“L’arresto di Julian
Assange, il dissidente che ha segnato a livello planetario un’epoca nuova nella
tensione fra lo scrutinio democratico delle decisioni dei poteri di governo e
la Ragion di Stato, pone un problema drammatico alla coscienza politica di
tutto l’Occidente”. (I parlamentari del Movimento 5 Stelle)
Un giornalista. Vero.
Dopo
un accusa svedese di molestie sessuali, mossa da due collaboratrici Cia e poi
archiviata, sul modello Brizzi e Argento; dopo sette anni di reclusione
nell’ambasciata londinese dell’Ecuador, prima da rifugiato, grazie a un
presidente ecuadoriano perbene, Correa, e, poi, da ostaggio e prigioniero, per
servilismo agli Usa di un presidente fellone, Moreno, Julian Assange, eroe e
martire della libertà d’informazione, è stato arrestato da Scotland Yard. Lo
aspetta l’estradizione negli Usa e un processo in base ad accuse segrete, formulate
da un Gran Giurì segreto, che prospettano la condanna a morte.
Per
essersi rifiutata di testimoniare contro Assange davanti al Gran Giurì segreto,
Chelsea Manning, che fornì a Wikileaks i documenti attestanti i crimini di
guerra e contro l’umanità commessi dagli Usa in Iraq e Afghanistan e si è fatta
7 anni di carcere, è stata di nuovo imprigionata e posta in isolamento. Assange e Manning sono i disvelatori e comunicatori
di ciò che il potere fa di nascosto e ai danni dell’umanità. Sono ciò che
dovrebbero essere i giornalisti e che nell’era della globalizzazione, cioè
della presa di possesso di tutto, non esiste più. Salvo in qualche angolo della
rete.
Gli
unici, tra giornalisti e politici che hanno avuto la primordiale decenza di
marchiare a fuoco la persecuzione di Assange, senza se e senza ma, sono stati i
5 Stelle, con Di Battista, Di Manlio, Morra. I migliori. Grazie e onore a loro.
Come va? Da noi tutto bene.
Il
giornalismo italiano è approssimativo, sgrammaticato, forbito, pomposo,
demagogico, disonesto, ipocrita, falsario, mistificatore, manipolatore,
incompetente, protervo, pedestre, fazioso, ottuso, pedestremente bugiardo.
Esibisce prosopopea e campa di servilismo. Un’ informazione corretta equivale a
infliggere torto e offesa ai rispettivi padroni-editori, a loro volta obbligati
nei confronti di padroni più grossi. Il sindacato, FNSI, e l’Ordine lo
difendono con kermesse e piazzate dalle critiche. Non ne hanno mai pizzicarto
uno per aver detto che Gheddafi imbottiva di Viagra i suoi soldati per agevolarne
gli stupri, o che Milosevic pratica la pulizia etnica.
Il
giornalismo Usa, trainato e sedotto dalle quattro corazzate Washington Post,
New York Times, CNN e Fox, tutti in mano a miliardari, è anche peggio. Quello europeo,
più esperto e furbo, cerca di galleggiare, inserendo nelle bordate di falsità
all’uranio qualche mortaretto di verità. Per me, il peggio di questo
giornalismo è quello che si nasconde sotto mentite spoglie e di conseguenza
inganna il lettore inconsapevole, rifilandogli “verità” imperiali con la griffe
di ”opposizione”.
Se
la Federazione Nazionale della Stampa e l’Ordine Nazionale dei Giornalisti
fossero quello che la loro denominazione afferma, avendo con tanto forza deprecato,
perseguito, condannato, le intemperanze di alcuni 5 Stelle che consideravano
certi organi e giornalisti né imparziali, né corretti, oggi come oggi
dovrebbero impegnarsi per un caso che rappresenta simbolicamente la fine della
libertà d’informazione. Non lo faranno.
