Macron
inizia a sistemare le cose per Total e ai danni di ENI riunendo al tè delle
cinque, con intelligenza pari all’ottusità
del governo italiano, il farlocco bottegaio Serraj (fantoccio ONU e Usa, ma
soprattutto dei tagliagole di Misurata) e il generale Haftar, a capo, non di
una milizia di qualche signore della guerra, ma
dell’ Esercito Nazionale Libero, forza armata dell’unico parlamento
democraticamente eletto (Tobruk), padrone ormai di tre quarti della Libia e del
suo petrolio. Appoggiato dall’Egitto e dalla Russia. Il che ai francesi sta
bene. E starebbe bene pure all’ENI, dunque all’Italia. E neanche Trump pare
aver niente da ridire. Ma Roma, sotto pressione della criminalità politica
organizzata statunitense e dei suoi tentacoli sinistro-imperialisti (tipo il
manifesto), Haftar, amico di Al Sisi, di Putin e riabilitatore di Saif Al Islam
Gheddafi, non lo toccherebbe neanche con una pertica.
Infatti
hanno molto da ridire i neocon, impegnati a rastrellare tutto quello che serve
all’espansione dell’Impero e all’attacco finale alla Russia e che vedono rosso
appena qualcuno rifiuta il reclutamento. Di conseguenza sta malissimo a “il
manifesto”, gazzetta locale dello Stato Profondo Usa (CIA-Wall
Street-Pentagono-lobby talmudista) che delle nefandezze, infamie, obbrobri,
nequizie, da attribuire al presidente egiziano Al Sisi ha fatto crocevia di
tutta la sua informazione internazionale. L’organo che del rapinatore della
sovranità, libertà e benessere dei popoli, George Soros, con la direttrice Rangeri s’è fatto sempre più spudoratamente
palo e poi, a esito felice delle sue mosse (vedi trafficanti Ong), celebratore, sfida per potenza di comicità e
culto del nonsense un Plauto, o un Petrolini, quando insiste a mantenere, per
quanto ridotto a dimensioni di deiezione di mosca, il titoletto False Flag
“quotidiano comunista”.
Ne
parlo tanto, del “manifesto”, perché ho sempre pensato e constatato che, mentre
il vero nemico ti si squaderna di fronte sputandoti o sparandoti, il finto
amico tiene una lametta nella pacca sulla spalla. Ho un ricordo personale. Anni
’90, Norma Rangeri critica televisiva, io inviato di ambiente al TG3. Illustro,
con il dovuto raccapriccio e l’indispensabile violenza delle immagini, le
malegrazie dei cosmetici che accecano conigli per testare colliri o mascara, o
il sadismo dei collaudatori di automobili che schiacciano scimmie tra morsetti
d’acciaio per vedere a che punto la pressione ne sbriciola il cranio. La
Rangeri censura, deprecando il turbamento che nelle anime sensibili (tipo
quelle del “manifesto”) “quella macelleria” del cronista esibizionista potrebbe
causare. Le multinazionali farmaceutiche e i vivisezionisti ringraziano. Se ne
potevano capire le priorità fin da allora.
Inserendo
la sua vocina bianca nel coro tonitruante dei MSM (mainstream media) che vanno a molla, molla caricata dallo Stato
Profondo, il “manifesto” non sbaglia una nota quando si tratta di satanizzare i
cinesi e santificare i Cia-friendly
Uiguri., di comprendere benevolmente la presenza militare Usa quando si oppone
al burka dei Taliban, di accreditare come inconfutabile ogni attribuzione di
attentati False Flag a Isis, Al Qaida, o “lupi solitari”, di onorare monarchi
assoluti come il papa, o il Dalai Lama al soldo della Cia, e di condividere il
disgusto per “dittatori” eletti dal popolo in paesi dalla sanità, istruzione,
casa, lavoro per tutti e dalle donne più libere delle mercenarie curde degli
Usa. Tipi come Milosevic, Saddam, Gheddafi, Assad…
In
Egitto, nel 2013, l’insurrezione di decine di milioni di egiziani laici cacciò
dal trono Mohamed Morsi, un ultrà
islamista eletto del 17% della popolazione, fiduciario dei britannici padrini
dei Fratelli Musulmani, instauratore della sharìa e massacratore di operai e
copti. Subita la sconfitta. il braccio armato della Fratellanza ha instaurato
un regno del terrore, con la successione di attentati e stragi ai danni di
civili comuni, cristiani copti, forze della sicurezza, soldati di leva,
finalizzato alla distruzione economica del paese, anche attraverso il
sabotaggio del turismo, cruciale voce del bilancio nazionale. Ma di questa campagna
terroristica, che annega il paese in laghi di sangue e rende quelle in Europa,
o in altri paesi in cui l’imperialismo agita questa sua arma, modeste turbative
del quieto vivere, al “manifesto” poco cale.
