita di dire
anche giustizia, no a sanzioni (chi ha mai dimostrato contro le sanzioni
all’Iran?), destabilizzazioni, sabotaggi, rivoluzioni colorate, quinte colonne
all’insegna dei “diritti umani”, mestatori come Amnesty e HRW. Evita
soprattutto di schierarsi da una parte, quella che ha ragione, quella
aggredita. E lo evita reggendo la coda a coloro che ne demonizzano i leader,
senza riguardi alla volontà popolare, alle condizioni storiche e culturali, agli
stati di necessità. Son cose che decidiamo noi. Dire solo pace e non dire
“fuori dalla Nato” è come compiangere i rifugiati senza menzionare chi sta
spopolando intenzionalmente la loro terra.
AssassiNATO
Dire Nato
vuol dire Obama, Renzi, Clinton, Bush, Reagan, Nixon e giù giù fino al 1949,
quando agli europei stremati, dopo lo zuccherino del Piano Marshall, si impose
il collare del Patto Atlantico. Dire Nato non platonicamente comporta stare con
chi di Nato soffre e muore. Compresi noi. Qualcuno dei miei coetanei, oltre a
storici “revisionisti”, si ricorderà di quando nelle strade di tutto il mondo
risuonava: “Vietcong vince perché spara”, “Giap Giap Giap –Ho Chi Minh”, “Fe fe
fe –Fedayin” , “Patria o muerte”. Eravamo contro la Nato e, di conseguenza, con
l’Irlanda del Nord, il Vietnam, Cuba, Palestina, l’Algeria. Eravamo schierati. Oggi noi altri che
osiamo dirci a fianco della Siria di Assad, della Libia di Gheddafi, della
Russia di Putin, del Venezuela di Chavez-Maduro, ci muoviamo in un clima di
rampogne e dissociazioni. I non-violenti e diritto-umanisti prendono le
distanze. Distanze misurate col metro del menzognificio imperialista. E dunque dalla
Nato.
La
non-violenza, quando non è la mannaia, avvolta nel velluto, che disarma chi si
difende da Golìa, è spesso il riflesso piccolo-borghese, come usava dire, della
paura per l’ego. Chi sta col
“nemico”, con la parte “sbagliata”, si sa, rischia discredito, vituperio, la
libertà d’espressione, l’ostracismo, a
volte la libertà fisica e, se capita, la pelle. Ma nella non-violenza ci può
essere anche la paura dell’ego, nella sua
componente Mr.Hyde. Se ne ha un’idea quando traspare nella violenza degli
anatemi lanciati contro chi non-violento non è. Alla resa dei conti, saranno
costoro a doversi chiedere in che modo abbiano aiutato o ostacolato una marcia
che ha in fondo la fine dell’umanità.
Considerazioni che hanno la forza della verità che non richiede alcuna aggettivazione. L'uscita dalla NATO, mai veramente voluta dal PCI e dalla c.d. sinistra antagonista,oltre che ovviamente da tutti i partiti italiani, è,ormai,lo spartiacque su cui si misura la volontà di salvare ciascuno di noi dall'essere carne da cannone degli USA.
RispondiEliminaLa presidenza di Save the Children sara'occupata dalla velina danese ex premier socialdemocratico.Lo stesso partito che ha accettato la proposta nazista della maggioranza di requisizione dei beni ai profughi.Proposta immediatamente seguita da un altro Land a guida nazista ,la Baviera ,e che sicuramente costituira' un esempio da seguire.Ora,detta grossolanamente,facevano miglior figura a non accoglere i profughi siriani anziche'spogliarli come sciacalli.D'altronde la Danimarca,asservita alla Germania Hitleriana come pochi altri paesi ,e adesso coerentemente sempre in prima linea nelle coalizioni terroristiche della nato ci ha abituati a questi exploit.Non a caso viene ricompensata con queste cariche,un altro ex-premier Rasmussen e' stato uno dei piu' "attivi"segretari della sudetta organizzazione terroristica nato.E' anche un paese con un controllo statale sull'individuo orwelliano,spaventoso(altro che Russia di Putin!).Pensare che nell'immaginario collettivo questo paese razzista e conservatore fino al midollo e' quello delle favole,della generosa socialdemocrazia delle paperelle e dei cordiali abitanti biondi e sorridenti...