Media monopolaristici: qualche caso
Limitiamoci a pochi punti. Quello
che balza agli occhi nell’immediato e non ha bisogno di alcun esame epidittico
è un lavoro sulla componente gialla di questo governo talmente di squadra, che neanche il Real
Madrid. Passate dal Corriere a Repubblica, dal manifesto alle beghine del TG3,
da Floris a Formigli a Zoro, dall’Osservatore Romano all’Osservatore della Val
Brembana e ne uscirete frastornati e assordati dalle mazzate inferte a Di Maio
& Co. Come resterete abbagliati dalle passarelle offerte ai promotori dello
svuotamento del Sud del mondo a scopo di rapina, chiamato “fenomeno migratorio”.
E’ il mandato assegnato agli editori di riferimento della globalizzazione.
Il generale Haftar, dopo avere guadagnato
il controllo e l’appoggio di quattro quinti della Libia nel nome della sua
riunificazione, assedia Tripoli e Misurata, covi di integralisti islamici che,
come in Siria e Iraq, rispondono ai quartieri generali geopolitici
dell’Occidente e a capo dei quali è stato inventato un premier non legittimato
da nessun voto popolare (diversamente da quello di Tobruq del quale è
espressione Haftar). Haftar promette di spazzare via i jihadisti che da otto
anni insanguinano il caos libico e, con loro. i campi di migranti che
gestiscono e su cui tanto raccapriccio cala tutta la nostra stampa all’apparire
di ogni barcone in presunto naufragio? . Ebbene, quali sono per i nostri MSM (Main Stream Media, giornaloni e
televisionone) i buoni e i cattivi? A dispetto dei torturati, stuprati, uccisi
nei lager, sui quali tanta tratta di schiavi e mafiosi era stata imbastita?.
Avevate dubbi? Meglio tenersi i lager
che far vincere uno che passa i fine settimana a Mosca.
Il “fenomeno epocale migrazioni”,
viene ora definito inarrestabile perfino da Beppe Grillo. Tra papa che, a
proposito di mafia nigeriana, scarica su noi
- “La mafia è roba nostra” –
la colpa che nell’Italia delle tre mafie storiche, più la quarta
politico-economica, sia sbarcata, via gommoni e Ong, una quarta, e demagoghi dei porti chiusi, ci si divide solo su un
punto: parlarne o non parlarne. Se gli organi leghisti ne seminano il terrore, “il
manifesto” non sa nemmeno che una mafia
nera c’è. Dove invece, da quelli dei porti chiusi a quelli di Mimmo Lucano, ci
si ritrova concordi e compatti è l’assoluto silenzio sulla matrice del
fenomeno. Fenomeno naturale quanto le frane dai declivi disboscati. Tre miei
dvd gratis a colui che mi scopre, ovviamente nel monopolarismo del sistema
mediatico nostrano (in rete è facile), un’inchiesta
di giornalone su come dall’Africa, fino al nuovo colonialismo, non arrivasse
nessuno, anzi, tutti si battessero a
casa loro per la liberazione da britannici e francesi, e che solo ora,
ripresentatisi missionari, Ong e manager multinazionali e impostosi, grazie
alla crisi, un riesame del costo del lavoro, fossero partiti i barconi.
Russiagate: russi sotto il letto e Cia a capotavola. Fino
all’obliterazione nucleare.
Tutto questo si può perfino definire
una compagna di sbrindellati e sgangherati, rispetto alla falange d’acciaio
mediatico-politica che si è formata a
sostegno della crociata anti-Putin del Russiagate e del suo alfiere, il
procuratore Robert Mueller. Per quasi tre anni inarrestabile macchina del fumo,
l’ex-Marine volontario in Vietnam, ex-direttore dell’FBI, era sostenuto
nell’impresa da quello che chiamano Stato Profondo, invisibile, ma decisivo,
tutti ex-FBI o Cia, la crème de la crème della
Nazione Eccezionale, quella che governa davvero e rimuove chi non ci sta. Da
Kennedy a Nixon a, tentativo fallito, Trump. Che poi è la stessa che s’è
inventata la pulizia etnica di Milosevic, le armi di distruzione di massa di
Saddam, i piloti sauditi contro le Torri Gemelle e, appunto, il Golem Russia.
