Bombe inesplose tra Tehran e Tripoli
Le notizie-bomba che vi nascondono sono: 1) Un
cyberattacco USA che con ogni probabilità, secondo il NYT, nella notte dell’8
gennaio ha abbattuto il Boeing 737-800 ucraino sopra Tehran, con i suoi 176
passeggeri ed equipaggio e che forse darà il via alla battaglia finale tra
patrioti e vendipatria iraniani; 2) Il
generale Soleimani, che aveva lo status diplomatico, era in missione di pace
con piena consapevolezza USA. Era stato invitato a Baghdad dal premier iracheno
Abdul Mahdi per mediare nella contesa tra Iraq e Arabia Saudita. Gli americani
ne erano al corrente e ne hanno approfittato per allestire la trappola e
ucciderlo. 3) il regime fantoccio dei Fratelli musulmani a Tripoli, difeso
dagli stessi tagliagole Isis e Al Qaida che, per conto Usa-Nato-Turchia, hanno
imperversato in Siria, Iraq, Nigeria e a cui corrono in soccorso gli sponsor
neocolonialisti che pretendevano di combatterli. Allora servivano a frantumare
Siria e Iraq, oggi li si impiega per spartirsi la Libia, come si progetta dai
convenuti a Berlino.
Si abbattono torri, si abbattono aerei....
La prova degli occultamenti relativi all’abbattimento dell’aereo sopra Tehran nella notte della risposta iraniana all’assassinio del generale Qassem Soleimani, viene pubblicata nientemeno che dal New York Times, standard aureo del giornalismo imperiale e guerrafondaio. Pur di vantarsi di un crimine riuscito, a volte i suoi apologeti si scordano della riservatezza. Di Libia e degli irresponsabili e fieri sguatteri Nato, Conte, Di Maio e Guerini, che cianciano di interventi più o meno armati, più o meno nazionali o internazionali, parliamo dopo.
La prova degli occultamenti relativi all’abbattimento dell’aereo sopra Tehran nella notte della risposta iraniana all’assassinio del generale Qassem Soleimani, viene pubblicata nientemeno che dal New York Times, standard aureo del giornalismo imperiale e guerrafondaio. Pur di vantarsi di un crimine riuscito, a volte i suoi apologeti si scordano della riservatezza. Di Libia e degli irresponsabili e fieri sguatteri Nato, Conte, Di Maio e Guerini, che cianciano di interventi più o meno armati, più o meno nazionali o internazionali, parliamo dopo.
Ho partecipato a una conferenza in video su Iran e Libia
dell’ottima web-tv “Byoblu” dell’amico Claudio Messora (mercoledì 15
gennaio, ore 18). Oltre a me c’erano un competente ex-capo di Stato Maggiore e
due propalatori di versioni Nato degli avvenimenti nel mondo. Doveroso negare
qualsiasi attenzione alle panzane atlanticistico-sioniste che sparavano in
faccia agli spettatori. Per riassumerle ne bastano due. Nella prima si
diceva che l’aereo ucraino era stato abbattuto dai Guardiani della Rivoluzione
perché, con ogni probabilità, vi si trovava a bordo un qualche personaggio poco
gradito al regime. Per cui valeva la pena ammazzare 176 persone di cui 90 concittadini.
La seconda, ancora meglio, supponeva che il missile fosse partito dal ditino di
un ragazzetto inesperto dei Pasdaran. E’ la stampa, baby. E solo disponendo di
un audience di gente in coma neanche tanto vigile, può sfidare il ridicolo a
tal punto. Non credo sia il caso del pubblico di Byoblu, per fortuna.
Ma la stampa è anche, ahinoi, il “New York Times”, standard
aureo del giornalismo che si finge di sinistra, sta con il Partito Democratico,
col Pentagono, con i ben 16 servizi di Intelligence Usa e immancabilmente con
tutto ciò che queste nobili forze di pace e diritti umani producono. Quello
che, nella foga di uno scoop, oppure nella tracotanza di chi sa se stesso e i
suoi referenti impuniti, parrebbe uno scivolone del quotidiano a direzione
talmudica, al mondo stupefatto dovrebbe apparire come un’ammissione
agghiacciante. Riassumo.
Miracolo: beccare con la fionda una mosca in
cima alla Torre di Pisa….
