giovedì 14 maggio 2009

MODELLO ISRAELE: UNA RAZZA, UNA CLASSE, UN PAPI





















La saggezza nasce quando le cose si chiamano con il loro nome
(Proverbio cinese)

Il titolo è la parafrasi del giorno di “Ein Volk ein Reich, ein Fuehrer.
Autocitazione: Sia nel libro “Di resistenza si vince” (malatempora editrice), sia nel docufilm “Araba fenice, il tuo nome è Gaza” (visionando@virgilio.it) avevo espresso l’apparentemente temerario concetto che le atrocità terroristiche e razziste che Israele va compiendo tra Giordano e Mediterraneo e in giro per il mondo fossero seguite con compiacimento dallo zoo imperialista perché modello e manuale d’istruzioni ideologico e operativo per la soluzione finale. Soluzione che i ricchi (il 20% con l’80% delle ricchezze planetarie) vorrebbero riservare a poveri (l’80% con il 20%). Il pronunciamento del guitto mannaro per un’ Italia monoetnica, avanguardia nella marcia occidentale verso la soluzione finale fascista, realizzata con lo sfoltimento di un’umanità nella quale sopravviva quel poco di poveri che si prestino allo schiavismo (i kapo’ per la bisogna sono ben rappresentati dai Karzai, Al Maliki, Zardari, Abu Mazen, Uribe), è limpida conferma di quell’assunto. Chiamiamo le cose con il loro nome: il guitto mannaro fa schifo da tutti i pori, ma non è coglione. Sa benissimo che gli italiani sono dalle origini un coacervo di etnie, se proprio si vogliono chiamare così le differenze geografiche, cromatiche e culturali. Per quanto i buttafuori da lupanare leghisti sognino una loro disneyland tutta celtico-padana, la combriccola di muselidi e mignatte da corte e il loro papi non si sognano di sottoporre a pulizia etnica, che so, i liguri, i veneti, i tedeschi del Tirolo, i sardi, i siculi, “etnie” da secoli felicemente intrecciate in un comune progetto di vita e poi anche statale. Avendo per megagalattico capo il neobushiano dalla pelle nera, però con al collo il passi di Wall Street e nello zaino le bombe al fosforo per bambini afghani e pakistani (ci perdonino l’impertinente descrizione gli obamaniaci del “manifesto”), e per riferimento coloro che non potendoli ammazzare tutti hanno ridotto l’80% dei palestinesi residui sotto il livello di povertà, è chiaro che non tanto di etnicismo si debba parlare. Il marocchino, il somalo, il senegalese, il filippino, il cingalese vanno benissimo nella misura in cui servano da schiavi domestici, industriali o rurali. I sauditi da casinò, i libici da Fiat, i colleghi mafiosi cinesi dalla forza lavoro inscatolata nelle cantine, i congolesi con diamanti e coltan, i moldavi del rinfoltimento postribolare, i kosovari fornitori di organi umani, i presidenti colombiani straripanti di cocaina, l’interno sinistro nigeriano i cui gol compensano le tue ruberie e le tue inettitudini in fabbrica, insomma tutti coloro che arrivano con pacchi di milioni, sono da tappeto rosso. Dei loro colori e odori ci se ne strafotte.

Siamo alle solite, a quelle di sempre: alla lotta di classe, oggi condotta con vigore mai visto prima, però ahinoi a senso unico, dall’alto in basso. E pulizia etnica nel senso della razza dei poveri, contadini, operai, intellettuali, o morti di fame che siano. E qui nessuno sta facendo meglio di Israele, con al traino il carrozzone multietnico statunitense, a guida monosociale in virtù della più antica e poderosa delle vocazioni capitaliste, oggi consolidata dal controllo sionista su moneta, armi, media e coscienze sporche. Certo, non è produttivo parlare di guerra ai lavoratori, ai poveri, a quelli fuori dalle alcove politico-sociali del guitto mannaro. Funziona molto meglio sbandierare la guerra di razza contro chi ti insidia l’evanescente posto di lavoro, rinfoltisce le code al pronto soccorso, insidia le tue femmine, ritarda l’apprendimento del tuo pupo a scuola, emana odori inconsueti negli autobus. Fa l’effetto dell’eroina: piacevolissima in vena. Del sangue avvelenato e rovinato per sempre ti accorgi dopo. I sondaggi che danno il brigantaggio di regime in vetta alle simpatie fanno il paio con quel 92% di israeliani che si sono entusiasmati per la carneficina di Gaza. Sei sull’ultimo gradino della scala, ma intanto stai sulla scala, per ora, mentre sotto c’è la melma che non ti deve sfiorare i piedi. Così ti sta bene se qualcuno scalcia verso il basso più basso di te. Lo ringrazi e scalci con lui.