Per oltre due anni i garzoni di
bottega dell’informazione anglo-sassone, si sono rappresentati e profondamente
sentiti l’armata di giannizzeri del sultano Mueller. E anche da noi il
Russiagate era bibbia, codice d’onore, sfrenata passione. Non ha sgarrato
nessuno. Mancava ogni minima prova o evidenza che Hillary Clinton fosse stata
sabotata, non dalle proprie, diciamo, improprietà affaristiche, consociative,
guerresche, golpiste, bensì dalla collusione tra Putin e il suo burattino a
stelle e strisce. C’era solo un dossier di stronzate, redatto dalla spia britannica
Christopher Steele, pagato con fondi del Partito Democratico e da Mueller e svaporato nel nulla appena Mueller ha aperto
la cartella.
Altro che buco nero!
Rasentando un surrealismo sublime,
lo Stato, che non aveva mancato di interferire in ogni processo politico, in
ogni elezione, in ogni economia, in ogni perversione culturale dal 1945 a
stamattina, accusava i russi di essersi piazzati negli armadi e sotto il letto di
Trump. Non solo, di tutti i suoi sostenitori, di tutti i governanti devianti,
di tutti i cittadini inosservanti. Obiettivo: l’impeachment, la cacciata
dell’imprevisto, incalcolato, mai visto al Circolo della Caccia. Magnifico
assist, oltre a tutto, per scaricare sui maneggi e intrighi russi ogni fatto e
vicenda non consoni alle aspettative dei regnanti in Occidente: dai Gilet
Gialli, ai vittoriosi nel nostro referendum, da Salvini a Di Maio, dagli
Skipral, avvelenati col Novichok (prodotto, peraltro, nel vicino stabilimento
UK di Porton Down), alla Brexit, al morbillo e alla zanzara Tigre.
Milioni di articoli, tonnellate di
inchiostro, milioni di chilometri di nastro, vignette a strafottere, per
costruire un Orso Russo così mostruoso e Kolossal da meritarsi una gragnuola nucleare
in testa. Senza di che, appunto, non sarebbe stato possibile convincere la
gente che piuttosto di essere divorati da quell’orso, sarebbe stato meglio
farsi incenerire dalle atomiche dei giusti. Che poi era l’obiettivo ultimo di
tutto il can can.
Il rapporto con cui un pur
volenteroso Mueller ha dovuto comunicare al ministro della Giustizia William
Barr e al resto del mondo che tutto questo era stata una gigantesca fola,
burla, frode, presa per il culo, minchiata, che non c’era la minima prova che i
russi abbiano interferito nelle elezioni per favorire Trump (oltretutto
spasmodicamente illogico, vista la qualità del soggetto) e che Trump non ha mai
ostacolato la Giustizia, sta all’Everest di panna al cianuro costruito dai
media, come il testè scoperto buco nero sta a inferno e paradiso, come
rifilatici da precedenti persuasori manifesti.
Si tratta sicuramente del più grande
flop, fiasco, smacco mai inflittosi da
una così sconfinata platea di frodatori. E del più grave insulto, inganno,
imbroglio, circonvenzione, impostura, abbaglio inflitto a noi, disarmati
utenti. La conclusione è univoca e inesorabile: questa gente, questo apparato,
questo moloch d’Occidente, non ha più e non avrà più alcuna credibilità. Né su
questo, né su alcun’altra nefandezza propagandistica e mistificatoria che
vorranno servire ai loro manovratori.
Ingannati miliardi, rasentato la guerra totale? Non è
successo niente.
