lunedì 8 aprile 2019

Libia, ultima battaglia ----- CHI HA PAURA DI KHALIFA HAFTAR ?.



Biscazzieri e bari
Nel paese del milione e mezzo di tossici da gioco d’azzardo, dei 70mila minori dipendenti, dei 19 miliardi spesi per il gioco, dei107 miliardi raccolti, delle 366.399 slotmachine,  delle 55.824 videolottery e delle 529 concessioni tra sportive, online, bingo, lotto e lotterie, volete che non ci siano e trionfino i bari? E’ un’intuizione facile. Basta  leggere nel giornale di oggi, prima, i dati allarmanti dei biscazzieri e delle loro vittime e, poi, i resoconti allarmatissimi sulle vicende di una Libia a rischio di essere unificata, diononvoglia, addirittura militarmente. Anatema, dopo che, negli 8 anni dalla frantumazione del più ricco e avanzato paese dell’Africa, tanto si era fatto per tenerlo diviso e spartito tra i vari interessi che, dopo averlo cucinato, si apprestavano a divorarlo.

Bari allora, quando ci trascinavano per i capelli alla guerra raccontandoci che Gheddafi bombardava la sua gente (e io ero proprio nel punto dove sarebbero cadute le bombe e non c’era che un tranquillo mercato), che allestiva fosse comuni e tutti vedemmo un cimitero normale con fosse scavate per morti normali, che rimpinzava di viagra i soldati libici perché stuprassero meglio le donne libiche (Save the Children, Ong ripresa da tutti), mentre io incontravo ragazze del liceo che, con i loro compagni, si addestravano alla resistenza. Bari oggi, quando ci terrorizzano con una Libia nel caos per colpa del “feldmaresciallo” militarista, mentre sul caos dai loro padrini militaristi, provocato dal 2011 in qua, ci hanno costruito traffici di petrolio e migranti.

Perché da quando il colonialismo è colonialismo, l’imperialismo è imperialismo, la Nato è Nato e il PNAC è PNAC (Piano per il Nuovo Secolo Americano dei Neocon), se non riesci a farne un boccone, del soggetto da abbattere, ne fai spezzatino. Approfittando del caos che, in mancanza di vittoria, ti sei lasciato dietro e che andrai potenziando. Così abbiamo visto nella recentemente rivisitata Jugoslavia, spezzettata in almeno sei frantumi; nella Serbia, cui hanno epurato e poi strappato il cuore kosovaro; nella Siria, con un terzo, etnicamente pulito, affidato dagli Usa prima all’Isis e poi ai curdi; nell’Iraq, dove però è andata buca l’operazione califfato, ma aleggia ancora quella della spartizione tra sciti e sunniti; e da noi, dove quelli delle “autonomie differenziate” vanno spaccando l’Italia per mettersi a disposizione del nuovo Sacro Impero franco-tedesco.

Haftar, unità della Libia in vista


Ora salta fuori quel generalone di Khalifa Belkasim Haftar, già comandante di Gheddafi nella guerra persa in Ciad, esule negli Usa, rientrato dopo l’impresa di Sarkozy, Cameron, Obama e del nano da giardino Berlusconi e per niente d’accordo, né con il proposito di costoro e dei loro successori, di dividere il paese in tre, né di decidere loro a chi e quanto gas e petrolio vadano. Per cui si è messo a capo delle forze armate, Esercito Nazionale Libico, che obbediscono all’unico governo legittimo, quello eletto e insediato a Tobruk.

E qui tocca puntualizzare un tantino, rispetto al quadretto che i bari in Occidente, e con particolare diligenza i nostri, ci impongono sulla situazione istituzionale della Libia.  All’inizio del 2014, con un colpo di mano, i Fratelli Musulmani, sconfitti in Egitto, esautorano la maggioranza parlamentare nazionalista, laica e federale e impongono la Sharìa. A giugno, nuove elezioni decretano il trionfo dello schieramento laico e nazionalista, che decide di trasferire la Camera dei Rappresentanti  a Tobruk, nel frattempo liberato in gran parte dal generale Haftar dagli elementi islamisti, nell’intento di avvicinare la Cirenaica al resto del paese, Tripolitania e Fezzan al Sud. I Fratelli Musulmani si impongono a Tripoli, si definiscono Governo di Accordo Nazionale, si avvalgono dell’arrivo dei jihadisti di Al Qaida e Isis da Turchia e Qatar e governano poco più della città, grazie a una pletora di milizie, peraltro in lotta continua tra loro, in uno spietato arraffa arraffa di quanto lo spolpato paese può ancora offrire tra contrabbando di petrolio, prelievi dalla Banca Nazionale e traffico di migranti in combutta con le note Ong.

