https://www.youtube.com/watch?v=XF4TXgsRYb8&fbclid=IwAR1SJQ8GrHY3pvUN5Vhk-iQmyS3orEBsdCJTnXqff7N5bTtftoipPqwNYo0
(link allo streaming della prima giornata di lavori della Conferenza
internazionale di Dublino. Il mio intervento, che indico solo perché me ne è
stato chiesto verbale che non ho, va da 1.39’05 a 1.52’13)
Questo
non un “report”, come quelli smart chiamano
una relazione, un rendiconto, un rapporto, un ragguaglio. Questo cerca di
essere un racconto, oggi si direbbe una narrazione, un po’ impressionistico, di
quanto si è svolto a Dublino, nei giorni 15-18 novembre, alla “Conferenza
internazionale contro le basi militari USA/NATO”. Per motivo di voli prenotati,
mi sono perso la seconda metà dell’ultimo giorno, quando hanno parlato altri delegati
italiani. Ne lascio in calce il riassunto che ci ha trasmesso Marinella
Correggia.
Mezzo secolo di passi
Per
tre giorni mi sono aggirato nelle sale della prima conferenza della Campagna
Globale contro le basi Usa/Nato e, negli intervalli, tra i palazzi neoclassici
irlandesi che hanno visto la gloriosa insurrezione di Pasqua del 1916, prodromo
alla liberazione dal colonialismo britannico, con appesa al collo la
targhetta-passi che diceva “International
Conference against US/NATO military bases”. A casa, poi, l’ho appesa al
braccio di una lampada, a fianco di un’altra dozzina di targhette simili che
riportano a eventi non dissimili, alcuni lontanissimi nel tempo: Congresso del
Popolo a Sabha, Libia, Convegno in Difesa dell’Umanità a Caracas, L’Avana tante
volte contro l’imperialismo, Belgrado, Hanoi, Kyoto, Gerusalemme, Khartum,
Asmara, Baghdad, Algeri per uno dei famosi Incontri Mondiali della Gioventù e
degli Studenti… Se rifletti su cosa ne è venuto allora, su come si stava a
fianco dei vari paesi in lotta, Vietnam, Iraq, Venezuela, Cuba, Palestina,
Serbia, qualunque ne fosse il governo, e a come siamo finiti oggi,
meticolosamente attenti a non comprometterci con chi risulterebbe non
politicamente, democraticamente, corretto, ti viene il magone. Ha vinto il
né-né nato tra Sarajevo e Porto Alegre, i celebrati Forum Sociali che
schizzavano Hugo Chavez. E dato che passi ha il significato sia di
lasciapassare che di passo al plurale, ecco che il passi di questa conferenza
potrebbe anche alludere ai passi fatti in questi anni. Tanti, perlopiù sul
posto.
Irlanda, una storia contro
Non
so, nell’Europa di Bruxelles (sede UE e, dunque, Nato), quale altro paese
avrebbe ospitato, con concorso di parlamentari, ministri e autorità
dell’intelletto, un incontro come questo, vigorosamente contro le potenze
dell’imperialismo, compresa quella accanto all’Isola di Smeraldo, contro la
loro dependance militare (non solo) UE, contro l’enorme menzognificio con il
quale queste forze della guerra e del dominio intossicano l’universo mondo. Trecento
delegati di oltre 35 paesi, dai più diversi angoli del mondo, e abbiamo
battezzato l’impresa proprio nel segno della rivoluzione irlandese (ahinoi non
compiuta, con il Nord tuttora ostaggio del colonialismo), in presidio davanti
al General Post Office, dove il patriota Tom Wolfe e il marxista James Connolly,
nel 1916, accesero la miccia della liberazione. Oggi davanti a questo monumento
della libertà, al posto della statua dell’ammiraglio Nelson, eretta dai
britannici e fatta saltare dall’IRA, si erge e penetra nel cielo un’infinita
cuspide d’acciaio, una specie di balzo della volontà verso l’impossibile…
Sussurri e grida
Al
netto degli inevitabili, sempre generosissimi, tipi un po’ particolari,
logorati dall’impegno di decenni per la Causa, vano ma irriducibile, degli
immancabili lanciatori di slogan desueti e di rabbiosissima foga retorica, a
spese di dati e contenuti, la conferenza ha registrato interessanti contributi,
inedita informazione, promettenti punti tematici da sviluppare tutti insieme.