Protervia e mancanza di alternativa
(se non in rete, gli dei ce la salvino perché i demoni le daranno addosso, ora
più che mai) gli permettono di nemmeno scusarsi con i miliardi di esseri umani
che hanno turlupinato e agganciato al carro della guerra alla Russia. Non
provano nemmeno a commettere un gesto di resipiscenza. Anzi. Del resto dov’ è
la Procura che si azzarda a ipotizzare una sfilza di reati, tipo frode, falsa
testimonianza, abuso di credulità, circonvenzione di incapace, falso in atto
pubblico, concussione, corruzione, incitamento all’odio … per quanto grossi e
operativi come squali? Una parte, quella degli ignavi, se ne sta zitta, facendo
finta di niente. Non ne parla. Non è successo niente.
Un’altra si trasforma da vipera
pestata in free-climber sugli specchi. E’ il caso, per esempio, di Guido
Caldiron, firma della Comunità nel “manifesto”, che, fin dai suoi fasti in
“liberazione”, si prodigava senza macchia e paura per qualsivoglia primavera di
velluto che a Soros piacesse, in particolare quelle gradite a Israele. E se i
media statunitensi si arrabattano tra richieste a Barr di rendere noto tutto il
rapporto Mueller, che sicuramente qualcosa di russo ci si trova, e la ricerca
di altre porcate di Trump, il nostro segugio si salva con la “Russia connection” che unirebbe tutta la
destra, con Putin che, perso Trump, ora se la spassa sul lettone con le camicie
brune e nere di tutta Europa. Come no, lo sospettano anche “Liberation”, “Le
Monde”, la BBC. Gli stessi sinistri vedovi del Russiagate.
Sgonfiato il Russiagate, pompiamo il Cinagate, consoliamoci
con le nuove “primavere arabe”
Altri ancora, cambiano bersaglio e,
nell’impudenza come marchio deontologico, trovano altri servi encomi e codarde ingiurie da praticare: migranti,
Libia e, soprattutto, Cina, come ora vogliono il Pentagono e l’Intelligence.
Tanto che, subito, la presunta alternativa di “manifesto “ e “Fatto Quotidiano”
s’è impegnata nel fresco di giornata “Cinagate”: una campagna che descrive quel paese come poco meno di un
orrendo campo di concentramento dove si sorveglia, controlla e punisce perfino
il respiro che non esca dritto dalla bocca formulando la scritta Xi Jinping.
Descrizione che ovviamente fa da antidoto alla buona impressione di progresso,
comunicazione, pace, che qualcuno ha potuto illudersi che fosse la nuova Via
della Seta.
Primeggiano nella luce dell’informazione
di servizio i depistatori che si gettano sulle “primavere arabe” dei paesi ostici
da normalizzare: Sudan e Algeria. E qui grande è la delusione per il fatto che non
tutto del classico programma Soros-Cia abbia funzionato, dato che i militari hanno
sventato l’auspicata Maidan arabo-africana. Se ne rammaricano i media del
colonialismo – “manifesto”, “Fatto quotidiano”, Tg, tutti – che già a suo tempo
avevano operato per tagliare al Sudan il Sud petrolifero (Usa, Israele,
Vaticano) e che poi avevano fatto passare una disputa per l’acqua tra
agricoltori e allevatori del Darfur, altro pezzo da amputare al Sudan, come
spietata caccia all’uomo dei governativi “diavoli a cavallo”, i “janjawid”. Li ritrovate tutti quanti a
fianco dei “ribelli” siriani, mentre fanno finta che tra questi e quelli che
bruciano o scorticano vivi civili e soldati, ci sia differenza.
Il contrapasso
Il ministro della Giustizia Barr
annuncia un’inchiesta, non più sulle mene anti-Usa di Mosca, ma proprio su quelle
anti-Mosca del Russiagate. Indagate alcune delle più pregiate agenzie di
sicurezza e spionaggio americane. A partire dall’FBI e dalla Cia, nel suo prestigioso ex-capo,
nemico mortale di Trump, John Brennan. Sembra il contrappasso di Dante. Chissà
che non gli venga voglia, visto che gli Usa rivendicano una giurisdizione su
tutto il globo, di inquisire e inchiodare anche un po’ di fake giornalisti
autori della fake news più grossa del secolo? Non ci opporremmo, visto che
dalla Procura di Roma, se non c’è di mezzo Virginia Raggi, poco c’è da
aspettarsi.