Riconoscere chi è stato eletto? Quando mai.
Chi si affretta a riconoscere un legittimo rappresentante della Libia? Coloro che ne avevano operato la distruzione? Cioè il mondo della democrazia rappresentativa, quello fondato su libere elezioni e sui diritti umani e civili? Quelli che si definiscono “comunità internazionale” (leggi Nato) e che mettono le loro ipocrisie al riparo dell’ombrello dell’ONU? E non riconoscono forse l’unico parlamento e rispettivo presidente, Aguila Saleh, legittimati da elezioni regolari, tra l’altro meritevoli di encomio per essere l’unica forza politica e militare che combatte l’estremismo terrorista patrocinato dalla Fratellanza e che ha portato in Cirenaica un’accettabile ordine economico e sociale, con tanto di terminali petroliferi, concentrati sulla costa della  Cirenaica fatti mettere in azione dalle rispettive compagnie, oltre alla NOC libica, l’ENI e altre?


Figurarsi!  Sono i colpevoli di aver messo i bastoni tra le ruote a chi prospettava i suoi successi su spartizione e caos. A coloro che, quanto meno, puntavano sul proconsolato di un governo controllato  dai Fratelli Musulmani che, fin dagli anni venti, sono i fiduciari del Regno Unito e dell’Occidente colonialista nel contrasto al panarabismo laico e socialista. Sono i nostalgici di una dittatura che ha riaccolto la componente gheddafiana, sociale, politica e militare, giustamente epurati da quelli di Tripoli, gli amici della Sharìa, che ne avevano condannato a morte, o al carcere, tutti gli esponenti, fino all’ultimo maestro di scuola pubblica. Figurarsi! Con il Tribunale Penale Internazionale che, dopo Muammar, aveva voluto incriminare anche Saif al Islam Gheddafi, il figlio maggiore, per crimini contro l’umanità. Sono i detriti revanscisti che ora arrivano a parlare di Said come possibile candidato alla presidenza!

Figurarsi! Sarebbe un controsenso nell’inappuntabile logica dell’imperialismo. Come nel caso dell’Egitto, con i Fratelli musulmani di Morsi e rispettive milizie terroriste, la scelta non può non cadere su chi obbedisce, promette spappolamento dell’unità nazionale con conseguente subalternità strutturale agli interessi che nel 2011 si erano avventati sul bottino. La scelta non poteva non cadere su Fayez Al Serraj, proclamatosi presidente di quanto di islamista era rimasto a Tripoli, e sul suo pseudo-parlamentare entourage. Lo traghetta a Tripoli una nave italiana, sulla quale rimane bloccato per l’impossibilità di entrare in una capitale in preda alle bande islamiste. Grazie a spartizioni di varia natura garantite ai capibanda, riesce ad assicurarsi l’appoggio, per altro costantemente a rischio, di alcune e, soprattutto, della più attrezzata ed esperta milizia della città Stato di Misurata. Riesce così a spostare il suo “governo” in un albergo della capitale e ad assicurarsi il controllo di qualche quartiere e di alcune località lungo la costa verso la Tunisia. Quelle che hanno in mano il business dei migranti e dei rispettivi campi di raccolta. E, di conseguenze, la collaborazione con le Ong e i ricatti nei confronti dei paesi di sbarco.

La mia Libia
Durante la guerra, nella primavera del 2011, ho trascorso due lunghi periodi in Libia. L’ho percorsa in lungo e in largo incontrando di tutto: studenti, mercanti, politici, giornalisti, lavoratori, donne, combattenti, insegnanti, migranti africani.  Ero a Tripoli quando cadevano i missili e le bombe partiti da Sigonella e sfracellavano case, ospedali, scuole per disabili, centro di solidarietà araba e africana, infrastrutture, depositi di viveri, porti e aeroporti. Da est avanzavano i jiahadisti e le forze speciali dei vari paesi Nato. Con mezzi infinitamente inadeguati, Gheddafi, l’esercito, le forze popolari resistevano. Ma si era tutti consapevoli che l’assalto di mezzo mondo contro il più renitente, ma anche il più pacifico, dei paesi africani sarebbe finito come è finito. Ciononostante, ovunque la gente, la popolazione, dichiarava con assemblee, presidi, corsa alle armi, soccorso civile, la sua lealtà alla Jamahirja, la sua fedeltà a Gheddafi, poi trucidato come Hillary Clinton voleva. Non c’era dubbio che questo popolo sapeva chi fossero i nemici. Tanto è vero che quelli li hanno dovuti importare tutti quanti.  E non se l’è scordato.Tanto è vero che, almeno da qualche informatore estero, si apprende che la marcia di Haftar, fino  a circondare Tripoli da tutti i lati in due o tre giorni, dopo aver liberato il Sud del Fezzan e della Tripolitania, con i rispettivi grandi giacimenti, è stata ovunque accolta dal giubilo della popolazione.


