lunedì 2 settembre 2019

Il papa e gli altri corrono ai ripari ----- IMPREVISTO IN M-O: VINCONO SIRIA, IRAQ, YEMEN. E ANCHE L’IRAN STA MEGLIO ----- La Russia tra il colpo al cerchio e il colpo alla botte




Jorge Mario Bergoglio, oggi Francesco, ha inviato un appello-protesta. A Trump? A Mohamed bin Salman? A Netaniahu? A Erdogan? No, a  Bashar el Assad.

Siria, ce ne fossero
Da otto anni la Siria, Stato libero, laico, di impronta socialista, multinazionale e multiconfessionale, baluardo arabo della decolonizzazione, della resistenza alle aggressioni e ai complotti da vicino e lontano, del sostegno alla lotta di liberazione dei palestinesi e dei popoli arabi, della solidarietà ai paesi che si oppongono all’imperialismo, è sotto attacco da parte di una coalizione internazionale che vanta il più grande potere militare, economico e finanziario del mondo. Da otto anni, con l’appoggio dell’Iran e di Hezbollah e quello prezioso, ma piuttosto selettivo, della Russia, il popolo siriano subisce il terrorismo di bande di mercenari jihadisti reclutate, istruite, armate e pagate da Usa, Nato, Israele, monarchie del Golfo, Turchia e la devastazione umana e materiale di bombardamenti Usa, Nato e israeliani, contro i quali non dispone di quelle difese che la Russia avrebbe potuto e dovuto fornirle, come le ha fornite alla Turchia, all’India che martirizza il Kashmir e ad altri paesi.
Da otto anni, incredibilmente, il popolo, l’esercito, le forze popolari siriane stanno sostenendo questa aggressione di potenze infinitamente superiori, a costo di inenarrabili sacrifici, perdite, sofferenze, dando al mondo degli oppressi, aggrediti, offesi e sfruttati un esempio di eroismo e una prospettiva di vittoria. Già per questo può vantare vittoria contro un vero e proprio asse del male. Vittoria alla quale ora non manca che la liberazione degli ultimi territori invasi e occupati dal nemico: la provincia di Idlib, santuario del terrorismo internazionale espulso dal resto della Siria, protetto dall’esercito e dalle armi di Erdogan, e il Nord-Est, un terzo del territorio nazionale, in Occidente chiamato Rojava. Costellato da basi militari Usa, è  l’area delle più ricche risorse petrolifere ed agricole siriane, occupata e pulita etnicamente, con l’aiuto e le armi statunitensi, britanniche e francesi, da mercenari curdi sostenuti da Israele, Arabia Saudita ed Emirati. A nessuno è possibile contestare questa realtà dei fatti.

Bergoglio, amici e nemici
Nel momento in cui l’Esercito Arabo Siriano, superando le trappole delle ripetute tregue e smilitarizzazioni concordate tra Putin ed Erdogan (ricettore di modernissimi sistemi S-400 e cacciabombardieri russi), mai osservate dalle bande terroriste Isis e Al Qaida e, anzi, utilizzate dai turchi per rafforzarle con uomini e mezzi, ha rilanciato la sua offensiva per liberare Idlib, con l’aiuto dell’aviazione russa, s’è levata alta e forte la voce del papa. Quel papa che ieri era capo gesuita in convivenza-connivenza con la dittatura argentina (vedi i documenti esibiti dal giornalista Horacio Verbitsky, considerato il Pulitzer dell’Argentina).

Letti e assimilati i rapporti di Amnesty International, succursale del Dipartimento di Stato Usa per la demonizzazione dei nemici dell’establishment imperialista, Bergoglio ha indirizzato al presidente siriano un’invettiva mascherata da appello umanitario. Lo ha invitato a smetterla di fare la guerra, di imprigionare, torturare,far sparire e maltrattare oppositori politici, di praticare esecuzioni extragiudiziali, insomma di seviziare il suo popolo e di commettere crimini contro l’umanità.