Assange: colpita al cuore la libertà. Non solo di stampa
Infame e segno di arbitrio assoluto
e di totale disprezzo del diritto e della democrazia sono l’arresto di Julian
Assange e il rientro nel carcere, e addirittura in isolamento, di Chelsea (Bradley,
quando era uomo) Manning. Chelsea, imprigionata per aver avuto la dignità e il
coraggio di non testimoniare contro Assange davanti a una di quelle mostruosità
giuridiche che sono i Gran Giurì segreti, veri tribunali speciali, è l’ex-analista
dei servizi del Pentagono che a Wikileaks ha fornito molti dei dati che
rivelano e denunciano i crimini contro l’umanità e di guerra delle truppe Nato
e Usa nei vari teatri di guerra, come anche gli intrighi e i complotti e le
operazioni terroristiche tessuti con governi complici a danni della pace, della
legge, dei dissidenti. Un quadro raccapricciante basato su centinaia di
migliaia di messaggi riservati passati tra governo Usa e sue ambasciate e
governi alleati. Niente di sorprendente per chi ha presente quanto le
operazioni segrete Usa, con Gladio, Stay Behind, mafia, terrorismo neofascista
e rosso, hanno fatto in Italia e in altri paesi.
Assange, una di quelle gole profonde
(whistleblower), come Edward Snowden
che ci ha rivelato come la NSA spiasse l’universo mondo, di cui tanto avremmo
bisogno per infrangere occultamenti e inganni di regime e mediatici, viene non
per caso stigmatizzato con particolare livore da coloro che coltivano il seme
del tradimento e la proliferazione degli amici del giaguaro. In Europa
eccellano giornali quinte colonne come il “manifesto”, “Liberation”, “Le Monde”
e “The Guardian”, che è arrivato, poi costretto a ritrattare e a scusarsi, a
inventare una visita di Paul Manaford, responsabile della campagna
presidenziale di Trump, ad Assange, nell’ambasciata, per concordare con lui
lanci di fango contro Hillary.
Ho incontrato Rafael Correa prima a
Quito, alla vigilia della sua vittoria per la presidenza sull’onda della “revolucion ciudadana” che liberò il
paese dai manutengoli degli Usa e la fece entrare nel consesso antimperialista
dell’A.L.B.A. e, poi, a Roma, dove fece tappa per un tour di denuncia del
cambio di rotta operato da Lenin Moreno e dei rischi ora corsi da Assange. Mi
disse che Washington, i servizi americani, non avrebbero mollato l’osso e che
occorreva con la massima urgenza una mobilitazione del giornalismo onesto e
libero e dei cittadini che lo consideravano essenziale alla democrazia per
salvare uno dei più validi assertori del diritto alla conoscenza di ciò che
fanno i governanti. Scrissi qualcosa, mi guardai in giro, non si sentiva volare
una mosca. Né, tanto meno, una parola in difesa di Assange. La FNSI sparava ipocrito sdegno contro chi, nel mondo
politico, osava criticare l’irreprensibile professione. Amnesty, HRW e gli altri umanitari non
assumono “prigionieri di coscienza” catturati dagli amici.
Oggi i poteri che mirano a stringere
il mondo intero nella loro morsa a forza di menzogne, soffocamento, terrorismo
e guerre, hanno trovato chi sacrificare al dio Mammone. Uno che gli ha dato
davvero fastidio. Quanto resiste, a fatica, del giornalismo mondiale, da anni leva
la sua voce in difesa di Wikileaks e del suo fondatore. Presidi e
manifestazioni si sono tenuti ovunque. Non da noi. E cosa fanno i colleghi i
italiani di Assange e Manning? Quando non sputano, guardano dall’altra parte. E
mai nello specchio.
