“Una stampa cinica, mercenaria, demagogica
produrrà nel corso del tempo una società altrettanto spregevole”. (Joseph
Pulitzer)
“Coloro che sono contro il fascismo senza essere contro
il capitalismo, sono come quelli che vorrebbero mangiare vitello senza uccidere
il vitello” (Berthold Brecht)
Lo strabismo autoindotto dei media
La manipolazione-mistificazione-falsificazione dei media di
regime, che ciarlano, a proposito di Bolivia, di un paese rivoltatosi in nome
della democrazia contro il caudillo che non vuole mollare il potere, è scontata.
Come lo è la demagogia e retorica progressisto-cerchiobottista che celebra la Bolivia
di Evo Morales, ma con la riserva che era estrattivista e lui si ostinava a
fare il presidente a vita. Sono gli stessi sedicenti progressisti che
rimpiangono gli Usa multilateralisti di Obama e Hillary. Che poi sarebbero i
due protagonisti delle sette guerre di sterminio, dei colpi di Stato in
Honduras, Paraguay e Ucraina e di varie rivoluzioni colorate. Tra l’altro
utilizzando le stesse manovalanze: terroristi islamici o pseudo-islamici in
Oriente, ancora quelli, più lo squadrismo neonazista, in Europa, squadristi fascisti
in America Latina dove islamisti non ce ne sono. Con la particolarità asiatica
degli squadristi neocolonialisti, fascioteppisti quanto altri mai, sotto le
bandiere britannica e statunitense a Hong Kong. E dunque amati dal “manifesto”.
Di queste manovalanze il nostro paese sa tutto, sulla base
di dati processuali e d’inchiesta, fin da De Lorenzo, paragolpe Borghese,
Piazza Fontana, terrorismo mafiostatale. Sa anche tutto, ma alla Pasolini, sui
relativi mandanti, interni ed esteri. E’ assordante il coro dei chierichetti
dell’establishment che, ogni due per tre, gridano al lupo, vale a dire alla
minaccia del fascismo risorgente, sotto forma di Salvini, Casa Pound, o Le Pen,
Orban, AFD tedesca. O dell’antisemitismo, o del bullismo, o dell’odio dilagante
da ogni poro. Per poi vedere nei golpisti boliviani il bisogno di democrazia.
Fascismo operetta e fascismo che opera
Minacce inventate, o gonfiate all’inverosimile, o solo
potenziali, o perfino supposte, che stanno a quanto davvero ci viene inflitto dal
capitalismo, come i razzi di Gaza stanno ai missili di Israele, o come l’%
della ricchezza planetaria in mano al 50% degli umani sta al 45% dell’1% degli
umani. O come le buggerature della mia locale Cassa di risparmio stanno agli
interventi del Fondo Monetario Internazionale. Chi è più fascista, l’ungherese
Orban, che ha la migliore distribuzione della ricchezza di tutti i paesi
dell’UE, o la famiglia Walton che, con i suoi supermarket Walmart, guadagna
70.000 dollari al minuto grazie alla dabbenaggine di consumatori decerebrati e
il lavoro schiavistico degli addetti?
Quando parliamo di manovalanza fascista parliamo di
delinquenza pura e semplice, o di cretinotti
nostalgici di quanto non conoscono. Ma che indossano roboanti “valori” e
simboli detti fascisti, valori che, rispetto a quelli imposti oggi dall’élite,
valgono quelli di un Carminati a paragone di Jack lo Squartatore. Delinquenza
teppista che indossa la camicia nera, mentre persegue obiettivi che gli vengono
dettati da razzisti molto in alto nella scala sociale e geopolitica, perlopiù
attraverso i centri nevralgici del capitalismo imperialista, servizi segreti e
Ong. Questo nella fase della propaganda eversiva e del reclutamento di inclini
alla violenza. Quando poi si tratta di venire alla luce del sole, nella
battaglia risolutiva, ecco che si tramutano in attivisti dei diritti umani e
della democrazia contro un dittatore…. fascista.
Così è in Bolivia, in Ucraina, Venezuela, Honduras. Questo
serpeggia nelle “rivolte popolari” finalizzate al cambio di regime in Stati che
non si fanno riassorbire dal colonialismo. Il colpo di Stato in Bolivia parte
da lontano, con una prima fase nel 2008 e quella attuale attivata nel 2016, in
occasione del referendum per un terzo mandato di Evo Morales. Ha subito
un’accelerazione quest’anno, alla vista del vento contrario al revanscismo
neoliberale e fascistoide di Duque in Colombia, Pinera in Cile, Bolsonaro in
Brasile, Hernàndez in Honduras: la sollevazione di un intero popolo in Cile, la
vittoria del peronismo di sinistra con Cristina Kirchner e Alberto Fernàndez,
le proteste di massa in Honduras e Haiti, la vittoria di Obrador in Messico, la
resistenza vittoriosa di Maduro in Venezuela e Ortega in Nicaragua.