Un cronista investigativo e video-esperto del NYT,
Christian Triebert, ottiene da un dissidente iraniano, Nariman Gharib, molto
popolare da quelle parti per il suo ruolo di fustigatore delle malefatte del
regime degli Ayatollah, un video di 19 secondi girato da un anonimo video-maker
a Tehran. E lo pubblica sul NYT. Triebert e Gharib sono anche collaboratori del
sito “Bellingcat”, definitosi di giornalismo investigativo e, con ogni
evidenza, megafono dei seminatori di sesquipedali balle antirusse. Non per
nulla viene ospitato anche dal “Fatto Quotidiano”. Che cosa c’è nel video?
L’esatto momento in cui un missile e poi un altro colpiscono
e fanno esplodere il Boeing ucraino uccidendo 179 persone, di cui 90 giovani
iraniani, perlopiù in viaggio di studio. Ebbene? I cellulari oramai sono miliardi
e i videomaker pronti per qualsiasi evenienza, pochi di meno. Tutto normale?
Anche che l’anonimo videomaker si trovasse alla periferia di Tehran, in una
zona industriale derelitta, poco prima dell’alba, con tanto di telecamera
professionale, puntata sul punto del cielo notturno dove sarebbe passato
l’aereo e dove lo avrebbe colpito il missile. Prendere quel punto in
quell’istante era come da terra beccare una mosca in cima alla Torre di Pisa.
Culo? O precognizione?
…. o con la camera un puntino che esplode nel cielo buio
della notte
Le compagnie aeree avevano sospeso in quelle ore i decolli
e gli atterraggi a Tehran, Poche ore prima, missili iraniani avevano disfatto
due basi USA in Iraq. L’unico aereo decollato in pieno marasma notturno era il
Boeing della Ucraina Airlines. Chi si è messo di notte a puntare un punto
preciso nel buio, sapeva. Chi ha fatto decollare 176 sicure vittime, sapeva? Di
certo sapevano i comandi militari USA in Iraq che, poche ore prima, sarebbero
arrivati su quelle basi oltre 20 missili iraniani. Li aveva avvertiti il
governo iracheno che, a sua volta, era stato avvisato da Tehran. Tanto che i
militari USA e della Coalizione, compresi i nostri professionisti, ebbero modo
di mettersi al sicuro. E qualcosa sapevano anche i numerosi aerei statunitensi
che ronzavano attorno ai confini aerei dell’Iran nei momenti precisi
dell’abbattimento dell’aereo.
Guerra cibernetica: non è la prima volta
In Iran si ricordano i casi del tutto analoghi dell’Il-20
russo abbattuto nel 2018 dalla contraerea siriana mentre pensava di colpire un
caccia israeliano che si nascondeva dietro a quello russo e quello del MH-17
malese colpito nel 2014 sopra il Donbass da un missile Thor russo (in dotazione
agli ucraini dal tempo dell’URSS). E si parla di guerra elettronica e di
attacco cibernetico. Che gli Usa abbiano sviluppato la tecnologia dei cyber-attacchi
di questo tipo è noto e ammesso. Che con tale tecnologia si possa interferire
nei radar altrui, facendo apparire minacce volanti e che i comandi degli aerei
possono essere controllati dall’esterno è altrettanto noto e assodato. Che
l’operatore notturno di Tehran, puntando la sua camera su un punto nero nel
cielo in quel momento sapesse cosa stava per avvenire è ancora più assodato.
Qualcuno dei nostri eroi dell’informazione libera e democratica vi ha
sottoposto almeno qualche dubbio su quanto avvenuto nella notte di Tehran, dopo
che il segretario di Stato Pompeo e il ministro della Guerra Esper avevano
fregato Trump imponendogli di attribuirsi l’assassinio di Soleimani e l’Iran
aveva risposto devastando due basi USA?
Gli schieramenti che si confrontano in Iran. Quelle
vere e quelle viste in Occidente
Non meno interessante, ma riguarda l’Iran, è quanto succede
dopo la tragedia. I comandi militari e quelli dei Guardiani della Rivoluzione
si sono riservati un comunicato definitivo. Il presidente Rouhani e il ministro
degli Esteri Zarif hanno invece subito condiviso la versione accreditata in
Occidente, del missile iraniano che ha preso l’aereo per errore della
contraerea. E sollecitano i militari a chiedere scusa. Ne hanno preso spunto le
Sardine sorosiane di Tehran per rimettersi in piazza contro il “regime” e per
far calare l’ombra mediatica sui sette milioni che avevano seguito la bara di
Qassem Soleimani nella sola capitale.