Concludo con queste parole di
Alessandro Di Battista: “Il governo
italiano ha il dovere di mettere in campo ogni iniziativa possibile a sostegno
di Assange e di Wikileaks, un’organizzazione alla quale tutti quanti dobbiamo
moltissimo. Se lo farà, bene, altrimenti non ci sarà alcuna differenza con gli
scendiletto degli americani che ci hanno governato negli ultimi trent’anni.
Costoro non sono giornalisti, ma sicari
della libertà d’informazione. Volete sapere chi sono? Volete i loro nomi e
cognomi? Sono tutti coloro che non difendono un patriota dell’umanità come
Assange”.
Più che commentare voglio ringraziarla per leggere almeno qualcosa di alternativo rispetto al solito monotono, unificato e scontato giornalismo. Di nuovo grazie.
RispondiEliminaOnore ad Snowden, Assange, Manning martiri dell'imperialismo assieme ai grandi leader come Gheddafi e Milosevic.
RispondiEliminaIn Sudan, intanto, dopo aver esaltato i militari ora i media li attaccano per non aver estradato Omar Al Bashir ai boia dell'Aja che lo aspettano con la forca già pronta.
Piccola digressione calcistica: ho scoperto che da alcuni anni le vecchie federazioni dell'Est Europa stanno cercando di rimettere in piedi i vecchi campionati Sovietico, Yugoslavo e Cecoslovacco. Sarà la nostalgia delle vecchie rivalità, la voglia di competere con avversari più forti (deve essere seccante per la Dinamo Zagabria vincere ogni anno il campionato con solo due squadre come avversari di livello) o la frustrazione di vedere i propri talenti giocare nelle grandi squadre estere (le varie nazionali serba, croata, russa, ucraina ecc. hanno pochissimi, a volte nessun calciatore che gioca in patria), ma quando si toccano questi temi le federazioni nazionali non sono poi così contarie. Addirittura le vecchie federazioni sovietiche volevano rimettere in piedi una nazionale unica, ma si sono scontrate con l'opposizione della FIFA. Ma tranquilli, no s'ha da fare perchè, ci avvisano i nostri eroi dell'informazione, è solo business guidato da Putin e dai soliti oligarchi che vogliono arricchirsi ancora di più non potendo competere con i top club europei e che sperano di attirare sponsor riunendo i club più blasonati. Ma quando i vari Agnelli, Rumenigge, Perez costringono la UEFA a traformare la Champions in un Eurolega con 21 gare garantite (meno male che bisognava ridurre i campionati perchè si gioca troppo e il livello delle altre è basso) e posti fissi assicurati ai top club nessuno ha niente da ridire.
@casalegno
RispondiEliminaè vergognoso vedere i giocatori slavi, sudamericani, africani pietire emolumenti e lasciare le loro nazioni nell'anonimato più assoluto.
se questo è il progresso, se il progresso è rubare la marmellata dal frigo altrui e sostenere che solo dal ladro puoi averne, allora io credo che ciò non solo è regresso, ma è abominio.
saluti
Alberto
ps.
il calcio è molto metafora delle ultime porcherie del capitalismo e dello sfruttamento in genere. Ti compra letteralmente l'anima, te la rigira come un calzino e ti convince che questo è il miglior mondo che si possa concepire.
Certo, hai il diritto di non venderla, ma il capitalismo non perdona, non perdona la tua libertà; il suo arbitrio prevede che al rifiuto del sistema scatta l'operazione della tua fine fisica e morale, anzi prima morale e poi fisica.