Molteplici le partecipazioni di peso, individuali e di organizzazioni. Ne cito
quelle che mi sono sembrate le più significative: Consiglio Mondiale della
Pace, Alleanza per la pace e la neutralità (Irlanda), Coalizione contro le basi
militari Usa all’estero (USA), Codepink (USA), Congresso Canadese per la Pace,
International Action Center (USA), Okinawa Peace Action Center (Giappone),
Veterani per la Pace (USA), Comitato per la Pace (Turchia), Fronte Democratico
per la Pace e l’Uguaglianza (Palestina), WILFT, Lega Internazionale delle Donne
per la Pace e la Libertà, oltre a decine di altre realtà. Dell’impegnativa ed
eccellente organizzazione va dato merito a Bahman Azad, iraniano, rappresentante
del Consiglio Mondiale della Pace presso l’ONU, sobbarcatosi con esili forze in
una’impresa che, con tutti i chiaroscuri, resterà incisa nella storia dei
movimenti contro la guerra.
Della
trentina di interventi programmati, trascurando quelli, spesso anche più
stimolanti, dalla platea nelle sessioni plenarie per domande e risposte, cerco
di trarre i contenuti più significativi e condivisi. I nostri ospiti,
parlamentari e militanti irlandesi come Roger Cole, coordinatore dell’Alleanza
per la Pace e la Neutralità, e la
giovanissima deputata Clare Daly, esponenti di un popolo che ha alle
spalle una resistenza di 300 anni, ancora non vittoriosa per sei delle sue
contee, con una misura di sofferenze e atrocità delle peggiori inflitte al
mondo dal colonialismo-imperialismo anglosassone, hanno saputo trasmettere
un’idea e un sentimento di lotta che non cede al tempo e alle sconfitte.
L’apertura degli interventi è stata di Aleida Guevara. La figlia del Che ha
riproposto un messaggio antimperialista e internazionalista di una Cuba che a
molti, oggi, sembra più iconica che attuale. Gli irlandesi hanno insistito
sull’occupazione colonialista del Nord e su quella imperialista di Shannon,
fuoco delle loro lotte, aeroporto diventato negli anni un’enorme base di
transito Usa, dalla quale passano le migliaia di soldati e i rifornimenti per
le truppe di stanza in Europa.
Mi
sono parsi di particolare significato gli interventi del greco Tsavaridis, impegnato
sul meccanismo della UE quale strumento economico-giuridico di promozione della
Nato che oggi, in una Grecia resa inoffensiva dalla Troika, vanta più basi Nato
e israeliane in rapporto agli abitanti di qualunque altro paese; quelli dei
vari relatori latinoamericani, tutti concordi nel denunciare la controffensiva
continentale delle presidenze Obama e Trump all’avanzata dei movimenti e Stati
emancipatori. Controffensiva reazionaria attuata tramite strangolamenti
economici, colpi di Stato, minacce d’invasione e la massiccia penetrazione
delle Chiese evangeliche, missionari del colonialismo come lo furono quelli
cattolici nei secoli passati. Non poteva essere trascurata Guantanamo, da 115
anni base Usa e carcere della tortura per presunti terroristi nel corpo vivo di
Cuba. Da lì, come dalla Colombia delle 7 basi Usa nei confronti del Venezuela,
molti temono possa presto partire un’invasione.