Nel frattempo, molto soddisfatti, i mercenari jihadisti degli occidentali fedeli al papa, scotennavano, scarnificavano, bruciavano, crocifiggevano, annegavano in gabbie, facevano a pezzi il decimillesimo infedele siriano e forzavano in sposa a tempo la ventimillesima infedele siriana. E ne diffondevano ovunque le immagini. Forse in Vaticano non sono arrivate. O forse sì. Contemporaneamente il decimilionesimo siriano con moglie e figli, scampato ad Assad, a chi sennò?, veniva messo a Misurata su un gommone per l’appuntamento con la nave Ong che lo avrebbe traghettato verso i campi elisi del foggiano o casertano.
https://youtu.be/H3C_2Fb9SXc  video siriano su Idlib
   
Idlib, non solo


Questo il preludio bianco, cristiano, occidentale a quanto sta avvenendo in Siria. Sulla quale i moniti zannuti del pontefice si sono abbattuti, guarda la coincidenza!, proprio nei giorni in cui, subita dall’accozzaglia jihadista concentrata in Idlib (Hayat Tahrir al-Sham) l’ennesima provocazione terrorista contro le popolazioni di Hama e Aleppo, l’Esercito Arabo Siriano si era mosso alla riconquista di questo terzultimo territorio nazionale ancora in mano al nemico, a partire dalla liberazione di Khan Shaikhoun, città strategica nel sud della provincia. La nostra occhiuta stampa parla dell’”ultimo lembo di Siria” non ancora ripreso dal regime”, occhiutamente sorvolando sul terzo di Siria, oltre l’Eufrate, in mano agli Usa e alla loro fanteria curda, che dunque sancirebbe l’auspicato squartamento del paese, come anche su Al Tanf, base Usa zeppa di terroristi nel sud est, al confine con Giordania e Iraq. Ultimissime ci dicono che, ancora una volta su raccomandazione russa, Damasco, dopo aver liberato vaste aree di Idlib, avrebbe proclamato un nuovo cessate il fuoco. In cambio Erdogan avrebbe promesso a Mosca di disarmare e sciogliere Tahrir Al Sham. Cosa consiglia il saggio? Fidarsi è bene…..

 
Tulsi Gabbard a Damasco


Il fronte dell’aggressione, sconfitto in Siria, si allarga
La vox populi, specie quella che segue le epifanie dell’uomo bianco alla finestra dell’Angelus, molto  in alto, molto vicino al Signore, e ne assorbe e perpetua le infallibili verità ex cathedra e anche non ex cathedra, ora può ripetere che Assad è un bruto che, come Saddam, Gheddafi, Milosevic, Maduro, Putin, considera sua missione distruggere il popolo cui appartiene, che lo ha eletto e lo sostiene. Non sa, perché non gli è piovuto giù dall’Angelus, che Israele nelle ultime settimane ha bombardato ripetutamente la Siria, il Libano e ora anche l’Iraq, avendocela con l’Iran che non bombarda nessuno, e con i suoi amici di Hezbollah libanesi e delle Unità di Mobilitazione Popolare irachene, milizie che hanno molto infastidito quelli del Nuovo Ordine Mediorientale per aver sconfitto la loro creatura, il califfato Isis.  E neppure sa che una coraggiosa candidata alla presidenza degli Stati Uniti, Tulsi Gabbard, ha incontrato Assad, quasi fosse un essere umano, si è rifiutata in tv di definirlo “criminale di guerra” e ne ha confermato l’accusa che a commettere l’attacco chimico di Ghouta sono stati i jihadisti. Per tutti i media degli Usa, Tulsi è ovviamente una traditrice della patria al soldo di Putin.
.


La quadruplice Usa-curdi-sauditi-Israele
Attivo su molti fronti, dove può agire contro chi non ha modo di difendersi, Israele non si è lasciato fuggire l’occasione dell’ennesimo venerdì di Gaza, nei 17 mesi della “Grande Marcia del Ritorno”, per arrotondare a 306 i morti palestinesi e a quasi 8000 i feriti e mutilati, tutti inermi. Il che non ha impedito alle élites del Golfo di celebrare gli attacchi israeliani a ben tre paesi arabi, con Khalid al Khalifa, ministro degli esteri del Bahrein, paese noto per il genocidio dei suoi sciti, che li onora in quanto “autodifesa”. Fa scandalo? Non dovrebbe, visto che ormai l’alleanza Israele-satrapi  del Golfo, nel segno della modernità e della democrazia, è pienamente funzionante, fin dal comune impegno a supporto del terrorismo jihadista in Siria e Iraq.

