Fulvio Grimaldi per “Il ringhio del bassotto”
La
democrazia muore a Bucarest
“Il ringhio del bassotto”: Paolo Arigotti intervista
Fulvio Grimaldi
Video integrale (su Odysee): La
democrazia muore a Bucarest
I vampiri, dal grande Christopher Lee e prima e poi,
venivano innocuizzati col paletto piantato nel cuore. Roba di Transilvania
oscura. Roba di Romania nera nera. Solo che il vampiro ha rovesciato le cose e
il paletto l’ha piantato lui nel cuore. Di Calin Georgescu. Cioè della Romania,
della democrazia. Delle libertà fondamentali. Sulle cui ossa, già ben
sgranocchiate dal nazifascismo e indi giustapposte a Ventotene, si sono
piantate le fondamenta dell’Unione Europa, più rimasugli ammuffiti di Impero
Britannico.
Grandiosa rivincita. Assistita e coadiuvata da una bella
banda della Magliana, più Falange Armata, più Banda dell’Uno Bianca, più tutti
i servizi segreti con succursali private: pali, autisti, spioni, fornitori
delle armi, logistici, giureconsulti alla Nordio per assicurare ai picciotti prescrizioni
lunghe due vite. Insomma Ursula von der Leyen, Starmer, Macron, Costa, Merz,
Tusk, tutti questi che sul bavero hanno il logo banderista e Zelensky con al
collo la Croce di Ferro di Primo Grado.
Col paletto nel cuore, la Romania, cioè le sue istituzioni
democratiche, si sono giocate un probabilissimo presidente ultradestro,
cospiratore fascista, nazionalista e sovranista (orrore!), all’orecchio di
Putin che, con Tic Toc, ha martellato le sinapsi di milioni di rumeni fino a
convincerli a votare il mostro estremista putiniano che non voleva far fare
alla Romania la fine dell’Ucraina, gloria dei popoli, altare della democrazia,
monumento alla libertà.
Martellamento che ha funzionato alla grande, visto che, da
primo col 22% alle elezioni, poi per questo scandalo annullate dalla suprema
istanza rumena dell’eurogiustizia, era stato elevato nei sondaggi a primo col
45%, con prospettiva di maggioranza assoluta da solo. In elezioni che, non
potendosi annullare un’altra volta senza che ID Vance, vicepresidente e testa
pensante, tornasse a tuonare che abbattere un candidato, solo perché onesto,
assennato e perciò antiguerra, indicava che L’Europa con dentro la Romania era
al meglio una discarica di croci uncinate e si accontentassero di Zelensky.
Mi sovviene Una reminiscenza rumena, quando piantarono –
sempre quelli - il paletto nel cuore di quell’altro transilvano, Nicolae
Ceausescu. Tutto merito di Timisoara, ricordate, il massacro che sconvolse il
mondo e fece accettare la fucilazione su due piedi di Ceausescu e della moglie Elena. Nient’altro che una costruzione
Lego di quelle che ti fanno credere che si tratti del mondo. Come Srebrenica in
Jugoslavia, Racak in Kosovo, Halabja curda “gassata da Saddam”, i “gas di Assad
a East Ghouta”, l’11 settembre, il 7 ottobre, Pearl Harbour, i soldati tedeschi
vestiti da polacchi che sparano sui borghi tedeschi, la strage nazista di
polacchi a Katyn attribuita ai sovietici, e andare, andare andare. Nel segno
della fede più potente di tutti, quella della False Flag. Tipo l’inferno per i
peccatori.
Vi siete dimenticati. Vi eravate bevuti tutto, all’epoca, o
dai libri di storia? Allora allungo l’inciso, la memoria serve. Dicembre 1979,
il mondo del socialismo reale si disintegra. Picconi manovrati da Reagan,
Gorbaciov e poi Eltsin (l’Abu Mazen dell’URSS). Gorbaciov prova a intimare ai
rumeni di smetterla col socialismo e la contrapposizione a Occidente e mercato.
Ceausescu rifiuta. Problemone nei Balcani, tra Mediterraneo e Mar Nero.
Problemissimo: il popolo sta con lui, lo sostiene nella coerenza.