Mal d’Africa
A
partire da un rappresentante del Congo, gli africani hanno illustrato il ruolo
di AFRICOM, il nuovo comando Usa che vanta sue presenze militari in ben 52
paesi sui 53 del continente. Rivelatrice l’informazione dataci sul genocidio
del Ruanda negli anni ‘90, passatoci come eliminazione dell’aristocrazia Tutsi
per mano degli Hutu, quando la verità dell’operazione, istigata dagli Usa, ci
dice il contrario. I Tutsi hanno poi invaso il Congo dando vita a una delle più
lunghe e spaventose guerre “civili” del continente, mirate a tenere il paese in
ginocchio a vantaggio delle multinazionali dei minerali, in ispecie del Coltan,
grazie al quale l’industria elettronica statunitense si è garantita ricchezze e
dominio senza precedenti.
Curiosamente
il sudafricano Matlhako, apprezzando come positiva la riconciliazione tra
Etiopia, paese infestato da basi Usa e israeliane, ed Eritrea, fino a ieri
unico paese del continente senza presidi militari stranieri, ha trascurato la
recente installazione ad Assab, città portuale eritrea, di una grande base
degli Emirati Arabi dalla quale parte l’aggressione allo Yemen, rendendo un
paese, già avamposto dell’antimperialismo, complice del genocidio yemenita di Usa-UK-Francia-Arabia
Saudita-UAE.
Del
resto, uno si sarebbe aspettato qualcosa di più anche sull’incandescente
focolaio di tensioni e appetiti che è l’intera regione del Corno d’Africa, con
al centro, sullo stretto di Bab el Mandeb, dal quale passano 25mila navi
all’anno e il 40% del petrolio mondiale, le basi militari di sette paesi,
compresa l’Italia, addensate nel minuscolo Gibuti. La Somalia in rivolta dei
Shabaab contro il regime fantoccio di Formajo, malamente garantito dalle forze
mercenarie dell’Unisom e dai bombardamenti, essenzialmente sui civili, degli
Usa; l’operazione Ocean Shields che,
col pretesto della lotta ai pirati, assicura alla Nato il controllo delle coste
africane e dell’Oceano Indiano, con relativi diritti di pesca ai danni dei
locali; e la drammatica questione delle acque del Nilo, disputate tra Etiopia, che
ne detiene il rubinetto grazie alle dighe dell’Impregilo, Sudan ed Egitto.
E’
il Corno, dopo la Siria e l’Afghanistan devastati dalle guerre imperiali,
l’area che fornisce il maggior numero di migranti diretti in Europa. Fenomeno
naturale o gigantesca operazione imperialista, con il concorso delle Ong,
mirata a privare il continente più ricco di risorse delle generazioni che
dovrebbero costruirlo e garantirne l’autodeterminazione, per far posto alle
predazioni multinazionali neoliberiste? Argomento nemmeno sfiorato.
La Libia? Roba passata
Al
delegato africano, Marinella Correggia di NO War e del sito “sibialiria”, ha
posto la questione, assurdamente trascurata, della guerra e della distruzione
della Libia. Nella risposta è stato perlomeno riconosciuto come le menzogne con
cui si è giustificata l’aggressione oscuravano la necessità, per i colonialisti,
di impedire la valuta unica, fuori dal dollaro e dal CFA francese, programmata
da Gheddafi per l’Africa, nonché una guerra condotta tramite mercenari
reclutati dal terrorismo jihadista. Pochi accenni. Comunque, alla Libia e a
Marinella è andata meglio che alla Siria e a me, come vedremo.
L’armata della Diarchia
Merkel-Macron
Visto
che la spesa di 6 trilioni di dollari con la quale gli Usa, con i serventi al
pezzo Nato, hanno alimentato le guerre bushiane, obamiane e trumpiane, grazie
al pretesto dell’11 settembre 2001, e hanno sostenuto un’economia fondata sul
complesso militar-industriale, non offre sufficienti margini di profitto agli
europei, ecco che l’euro-biarchia Merkel-Macron ha lanciato la proposta di una
forza armata tutta europea, separata dalla Nato, ma, dati i rapporti di forza
per i prossimi decenni, a essa inevitabilmente subordinata. Il tema è stato
affrontato da molti relatori, al punto da diventare centrale per le
mobilitazioni programmate, in particolare quella di Ramstein, la più grande
base Usa in Germania, per il 2019. Nello stesso anno, il 4 aprile, 70 anni
dalla fondazione della Nato, si conta di allestire una grande manifestazione
internazionale a Washington, auspicabilmente con ricadute anche nei singoli
paesi e al quartiere generale Nato di Bruxelles.