Moltissimo,
da apertura in prima e paginoni interni, gliene cale, invece, di Tharwat Samah,
diciannovenne egiziano trovato morto e torturato il 24 luglio nella periferia
nord del Cairo. Non se ne sa nulla. Non era un dissidente, non sembra facesse
politica, insomma per il momento un Carneade. Tuttavia, né al “manifesto”, né
ai suoi referenti nelle Ong dei “diritti umani” cari a Soros che, da Amnesty ai
fiduciari locali della “società civile,” si avventano sul corpo straziato del
ragazzo, sfugge l’occasione per rinnovare l’aassalto ad Abdel Fatah Al Sisi.
Colui che protegge Haftar, non partecipa alla crociata contro la Siria, balla
il valzer con russi e cinesi, detiene tanto gas assieme all’ENI, da mettere in
crisi le Sette Sorelle e, soprattutto, l’emergente potenza gasifera di Israele.
Uno
come lui non può ricevere in carico da Amnesty e affini, “manifesto” mosca
cocchiera, che migliaia di prigionieri politici, carceri della tortura,
sparizioni come fosse il Messico, repressione tra le cui maglie i pur vivi e
prosperi giornali e siti d’opposizione, contigui a Soros e al “manifesto”,
sudano a farsi strada, poveretti.
E
così la deontologia marca “manifesto” permette di urlare, a 24 ore dal
ritrovamento e a indagine neppure avviata, TORTURATO A MORTE IN EGITTO, “THARWAT UCCISO
COME GIULIO”.
Vi
rendete conto? Non ne sanno una cippa, ma ti vogliono far rabbrividire – e
convincere – dalle “coincidenze”. Regeni giovane? Tharwat giovane. Regeni
trovato in periferia? Tharwat trovato in periferia. Regeni torturato? Tharwat
torturato. Prima ipotesi: lesioni da incidente stradale? Uguale. Poi, stesso distretto e, dunque, stesso
procuratore. Ma soprattutto, stesso presidente! E di Al Sisi si sa: non fa
colazione se non dopo aver firmato un centinaio di ordini di arresto, tortura,
esecuzione.
A
queste balle sesquipedali, il giornale, talmente ossessionato da Al Sisi da
avergli dedicato più spazio di contumelie e fantasie di quelle dedicate dagli storiografi dell’establishment
cristiano, altrettanto immaginifici, a Caligola, aggiunge poi una scheda di
scelleratezze del reprobo golpista tanto agghiaccianti quanto del tutto prive
di verifica, di fonti attendibili, di documenti. Se per verifica non s’intendono
gli agitporp dei crimini Usa contro
l’umanità, come Amnesty, quando ci
raccontano di 13milla anonimi strangolati nelle carceri di Assad. O come Save the children quando giura che
Gheddafi forniva viagra ai soldati perché stuprassero bimbetti. O come Medici Senza Frontiere, gli “eroi” dei
salvataggi telefonati, quando dicono che Assad si accanisce sugli ospedali di
Aleppo, poi risultanti inesistenti o integri.
Il
“manifesto” insiste sulle similitudini tra il caso Tharwat Sameh e il caso
Regeni. Dato che esso le basa su un costrutto di fuffa degno di Eta Beta, noi vogliamo suggerirgliene
una, di similitudini, con qualche addentellato alla realtà. Voi, “manifesto” e
turba sinistro-imperialista, avete voluto fare di Giulio Regeni una vittima
della repressione di Al Sisi (nel momento in cui Roma e Il Cairo trattavano
grossi affari di mutuo interesse, del tutto invisi a Israele, Usa e relative
periferie) e così ne avete dovuto coprire il retroterra oscuro di
collaboratore, nell’agenzia di spionaggio “Oxford Analytica”, di pendagli da forca angloamericani come John
Negroponte e Colin McColl. Cosa pubblicata sui maggiori quotidiani italiani e
su cui famiglia, “manifesto” e Luigi Manconi hanno sempre steso veli
necessariamente complici. Figuriamoci se “il manifesto” gli ha mai chiesto
perché.
Ora,
in condizioni analoghe a quelle del ricercatore di Cambridge (e su cui
l’università di Cambridge, non disposta a imbarazzare i servizi segreti di cui
è tradizionale culla, ha mantenuto il riserbo) è stato ritrovato il povero
Tharwat. E, a forza di forcipi forniti dall’inventiva dei fabbricatori di fake news imperiali, i soliti cantori ne
hanno estratto “coincidenze” e invenzioni per rilanciare il sempre più
sbrindellato teorema del Regeni ucciso dal regime perché amico di sindacalisti
critici e conseguentemente sparare l’ennesimo siluro ad Al Sisi, all’Egitto, ai
suoi partner e al ruolo che al più grande paese arabo spetta.
Caviamo
dalla nostra fantasia qualche mattoncino di Lego e proviamo a costruire anche
noi il nostro arzigogolo. Quello secondo cui il caso Regeni è stato costruito
dal principio alla fine, cioè alla morte, da coloro che intendevano buttare una
chiave inglese tra le gambe di Al Sisi (e Italia ed ENI), prima sobillando chi
si prestava a essere sobillato e, poi, a copertura dell’inviato saltata,
togliendolo di mezzo, ma scaricando il cadavere sulla soglia del presidente. E
Tharwat, fatto ritrovare in condizioni e circostanze che i noti coristi
avrebbero gonfiato fino a farne il doppelgaenger
di Regeni, pur non disponendo di mandanti come quelli di Oxford Analytica
e, dunque, privo di una missione specifica, non potrebbe essere stato una
seconda sbarra tra le gambe di Al Sisi e tra le ruote di un Egitto che, anche
con il suo uomo vincente in Libia, Haftar, promosso a protagonista da Parigi e
Mosca, torna protagonista in Nord Africa e Medioriente, scompigliando certe
pianificazioni?