La preda del capitalismo del terzo millennio:
litio
E, sul piano strettamente economico, la messa in opera, con
due società tedesche e una svizzera, dell’immensa ricchezza mineraria della
Bolivia, paese che, insieme all’Argentina, vanta i più vasti giacimenti di
litio nel mondo, il minerale necessaria alla terza rivoluzione industriale,
quella degli smartphone, dei tablet, delle vetture elettriche, eccetera.
Hai visto mai che Morales avrebbe nazionalizzato quel popò
di roba, indispensabile alla ripresa del profitto capitalista nel nome di Greta
e con la supervisione delle piattaforme di Silicon Valley. Indispensabile anche
alla prevalenza su Cina e Russia, come al controllo sugli esseri umani tutti? Molti,
negli States, ricordano, con brividi lungo la schiena, la “Guerra del gas” e poi quella dell’acqua in Bolivia, quando un
intero popolo si ribellò alla svendita dei suoi beni maggiori alle
multinazionali Usa e, guidato da Evo e dal partito Movimento al Socialismo
(MAS), si liberò dell’ultimo dei suoi caudilli, Sanchez De Lozada. Costui, dopo
aver massacrato 70 cittadini, se ne dovette fuggire. Dove? Indovinate un po’.
Lo sostituì il suo vice, Carlos Mesa, poi sepolto, nel 2006, da una valanga di
voti per Morales, a dispetto della sedizione dei separatisti fascisti di Santa
Cruz, emersi in quell’occasione. Avevo intervistato Evo poche settimane prima.
Potete vederlo nel mio “L’Asse del bene”.
Come falsare un referendum
In occasione del referendum sulla rielezione di Morales si
è riattivata la piaga purulenta dei feudatari secessionisti di Santa Cruz,
provincia del Sud, che Morales non è riuscito, nei suoi 13 anni, a ridurre alla
ragione di un’equa distribuzione delle terre, fuori dalla logica del contadino
indigeno servo della gleba e relegato ai margini della società da un razzismo
più virulento di quello nostro, al quale dobbiamo lo sradicamento dei migranti
africani, asiatici e mediorientali. Non mi riferisco alla vittoria di misura di
Evo nelle ultime elezioni presidenziali, verificata da osservatori indipendenti,
ma non dall’Organizzazione degli Stati Americani che, con il lacchè amerikano Luis
Almagro, già sperimentato su Venezuela e Honduras, ha insinuato la probabilità
di “inesattezze”.
Rivolta di un popolo, o pogrom di manovali
fascioteppisti?
Abbiamo tutti potuto vedere il pogrom anti-indigeni di
questi giorni che ha visto l’uscita di scena di Evo e del suo vice Linera e
l’ingresso nel palazzo presidenziale dell’autoproclamata presidente Jeanine
Anez, la Guaidò boliviana, subito riconosciuta da Washington, e del tribuno fascista
dei Comitati di Santa Cruz, Luis Camacho. Entrambi hanno fatto ingresso in
parlamento con in mano la bibbia e sulle labbra la maledizione alla pachamama,
divinità degli indios Aymara e Quechua (“la pachamama non tornerà mai in
questo palazzo, la Bolivia appartiene a Cristo”, così la signora
presidente) e con sotto alle scarpe la wiphala, la loro bandiera, quella
che, con l’indio Morales, sventolava insieme alla nazionale. Quando si parla di
razzisti e fascisti a proposito. E di odio.
Parlo invece del 2016, referendum sulla rielezione di
Morales, sancita dalla Corte Costituzionale e inizio della corsa al golpe. In
un’atmosfera di pesantissime accuse di immoralità, irresponsabilità, frode e
menzogna, Morales, che aveva trionfato con larghissimo margine in tutte le
elezioni, perse il referendum per pochi voti. Sulla stampa che, come
evidentemente l’esercito e la polizia, diversamente da Hugo Chavez in
Venezuela, Evo non era riuscito a bonificare dal controllo dell’oligarchia
della destra bianca, da sempre golpista e connessa agli Usa, si scatenò un
urgano di atroci calunnie: Evo avrebbe avuto un figlio segreto da una relazione
extraconiugale e poi avrebbe rinnegato il bambino e ripudiato la donna. Di cui,
tuttavia, avrebbe favorito una vertiginosa
ascesa sociale e istituzionale.