@Alberto
RispondiEliminaAssolutamente d'accordo. Ricordo ancora Pif che in una puntata de "Il Testimone" era andato a vedere la scuola calcio aperta dalla Roma in Brasile. Lì aveva intervistato l'ex ct della Nazionale Under-15 (che tra gli altri ha svezzato un certo Ronaldinho) che si lamentava del fatto che una volta i ragazzini brasiliani ambivano a giocare nella Serie A locale, come il loro idolo Pelè (a proposito: ancora oggi c'è chi rinfaccia al fuoriclasse brasiliano di non essersi mai traferito in un club europeo per restare nel Santos, sorvolando sul fatto che allora era la squadra più forte del mondo. Vedasi le due finali di Coppa Intercontinentale dove hanno letteralmente asfaltato le compagini europee).
Oggi invece, proseguiva il ct, i ragazzini sognano di giocare nel Barcellona o nel Real Madrid e parlano solo di quanto guadagneranno in Euro. E poi svelava l'altra faccia della medaglia: quella moltitudine di atleti che vengono scartati e abbandonati a sè stessi da dirigenti e procuratori e cercavano poi in tutti i modi di tornare in Brasile, quando non finivano a mendicare. E dava infine gran parte della colpa ai media che illudevano le nuove leve.
Guardando al resto d'Europa salta all'occhio l'Ajax che ha appena trovato una squadra giovane e in grado di competere (con due o tre anni di maturazione potrebbe addirittura sedere sul tetto del Mondo). Senza contare che fornisce il telaio alla Nazionale Olandese. Purtroppo anche in questo caso si sa già che il prossimo anno verrà smontata e i prezzi pregiati venduti al Barcellona, Bayern o Real di turno, perchè al contrario di queste multinazionali, gli olandesi non hanno contratti multimilionari con gli sponsor. Come sono lontani i tempi di Cruijff e delle tre Coppe dei Campioni consecutive! Quando non erano i soldi a scendere in campo.
Un grandissimissimissimo:
RispondiEliminahttps://youtu.be/NGcU3SzxuMM
Laura
Post ormai superato, Assange
RispondiEliminal'hanno già dimenticato.
Recitare da statista o da Ministro dell’Interno non è facile e quando cadrà sentiremo un tonfo epocale, per ora ci godiamo i suoi occhi socchiusi da finto orsacchiotto e gli auguriamo di godersi quel poco di celebrità tra le braccia di una ventenne figlia di cotanto padre che i ladri hanno avvertito introducendosi nella sua dimora dove le lenzuola ancora calde ricordavano le presenza del capo della Polizia di Stato.
Mi chiedo come faccia certa gente a prendersi pesci in faccia così grossi tutti i giorni, ultimi quelli degli ammiragli.
Mi chiedo come un popolo riesca a premiare tanta arroganza.
Mi chiedo perché l’altro fronte non voglia contrapporre competenza e merito.
Mi chiedo se siamo ancora uno stato o uno stato guscio (si veda la definizione data da Loretta Napoleoni).
Mi consolo al pensiero che un italiano avesse segnalato il rischio che correva Notre Dame, stipendiato dai francesi.
Laura
https://www.internazionale.it/notizie/jon-lee-anderson/2019/04/18/haftar-uomo-forte-libia
RispondiEliminaAricolo interessante di Internazionale. Aldilà della solita propaganda anti-Gheddafi e pro Sarraj, racconta molto bene il background di Haftar e le sue mosse sullo scacchiere libico.
Sul terreno intanto gli uomini di Sarraj fanno gli spavaldi, promettendo di arrivare fino a Bengasi. Peccato che riescano a malapena ad avanzare al di là di Tripoli. E la "Comunità Internazionale" sfoga la sua frustrazione sparando cifre astronomiche di migranti in fuga dal conflitto libico e preparando una bella condanna per il generale al tribunale boia dell'Aja.
Chiudo parlando di Notre Dame. Ora tutti si tracciano le vesti, ma a dicembre "La Repubblica" aveva fatto un bell'articolo dove denuciava lo stato di degrado in cui versava la storica cattedrale e la mancanza di fondi da parte del governo dovuta ai tagli imposti dall'Austerity. https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-bruciano_le_cattedrali_nelleuropa_neoliberale/11_28019/