martedì 1 agosto 2023

NIGER-SAHEL-AFRICA: UNA PARTITA CHE NON FINISCE A NIAMEY

 



Non c’è niente di sorprendente in quanto succede in Niger e attorno al Niger, se non la posizione di Mosca. Almeno quella esplicitata da Dmitri Peskov, portavoce del governo, che pare allinearsi alle posizioni occidentali, Washington, Parigi, Londra, Bruxelles, e dei guardiani degli interessi neocoloniali in Africa, Unione Africana ed Ecowas (Unione Economica degli Stati dell’Africa Occidentale), nella richiesta di restaurare l’ordine pre-giunta militare retta dal generale Abdurahmane Tchiani

Attendiamo dalla Russia atteggiamenti chiarificatori, più autorevoli ed espliciti. Intanto ci permettiamo un certo stupore di fronte a una apparente presa di distanza da Niamey da parte della nazione che da otto anni difende la Siria da una criminale invasione occidentale tramite mercenariato jihadista e bombaroli israelo-statunitensi. Una nazione invocata in soccorso – concesso – da altri paesi africani liberatisi dalle catene di una ex-potenza colonialista di ritorno, impegnata, questa, nuovamente nel dominio, controllo, spietato sfruttamento e nella pretestuosa difesa contro milizie islamiste, appositamente allevate e armate per giustificarne l’ingiustificabile presenza.

Sono gli ultimi sviluppi di una rivoluzione che ha visto la popolazione del Niger sollevarsi contro l’assolutamente antistorico revanscismo dell’ex-tirannia coloniale, inteso alla rapina delle risorse che al Niger assicurerebbero prosperità e autodeterminazione, ma che la Francia utilizza per tenere in piedi il suo armamentario nucleare civile e militare, garanzia del suo epigonale ruolo nel mondo.

Una sollevazione caratterizzata, attraverso masse con bandiere, striscioni, slogan, persino l’assalto all’ambasciata, per un lato dall’ostilità nei confronti di chi ha finora imperversato, dominato, sfruttato e, per l’altro, dall’amicizia e dalla fiducia verso chi, in Siria, in Ucraina, in Mali, Burkina Faso, in tante parti del mondo, si è schierato politicamente, diplomaticamente, economicamente e, in alcuni casi, militarmente, dalla parte del diritto internazionale, dei diritti umani, della sovranità popolare e nazionale.

A Parigi, negli organismi sovranazionali africani di segno neocoloniale, a Washington, a Bruxelles e negli uffici dei direttori di Repubblica, Corriere e Stampa (bravi, integri e autonomi giornalisti: Molinari, Fontana, Giannini) si percuotono, rispettivamente, tamburi e tamburelli di guerra. Nel fronte opposto alla manomorta colonialista di ritorno, come sempre segnata da metastasi razzista e militarista, gli Stati liberatisi negli scorsi mesi per volontà popolare e investitura dell’apparato militare nazionale, Mali, Burkina Faso, Guinea, dichiarano il proprio impegno alla difesa dei fratelli nigerini in lotta di liberazione.

In questo contesto di clangori di sciabole abusive e di sacrosanta richiesta di libertà e dignità, sorprende un Crosetto, finora presentatosi sullo scenario interno ed esterno nei panni di Crosettsky, contrappasso italiota del più noto Zelensky. Il ministro della difesa in perenne mimetica, con elmetto in testa, bombe a mano al cinturone e, al laccio, il generale tuttofare Figliuolo, dalla corsa in sesta marcia e ridisceso al rallentamento della seconda. Alla fregola militarista, che ha contrassegnato ogni suo passo da quando era a capo della lobby delle armi, a quando di quella lobby è diventato ministro, ha sostituito uno stupefacente “calma e gesso”, in merito a eventuali incursioni sui “golpisti” del Niger. Vedremo se dura, o se l’ha detto prima del caffè.

Fa riflettere che il redivivo maresciallo italico, solitamente così pronto a piazzare i suoi soldatini di qua e di là sul mappamondo, dove le supreme autorità glielo indicano, perfino sulle cattedre delle elementari, qui non condivida il prurito di mani altrui praticato dai Molinari e compari. Non è che qui si tratti di non agevolare troppo quel Macron, che ogni tanto ci rifila qualche sberla su migranti ed Europa, e in compenso di sottrargli qualche striscia di sabbia (e uranio, oro, petrolio, manganese, zinco, diamanti….) in Africa?

Non è questo che abbiamo percepito nelle effusioni, al limite dell’accoppiamento porno, tra Giorgia e Joe, quando Joe sussurrava a Giorgia che le avrebbe concesso in dote una garitta e una spingarda in Nord Africa? Ovviamente a scapito e scherno di Macron? E allora, se dei soldatacci golpisti risultano sostenuti dall’intera loro popolazione e, quindi, sarebbe un po’ problematico affrontare il lago di sangue che comporterebbe un assalto della Legion, con concorso di afroregimi subalterni, perché non tenersi di riserva la carta del “golpista” Tchiani?

Potrebbe venire buona, una volta che nell’ottusità colonialista occidentale si fosse inserita quel barlume di buonsenso da farle capire che, al di là delle bombe con l’insegna del gallo, che nulla risolverebbero contro un’intera regione in rivolta, il faccia a faccia tra invasori africani “buoni” e “cattivi” di esercito e popolo uniti di Niger, Mali, Burkina Faso, Guinea e forse Repubblica Centroafricana, al meglio destabilizzerebbe mezza Africa. E al peggio, se questi dalla faccia nera si abbracciassero, anziché spararsi, segnerebbe un altro passo (”step”, come dicono gli analfabeti) verso la sconfitta, stavolta decisiva, del neocolonialismo euratlantico.

A vantaggio di chi? Ci sta pensando Mosca? Pechino, zitta, sembra averci pensato. Tra l’una e l’altra sono già i garanti del riscatto del Continente.

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