Israele mica ce l’ha con i palestinesi. Ce l’ha con i “terroristi” che, essendo poveri, tirando sassi e, peggio, insistendo a darsi un nome, secondo Israele prometterebbero “una nuova shoah”. Chi non sarebbe d’accordo di infliggerla agli altri, una shoah, prima che la ripetano a te? E così Israele ha insegnato che si può massacrare a 360 gradi, sbeffeggiare centinaia di risoluzioni dell’ONU, violare ogni norma del diritto internazionale, pulirsi il culo con le convenzioni di Ginevra, compiere infanticidi come fossero disinfestazioni di pulci, rubare a man bassa acqua, terra, sottosuolo, aria, agitare l’arma nucleare a destra e manca, usare quelle proibite di distruzione di massa, procedere a rapimenti e incarceramenti di massa, abolire ogni scrupolo giurisdizionale, torturare, compiere genocidi rapidi o al rallentatore. Il combinato USraeliano impone un’unica norma interna e internazionale: la violenza illimitata del più forte, unita alla decerebrazione di tutti. I poveri non sono di etnia diversa, non sono di nessuna etnia, sono disumani, Untermenschen, niente. Se ne può fare quel che si vuole. Il 10% della ricchezza prodotta nel nostro paese ci viene dagli immigrati. Ma devono restare Untermenschen. Che non osino alzare la voce (come insegna il questore di Milano che ne vieta le grida di disperazione per strada) e, soprattutto, che siano di monito ai nostri di lavoratori: la mannaia è pronta anche per loro. Razzismo? Troppo nobile. Ferocia di classe di certo, cannibalismo.

Con il pronunciamento del guitto mannaro e del suo manutengolo da osteria, con al guinzaglio il botolo Fassino, si sale sullo stesso katerpillar con cui gli USraeliani radono al suolo cose e vite di intralcio, dunque superflue. Si manda al macero quanto le borghesie hanno dovuto concedere alle plebi in un paio di secoli di bellissime insurrezioni: l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, l’articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, l’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali, l’articolo 12 del Testo Unico italiano sull’immigrazione, la giurisdizione che per cui chi si trova su territorio italiano (le navi) non può essere soggetto a espulsioni collettive, la direttiva europea che impone che chiunque deve poter presentare richiesta d’asilo, le convenzioni che tutelano i i minori e le donne incinte, l’articolo 10 della Costituzione (che precede quello già ampiamente disintegrato da D’Alema, Prodi, Ciampi e Napolitano) sul diritto d’asilo, la criminalizzazione a prescindere dal reato: clandestino uguale delinquente.

No, clandestino uguale tua vittima da sempre. Il bello, l’orrendo di tutto questo è che coloro che vengono ributtati in mare, nel deserto, o nei mattatoi da cui fuggivano sono fin dall’origine residui della nostra masticazione, dei bianchi, cristiani, civili, benestanti, armati, ladri e assassini. Valga per tutti i paesi del sottosviluppo la Somalia. Scientificamente se ne è pianificata la distruzione. Alla caduta nel 1991 del dittatore Siad Barre, caro a Bettino Craxi, iniziatore del processo di mafizzazione nazionale, ero stato, per il TG3, il primo giornalista a mettere il naso nel paese che aveva la sfiga di trovarsi nel punto geostrategico e geopolitico più cruciale per le ruberie e mattanze dei colonialisti di ritorno. C’era un vasto movimento di popolo, guidato da un grande, onesto patriota, Mohammed Farrah Aidid, il detronizzatore del corrotto tiranno. Rischiava di rimettere in piedi lo Stato. Gli fu contrapposto un fantoccio, Ali Mahdi, e ne venne una guerra civile che, volgendo a favore dei difensori del paese, giustificò l’intervento dei ricolonizzatori, torturatori italiani compresi. Due volte quelle popolazioni tentarono di rimettersi in piedi. Prima cacciando l’occupante e poi, con una lotta di anni, ricostituendo un minimo di ordine politico e sociale grazie alla Corti Islamiche. L’Occidente gli lanciò addosso gli ascari etiopici del dittatore Meles Zenawi e poi gli F16 statunitensi. Oggi i somali rispondono, dalle loro terre zeppe di scorie tossiche e nucleari occidentali e dai loro mari avvelenati e saccheggiati (ne potei parlare al vecchio TG3, svelando i traffici della mafia di rifiuti di Spezia), riprendendosi con la “pirateria” briciole di quanto gli è stato rubato e rovinato. Nel frattempo qualche milione di somali ha dovuto mettersi in fuga, alcune migliaia in Italia, corresponsabile della loro agonia. Ma prima di arrivarci trovano le cannoniere di chi li ha ridotti in quello stato. Eppure di Somalia non si parla. Dovrebbero parlarne gli umanitari, i solidaristi, le sinistre. La solita islamofoba Sgrena vi ha visto solo lapidazioni di donne. Si parla del Darfur, che non c’è neanche il confronto. Ne parlano, urlando, gli istigatori e armatori delle bande secessioniste: Israele, Usa, Mia Farrow, la lobby ebraica, i ricchi. Così per l’Iraq: 5 milioni di profughi e sfollati, due milioni di morti ammazzati.