Misurata, un inferno vero
Ho anche avuto esperienza di Misurata. Una città in mano a una dozzina di oligarchi cui i rifornitori Nato avevano prestato particolare attenzione. E anche i celebrati Medici Senza Frontiere, lì installati. Mai li ho visti, tra Somalia, Iraq e Siria, dalla parte delle vittime dell’Occidente. Efferata nei confronti dei “gheddafiani”, anche solo contro chi non intendeva partecipare, la milizia di Misurata dava a questi la caccia, li catturava, torturava, stuprava le donne e le faceva a pezzi. Quello,sì, un vero inferno di cui nessuna Ong, con i  rispettivi corifei medatici, si è mai scandalizzata, ma di cui potete trovare agghiacciante testimonianza nel mio documentario “Maledetta Primavera – Arabi tra rivoluzioni, controrivoluzioni e guerre Nato”.



I misuratini si sono poi confermati un’eccellenza nel mercenariato assoldato dai nostri pacificatori nella successiva pulizia etnica dei libici neri, quelli di cui Gheddafi aveva proibito si chiamassero “neri”, Tawergha era una città vicina a Misurata, popolata interamente da libici neri, provenienti dal Sud del paese. Sono stati massacrati a migliaia dai prodi miliziani della città-Stato, un bagno di sangue senza precedenti in Libia, dopo quelli del maresciallo Graziani. Oggi le forze di Misurata costituiscono l’estrema possibilità per Al Serraj di non essere spazzato via e per il progetto colonialista di spartizione del paese di non vanificarsi.

Non va bene chi libera i rifugiati?

Fa riflettere che sulle nefandezze in Libia contro i neri, non solo di Tawergha, non si senta un sospiro, una deprecazione, al cospetto degli orrori negli attuali campi di raccolta ossessivamente denunciati da coloro che, per alimentare il traffico di persone, hanno bisogno di quegli orrori. Strano, visto che in tutti quei campi sono ormai presenti sia l’UNHCR, sia l’OIM, enti Onu per i migranti, che non si riesce mai a vedere, sui sanissimi giovanotti in arrivo l’indelebile marchio della tortura e delle privazioni e che per molto meno attribuito – falsamente – a Gheddafi, sulla Libia si scatenò l’apocalissi della “comunità internazionale”. Strano, anche, che proprio coloro che cercano di farti rizzare i capelli all’idea che i naufraghi “salvati” possano essere riconsegnati ai loro aguzzini in Libia, oggi siano, “manifesto”  come “Repubblica” e tutti gli altri sicofanti dell’accoglienza, in prima fila ad agitare la “minaccia del generale Haftar”. Non hanno udito la sua promessa di eliminare dalla scena tutti i 3000 terroristi che a Tripoli, tra le altre opere buone, trattengono i migranti nei loro “lager”? Non dovrebbe suonargli bene una tale annuncio? Forse no.



Dialogo per dividere, lotta per unire

Dal cripto-colonialista “manifesto”, ai giornaloni e alle televisionone dei magnati in combutta con il revanscismo coloniale, è tutto uno stracciarsi le vesti per essersi persa in Libia la burletta del “dialogo” (ricordate il “dialogo” per la pace in Palestina?), invocata e complottata in vertici e conferenze, e di essere passati alla tanto brutta opzione militare. Che tanto brutta non era quando si trattava di rimuovere un tizio che ai popoli del mondo aveva insegnato che si può vivere indipendenti, sovrani, liberi e con il consenso del popolo. E anche felici, grazie a istruzione, salute, casa, mezzo di trasporto, reddito, acqua potabile, gratuiti, tutti assicurati da una strepitosamente equa distribuzione della ricchezza. Tutti accompagnati – questo era più inaccettabile dell’insieme delle altre magagne anticapitaliste – dal futuro di un continente unito e reso padrone delle sue risorse e sovrano dalla sua moneta. Ci pensano quelli che, in sinergia con gli spogliatori economici e militari dell’Africa e del Medioriente, oggi coltivano l’accoglienza senza se e senza ma? No, non ci pensano. Provate a chiedergli un’opinione su Gheddafi (che di migranti ne ospitava due milioni, con pari diritti dei cittadini, ma investiva anche nei paesi dai quali i migranti non avrebbero mai voluto andar via).