E’
un arzigogolo come un altro. Magari anche migliore.
Cosa non si fa per un pulpito! Anche fatiscente....
Le
anime belle, i sedicenti comunisti, ex-comunisti, neocomunisti, post-comunisti, protocomunisti, paracomunisti,
criptocomunisti, colonialcomunisti
(trotzkisti), comunisti da calamaio, comunisti antimperialisti, psicocomunisti,
cibercomunisti, comunisti del settimo giorno, comunisti e non- comunisti
filorussi (ce ne fosse uno vero!), come si sentono a mettere la propria firma, nel “manifesto”, accanto a quella di chi così bene sostiene la
vulgata dell’Impero? Quelli che trascorrono disinvolti sulla condivisione Quelli che si sono fatti rifilare dal sempre
più prospero e meno mendicante giornaletto una turbo- campagna elettorale per
il mostro-fine-del-mondo Hillary. Quelli che, sorvolano disinvolti sulla
condivisione nel “quotidiano comunista” della russofobia e relativa caccia alle
streghe scaturita dall’immane panzana del Russiagate e rilanciata sera dopo
sera dall’ineguagliabile Giovanna Botteri. Quelli che non hanno mosso ciglio sul rilancio delle bufale apri-guerra
di Amnesty e HRW.
Quelli che stanno zitti, senza una riga di solidarietà alla collega-compagna Geraldina Colotti, censurata dal "manifesto" perchè racconta il pogrom Usa-fascista in Venezuela alla vigilia del voto per la Costituente. Quelli che hanno assistito compunti alla denigrazione di
tutti coloro che avanzavano qualche dubbio sulla versione ufficiale dell’11/9 e
poi di tutti gli eventi simili. Quelli che restano a bocca spalancate davanti
all’esaltazione delle meraviglie truculente dei videogiochi Usa di sterminio e
nequizie. Quelli che sono passati leggeri sopra l’inserto a 4 pagine, non
pubblicitario, in cui si raccontava della gioia di maestre e bambini
all’incontro con l’ENI nella Basilicata della morte che cammina col petrolio.
Quelli che si felicitano di un “manifesto” tenuto finalmente in saldi piedi
dalla pubblicità di Telecom, Eni, Coop, Enel, Unicredit e da altri benefattori
della classe operaia. Quelli che….
Grande ironia sui "cybercomunisti, criptocomunisti, comunisti del settimo giorno"...veramente divertente su questi che si moltiplicano come sette piu' o meno religiose, salvo pero' sparire dopo poche settimane. Apprezzo i recenti blog ed i molti argomenti trattati, dove ci sarebbe da fare per ognuno molte considerazioni. Mi sembra pero' che ci sia da sottolineare due fatti. Al Serraj ed Haftar stipulano un accordo di pace a Parigi. proprio dove tutto inizio' nel non molto lontano dicembre 2010, gli incontri fra I "democratici fuoriusciti libici" e Sarkozy, propedeutici alla distruzione di quel paese. Ma pochi quotidiani e medialo hanno ricordato. Sotto lo sguardo compiaciuto del suo fido successore Macron e sotto quello un po' meno soddisfatti dei governanti italici, che pensavano sempre di essere i piu' furbi tanto da mandare la flotta nelle acque libiche con la scusa dei migranti (non sara' per aiutare il loro beniamino Serraj oggi costretto alla trattativa con I suoi rivali?).
RispondiEliminaAlla spianata delle moschee dopo giorni di sopraffazioni e vessazioni i palestinesi riescono a rientrare in moschea. A dimostrazione che la loro capacita' potenziale di lotta contro l'occupante e' ancora non esaurita. Forse proprio per aver testimoniato questo e' stato ferito il corrispondente Rai Paris. Avete sentito un solo ministro od altra autorita' del governo italiano chiedere anche solo chiarimenti alle autorita'israeliane? Ve lo immaginate una cosa simile fosse accaduta in Venezuela od i Siria?
Ecco comunque il suo servizio direttamente dalla spianata delle moschee. Forse anche un semplice testimone da fastidio.
http://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/gerusalemme-corrispondente-rai-paris-ferito-da-una-granata/ar-AAoYTHN?li=AAaxHVJ&ocid=spartanntp
Alex1@
RispondiEliminaCondivido su tutti i punti, Alex e penso sia una giusta tua intuizione quelle delle navi italiane mandate in appoggio al fantoccio Usa-ONU-Fratelli Musulmani Serraj. Lo Stato profondo Usa, Cia e Hillary, quello che tiene per la collottola il recalcitrante Trump, teme Haftar (e dietro l'Egitto), perchè unica opzione libica praticabile e positiva per ilo ricupero di unità e sovranità.