E’
stato notato come si debba con urgenza aprire un altro fronte, quello contro
l’abbandono da parte di Washington del trattato INF. Accordo sul bando dei
missili nucleari a medio raggio contro i quali a suo tempo ci facemmo rompere
le teste dalla polizia quando li cacciammo da Comiso e che Trump vorrebbe
installare nuovamente in Europa, come sempre “contro la minaccia russa”, ma
anche per ribadire, di fronte alle tentazioni autonomiste di Merkel e Macron,
che il dito sul grilletto resta quello a stelle e strisce.
Ho
avuto due occasioni per intervenire. L’una, programmata, dal palco, la seconda
dalla platea dopo gli interventi sulla Palestina, la terza negata dalla
moderatrice afroamericana che non aveva gradito la mia precedente contestazione
ai dimentichini relatori sulla Palestina. Avrebbe dovuto occuparsi dell’Africa,
della Libia taciuta. Ci ha pensato Marinella.
E l’Italia…Itachè?
Ho
titolato questo pezzo “conferenza col buco”. Un buco e alcune voragini, per la
verità. Il buco era, nella giusta attenzione al riarmo e all’avanzata del
militarismo in Europa, Africa, America Latina, la totale disattenzione al
Mediterraneo dove un’Italia, dal ruolo strategico incredibilmente sottovalutato,
ospita, per ragioni di colossale portata strategica, un decimo delle circa
mille basi Usa sparse sul globo. Il mio tentativo di rimediare, in circa 13
minuti, a questa svista condivisa da tutti, in tutti ha infatti suscitato
stupore e interesse all’approfondimento. Nulla sapevano delle quasi 100 basi
Usa/Nato, alcune segrete perfino al parlamento, tra Aviano e Sigonella,
passando per Ghedi, le 60-90 bombe atomiche B61, Vicenza Dal Molin, Camp Darby,
i comandi Usa e alleati di Napoli, la 6. Flotta a Gaeta, la Sardegna martoriata
dai poligoni utilizzati per esercitazioni a fuoco e esperimenti delle industrie di esplosivi di tutti i paesi
Nato e Israele. Nulla parevano ricordare di come queste basi fossero state
decisive per lo smantellamento della Jugoslavia, la distruzione della Serbia, i
bombardamenti di Libia e Siria, la proiezione militare da Sigonella con droni e
forze speciali in Africa e Medioriente. Nulla sapevano del MUOS a Niscemi che, con
altre tre stazioni satellitari, controlla, coordina e muove la forze Usa in
tutto il mondo. E neanche sapevano delle straordinarie lotte condotte,
nell’isolamento nazionale quasi totale, dai siciliani, dai sardi e dai
vicentini, contro questa manomissione dei loro territori e l’uso che se ne fa
per obiettivi di devastazione e morte.
Tanto
meno avevano cognizione della filiazione Nato “Stay Behind”, da noi “Gladio”,
garante del ruolo sussidiario dell’Italia anche nel suo ruolo di laboratorio
del terrorismo e delle relative stragi ogni qual volta la rotta della
“portaerei” ancorata nel Mediterraneo minacciava di deviare dal corso
assegnato, sia per instabilità interne, sia per sbilanciamenti di governo (vedi
Aldo Moro).