I “bravi analisti”, gli stessi che il taumaturgo Trump fa
tutto lui e ignavi segretari di Stato e Consiglieri della Sicurezza neocon gli
vanno dietro come pecorelle, vedono in Iran l’eterna divisione tra
“ultraconservatori” (alla Khamenei e Ahmadinejad) e “moderati o progressisti”
(tipo Khatami, Rouhani, Zarif). Curiosamente, sotto Ahmadinejad, oltre al
riscatto delle classi lavoratrici e dei poveri, c’è stato anche il più forte allentamento
delle prescrizioni islamiche, tipo sull’abbigliamento delle donne, mentre, con
i “moderati”, si è tornati alle restrizioni clericali.
Per una contrapposizione meno banale, consentitami anche
dalla conoscenza diretta dell’Iran, del suo popolo e delle sue istituzioni, va
chiarito che in Iran c’è la classica e immancabile divisione di classe. Da un
lato chi esprime la volontà e i bisogni delle classi popolari, le più colpite
dalle criminali sanzioni, e chi quelli dell’alta borghesia e dei grossi bazari
ansiosi di scambi a largo raggio e a qualsiasi costo politico. I primi, i
presunti ultraconservatori, costituiscono la base elettorale di presidenti
laici come Ahmadinejad, di segno sociale e patriottico e dunque
antimperialista. I quartieri alti producono dirigenti come Khatami, Rouhani, o
il famigerato speculatore Rafsanjani, detto “lo Squalo”, tutti pronti alla
mediazione, al compromesso, ansiosi di neoliberismo. Sono gli autori del tafazziano
accordo sul nucleare voluto dall’astuto Obama per bloccare, con l’annullamento
del nucleare civile, peraltro legalissimo, l’intero sviluppo industriale e
sociale dell’Iran, come era stato promosso
dal laico Ahmadinejad. Tra questi due schieramenti si gioca il destino del
grande paese, della sua resistenza, come del Vicino e Medio Oriente.
Da una Berlino all’altra: corsi e ricorsi
coloniali
A Berlino, tra il 1984 e il 1885, le restaurate
monarchie d’Europa riunirono, sotto il cancelliere Otto von Bismarck, i portatori
dei loro interessi vetero-feudali e neo-capitalisti per muoversi a un nuovo
assalto al Sud del mondo, Africa nello specifico, e spartirsi territori,
risorse e vie strategiche. Che la conferenza sulla Libia veda coinvolti gli
stessi predatori di allora, associati al nuovo protagonista imperialista USA e
a Stati di contorno, è il segno della tracotanza impunita con cui, sotto la
maschera benevola dei diritti umani, come allora sotto quella della civiltà e
del progresso, le potenze dell’Occidente si apprestano a nuove aggressioni,
devastazioni, genocidi, rapine a mano armata, liberista, missionaria e ONG.
Oggi come ieri, nel segno e con la benedizione della Croce.
Tutto procedeva da anni nel tran-tran di chi deplorava
l’attacco e la distruzione della pacifica e prospera Libia unita, da esso
stesso commessi; per poi approfittare del controllo dei Fratelli musulmani di
Al Serraj su segmenti del tripolitano con il suo business dei migranti.
Business sia promosso (dalle Ong e referenti politici globalizzanti), sia
avversato (dai cercatori di elettori spaventati). Ci si adattava alla
spartizione nei fatti della Libia; si calcolavano la porzioni di idrocarburi da
spartire e si contava sul caos libico perché la ricolonizzazione del Sahel da
parte di Francia e compari non fosse disturbata da un ritorno a una Libia forte
e autonoma. Tutto questo, sotto copertura di un governo riconosciuto dalla
“comunità internazionale” (un sesto dell’umanità) e dall’ONU, era la ricaduta
benefica di un graditissimo colpo di Stato islamista dei jihadisti misuratini,
che aveva costretto l’ultimo parlamento e governo legittimi, eletti
democraticamente, a rifugiarsi a Tobruq. Governo di cui il generale Khalifa
Haftar, comandante del Esercito Nazionale Libico (ENL), e il legittimo ministro
degli Esteri.