Il presidente non negò la relazione e neanche la nascita
del figlio, che però sarebbe quasi subito morto. Mentre della donna, convolata
ad altri rapporti, non si sarebbe più occupato. Quella che una prestigiosa
femminista aymara, Adriana Guzmàn, definisce una “élite bianca, razzista,
patriarcale, clericale e padronale”, non si diede per vinta e, alla vigilia
del voto, produsse un ragazzo di cui la presunta madre, passata
all’opposizione, affermava essere il figlio di cui Evo si sarebbe
disinteressato. Fu il fattore che probabilmente determinò disgusto e delusione
in settori dell’elettorato e, quindi, determinò l’esito del voto in tal modo
manipolato. Troppo tardi gli architetti del complotto rivelarono l’inganno,
rifiutandosi di fare il confronto del DNA. Da allora il presunto figlio è
svaporato nel nulla.
Tuttavia, l’uomo che aveva cacciato l’FMI e le Ong
colonialiste, che aveva ridotto la povertà dei boliviani dal 40 al 15%,
garantito a tutti istruzione e sanità, aumentato l’aspettativa di vita dai 56
ai 72 anni, ridotto la disoccupazione al 4%, risultato migliore del
subcontinente, ed elevato il tasso di crescita al quasi 7%, anche questo il più
alto dell’America Latina, solidificato l’asse antimperialista ed emancipatorio,
da quella campagna rimase indebolito. Al punto che a dargli la maggioranza di
10 punti alle recenti elezioni, evitando il ballottaggio, ci vollero i 600mila
voti arrivati nelle ultime ore dai distretti più lontani, indigeni e contadini.
Coloro sui quali in queste ore si abbatte la furia genocida degli squadristi del
multimilionario Luis Camacho, detto, per la gioia di Adriana Guzmàn, “el
macho Camacho”.
Se il cosiddetto Quarto Potere, quello che è passato da
“cane da guardia contro il Potere” a “cane da guardia contro il popolo”, non fa
trasparire, neanche fra le righe la definizione “colpo di Stato”, e si guarda
bene di dare del fascista al carcinoma che punta a rimangiarsi la Bolivia, “el
macho Camacho”, è il classico prodotto coltivato dalle Ong e dai
servizi di quei paesi che hanno dato
vita all’orda Al Qaida e Isis, come a Ordine Nuovo e succedanei da noi. Se noi abbiamo avuto Delle
Chiaie (e poi, più raffinatamente, le finte BR), loro hanno Luis Fernando
Camacho. El Macho era, fino a ieri, un oscuro squadrista di una famiglia
arricchitasi col gas, poi nazionalizzato da Morales, a capo della fascistissima
Uniòn Juvenil Crucenista, di Santa Cruz, affratellata al battaglione
nazista Azov di Kiev, ai suprematisti indù della RSS e a quanto resta della
Falange spagnola. Fino adesso si era fatta le ossa nei pestaggi di
indigeni, contadini Semterra che lottano contro il latifondo, giornalisti non
conformi, sostenitori di Evo, tv di Stato. Grazie alla benevolenza della CNN,
del New York Times e dell’agenzia britannica Reuter, è assurta a popolarità
internazionale e a vindice della democrazia boliviana. Ci fosse ancora Delle
Chiaie, sarebbe lì.
Sempre facenti parte della manovalanza fascio-teppista per
i regime change imperiali, che poi diventano gli organizzatori del
sostegno fascio-teppista ai regimi tirannici, grazie a loro dagli Usa
installati ovunque possibile, sono i consiglieri ideologico-organizzativi della
dimensione fascio-teppista internazionale, stavolta senza Otpor e pugno chiuso,
ma con tanto di logo simil-SS e saluti romani.
Washington e l’Internazionale nera
Padrino e maestro di Camacho è il fascistissimo
oligarca e terrateniente croato Branko Markovic, erede di una famiglia legata agli
Ustasha di Ante Pavelic, oggi fervente sostenitore di Bolsonaro e del
terrorista venzuelano Leopoldo Lopez. Nel 2008 fu accusato di un tentativo di
assassinio di Morales in combutta con elementi croati e ungheresi e un
neofascista irlandese, Michael Dwyer. Ai cospiratori aveva fatto avere 200.000
dollari. In fuga, aveva ottenuto asilo politico negli Usa. Rientrato, avendo avuto parte delle sue terre espropriate
da Morales, ha creato e presieduto il Comitato Santa Cruz, punta di lancia di
un separatismo che, adesso, punta al paese intero. La Federazione
Internazionale dei Diritti Umani, pur tenera nei confronti degli abusi Usa, ha
stigmatizzato il Comitato come “attore e promotore di razzismo e violenza in
Bolivia”. Quella che si vede ora per le strade del paese, nella caccia
all’indio e all’evista (fenomeno di cui i nostri media invertono cacciatori e
prede). Il Comitato è il successore della Falange Socialista Boliviana, gruppo
fascista, stavolta con precisa ideologia, che ospitò molti gerarchi nazisti,
compreso Klaus Barbie.