Curdi festeggiano Israele

Rojava: siamo a disposizione
Scandalo, scandalissimo, dovrebbe menare, invece, tra i nostri fautori della pulizia etnica che i curdi menano in Siria, facendola passare per democratica, federale, femminista, antipatriarcale, LGBTQ ed ecologica, quanto scoperto dall’intelligence irachena, non smentito da Israele e confermato da David Hearst, uno dei più autorevoli giornalisti britannici.

I cinque raid di droni israeliani di fine agosto sulla regione irachena di Anbar sono stati lanciati da una base curda gestita da personale israeliano in territorio siriano occupato dalle Syrian Democratic Forces (etichetta che cerca di mimetizzare l’invasione-occupazione curdo-statunitense del nord-est siriano). Israele è troppo distante per colpire con droni l’Iraq. E’ dal luglio scorso che da quella base partono attacchi contro depositi e convogli delle Unità di Mobilitazione Popolare (Hashd al-Shaabi). L’iniziativa di utilizzare quelle basi per colpire i combattenti anti-Isis iracheni va fatta risalire al ministro saudita per gli affari del Golfo, Thamer al Sabhan, che nel giugno scorso ha ripetutamente visitato la zona e fornito ai curdi sostanziosi aiuti finanziari. Da queste edificanti evoluzioni dei curdi si comprende il perchè di tanta simpatia del “manifesto”, del “Fatto Quotidiano”, dei trotzkisti tutti e di tutti gli atlantisti.

Putin funambolo tra Ankara, Tel Aviv e Damasco


Su questo Mosca, ancora una volta, non ha obiettato niente e tantomeno ha fornito a Siria, o Iraq, o Libano, gli strumenti antiaerei che toglierebbero agli israeliani di colpo la voglia di fare incursioni. Segno di qualcosa di non esplicitato nei rapporti tra Russia e Israele e nemmeno tra Mosca e Ankara. Parrebbe, infatti, che Erdogan, acquirente di costosi armamenti russi e promotore del gasdotto East Stream dal Caspio al Mediterraneo, può concordare con gli Usa, ai danni dell’integrità territoriale siriana, la famosa “fascia di sicurezza” lungo tutto il confine e che penetra in Siria per 30 km almeno. Rinnovato consolidamento del ruolo  della Turchia nella Nato, a dispetto dello spesso approssimativo prof. Chossudovsky che si era precipitato a dichiararne la fuoruscita. Alleanze e competizioni restano, in Medioriente, variabili non meno di quelle che certe forze anti-sistema da noi praticano a vantaggio del sistema. Succede quando ideologia e morale sono considerate pochettes da mettere o non mettere.

 
Iraq, Unità di Mobilitazione Popolare


Invece notevole è la soddisfazione a Washington, senza il semaforo verde della quale è probabile che Israele non avrebbe esteso a tal punto il raggio del suo intervento bellico.

C’è chi vince anche in Iraq
Anche perché da quelle parti si sentiva la necessità che a Baghdad venisse impartita una lezione. Non tanto al morbido primo ministro Adel Abdul-Mahdi, o al suo rivale Moqtada al Sadr, l’ambiguo chierico, vincitore delle ultime elezioni in alleanza con i “comunisti”, che più che a Tehran guarda a Riad. Piuttosto a un’opinione pubblica che non sopporta la presenza e il diktat geopolitico degli Usa e vede espressa nelle Unità di Mobilitazione Popolare (UMP), a maggioranza scita, ma con forte presenza sunnita, veri vincitori del califfato e contenitori dell’espansionismo curdo, la propria rivendicazione di sovranità e indipendenza e la preferenza per l’alleanza con l’Iran. Gli innumerevoli episodi di sabotaggio dei militari Usa nei confronti della lotta antijiadista dell’esercito iracheno e delle UMP, di sostegno all’Isis attraverso lanci di rifornimenti ed evacuazioni di miliziani da situazioni compromesse (come successo anche in Siria, a Raqqa), hanno chiarito agli iracheni chi sarebbero i loro protettori.

