Pensate, a fare chiarezza sul chi è chi nel Corno
d’Africa e in Medioriente, due delle regioni più turbolente, strategicamente
rilevanti e contese e, dal punto di vista dell’informazione, più divisive del
mondo, sono stati, il 14 marzo corrente giorno, mese e anno, due organi di
stampa da cui tutto ci saremmo aspettati fuorchè un decisivo apporto alla
verità su questi due scacchieri internazionali: “il Fatto Quotidiano” e “il manifesto”.
Quotidiani Nato, ma di opposizione finchè, per il primo, ci si fermi agli
spietati e incontestabili editoriali del direttoreTravaglio e alle eccellenti
firme che denunciano e commentano i crimini del nostro mafio-massonico regime;
e, per il secondo, ci si accontenti dei pallini ad aria compressa sparati
contro gli abusi perpetrati a lavoratori, donne, migranti e diversi di genere
(in concomitanza, però, con le fusa fatte a qualsiasi nanerottolo deforme di
passaggio che si definisca di sinistra e perfino di centrosinistra (ultimamente
al Pisapia di fama Expo, che si precipita a sostituire la gamba sinistra amputatasi
dal PD. E mal gliene sta incogliendo, visto l’ultimo sondaggio che allo sfigato
duo da balcone veronese, Pisapia-Boldrini, riserva l’1,0%, mentre i vegliardi al viagra bersanian-dalemiani
viaggiano già al 4,3%).
Per il resto trattasi di due house organ dell’atlantismo che, anziché
in uniforme e bombe a mano, qui si presenta in giacca e cravatta, ma pur sempre
con la menzogna al gas nervino nel cavo della mano. Per attenuare questa
sperticata militanza lo scaltro “il Fatto”, che si vanta sacerdote dell’imparzialità,
arriva a pubblicare, molto occasionalmente, articoli antimperialisti e perfino antiamericani
e addirittura filopalestinesi, nel vano tentativo di bilanciare la foia
talmudista e russofoba degli spudorati falsari
che, nelle sue pagine estere, fanno sistematicamente strame della
realtà.
Foglie
di fico sulle vergogne
Allo scopo di occultare l’identità
cripto-Nato del sedicente “quotidiano comunista” (almeno “il Fatto” non ha tale
inaudita pretesa), alle sue virulente campagne, griffate Cia-Soros, contro chiunque
intralci i carri armati, le architetture istituzionali e le multinazionali dell’Impero,
detti “valori dell’Occidente”, il “manifesto” accompagna interventi
condivisibili su realtà lontane. Così la passione incontenibile per la Fratellanza
Musulmana, a dispetto degli attentati e dei burka che semina qua e là, e il
corrispondente odio amerikano spurgato sull’Egitto laico e non più atlantico
(Cruciani, Acconcia, Calderon), trova
parziale contrappeso nell’attivismo chavista pro Venezuela e pro altri
latinoamericani non conformi (Colotti). Mentre il tappeto afghano, steso sotto
gli scarponi con cui l’Occidente impedisce ai Taliban di ingolfare di stoffa le
donne, ma anche di liberare il paese dai monopolisti Usa di oppio-eroina (Battiston,
Giordana), vorrebbe essere reso meno osceno da qualche rubrichetta dispersa in
basso e in fondo, in cui si spiega come siano assai più gli americani che non i
russi a rischiare di far saltare il mondo (Dinucci). Davvero maldestro e
fallimentare, poi, il tentativo di bilanciare con Pisapia, Orlando, o
Fratoianni (Preziosi), l’impura fregola per Hillary, la donna che per stragi di
innocenti ha messo in ombra tutti i precedenti fino a Messalina (Moltedo,
Celada, Catucci, D’Agnolo Vallan).
Datemi del moralista, ma, a mio avviso, il
fatto che validi esponenti dell’integrità politica e professionale della mia
categoria, che vantano altre, più decorose e anche più diffuse occasioni di
esprimersi, senza doversi imbrattare acciaccando quanto depositato nelle pagine
contigue, se la sentano di farsi foglie di fico e dare copertura a un giornale
che strategicamente persegue obiettivi opposti ai loro, continua a costituire
scandalo e segno di una mancanza di coerenza, perfino di scrupoli. Vada per
Geraldina Colotti, purchè si attenga al tema, rispettata nella sua autodeterminazione,
anche perché il giornale sa bene che, se mantiene un minimo di credibilità e di
lettori, è grazie anche all’esclusività che, grazie a Colotti, vanta nell’informazione
sul continente latinoamericano e a Giorgio sulla Palestina (purchè non traligni
nel manifesto-pensiero quando si occupa di altro).
