Fulvio ciao,
come stai?
ti volevo chiedere se scriverai sull'accordo di pace tra Eritrea e Etiopia?
Come la vedi? Mi fido molto del tuo giudizio (e di pochissimi altri)
Un caro saluto e un abbraccio,
(firma)
Un amico e ottimo giornalista, con un blog, una testata giornalistica registrata, che è tra le migliori sulle questioni internazionali, mi invia questo messaggio
all’indomani della notizia dell’incontro tra i leader di Etiopia ed Eritrea che
ha messo fine a oltre mezzo secolo di inimicizia, guerra, tensione e aveva
costretto il piccolo vicino del gigante del Corno d’Africa a una condizione di no
guerra-no pace che, unita alla criminali sanzioni USA-UE, aveva pesantemente
danneggiato la nostra ex-colonia.
Credo che la fiducia assicuratami dal
collega sia da ricondurre alla mia condivisione, giornalistica e di vita, dei
destini dell’Eritrea fin dai lontani giorni della sua trentennale lotta di
liberazione dal colonialismo etiopico supportato alternativamente dagli Usa e
dall’URSS. Dalle cronache di guerriglia negli anni ’70, alla diffusione di una
verità alternativa a quella dei media colonialisti e imperialisti nei
successivi decenni, in Italia e nel mondo, fino al docufilm realizzato due anni
fa in Eritrea insieme a Sandra Paganini e che si proponeva di opporre una
verità storica ed attuale a una sempre più intensa campagna di diffamazione di
questo popolo e della sua leadership, essenzialmente innescata dalla sua
posizione anticolonialista, di indipendenza da condizionamenti militari,
economici, sociali e culturali dell’ormai virulentissimo revanscismo
colonialista.
Questo film è stato tradotto in inglese e francese, ha
circolato in Italia ed Europa, ha ottenuto il consenso delle comunità della
diaspora eritrea, ha entusiasmato tantissimo pubblico italiano e credo abbia
messo una bella zeppa sul rullo compressore della criminalizzazione
politico-mediatica, alimentata soprattutto dall’ingigantimento del fenomeno
dell’emigrazione eritrea (in buon parte etiopica travestita, per altra parte
determinato della situazione imposta dalle sanzioni e dall’aggressione etiopica),
fondata su pull factor
dell’automatica concessione agli eritrei del diritto d’asilo. Non si svuotano
così anche i paesi delle proprie energie migliori? In particolare paesi
appetiti dal Pentagono e dalle multinazionali per risorse e posizioni
strategiche. Per l’Eritrea la collocazione sullo Stretto di Bab el Mandeb,
crocevia tra Est e Ovest, Sud e Nord.
L’articolo richiesto che mi affrettai a scrivere e per il quale sono stato
ringraziato, lo trovate in www.fulviogrimaldicontroblog.info . E’
intitolato: “Pacificazione nel Corno. Bye bye Eritrea. LA STELLA DELL’AFRICA
NEL BUCO NERO DELLA NORMALIZZAZIONE? Cambia la geopolitica nel nervo scoperto
del mondo. Ma non è uscito sul sito di chi me lo aveva richiesto. Perlomeno io non ce
l’ho trovato. Timore di irritare gli eritrei? Disperdere qualche illusione? Gliene ho chiesto spiegazione, perché mi pare
difficile che quel sito applichi censure, per quanto problematica possa essere
la questione e il trattamento da me riservatole, soprattutto alla luce della
successiva pubblicazione di un articolo
firmato Daniel Wedi Korbaria, esponente autorevole della comunità eritrea di
Roma, di segno geopolitico per niente problematico, comprensibilmente
entusiasta della pace raggiunta e in polemica con i detriti mediatici che
insistono a masticare amaro su questi sviluppi e a valersi dell’emigrazione
eritrea per continuare l’opera di diffamazione. Un articolo del tutto privo di
analisi dell’enorme mutamento in corso e delle varie conseguenze di portata
locale e internazionale e che ne
potrebbero risultare. Il che mi risulta sospetto.
E’ aperto a
chiunque il giudizio se sia più credibile un giornalista che da oltre mezzo
secolo ha seguito il tema appassionatamente e con impegno di tutte le sue
risorse umane e altre, o un portavoce della rappresentanza diplomatica. Il
pezzo di Wedi Korbaria (“Perché quelli di
”aprite i porti” vogliono la guerra in Africa?”) assegna la responsabilità
della crisi etiopica-eritrea all’inimicizia del TPLF, Organizzazione della
regione del Tigray, da molti anni al potere ad Addis Abeba e ora sostituita dal
nuovo premier Oromo, Abiy Ahmed. Quindi elenca una serie di giornalisti,
definiti immigrazionisti e nostalgici del conflitto, che su Radio anch’io hanno commentato il superamento della crisi
con i soliti stereotipi sulla “dittatura
eritrea e la fuga dei giovani”. Tutto giusto. Salvo il finale un po’
vittimistico, poco consono a un popolo fiero come gli eritrei, in cui l’autore
si lamenta del fatto che qualunque cosa gli eritrei facciano, vengono definiti
cattivi: “Se chiediamo giustizia e pace
siamo cattivi e se dopo vent’anni la otteniamo e festeggiamo, lo stesso siamo
cattivi”. C’era un lavoro, di pochi
di noi, che stabiliva meglio chi fossero i buoni e chi i cattivi.