 
Combattenti UMP


Il nervosismo dei pirati israeliani, osservato dai russi in imbarazzato silenzio (potenza degli oligarchi ebrei di Mosca, o del milione di esuli russi in Israele?), è determinato da una serie di contraccolpi. Al di là dello sbattere di sciabole nel Golfo e dei colpi assestati ai sostenitori della cosiddetta Mezzaluna scita, la guerra all’Iran non la vuole e può fare nessuno. Israele e gli Usa sanno bombardare, ma sul terreno, con a disposizione solo mercenari pagati ma demotivati, quando non si tratti di ragazzi che tirano sassi, valgono poco. La Siria, già solo per essere ancora lì dopo 8 anni contro mezzo mondo, è vincente e ora si riprende anche Idlib. I curdi, screditati in tutto il mondo onesto, hanno fatto il passo più lungo della gamba e sopravvivono grazie a potenze che tutti intorno a loro odiano. L’Iraq, sebbene ancora fragile, sotto ipoteca americana ed esposto a colpi di coda terroristici, ha battuto da solo il progetto di frantumazione basato sul califfato e sui curdi. Pur nella debolezza di un paese dalle infrastrutture distrutte, dalla ricostruzione impedita, dalla presenza di almeno 8000 militari Usa (probabilmente il doppio), le vittorie conseguite, l’avere a fianco una nazione come l’Iran, la consapevolezza del nemico hanno creato nel popolo forti anticorpi contro i colonizzatori.

 Yemen, resistenza nazionale e disintegrazione della coalizione nemica
 
Yemen prima della rottura della coalizione del Golfo


E poi, sempre nel quadro dell’aggressione all’Iran e al suo fronte allargato, fallisce totalmente, nella disintegrazione della coalizione a guida saudita, l’attacco allo Yemen, altro paese raso al suolo, vittima di incredibili crimini di guerra e contro l’umanità, a partire dai bombardamenti Usa-Sauditi sui civili e dal blocco navale ai rifornimenti alimentari e sanitari,  con una popolazione affamata e in preda al colera. Gli Houthi, da decenni protagonisti della resistenza nazionale contro gli incessanti tentativi di annessione dei sauditi, non hanno perso terreno, controllano quasi per intero lo Yemen del Nord, colpiscono in profondità, fino alla capitale saudita Riad, le infrastrutture e le basi militari del nemico. La guerra lanciata dall’improvvido erede al trono, Mohammed bin Salman, quello dell’assassinio di Khashoggi, e coperta da cielo e mare dagli Usa, è persa. Il Sud è scena della spaccatura dell’alleanza sauditi-Emirati, con i satrapi che si precipitano l’uno alla gola dell’altro. Il Qatar dei Fratelli Musulmani al bando da tempo.Il Kuwait per i fatti suoi. L’Oman idem. E ora gli Emirati Arabi Uniti in rottura addirittura bellica con i sauditi, con una gara tra i due per chi si assicura spazi e controlli geopolitici nella regione, dalla Somalia all’Eritrea, dallo Yemen a tutto lo spazio tra Golfo e Mar Rosso.



Combattenti Houthi


Davanti agli uomini del Pentagono e della Cia, disorientati circa chi sostenere, si frantuma l’alleanza dei feudatari del Golfo sulla quale era basata gran parte della strategia imperialista e dalla quale dipendevano gli obiettivi  della riorganizzazione del Medioriente. Con lo Yemen del Nord, cuore storico e culturale del paese, saldamente in mano agli Houthi sciti del movimento Ansar Allah, ampiamente maggioranza nel paese, il Sud ha visto alternarsi nella capitale Aden il governo del fantoccio saudita Abd Rabbih Mansur Hadi e i mercenari degli Emirati. E’ poi emerso un movimento indipendentista, che non ha niente a che fare con quello Yemen del Sud marxista che si era liberato del dominio britannico, ma che punta allo sfruttamento delle risorse di fossili nel sottosuolo dell’Est e della posizione strategica di Aden sullo stretto di Bab del Mandeb. Animati dagli stessi propositi e in competizione ormai aperta con i sauditi, gli Emirati, Abu Dhabi in testa, ai separatisti si sono alleati. Fine del ruolo saudita nel Sud, del suo proconsole locale e, forse, anche del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), sul quale tanto puntavano gli Usa. Seppure strozzato dalle sanzioni più feroci mai inflitte a un popolo, l’Iran ha motivo di tirare un respiro di sollievo.

Dopo tanto parafrasare a sproposito, è il caso di ripetere con Mao “grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente”. Forse.

Nessun commento:

Posta un commento