Veniamo al dunque. Il grande strappo di oggi
riguarda l’eccellente intervista data da Bashar Al Assad, presidente siriano, a
Stefano Feltri del “Fatto”. Sebbene sovrastata dal solito titolo che cerca di
falsare il contenuto facendo passare Assad per il conclamato tiranno (“Per la
Siria i diritti umani ora sono un lusso”), a dispetto di una trafiletto Unicef
che parla di bambini uccisi o arruolati in Siria, senza precisare da chi, l’intervista
si estende su due pagine, le prime, che si possono ben definire storiche. I box
contigui, con i soliti stereotipi sul padre di Bashar e sulla presunta “guerra
civile” nata dalla “repressione di pacifici dimostranti”, non riescono a
cancellare la forza delle argomentazioni, dei dati, della sincerità, della
ragionevolezza, dell’intervistato. Neanche le domandine tendenziose, basate
sulle stranote fandonie e che vorrebbero far ammettere a Bashar quanto i
calunniatori asseriscono ( I russi colonizzano
la Siria? Con l’Iran è bloccato ogni processo di pace? Come responsabile per l’ONU
di 400mila morti, lei è disposto a lasciare il potere? Ci sarà una Siria
federale, che protegge i diritti umani e controlla esercito e servizi di
sicurezza?) riescono a inquinare la forza dei fatti e la competenza e
dignità con cui Bashar li espone.
Bisogna dare atto al “Fatto” di non avere, a
quanto pare, tagliato o manipolato alcunché, almeno di essenziale e valido, di
un’intervista da cui il presidente siriano esce alla grande, assolutamente
convincente, con un di più di ammirazione per la sua forza d’animo e di
consapevolezza su cosa è in ballo in quella regione. Consiglio a tutti di
ricuperare in rete questo documento.
Parla
Milosevic? Censura a sinistra!
Nel 2011 tornai da una Belgrado in preda alle
convulsioni della prima vera rivoluzione colorata lanciata dalle centrali Usa
della destabilizzazione, finanziata e organizzata da Soros e operata in piazza
dai sicari di Otopor (poi adoperati per altri regime change). Il mio arrivo a Roma coincise con l’arresto di
Slobodan Milosevic, estremo difensore della Jugoslavia e della Serbia, unico
protagonista, tra fascisti croati, jihadisti bosniaci, terroristi kosovari UCK
e pellegrini fiancheggiatori a Sarajevo, portatore di diritti umani,
democrazia, sovranità. Non per nulla accusato di ogni efferatezza, di pulizie
etniche e stragi praticate invece dai
nemici del paese, che anni di processi a conduzione Usa non riuscirono a
provare e perciò assassinato nella sua cella all’Aja.
Ero stato l’ultimo a intervistarlo, insieme
alla moglie, nella sua residenza di Belgrado. Lavoravo a Liberazione, per
quanto osteggiato dai bertinottiani in redazione, ansiosi di non urtare
suscettibilità che avrebbero potuto ostacolare l’arrampicata del leader e
frenare “l’evoluzione” del partito.
Abbastanza contento dello scoop, nell’amarezza per la sorte di un uomo che
aveva fatto del suo meglio, me lo vidi respingere dalla vicedirettrice, Rina
Gagliardi, e dal caporedattore Cannavò,
ovviamente trotzkista (oggi al “Fatto”) con l’altamente qualificante
osservazione: “Non possiamo appiattirci su
Milosevic”, intendendo “l’orrendo dittatore”. Fosse anche, ma se ti capita
di intervistare Gengis Khan non pubblichi? La stessa concezione alla Starace
della professione mi venne poi ribadita al “manifesto”, cui mi ero rivolto nell’affannato
sforzo di non disperdere, a sinistra, le parole di un protagonista, tragico ed
eroico, della storia contemporanea. Alla fine, il Corriere della Sera, di più solida
sostanza professionale e con meno grilli inibitori per il capo, pubblicò l’intervista.
Riconosco oggi la stessa caratura editoriale a “il Fatto”.
Eritrea
delenda est
Difendendo il solco tracciato da Dipartimento
di Stato, Cia, Pentagono, FMI e, in subordine, UE, il “manifesto” non perde
occasione per picchiare sull’Eritrea, unico Stato africano che rifiuta sia l’FMI,
sia la Cia, il Pentagono e il Dipartimento di Stato, negando a questi
stupratori di nazioni e popoli basi militari, economiche e Ong. Per gli argomenti,
mai di sua diretta conoscenza, al “manifesto”
bastano gli input delle solite vivandiere umanitarie dei lanzichenecchi Nato:
Amnesty International, Human Rights Watch, USAID, Obama, Laura Boldrini e
quello squinternato di Pippo Civati che, forse non sapendo nemmeno dove si
trova l’Eritrea, s’è voluto guadagnare un buffetto della Commissione dei
diritti umani dell’ONU importunando il parlamento con una sua mozioncella all’acido
solforico contro quel paese. Paese al quale, a partire da noi colonizzatori,
britannici, statunitensi,e russi e
cubani che si schierarono con il suo aggressore e occupante, non avrebbero che
da chiedere scusa.