RispondiEliminaLuca.
Anonimo@ Luca@
RispondiEliminaGrazie dell'informazione che rafforza l'idea che si deve avere di certe Ong, non solo questa.
Si sono anche fottuti la Sirenella....
@Jiuddu: condivido in pieno. Ho sentito anche Ferdinando Imposimato magistrato ex PCI dichiararsi per l'uscita dalla NATO. Oggi essere contro un alleanza fra predoni, che usa le proprie basi ed I propri mezzi non per scoraggiare (questo e' quello che ci hanno sempre detto da ragazzi) I cattivi russi a mandare le loro truppe a S.Pietro, ma per attacare stati sovrani, addestrare lanzichenecchi da inviare contro comunita' che vivono in pace o che difendono I propri spazi dale invadenze dell'imperialismo occidentalista e' il primo passo,forse non l'ultimo per opporsi e denunciare la politica delle guerre che hanno scandito gli ultimi 25 anni. L'opposizione fra borghesia e proletariato esiste ancora, eccome, ma va contestualizzata. Una volta mi sono scontrato polemicamente con un esponente di un movimento che si richiama al marxismo leninismo, ma poi afferma, in chiave velatamente antiaraba, che le guerre nel medio oriente sono colpa "della borghesia araba,fradicia di dollari e di petrolio, ma incapace di unificarsi", mettendo solo di contorno l'influenza degli imperialismi (che includerebbero anche quello russo) ai quali questi stati incapaci si legano e si fanno la Guerra fra di loro. Israele in quella relazione non fu neanche accennata. Eppure il loro giornale parla del colonialismo europeo nel Medio Oriente dalla fine dell'ottocento, l'influenza degli stati occidentali ed il loro schierarsi nelle guerre di conquista israeliane. Perche' dunque condannare tutto e tutti, anche I fronti Baath e socialisti progressisti, mettendoli sullo stesso piano dei conquistadores solo perche' rappresentano anche delle borghesie (che farebbero "affari" con I paesi capitalisti), non pure quindi dal punto di vista di classe? Non era comunque un punto di crescita che avrebbe potuto portare l'unita' araba e quindi una forte componente di classe che non fosse prevalentemente costretta a difendersi dai missili (oltre che dall'embargo, non meno micidiale) o andare dietro, in situazioni di penuria ed assenza di uno stato che prima comunque c'era, a qualunque fazione armata che garantisca loro un po' di acqua potabile, carburante, cibo e sicurezza contro gli sciacalli che vanno a saccheggiare le case danneggiate? Ci vuole tanto poi a capire come mai certe fazioni anche di tendenza islamiste e reazionarie fanno proseliti in terre una volta ricche ma oggi terra di nessuno, depredate delle loro ricchezze ma anche della loro storia? Non certo perche' arabi o palestinesi nascano geneticamente violenti o reazionari o rifiutino l'internazionalismo a priori.
RispondiEliminaStavo leggendo il tuo articolo, caro Fulvio, con grande piacere, come sempre. Ma mi sono imbattuto ad un certo punto nella nota riguardante Bertinotti e a quel rigo ho avuto un violento disturbo intestinale. Bertinotti, uno dei tanti traditori finto-comunisti. Gioele Magaldi nel suo bel libro (Massoni, la scoperta delle Ur-Lodges) dice dove e quando è stato iniziato alla massoneria e in quale loggia. Non solo, Leo Zagami lo inserisce nella parte di lista di affiliati alla P2, che è stata tenuta segreta, insieme al bombardiere della Jugoslavia Massimo D'Alema. A parte ogni considerazione con queste informazioni si chiariscono tante cose, non credi? Se avessi saputo queste notizie non mi sarei meravigliato quando Bertinotti fece cadere il governo Prodi, senza peraltro riuscire mai a a fare altrettanto con Berlusconi nè quando D'Alema contribuì all'assassinio dei fratelli nei Balcani. Ora sono profondamnte deluso e non nutro aspettative di cambiamento. Chi gestisce i potere non solo è molto intelligente ma ha tutti gli strumenti per farlo e si avvantaggia dell'esperienza maturata nei secoli perchè i padroni si tramandano tutto appunto da secoli, visto che se la cantano e suonano tra di loro. Nulla avviene per caso: quando la Boldrini si sedette sulla poltrona della presidenza della camera mi chiesi perchè proprio lei. Dopo qualche ricerca scoprii che è la figlia del Boldrini che fu il braccio destro di Eugenio Cefis. Concludo che mi rimangono gli insegnamenti di Ernesto Guevara laddovè diceva che solo "l'uomo nuovo" avrebbe cambiato la storia, dopo avere acquisito conoscenza,coscienza e consapevolezza.