Le
voragini cognitive, appresso a quelle che hanno inghiottito Russia e Cina,
nazioni che pure dovrebbero essere oggettivi e inevitabili referenti della
campagna, che si vuole globale,nel contrasto ai guerrafondai e alle basi che
questi paesi accerchiano, riguardano la cronica e apparentemente insuperabile
questione dei diritti umani e della democrazia nella formulazione con la quale
ce li vendono coloro che ne sono i massimi violatori e che è tragicamente
condivisa da una sinistra pacifista tale solo nelle intenzioni. Immaginiamo una cittadella medievale. In
alto la fortezza cui spetta ospitare i difensori della comunità, tutt’intorno
le case dei cittadini. Arriva l’esercito nemico e attacca la fortezza che
custodisce le ricchezze della comunità. I difensori si affannano a creare
ostacoli all’avanzata nemica, trincee e fossi davanti alle mura, spingarde e
olio bollente sugli spalti, ponti levatoi sollevati, porte rinforzate. Chiedono
agli abitanti delle case di accorrere in aiuto, per propria difesa e per
rafforzare la resistenza. Ma questi indugiano, restano alle loro finestre, da
dove lanciano rimproveri, riprovazioni, deplorazioni, reprimende, fin anatemi
contro l’esercito attaccante. Cui non gliene cale per nulla. E le porte della
fortezza stanno per cedere.
Siria, non aprite quella
porta
Sessione
sul Medioriente che finisce con l’essere sessione sulla sola Palestina. Dopo
una serie di lunghi interventi sulla tragedia palestinese, iniziati con il
“focolare ebreo” di Balfour in Palestina e arrivati agli accordi fasulli di Oslo e stragi e sevizie odierne,
tema ormai del tutto sdoganato in tutti i settori e, dunque, per quanto da
sostenere sempre, universalmente condiviso, se si prescinde dallo “Stato degli
ebrei” e relativa lobby, ho potuto chiedere ai relatori, un irlandese, Medea
Benjamin di Codepink, una parlamentare del Knesset e un emigrato palestinese,
cosa ci potessero dire della guerra alla Siria, all’Iraq, delle minacce di
guerra all’Iran. Alla domanda è seguito uno sparuto applauso. La risposta si è
dipanata tra espressioni di pietra, attimi di sospensione e imbarazzo, con i
due palestinesi che si guardavano tra loro con aria interrogativa , la già
effervescente Medea della fervida solidarietà agli oppressi palestinesi (ma anche
reduce da cantonate su Aleppo ed Elmetti Bianchi) come rintanata in se stessa.
Finalmente l’irlandese acciuffa il silenzio per la coda e prorompe in un inno
ai diritti umani, alla democrazia, alla società civile, con sonoro sottinteso
che di tali valori non è certamente portatore il presidente siriano Assad e,
per la proprietà transitiva, neanche Milosevic, Chavez, Saddam e Gheddafi: “Noi stiamo con i movimenti di massa, non con
leader autoritari”…conclude a
petto in fuori, trascurando che alle ultime elezioni, accreditate corrette
dagli osservatori Onu, l’80% dei siriani aveva votato per Bashar el Assad.
Inezie.
Ormai
privato del microfono, gli grido “Gli
israeliani, di cui denunciavi le atrocità su Gaza, bombardano pure la Siria un
giorno sì e l’altro pure e Nato/Usa ne occupano un terzo! Perché non ne parli?
Non è Medioriente? Non è guerra imperialista?”. L’espressione
dell’irlandese è implicita nel colorito carminio e nello sguardo a dardi:
“Sciò, via, come ti permetti?”. Ma sul palco già si parla d’altro, mentre
nell’aria aleggia il ricordo di una vecchia sciagura: “Ne con la Nato, né con Milosevic”. E s’è visto come è andata.
