Ultimo dispaccio, cari amici, e lunghissimo. In compenso non vi arriverò più addosso più o meno per una mesata. Ci sarò per la posta, ma, per il vostro sollievo, non diffonderò più pipponi miei e neppure perle di altri fino a dopo ferragosto.
Passatevela bene, quest’estate, chè, dopo, saranno tuoni e fulmini. Di questi, devono prevalere i nostri. Attrezziamoci. Per adesso salutiamo il Lugansk liberato dalle orde naziste.
Ciao,
Fulvio
https://playmastermovie.com/fulvio-grimaldi-un-uomo-al-fronte-diretta-social
Playmastermovie, serata presentata da Alessandro Amori e Alessandro Denti, con me che rievoco, alla mano di immagini dei miei documentari, episodi salienti di alcune delle mie esperienze di decano degli inviati di guerra italiani.
Il mestiere dell’inviato di guerra, lo dico probabilmente pro domo mea, è quello più difficile e più importante. Può servire al riscatto della verità contro le macchinazioni dei carnefici. Ma può anche degradarsi a postribolo di cervelli, occhi, penne in vendita: presstitute, come genialmente è stato formulato in inglese.
Ho vissuto tutta la parabola di questa categoria, dalle stelle alle stalle. E oggi anche sotto, dove scorrono i liquami.
In Palestina, o nel Vietnam, per merito di giornalisti liberi, pensanti, indipendenti, l’inviato di guerra ha stracciato un gigantesco schema genocida e ha messo nell’angolo potenze che parevano, impunibili, immuni a ogni resa dei conti. In Ucraina ha toccato il fondo dell’abiezione nella negazione dell’assunto vantato: riferire e far capire la realtà, nelle sue tante espressioni e colorature, senza dover servire alcun interesse prestabilito.
Dalle traversate del deserto e semideserto eritreo fino all’altopiano di Keren e Asmara, sotto le bombe dell’aeronautica etiope, insieme a una pattuglia di guerriglieri del Fronte di Liberazione eritreo, alla Guerra dei Sei Giorni del 1967 in Palestina; dal Vietnam devastato dal napalm e dalla diossina dell’Agente Orange in cui, ancora anni dopo la fine della guerra, ho visto nascere deformi e morire, al Nordirlanda della “Domenica di Sangue”. Una strage di Stato. Come lo sono quasi tutte.
Un episodio, quest’ultimo, che mi permise di documentare, unico della mia professione, ma nel coro di mille testimoni scampati, la strage a sangue freddo compiuta a Derry contro una manifestazione pacifica di civili, dal Primo Battaglione Paracadutisti britannici, su ordine del governo. E che segnò la mia coscienza e il mio lavoro di giornalista con la consapevolezza di “che lacrime grondi e di che sangue” l’azione dei potenti. E di che menzogne. Sempre e comunque
Quel massacro doveva soffocare la rivolta, allora pacifica e poi armata, di un popolo in sacrosanta lotta di liberazione. Per me è diventata l’emblema, l’epitome di un confronto, che segna l’intera storia umana, tra minoranze ciniche e feroci e masse oppresse e sanguinanti che non si arrendono e, alla fine, vincono. Anche solo morendo in piedi e incidendo nella Storia la verità della vicenda umana. Così i palestinesi, i siriani, gli iracheni, i latinoamericani, i serbi, gli eritrei….
Come ancora Ugo Foscolo, chiudendo: “E tu onore di pianti, Ettore, avrai / Ove fia santo e lagrimato il sangue / Per la patria versato, e finché il Sole / Risplenderà su le sciagure umane”.
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