Qualcuno la
finirebbe di crederli cattivi se avesse potuto vedere il mio documentario e
ascoltare il mio racconto. Ma questo è stato impedito dallo stesso Wedi
Korbaria, alias Sillas, quando tono e argomenti del film e dei miei interventi
non parevano più in sintonia con l’Eritrea che ora si è andata raffigurando.
Vediamo quale, giacchè della pace siamo tutti contenti, in Vietnam come in
Palestina, in Nicaragua come in Siria. Ma crediamo necessario anche vedere
termini, circostanze, condizioni, prospettive. Sono quelle che avevo cercato di
analizzare nel pezzo chiestomi da Ale. Intrecciandole anche a un mio vissuto
eritreo, quanto mai esplicativo.
Da un giornalista
e autorevole rappresentante eritreo, su un sito della rilevanza di quello in
oggetto, ci si sarebbe aspettati qual cosina in più su uno sviluppo epocale,
sul piano geopolitico, come su quello sociale, economico, militare, come quello
del riavvicinamento tra Asmara e Addis Abeba.
Etiopia ieri. Oggi?
Dai tempi
dell’imperatore Haile Selassiè fino a tutti i governi successivi delle etnie
Amhara e poi Tigrina, con l’intervallo filosovietico del “negus rosso” Mengistù,
il gigante del Corno (100 milioni di abitanti) è stato il presidio degli
interessi coloniali in Africa Orientale. Per questo è stato armato, lanciato
ripetutamente contro i disobbedienti Somalia ed Eritrea (4 milioni), rimpinzato
di aiuti occidentali, saccheggiato senza freni dalle multinazionali, derubato
delle sue terre migliori, devastato nel territorio da costruttori di dighe,
laghi, strade come la Salini Impregilo, seviziato dalle minoranze al potere,
tremebonde soprattutto davanti alla maggioranza Oromo, in preda ad oligarchie
feudali vendipatria e sanguinosamente repressive. Il paese era ed è costellato
di basi e presidi statunitensi e israeliani. Nei suoi campi profughi si
coltivavano terroristi da infiltrare in Eritrea.
Ora è
arrivato il nuovo primo ministro. Ha liberato prigionieri politici, ha promesso
democratizzazione e pluralismo, rispetto delle tante minoranze, pace, amicizia,
sviluppo con l’Eritrea. In cambio della fine di una situazione che costava agli
eritrei serenità e prosperità possibili, ha ottenuto da Isaias Afeworki, capo della guerra di liberazione e
dell’Eritrea fino ad oggi, l’accesso al mare nei due porti eritrei, Massaua e
Assab. Magnifico, chi potrebbe obiettare? Ma forse ci si dovrebbe domandare:
che ne sarà dei rapporti dell’Etiopia con i suoi storici padrini, padroni,
sponsor, armieri, finanzieri, ladri di terre fertili. La democratizzazione
interna si estenderà a un equilibrio meno subalterno con le potenze coloniali,
a un ruolo meno attivo di bastone nei confronti di chi l’Occidente vuole
bastonare, a un più dignitoso rapporto di forze, consapevole dei bisogni e
desideri della popolazione, del loro habitat e meno delle cricche dirigenti,
con donatori, finanziatori, investitori?
Eritrea ieri. E oggi?
E l’Eritrea
come ne uscirà da questo abbraccio, dal quale si è saputa sottrarre per tanti
anni restando in vita e, anzi, fornendo agli africani, come la Libia di
Gheddafi, quel modello di indipendenza, giustizia sociale, ecologia,
antimperialismo che era stato stroncato quando lo proposero i Lumumba, i
Sankara, Nkrumah, Nyerere, Mugabe, Kenyatta, Gheddafi….? Sarà ancora il Davide
della vittoria della giustizia e della libertà se dovesse ripresentarsi un
Golia del sopruso e dell’asservimento? Domande drammatiche, domande legittime
che non trovano spazio nell’intervento dello scrittore eritreo. E sanno i santi
nel paradiso africano, quelli che sopra ho nominato e tutti coloro che si sono
sacrificati per quell’Africa, quanto siano cruciali e urgenti.