L’Etiopia è il gigante del Corno d’Africa. A
sud s’è mangiata, su commissione Usa, un bel pezzo di Somalia, contribuendo con
la “comunità internazionale” a sfasciare totalmente quel paese (altra nostra
colonia, saccheggiata e poi avvelenata a morte con i rifiuti nucleari e tossici
di cui Ilaria Alpi). A nord continua a occupare terre eritree. Ora quella “comunità”,
tramite sicari africani riuniti nella spedizione “Afrisom” e raid Usa su
villaggi, scuole, funerali e matrimoni, insiste a tenere il paese in condizioni
di Stato fallito e popolo morente. Resistono, dopo la decimazione di altre
resistenze, la formazioni islamiche degli Al Shabaab, presenti con operazioni
militari in tutto il paese e contro le centrali estere dell’aggressione.
Resistenza opportunamente satanizzata.
Quanto a satanizzazioni, l’Eritrea non ha
nulla da invidiare alla Somalia. Ma nessuno è ancora risuscito a metterle le
mani addosso. E neanche gli scarponi. Segno evidente di una forte coesione e convinzione
nazionale. Alle criminalizzazioni e punizioni collettive sfugge invece l’Etiopia.
Lasciata dall’Italia di Mussolini, Badoglio e Graziani in un oceano di sangue,
quel popolo, in cui un paio di etnie, Amhara e Tigrini, spadroneggiano da
sempre sulle altre, valendosi del sostegno neocolonialista delle potenze, è
tanto governato da una successione di despoti sanguinari, da Haile Selassiè a
Menghistu a Meles Zenawi all’attuale Dessalegn, quanto è amato, coccolato,
armato e incitato al mercenariato contro i paesi vicini, dalla solita “comunità
internazionale, Usa, Ue e Israele in testa.
Etiopia
pasto nudo
Frequentatori e cicisbei abituali anche i
nostri. Di casa sono Mattarella, Renzi, Pittella (quello della Commissione UE),
Ong varie. Partecipano al banchetto offerto
dal regime agli amici. Le pietanze, in questo caso, sono le proprie popolazioni
e il loro habitat. Quelle escluse, Oromo in testa. Escluse anche dai territori
ancestrali dai rapinatori di terre (indiani, cinesi, sauditi), costruttori di
dighe (Impregilo-Salini), coltivatori di monoculture alla Monsanto, forze
armate straniere con le loro basi. Il regime etiopico ricompensa tanta grazia,
assaltando ogni tanto, su suggerimento Usa, qualche vicino. Dallo sceiccato ai
suoi piedi, Gibuti, colonia e presidio militare francese e ora anche Nato,
arrivano armi e ordini di servizio.
Dell’Etiopia, però, nessuno parla male.
Neanche i missionari comboniani, un po’ perché hanno le mani piene del sabotaggio
perenne del Sudan, e un po’ perché gli etiopi, essendo in maggioranza copti,
offrono poco ascolto. E, venendo allo strappo operato oggi dal “manifesto”,
dell’Etiopia invece parla male, come vorrebbe la ragione sociale che vanta, il “quotidiano
comunista”. Merito della sciagura costruita con grande impegno dalle autorità
di Addis Abeba (“Nuovo fiore”) per rimuovere dalla faccia del paese la presenza
ingombrante, oltre a quella dei villaggi da bruciare per far posto ai bacini
dell’Impregilo, dei morti di fame accalcati in capanne di cartone alla base di Koshe (sporcizia), la più grande discarica
del paese, forse dell’Africa. E’ crollata mentre ci volevano costruire sopra un
“perfezionamento” ulteriore dell’ambiente, un inceneritore. Al momento hanno
estratto 65 morti di fame. Altri ne usciranno, dalla Koshe.
E “il manifesto”, con Marco Boccitto, questa
tragedia, questo crimine, li ha scritti. E non nel solito trafiletto, o nella
solita rubrichetta vedo e non vedo. E non ha perso l’occasione
per aggiungere altre sciagure e altre nefandezze di uno dei regimi più chiavica
del continente. Chapeau. Purchè non
provi ora a riequilibrare a favore di Renzi, Mattarella, Pittella, Impregilo,
Usa e Onu, tornando alla sua maniera sul tema Eritrea. Senza dubbio gli sponsor
del giornalino povero diventato ricco e patinato, glielo chiederanno.
Tre sere fa Il TG1 delle 20 ha mandato in onda un breve tratto di un'intervista ad Assad.
RispondiEliminahttp://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-06ab4500-53f4-4290-847a-e99793598e41-tg1.html
La traduzione ha, mi pare, riportato fedelmente il pensiero del presidente e non ci sono stati i soliti commenti feroci o sarcastici sulle "menzogne del dittatore". Lungi dal pensare che le "presstitutes" si stiano evolvendo dai platelminti che sono, una possibile spiegazione potrebbe essere che cerchino di rimediare agli effetti imprevisti delle menzogne spurgate finora, diventate ormai insostenibili e controproducenti. Forse la dose esagerata di propaganda finora somministrataci potrebbe aver sortito l'effetto contrario. Speremmu!