Egemonia e paralisi
Più
tardi l’iraniano del Consiglio Mondiale della Pace, l’ottimo Bahman, e il greco Hiraklis mi offrono comprensione e
sofferte attenuanti: “Se si apre quella
porta, succede il finimondo e l’unità va in pezzi”. L’egemonia ce l’hanno
ancora i né-né e il rischio di mandare tutto, quel poco che c’è, in frantumi la rafforza. Una combattente di
antica data contro le guerre, Gina Nellatempo, ha lamentato in un suo scritto
la dissoluzione di ogni vera, forte, mobilitazione contro la guerra. Tra le
cause che ha dimenticato di elencare
credo sia prominente la nostra incapacità di sostituire, a quella del né-né,
l’egemonia dello schieramento, chiara e inequivocabile, dalla parte
dell’aggredito, chiunque esso sia, non pretendendo, una po’ razzisticamente, di
imporre moduli di società da noi pretesi superiori. Il carnefice essendo sempre
quello. Il peggiore di tutti. Aleida Guevara ha avuto l’astuta improntitudine
di chiedere alla platea chi avesse meno di trent’anni. Si levarono quattro
mani. I detentori di quelle mani vennero da Marinella e me, nell’intervallo, a
dirci che su Siria e Libia stavano con noi e che sorvolare su Siria, Libia e
altri paesi, prima ancora che di opportunismo, di ottusità eurocentrica e
perciò inconsapevolmente colonialista, è segno di nebbia morale.
Il comunicato
finale della Conferenza dice tra l’altro: “Consideriamo
che le circa 1000 basi USA/NATO dislocate nel mondo e che costituiscono i
pilastri del dominio imperialista globale di Usa, Nato e UE e la principale
minaccia alla pace e all’umanità, debbano essere tutte chiuse. Le basi Nato
sono l’espressione militare degli interventi nelle vite di paesi sovrani, al
servizio degli interessi finanziari, politici ed economici dominanti e in
chiara violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite”.
E’
stata una buona conferenza, a dispetto di certi “buchi”. La voce contro la
macchina di distruzione e morte è stata levata forte e chiarissima. Le scadenze
future dovrebbero vederci crescere. Ed è stato per molti di noi un vero e
proprio sollievo, dopo tanto agitar di femminismo, populismo, razzismo,
xenofobia, LGBTQ, patriarcato, violenza maschile, diritti umani, matrimoni e
adozioni gay e altri depistaggi, muoverci in un vento che portava parole antiche
e giovani come non mai: imperialismo, basi, Nato, militarismo, resistenza,
lotta, crimini di guerra, multinazionali, capitalismo, sovranità,
internazionalismo, popoli, élites, plutocrazia, ricchi e poveri, dominanti e
dominati. Perfino rivoluzione.
Da Marinella Correggia
1) intervento di Fulvio sulle basi militari,
2) la delegazione del Comitato No guerra No Nato ha
proiettato il video sempre sulle basi militari e sul ruolo vergognoso
dell'Italia a codazzo Usa, ed è intervenuta in plenaria
3) la Wilfp con Giovanna Pagani ha insistito nella
riunione fra gli europei sulla necessità di coinvolgere gli ambientalisti
stabilendo il netto ecopax (e sono
d'accordissimo dal...1991, soprattutto quanto alla faccenda clima e
guerre)
4) Presente in rappresentanza del Comitato contro la
guerra di Milano, Giampiero Tartabini ha
lanciato a titolo personale l'idea che, come a Okinawa, la presenza delle basi
sia sottoposta a referendum
5) Giovanna Vitrano che ora vive a Dublino ma ha
lavorato con i No Muos ha parlato appunto della lotta in Sicilia e anche dei
vari arresti e vessazioni che ha subito
6) la sottoscritta ha ricordato brevemente (fingendo
di fare una domanda... era il momento delle questions&answers, non ce
n'erano altri!) il punto di svolta della guerra Nato alla Libia, e durante i
sette mesi di bombe il silenzio del movimento per la pace (compresi credo
la grande maggioranza dei 300 presenti, salvo negli Usa) e il ruolo egregio dei
paesi dell'Alba, un vero riferimento.