Su questo
futuro, tutto da definire e decifrare, si stende però già oggi un’ombra.
Riuscii a interessare la Commissione Esteri dei Cinque Stelle al Senato, nella
persona della senatrice Ornella Bertorotta e dei suoi collaboratori, alla
questione eritrea. Cosa non facile di fronte all’aria che tirava contro quel
paese nelle aule alte e basse del parlamento, ma realizzato grazie alla
disponibilità e intelligenza di quei miei interlocutori. Erano in vista
parecchie iniziative parlamentari a rettificare un atteggiamento improntato a
pregiudizio, ignoranza, servilismo Nato.
Poi arrivò
la notizia che Asmara aveva concesso agli Emirati Arabi Uniti (UAE) una base
militare ad Assab, l’uso e l’ampliamento di porto e aeroporto. Bertorotta e io
chiedemmo conferma o smentita all’ambasciata. L’ambasciata smentì.
Ma presero a
circolare notizie sempre più documentate. Fotografie aeree e satellitari
confermarono gli impianti. Aerei e navi da guerra contro lo Yemen. Le smentite
cessarono. Si parlò di un affitto di lunghi anni a questa presenza militare
straniera. Presenza invasiva di un regime di satrapi, proprietari feudali del
loro paese, strettamente alleati all’Occidente, intimi dell’Arabia Saudita,
specie ora, nella fase espansiva e militarista dell’erede al trono Bin Salman,
partner di Israele nella destabilizzazione del Medioriente e nella
frantumazione dei suoi paesi sovrani, indipendenti e laici.
Una pace pagata con il sacrificio
dello Yemen?
Intanto si
andava compiendo l’olocausto dello Yemen per mano proprio dei sauditi e dei
loro partner UAE, invasori della parte meridionale del paese e delle isole. In
partenza con bombardieri e truppe proprio da Assab, che sta lì, comodamente di
fronte. Facile per i missili su donne, bambini, quelli di cui si continua a
parlare quando su barconi, ma non qui. Yemen, dal quale anni prima ero partito
in barca, con alcuni dei rifugiati eritrei della Dancalia che rientravano nelle
zone liberate dopo essere state accolte e protette, anche nella dirigenza
operativa, dal governo yemenita. Presidente, Ibrahim El Hamdi. Un grande arabo,
amico dell’Eritrea.. Ucciso dai gentiluomini, nostri alleati e fornitori, del
Golfo.
Nel docufilm
“Eritrea,
una stella nella notte dell’Africa” c’è un capitoletto sullo Yemen,
paese bellissimo, popolo intelligente, depositario di una civiltà
architettonica tra le più pregiate della Storia, ospitale e dignitoso quanto
gli eritrei, nel quale ho vissuto per due anni. Ne racconta la feroce
frantumazione, il vero e proprio genocidio, l’eroismo di chi si è ribellato
contro una successione di regimi dispotici e subordinati a Riyad e a
Washington. Nel nome della libertà e della giustizia. Come gli eritrei nei
trent’anni della loro lotta e dopo. Del resto tutti i 90 minuti del film sono,
dal generale al particolare e dal particolare al generale, la storia
raccapricciante dell’imperialismo nel mondo e nell’Africa.
Sconveniente,
ora come ora? C’è chi non vuole infrangere lo specchio? Come con Cuba che ha
aperto agli Usa, ha privatizzato metà della sua economia, a messo a fare
aranciate e biscotti mezzo milione di dipendenti statali divenuti liberi
imprenditori? Meglio restare illusi? Primum vivere (deinde philosophari). Ma
allora non chiamiamolo rivoluzione e socialismo.
Di colpo gli
eritrei d’Italia, con il portavoce media, hanno bloccato una tournee di
rappresentazioni che aveva coinvolto migliaia di persone. Copia inglese del
documentario è stata consegnata al presidente Isaias Afeworki. Che non si è
fatto sentire. E pensare che quando, due anni fa, era stato visto da alti rappresentanti del
paese se ne era annunciata la programmazione al Cinema Impero, al centro di
Asmara. Ma questo era prima di Assab.
Il film
continua a girare, presto sarà ovunque sui social. E percuoterà il silenzio dei
tanti con una domanda ineludibile. Dove va l’Eritrea? Voglio saperlo anch’io.
Mica le ho dedicato cinquant’anni di vita per niente.
Anonimo ha lasciato un commento che ho dovuto cancellare.
RispondiEliminaConteneva un link in cui si esprimeva un insulto a un personaggio politico. Niente insulti qui, non provochiamo la repressione.
Vorrei aggiungere che quando uno si limita a indicare un link, sarebbe bene che dicesse qualcosa sul contenuto del link. Non posso approvare un commento di cui non so niente.