Guai se non ci fossero i cari fratellini musulmani
I Fratelli Musulmani, come s’è visto in molte occasioni,
recentemente col presidente Morsi in Egitto, cacciato da una rivoluzione di
popolo che poi si sono intestati i militari, sono, da quando furono inventati
dai britannici negli anni ’20, la Quinta Colonna del colonialismo occidentale
nel mondo arabo, prima europeo, poi Usa-Nato. Quando un movimento civile e
militare, diretto da Tobruk, è riuscito a ottenere il consenso della
maggioranza delle tribù, compresa quella di Gheddafi e il controllo sull’80%
del territorio nazionale e stava per realizzare la liberazione di Tripoli, ecco
che tutti si sono svegliati di soprassalto. E’ partita, prima piano, poi con accelerazione frenetica,
la girandola degli incontri diplomatici (con Conte e Di Maio che ridicolmente
si rincorrevano di capitale in capitale), delle conferenze di mediazione, dei
soccorsi al fidato burattino Fayez al Serraj che, guarda il caso, è di origine etnica
turca. A Erdogan questo è bastato per rivendicare a sé la “provincia
ex-ottomana”, spostarvi da Idlib migliaia di scuoiatori e stupratori jihadisti
di Isis e Al Qaida e concordare con il socio di minoranza turco-libico il possesso
delle acque tra Turchia e Libia e degli idrocarburi ivi contenuti (con tanti
saluti, oltrechè a Grecia e Cipro, a Greta e al Green New Deal).
C’è da ghignare sul fatto che per molti che avevano dato
del macellaio a Erdogan per la cacciata dei curdi dai territori siriani,da questi
invasi e occupati con l’aiuto Usa, ora lo vedono di buon occhio, perché
promette di bloccare, magari far fuori, il generale amico di Al Sisis, “dittatore
egiziano e assassino di Regeni”. Per altri, la venuta dei turchi è
benvenuta nella misura in cui il sultano non se ne approfitti troppo e lasci ad
altri porzioni del bottino petrolifero, idrico e geopolitico. Il congresso di
Berlino, di cui l’assonanza con quello del 1885 è chiaramente voluta, è a
questo che punta.
Il cattivo anticurdo diventa il buono anti-Haftar
Tanto più che a Mosca, Putin, lo “Zar” - che ha appena avviato una riforma costituzionale mirata a democratizzare l’assetto istituzionale con un premier eletto dalla Duma e non più nominato dal presidente (riforma ovviamente letta in Occidente, “manifesto” & Co, come ulteriore spinta dello “Zar” all’autocrazia) - ha sparigliato facendo sottoscrivere una tregua a Erdogan e al pesantemente pressato Serraj. Ma non a Haftar, che ha considerato la proposta irriguardosa e offensiva nei riguardi del popolo libico e del suo parlamento. E non a torto. Le tregue che, dagli incontri di Astana in qua, Mosca ha concordato con il neo-ottomano, dalle aree di de-escalation in Siria, al governatorato di Idlib zeppo di tagliatori di gola da cento paesi, fino a questa, sono tutte servite e serviranno, anche contro le intenzioni russe, a far riprendere fiato ai jihadisti in difficoltà e a farli rifornire di armi e uomini. Né dei tagliagole, né dei loro protettori (USA, Nato e Turchia) c’è mai stato da fidarsi. Ne ce ne sarà in Libia. La buona figura mediatrice e pacificatrice che Putin ha tutti i tioli per rivendicare rispetto alla psicopatologia bellica degli USA e dei loro ascari, a volte comporta un prezzo troppo alto. Lo sanno i siriani quando guardano a Idlib, alla cosiddetta “fascia di sicurezza” presa dai turchi, o alla regione del Nord Est sotto occupazione USA.
Tanto più che a Mosca, Putin, lo “Zar” - che ha appena avviato una riforma costituzionale mirata a democratizzare l’assetto istituzionale con un premier eletto dalla Duma e non più nominato dal presidente (riforma ovviamente letta in Occidente, “manifesto” & Co, come ulteriore spinta dello “Zar” all’autocrazia) - ha sparigliato facendo sottoscrivere una tregua a Erdogan e al pesantemente pressato Serraj. Ma non a Haftar, che ha considerato la proposta irriguardosa e offensiva nei riguardi del popolo libico e del suo parlamento. E non a torto. Le tregue che, dagli incontri di Astana in qua, Mosca ha concordato con il neo-ottomano, dalle aree di de-escalation in Siria, al governatorato di Idlib zeppo di tagliatori di gola da cento paesi, fino a questa, sono tutte servite e serviranno, anche contro le intenzioni russe, a far riprendere fiato ai jihadisti in difficoltà e a farli rifornire di armi e uomini. Né dei tagliagole, né dei loro protettori (USA, Nato e Turchia) c’è mai stato da fidarsi. Ne ce ne sarà in Libia. La buona figura mediatrice e pacificatrice che Putin ha tutti i tioli per rivendicare rispetto alla psicopatologia bellica degli USA e dei loro ascari, a volte comporta un prezzo troppo alto. Lo sanno i siriani quando guardano a Idlib, alla cosiddetta “fascia di sicurezza” presa dai turchi, o alla regione del Nord Est sotto occupazione USA.