Questo solo sulla presenza italiana
Ovviamente chi era presente potrà dire meglio di me
Triste constatare che la scena dei movimenti più o meno alternativi sia dominata dall'ideologia del "democratically correct". Conseguenza, nessuna solidarietà con gli aggrediti ed i bombardati se i loro leader non sono riconosciuti "giusti, rispettosi rispettino i diritti delle donne (come interpretati dal posrtfemminismo), e che aprano ai mercati (quelli giusti, si intende)". Chissà se potevano dare solidarietà alla resistenza vietnamita nella guerra di liberazione ed alla resistenza italiana nella seconda guerra mondiale, ma qui hanno già da tempo diviso la "resistenza buona" da quella "meno buona"...In pratica con questi criteri e' anche più comodo, la solidarietà non si fa appoggiando gli aggrediti, ma solo dando loror la borsa del ghiaccio e la pomata dopo la bastonata...
RispondiEliminaGrazie.
RispondiEliminagrazie al dott. Grimaldi per averci rappresentato ed aver offerto quello che è anche il mio saldissimo punto di vista. Mi piace in questa occasione salutare e complimentarmi con Alex di cui leggo con molto interesse i commenti in questo blog, anche con lui condivido analisi e spunti.
RispondiEliminaSaluti
@Fred
RispondiEliminaGrazie, ricambio i saluti ma non esageriamo con i complimenti, possiamo tutti sbagliare in questo periodo storico dove le situazioni politiche e sociali sono complicate. E' uno dei pochi siti con ottimi spunti di analisi e riflessioni portate da uno che il mondo lo ha girato da 50 anni, dove ci si puo' confrontare liberamente anche senza essere necessariamente d'accordo, ma senza la presenza di soggetti che "disturbano" con sfotto' ed attacchi personali come avviene, ad esempio su Youtube e Facebook.
A proposito della sinistra "democratically correct" ecco uno dei suoi massimi artefici internazionali (vi ricordate la "Lista Tsipras", comparsa e sparita nell'arco di un anno, come peraltro la "Lista Ingroia"?) che consiglia di "Cedere subito alla UE, perche' senno' poi e peggio". Ma non ci bastavano i "nostri" Mostri politici Monti, Draghi, Cottarelli (quello che va da Fazio a spiegarci tutto senza alcun contraddittorio?)
RispondiEliminahttps://www.corriere.it/economia/18_novembre_24/consiglio-tsipras-all-italia-cedete-subito-poi-sara-peggio-a40b6d08-f02d-11e8-bbf1-7b061d972f8e.shtml
@alex,
RispondiEliminagrazie in questo caso mi basta il tuo commento, non leggerò, e con piacere, dal link che hai gentilmente offerto, da molto tempo rinuncio volentieri anzi boicotto totalmente certa stampa, tv, autori, registi, e cosi via. Non me ne faccio un vanto è soltanto la mia personalissima e piccola rivolta. Ci sono molte altre maniere di tenersi informati.
Per esempio in questo blog!
Grazie
Saluti
Tornavo al tema dell'informazione, dal post precedente. Volevo portare come esempio come anche in fatti di cronaca locale e non solo in politica certi pregiudizi vengono alimentati.
RispondiEliminaEcco come il corriere parla di un incidente stradale:
"Secondo quanto si è appreso successivamente, i feriti sono due romeni di 18 e 19 anni e un 50enne bulgaro. L’auto non è risultata rubata ed era intestata a uno dei giovani romeni. "
Quindi si riporta come notizia che l'auto dove viaggiavano i due romeni (potevano chiamarli almeno "giovani romeni" no?)ed un bulgaro NON RISULTAVA RUBATA. Avrebbero mai precisato questo su l'auto fosse stata guidata da un imprenditore milanese?
Segnalo!
RispondiEliminaForse non eri più presente quando hanno parlato i rapresentanti del gruppo No Nato No Guerre?
Il Comitato No Guerra No Nato alla Prima Conferenza Internazionale Contro le Basi Militari USA/NATOhttps://www.youtube.com/watch?time_continue=397&v=rll7FRLLY-A
Non c'ero,ma ho pubblicato la notizia data da Marinella.
RispondiElimina