Altro esponente dell’internazionale squadrista
a disposizione del terrorismo Usa, protagonista della campagna golpista era
Eduardo Rosza-Flores, che combinava la sua iscrizione all’Opus Dei,
organizzazione cattolica cara al franchismo, con la maschera del giornalista
sinistrorso. Protagonista del tentativo di assassinare il primo presidente
indio dell’America Latina (Chavez era meticcio), aveva combattuto contro la
Jugoslavia unita nella formazione neo-ustasha croata, “Primo Plotone
Internazionale (PIV)”, un reparto tracimante elementi criminali, fascisti e
nazisti, tedeschi e irlandesi. Rientrato in Bolivia, fu ucciso in un hotel di
lusso di Santa Cruz. Il governo boliviano pubblicò una serie di messaggi email
tra il terrorista e l’agente Cia ungherese Istvan Beloval.
Altro collegamento tra Washington e i
cospiratori era costituito da Hugo Acha Melgar, fondatore della filiale
boliviana dell’americana “Human Rights Foundation”, Ong che ospita una
“Scuola della rivoluzione” per fascioteppisti disposti a impegnarsi in
rivoluzioni colorate e regime change. Una dirigente di questa Ong,
finanziata anche da Amnesty International, Jhanisse Vaca Daza, contribuì al
lancio del Golpe, diffondendo accuse a Morales per gli incendi nell’Amazzonia
boliviana. Un gruppo, questo, che si vanta di essere attivo anche nei pogrom di
Hong Kong.
Verso la resistenza
Su questa manovalanza squadrista internazionale ci sarebbe
ancora parecchio da aggiungere, tra nomi e fatti. Ora conta osservare cosa
succede. Se la forza maggioritaria del popolo, che sono i sostenitori di
Morales e del MAS, riesce a prevalere sulla sanguinaria repressione di polizia,
militari e relative orde fascioteppisti. Se finisce in uno stallo, comunque
fallimentare per i golpisti, come in Venezuela. O se i i feudatari razzisti
bianchi, con la loro manovalanza, riescono a consolidarsi. Forse Evo Morales ha
fatto un errore a rifugiarsi nel lontano Messico dell’ottimo Obrador. Semmai
era più vicina la confinante Argentina, dove Kirchner e Fernandez stanno
subentrando al virgulto Usa Macri. Forse avrebbe potuto restare tra i suoi
sostenitori che, privati del leader, potrebbero sentirsi senza guida,
addirittura abbandonati. Vai a sapere. Un grosso errore il presidente l’aveva
già commesso, quando ha invitato l’OAS, ambasciata degli Usa pe l’America
Latina, con il fantoccio dello Stato Profondo Almagro, a verificare i risultati
elettorali. L’avevo definita, nel pezzo precedente, un’ ingenuità
incomprensibile.
Tocca chiudere. E finisco con un riferimento alla recente
votazione delle Nazioni Unite sulla condanna del nazismo e del fascismo. Una
risoluzione presentata dalla Russia (oltre 20 milioni di morti nella guerra
contro il nazismo) e votata da 121 Stati contro 2. Il resto, Italia compresa,
ha ritenuto non valesse la pena pronunciarsi. A favore, oltre a Russia, Bielorussia,
Cina, Cuba, La Repubblica Popolare di Corea, Nicaragua, Venezuela, Siria,
Zimbabwe, tutti paesi sotto sanzioni decretate dagli Usa o dall’ONU. Contro,
Stati Uniti e Ucraina. C’è coerenza tra quel voto degli Usa e quanto succede in
Bolivia. E non solo in Bolivia.
Le sue analisi sono dense e illuminanti. grazie
RispondiEliminaChe poi uno si chiede come possa avere un seguito un personaggio come Camacho.ma sono i miracoli di questa fascioglobalizzazione orwelliana,come ha spiegato lei in questo articolo,illuminante come sempre. Molto,molto più pericoloso il Fmi,la Nato e tutta la compagnia che non un Orban. Però trovo ingeneroso paragonare Jack lo Squartatore alle elites,il povero Ripper ha fatto quello che ha fatto ma era un'anima candida se paragonato a questi mostri. Comunque io lo preferisco a Carminati.
RispondiEliminaCordialmente.
Paolo P.