RispondiEliminaCari saluti.
Jimmie. Meglio la verità deprimente, come qui ben esposta, che il falso edulcorato. Purtroppo molti credono ancora che la rivoluzione si possa fare con l’aiuto dei carabinieri...
RispondiEliminaMacromagra consolazione e’ che oggi il fenomeno non e’ soltanto italiano. Qui nella “land of the free and home of the brave,” il mostro imperiale ha deciso di scoraggiare anche le dimostrazioni pacifiche, con arresti in massa e condanne in galera da sei mesi in su, da scontare insieme ai criminali comuni. E con imbrattatura di fedina penale, alla stregua del ladro e delinquente. Quindi esclusione dal portare un’arma, ineligibilità a presentarsi candidato anche a elezioni locali etc.
E’ di ieri l’imprigionamento, per sei mesi, di un’ultra-sessantenne colpevole di aver fotografato, dai margini di una strada, una delle ennesime dimostrazioni pacifiche all’esterno di una base di droni del Nord Est. L’accusa era di aver fotografato trovandosi all’interno della base, anche se ne era ben fuori, perchè i confini della base si estendono legalmente non ai bordi, ma a metà della strada pubblica da dove la donna fotografava – peraltro non c’è alcun segnale che lo indichi.
Per vedere come funziona la giustizia amerikana a proposito, nel blog ( http://wp.me/p2e0kb-1bZ ) e’ descritta la saga di un dimostrante pacifico condannato a due anni di reclusione (senza sconti), per avere ingegnosamente ostacolato una gara pubblica il cui fine era di assegnare una fetta dell’Utah a quelli del fracking. Notare che il giudice ha minacciato di escludere dalla giuria chiunque avesse votato secondo la propria coscienza e non secondo le istruzioni del giudice.
Il cappio si sta stringendo al collo del cittadino, con l’ausilio dei cittadini medesimi. Vedi in Italia i “ne’-ne’” – in America chiunque occupi anche una minima poltroncina, temendo di perderla se esce anche di poco dallo sterrato ideologico.
Per non parlare dei milioni, unicamente interessati ai tabloids, in vendita prima della cassa al supermercato, e agli scandali sessuali delle “celebrita’”
A me questo articolo non piace,primo perchè fotografa in maniera impeccabile una realtà che fa piangere e secondo perchè inconsapevolmente la alimenta.Personalmente avrei voluto vedere in piazza al netto delle divisioni bianchi,rossi rosa,neri,barboni ,mentecatti,associazioni varie.froci .lesbiche preti .....detto questo era per me più opportuno un rovente pezzo su chi non c'era non su chi c'era.
RispondiEliminaChiedo scusa per la schiettezza.
che dire?: mi fai tornare in mente quando davanti alla base di Aviano dai megafoni mentecatti delle tutine si levò la voce del proletanato dire: le donne in nero avanti ai cordoni!!nella speranza di evitare qualche manganellata. Certo è che tra La Russa in Afghanistan, Alfano ad Herat e Renzi a Beirut (tutti con la divisa militare neanche fossero capi di Stato) è sicuramente più divertente Berlusconi con la bandana. Quanto sarebbe stato onorevole un voltaspalle da parte dei militari, ma evidentemente non hanno mai ascoltato 'The Fish Cheer'.
RispondiEliminahttp://met.cittametropolitana.fi.it/public/images/2007062817202603.jpg
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