Sto girando l’Italia come una trottola e, finalmente, dopo tre anni di sole “pantere grigie”, mobilitate da pandemia, finti vaccini, guerre, truffe climatiche (con i giovani dalla parte sbagliata), ecco che nelle piazze e nei convegni ho visto arrivare i giovani. Senza le loro generazioni non si coglie nel segno. Lo confermano i latinoamericani del Che; i giovani russi di Zakarchenko che nel Donbass si sono immolati contro i rigurgiti nazisti scatenati da USA, Nato e UE; i fedayin e i lanciatori di sassi della seconda Intifada che, diffondendo insicurezza, a Israele avevano inflitto una crisi senza precedenti, fatta di fuga di occupanti, scomparsa degli investimenti esteri e del turismo, esaurimento dell’immigrazione ebraica; e, oggi, i combattenti di Yahya Sinwar a Gaza che stanno facendo vedere i sorci verdi ai presunti onnipotenti dell’esercito israeliano, bravo solo nello sterminio bombarolo di donne e bambini.
Lo confermano i giovani dei Mille e della Repubblica Romana
e quelli che la fecero finita con i nazifascisti. Ce lo ha fatto intravvedere la
generazione del ’68-’77. I giovani del nostro paese hanno ritrovato i
riferimenti giusti per spaccare lo specchio deformante (ma occhio a quelli
farlocchi; io, per essere così intelligente, ne ho fatto l’esperienza).
C’è un Sud del mondo che ha intrapreso un nuovo corso, a
partire dal rifiuto dell’unipolarismo globalista fondato sulla menzogna, le
emergenze inventate, la paura, sul totalitarismo, sull’attacco a tutte le
libertà. Un Sud, questo sì globale, che fiorisce oggi anche nelle piazze e
nelle coscienze della metropoli. Il vento è cambiato e la Palestina è la pietra
angolare della costruzione di una nuova umanità. Israele è, a forza di una
malvagità di cui è difficile trovare precedenti nella Storia, la grande sconfitta.
Il progetto di farne il cuneo della rivincita suprematista,
razzista, colonialista, è andato alla deriva a Gaza. Sono rimasti dieci nazioni
del mondo su 193 a votare con gli USA contro la vita dei palestinesi (due sono
rimasti quelli che si ostinano a votare per l’embargo a Cuba). E su questi numeri che si misura la sconfitta
dello Stato sionista e dei suoi sponsor e ufficiali pagatori e armatori, a
dispetto di tutti gli stermini di donne e bambini, di tutta una civiltà rasa al
suolo, di tutti i propositi di potenza basata sul genocidio.
Merito dei combattenti di Gaza e di tutta la Palestina.
Merito anche dei resistenti del Donbass e di chi ne ha impedito il genocidio,
dopo aver impedito l’obliterazione della Siria e fornito sostegno alla lotta
contro la neocolonizzazione dell’Africa.
Il costo per riportare i giovani in piazza è stato altissimo,
spaventoso. Come lo è stato il sacrificio dei martiri di Marzabotto, di
Sant’Anna di Stazzema, dei fratelli Cervi. Ma i palestinesi lo accettano, se è vero che i
sondaggi ci dicono che il consenso e le adesioni a Hamas in Palestina – dovuti
alla sua eccezionale intelligenza politica ed efficienza militare - arrivano
all’87%. Hamas, tutte le forme di resistenza palestinese e i loro echi in tutti
gli emisferi hanno innescato qualcosa che va oltre la resistenza, è diventata
contrattacco.
A noi, nell’immediato, spetta un compito molto concreto e
decisivo: smantellare l’inganno del 7 ottobre e diffondere capillarmente le
testimonianze, le inchieste, le prove, per lo più israeliane, che dimostrano di
chi sono stati vittime i morti dell’irruzione di combattenti palestinesi, tesa
a catturare ostaggi per ottenere la liberazione dei prigionieri palestinesi
nelle carceri israeliane, e di una riposta armata israeliana che non ha
guardato per il sottile. Risposta improntata alla dottrina “Hannibal” adottata
dall’esercito israeliano e che prevede di impedire a ogni costo la cattura di
israeliani. “A ogni costo” ha significato l’eliminazione, a cannonate e bombe,
degli eventuali ostaggi insieme a chi li aveva catturati. E’ quanto è successo
il 7 ottobre. Il terrorismo è tutto e solo il loro.
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