Resta da meditare su cosa potrà succedere. Non v’è dubbio, a dispetto degli orchi bene armati di Misurata, che Haftar e il suo Esercito Nazionale Libico (altro che “milizia”, è la forza armata di un parlamento eletto democraticamente) delle sbrindellate e affamate milizie tripoline si farebbero un boccone. Lo faranno? Alla luce delle posizioni geopolitiche manifestatesi c’è da dubitarne. Si sa che la Francia, che sa fare i conti, da tempo sostiene Haftar, che pure l’Italia, pur dando idea di traccheggiare, con Conte, si è sbilanciata verso Tobruk. Che è sostenuta da Russia, Egitto, Arabia Saudita. Emirati. Il resto dell’Occidente sta a vedere cosa succede. Al Consiglio di Sicurezza tutti si sono espressi in favore di una sospensione delle ostilità. Russi e cinesi, probabilmente, per mantenere le apparenze.

A metà mese si sarebbe dovuta tenere la grande conferenza internazionale di tutte le parti, promossa dall’ONU. E poi elezioni. Di cui si sa fin d’ora chi le vincerà, Per cui i fantocci e le loro milizie non le vogliono. E Haftar? Prendere Tripoli con la forza e assicurare a sé e ai libici una nazione riunificata, contro tutti i piani di chi ha dato il via a questa storia? Oppure presentarsi alla conferenza dalle posizioni di forza acquisite (vedi mappa), e imporre comunque la fine della divisione, del cancro islamista e un rapporto con l’esterno che imponga di trattare con una Libia riunita da quella che, giustamente, è chiamata “Operazione Dignità”? Questo è il problema.


Intanto Tripoli sembra la Saigon della disfatta: gli americani che, dall’ambasciata  si arrampicano sulle scalette degli elicotteri, mentre scalciano verso il basso a cacciare i collaborazionisti terrorizzati. Per primi, da Tripoli, sono partiti, raccolti da una portaerei, i Marines. E’ stato il segnale del fuggi fuggi generale dei bonzi di Serraj. Non c’è che dire, è un bel vedere.

14 commenti:

  1. Mi chiedo però, fermo restando che la riunificazione della Libia può essere sempre un passo avanti per la ricostruzione ed il recupero della sua dignità storica, Haftar viene dato da molti media come "l'uomo dei francesi" ed è stato comunque un avversario di Gheddafi. Non ha ripristinato ancora il precedente nome della Jamahiria né la sua bandiera verde. È veramente un possibile attore della riscossa per i gheddafiani quelli che sono sopravvissuti a questi anni di uccisioni, imprigionamenti esili nella migliore delle ipotesi?

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  2. Alex1@
    "Nessuno è perfetto", ma Haftar è l'opzione migliore al momento. Poi non puoi pretendere tutto subito. Figurati come reagirebbe l'Occidente se rifacesse la Jamahirja!

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  3. @Alex1
    Beh, gira anche voce che durante l'esilio in America abbia collaborato con la CIA, diventando poi un pilastro dei ribelli contro Gheddafi. Ciò non toglie però che ad oggi sia l'unica figura politica che collabora attivamente con i Gheddafiani. Non mi sorprenderebbe se si scoprisse che è riuscito ad avanzare nel Fezzan grazie all'appoggio della Resistenza Verde e dei Tuareg. Non dimentichiamoci inoltre che è stato proprio Haftar a convincere la milizia di Zintan a liberare Saif e a volerlo con lui a Tobruk. Già solo con questa mossa, comunque vada a finire l'offensiva a Tripoli (che al momento sembra assolutamente determinato a conquistare con la forza) , ha già vinto di fatto la partita. Politicamente ha tutte le carte in regola per rimettere in piedi uno stato unitario.
    Basta vedere le reazioni che ha suscitato in seno alla "Comunità Internazionale" all'idea di una Libia nuovamente stabile.

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  4. Staremo a vedere su Haftar, tanto l'Occidente non gradisce comunque, mi sembra. Non ha gradito neanche un leader moderato come Milosevic in Yougoslavia, il quale aveva fatto di tutto per salvaguardare la pace compreso accettare la cacciata dalle repubbliche ultranazionaliste verso la Serbia delle minoranze (non solo serbe) non gradite, arrivando ad ospitare un milione di profughi su circa undici milioni di popolazione totale. Non è servito a nulla. Ha subito sanzioni, guerra, accuse dimostratesi false e la morte in un carcere del TPI, lontano da amici e parenti.