Occorrono paletti da conficcare nel cuore di questi
sconsiderati. E anche di quelli che da fuori, annaspando nella palude tossica
del Libero Mercato, li guardano con simpatia. A Timisoara si allestisce una
rivoltina colorata. Niente di che… Fino a quando non circolano a valanga, a
mitraglia, a bombardamento a tappeto, foto e video del “massacro della polizia
di Ceausescu”. Decine di cadaveri sparsi per le strade, con la stessa valenza
realistica dei morti disseminati sapientemente a Bucha, o dei passanti che a
Wuhan cadono stecchiti sotto telecamere occidentali a dimostrare che il Covid
c’è proprio. O della fila di camion del nostro esercito che da Bergamo portano
via ciò che l’obitorio non riesce più a smaltire: un cadavere. Uno.
Poi inchiesta. I cadaveri “uccisi dalla polizia” in quelle
ore, erano in decomposizione da giorni. Tutti tirati fuori da fosse nel
cimitero e dagli obitori. Va bene tutto, si mormora perplessi, ma non quella
povera donna morta con sul seno un cadaverino neanche tutto partorita. E lì
allora, Ceausescu, Nicolae ed Elena, se la sono proprio cercata! E la
folla cambia umore e direzione.
Funziona. Come avrebbe funzionato anni dopo a Belgrado. Fateli fuori subito i
mostri. Altro che processo, fucilateli!
La scena raccapricciante e dannante, da svolta storica, mostrava
il cadavere di una donna di settant’anni, cui avevano messo sul ventre una
creaturina malamente nata. Si è saputo, dimostrato, anche detto fra i denti. Persino
dagli stessi ragazzi di bottega mediatici. Ma nessuno ascoltava più.
In Romania certe operazioni funzionano. Ieri, oggi.
Telecomandate, ma funzionano.
Ursula suona al citofono e manda su il cestino con dentro il
Digital Services Act, DSA, da tempo licenziato dalla UE per tenerci nei ceppi
di ciò che Ursula e i suoi decidono essere disinformazione, discorsi dell’odio,
complottismo, fake news.
Dal piano ringraziano con fazzoletti blu pieni di stellette
e rimandano giù la cesta con dentro il gradimento del dono come espresso da
alcuni dei gioielli di libertà d’espressione e democrazia già confezionati e
che al DSA si sono ispirati. Insieme a una foto di Calin Georgescu sfregiata
con tanto di baffetti di Hitler.
Il governo di Bucarest ha dunque emanato questa “Ordinanza
d’emergenza” (a scartabellarci golosi si sono subito precipitati i nostri
Piantedosi e Nordio). Permette di bloccare contenuti, definire false le
informazioni, manipolate o minaccia nei confronti della Sicurezza Nazionale.
Senza autorizzazione giudiziaria e senza la benchè minima definizione dei
criteri di valutazione. A pene di segugio. Sovrana vi regna l’Intelligenza
Artificiale. Tipo, quel malfattore che attenta alla vita del ministro ha
proprio la tua faccia e pure la tua voce.
Scegliamo fior da fiore, su suggerimento dell’account
indipendente “Daily Romania”, che ne è venuto in possesso, quanto l’ordinanza
consente all’autorità – Servizi, Forze Armate, Cyberautorità, Autorità
elettorali - nel nome della sicurezza, oltre al bando di contenuti, alla
chiusura di testate, al blocco di oppositori sociali.
Creazione di profili generati dall’intelligenza artificiale.
Manipolazione delle identità di persone, imprese private, enti. Inserimenti di
profili e contenuti in piattaforme altrui. Diffusione di contenuti simili, ma opposti
e attribuiti alla stessa fonte. Utilizzo di testi farlocchi generati dall’IA.
Organizzazione di campagne di solidarietà false. Diffusione di contenuti video,
foto e audio, veri o apparentemente veri, attribuiti a entità vere o false.
Diffusione di ricerche e sondaggi falsificati o manipolati. Diffusione di
teorie della cospirazione, appelli di forte emotività, informazioni fuorvianti.
Scambio delle origini di documenti visivi (già fatto infinite volte, quando
manifestazioni per una causa erano state fatte passare per un’altra). Campagne
di diffamazione.
E qui, prescindendo da altre, complessivamente 37, voci
elencate nell’ordinanza, torniamo al caso Georgescu. Che è poi quello
collaudato, pronto ad essere adoperato
ovunque le democrazie occidentali rischiano di soccombere alle autocrazie
orientali che ricorrono a spregiudicati personaggi “di estrema destra,
“ultradestri”, “estremisti”, “ neonazisti” e, dio ce ne scampi e liberi,
putiniani.