Lasciateci almeno i migranti e un po’ di
petrolio
Gli italianuzzi senza arte né parte, ma con un solido e
sanguinario passato coloniale in Libia, si danno un gran e inutile da fare. Con
Haftar potrebbe rinascere una Libia unita e indipendente. Se avessimo avuto
l’intelligenza di stare con colui che ha ragione e non con i fantoccio Isis di
Tripoli e i cacciatori di neri di Misurata, l’ENI avrebbe avuto la migliore
delle chance rispetto ai concorrenti (ENI, che fa la vera politica estera
italiana, scevra dai servilismi partitici e perciò viene demonizzata dagli atlantistico-sionisti
alla Travaglio e Stefano Feltri-Bilderberg).
Ma Haftar rischia anche di far seccare una fonte vitale di
reddito, prestigio e propaganda di quella lobby plurilaterale che prospera
sullo svuotamento dell’Africa da depredare e dei nuovi schiavi con cui esaltare
la fetta padronale del mercato del lavoro. Se prende Misurata e Tripoli, ha
promesso di farla finita con la detenzione e il traffico di esseri umani che
costituiscono il profitto e l’arma di ricatto dei Fratelli musulmani e delle
loro milizie armate “governate”, si fa per dire, da Serraj. Che ne sarà delle
Ong di Soros e Merkel, delle speronatrici di navi militari italiane, delle
cooperative, della Caritas, degli Angelus di Bergoglio, degli argomenti di
Salvini, del profumo d’incenso attorno ai buonisti della maggioranza?
Di Maio e Conte farneticano di caschi blù europei (che non
esistono) da mettere a guardia del bidone e salvare Serraj. Un mini-Pompeo
italiota che fa il ministro della Difesa vorrebbe che quel dicastero fosse
dell’Offesa e pretende, insieme ai suoi generaloni, una “rimodulazione del
nostro impegno militare in Libia”. Oltre ai 400 militari scandalosamente mescolati
tra i bruti di Misurata. Hanno il coraggio di parlare di "Forza di interposizione", che non significa altro che la sciagurata spartizione della Libia tra Cirenaica e Tripolitania. Colonialisti d'accatto. Qui, dopo i 600mila libici massacrati da Graziani e il
paese distrutto con il concorso dei bombardieri di Giorgio Napolitano, noi non
abbiamo che “una parola d’ordine, categorica e imperativa per tutti”:
starsene fuori dalle gonadi. Aì vari occidentali, colpevoli delle peggiori tragedie inflitte
all’umanità nel Sud del mondo non spetta parola in capitolo. La Libia ai libici
e la soluzione non può che essere militare, come lo è stata in Siria, Iraq,
Vietnam. Giù le mani dal Sud del mondo. La “soluzione politica”, ai
tempi delle lotte di liberazione, è sempre e solo una fregatura. Non si può che
stare con Haftar. Anche perché, se quelli di Serraj incarcerano e impiccano i
gheddafiani, lui li ha riabilitati e accolti.
Gomblottoooo!!!!
RispondiEliminaScusa, ma Gheddaffi forse non era cosi' intelligente come pensi. Pensa solo a Fidel Castro rimasto in sella fino alla fine...
RispondiEliminaHo un cane basso, non bassotto - che ulula quando e' contento, di una bonta' e socialita' unica.E' giovane 5 anni, spero di morire prima io. Allegria come diceva il "signor" Mike.
Ma divago, il bassotto mi ha distratto. Ma veramente pensi che in Africa senza i cattivi colonialisti di ieri ed oggi gli africani sarebbero senza corruzione. Penso che i loro capi continuerebbero a succhiargli il sangue e comprare Mercedes a go go e appartamenti a Rue de Foche.
Sempre con stima e perche' no, affetto.