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  5. Ho letto il suo interessante post dopo aver letto del medesimo argomento sul blog di Remondino . Considerato che E.R. non è un pennivendolo aulla Libia non capisco più nulla.

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  6. Anonimo@
    Mi chiedo cosa le possa aver suggerito quella qualifica di Remondino. Non me ne sono mai fidato. Il classico mescolatore di cose ovvie, scontate, atte a catturare le persone perbene, mischiate a immancabili falsità propagandistiche imperiali. Proprio come Alberto Negri.

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  7. A proposito di reazioni da parte della "comunità internazionale" non a caso sul "Corriere" si torna a parlare del "tesoro del dittatore libico" come non si sapesse che si tratta per lo più di fondi di Stato libico, sequestrati ("la più grande rapina del secolo" si disse) durante e dopo l'aggressione del 2011. Che tempismo!
    https://www.corriere.it/economia/finanza/19_aprile_08/caccia-tesoro-gheddafi-libia-tracce-italiane-dell-oro-rais-4ead2b22-59fe-11e9-9773-c990cfb7393b.shtml

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  8. @Alex1
    Già, ricordo i giorni in cui i media si stracciavano le vesti sulle ville lussuose di Gheddafi e famiglia, sulla loro vita agiata mentre i libici morivano sotto le bombe, sul Colonello che giocava a scacchi mentre i suoi uomini stupravano donne e bambini. E nel silenzio generale decine di aerei decollavano da Tripoli alla volta di Washington e Parigi carichi di lingotti d'oro sottratti al Popolo Libico.

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  9. In attesa di vedere come andrà a finire, mi sono fatto un giro sugli articoli dedicati alla Libia. Scorrendo i commenti ne ho letti diversi dove si invoca un intervento armato per "proteggere i nostri interessi" o dove si minaccia la Francia di mettere giù le mani dalla "nostra Libia". Non sapevo che ci appartenesse di diritto...
    Putroppo, come mentalità, stiamo tornando al primo Novecento. E, come allora, le guerre coloniali le dipingiamo come interventi umanitari per portare la democrazia ai selvaggi. Ho già letto più di uno affermare che nello Zimbabwe si viveva meglio sotto i "civilissimi inglesi".

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  10. @Fabrizio

    Mi ricordo benissimo "Repubblica" dopo aver messo in giro ogni tipo di falsità sulla famiglia di Gheddafi, inclusa la falsità del Master conseguito da Saif alla London School of Economics falsità smentita dall'Istituzione universitaria, arrivò a parlare di "bunker" per il figlio incenerito con tutta la famiglia, quando era una normalissima villetta. Nessuno fra i bombardatori (inglesi, mi sembra, in quella circostanza) cercò di giustificarsi ne di parlare di "errore". E nessun politico di nessun colore si scusò verso gli assassinati e le loro famiglie. In Italia nessuno parlò di Mutassim, assassinato insieme al padre, il quale frequentava una università americana e scelse di rientrare in Libia a condividere il dramma del proprio popolo.

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  11. Alex1@

    Ero nel "bunker" poche ore dopo. Si vede nel mio film "Maledetta Primavera".

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  12. per me haftar è un traditore...non si va a casa di quelli che hanno bombardato la Tua Nazione...MAI...Noi Italiani abbiamo troppi pladroni. Non ne usciremo. Avevamo quasi sperato ma come diceva Mario Monicelli il verbo sperare è un NONSENSO la combinazione 5 SSSSS e lega salvini...ma ora hanno svelato le loro facce, i primi col SI VAX ed il secondo con SI-TAV...
    siamo fregati.Non ci restano che i Gilets Gialli, vista anche la farsa brexit...Ateismo Veganesimo, rifiuto della competizione, autarchia e filiera zero? Oh yeah ! Ve lo dico in anglocazzone che fa tanto foglia di fico...

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  13. bambilu@
    Meno male che ci sono "traditori" che guidano popolo ed esercito contro gli scagnozzi di chi ha distrutto la Libia

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  14. grazie come sempre Fulvio per la tua continua lotta.Sono ancora scandalizzato dalla trasmissione di radio 1 Mangiafuoco per il modo osceno in cui è stata trattata la questione Venezuela.Tre puntate di pura propaganda che sembrava scritta dalla C.I.A,è vergognoso l'uso che si può fare di un ente statale.I tuoi articoli sono un oasi nel deserto totale dell'informazione,grazie ancora Compagno.

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