Non c’è paese di provenienza di chi si arrabatta attorno agli scogli dei nostri mari che non sia stato depredato, devastato, affamato dall’Occidente. Vuoi con guerre di sterminio, vuoi con la rapina delle multinazionali, vuoi con la manipolazione del clima, delle acque, dell’habitat. E’ su popolazioni alla pura e semplice fuga dalla morte che si abbatte il modello Gaza, quel modello che l’epigono tedesco Ratzinger non ha ritenuto cristiano visitare, mentre pigolava innocue inanità su un parastatarello come oggi lo vorrebbero rifilare ai palestinesi e al mondo dopo 60 anni di azzannamenti e sbriciolamenti. Un modello fatto proprio dall’illusionista Obama, esteso dall’Iraq all’Afghanistan e ora, a forza di massacri, al Pakistan, il cui vendutissimo regime è costretto a macellare di suo per non incorrere in un destino palestinese. Un modello che al culmine della crisi, quando alle banche, agli eserciti e ai monopoli non basteranno più le somministrazioni di sangue che i loro fiduciari governativi siringano dalle popolazioni subalterne, si applicherà a tutti noi. Saremo ancora i primi, tutti noi che non partecipiamo dei baccanali di papi.

2 commenti:

  1. Vorrei far notare come il paragone Afrikaner/ebrei sionisti-razzisti (ovvero, stando alle statistiche della "società civile" israelitica durante l'ultimo assalto contro Gaza, gli ebrei quasi tout court: al 96%) sia per molti versi sballato e ingiusto - nei confronti degli Afrikaner. Si vedano le date: 1652 (primi insediamenti olandesi nell'Africa del Sud), 1948 (fondazione dell'entità sionista). Da una parte 350 anni, dall'altra 61. Il primo arco temporale comporta e giustifica un eventuale jus soli secondo il concetto insuperato della giustizia romana, tenendo in considerazione il fatto che 1) i boeri originari furono in prima persona contadini (come il loro stesso nome significa) e amanti della terra in cui erano emigrati; 2) che all'inizio della loro impresa "riuscirono a stabilire rapporti pacifici con le popolazioni locali"; 3) che lottarono eroicamente contro i peggiori imperialisti, criminali e grassatori del mondo, quelli albionici al compasso e cazzuola? Credo proprio di sì. D'altronde gli Afrikaner, neppure nel periodo più buio del loro percorso, durante l'apartheid (istituito formalmente proprio nell'infausto 1948), concepirono, né, tanto meno, attuarono una politica di espulsione e pulizia etnica nei confronti dei neri. Tattica e strategia genocidaria che viceversa connota la storia dell'entità sin dalla sua origine.

    Joe Fallisi (www.nelvento.net)

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  2. Sig. Grimaldi, vorrei conoscere la sua opinione su alcuni "fatterelli" che accadono in questo obnubilato paese;
    - al di là di cosa sia realmente successo a Rinaldini, cosa le fa pensare lo scontro tra sindacati di base e Fiom? siamo ad un punto di non ritorno?
    - credo si sia già espresso in proposito altrove, ma può dirci come la pensa sull'omicidio Calabresi? cosa pensa della tesi di Mughini secondo la quale Sofri era "informato dei fatti?"
    - lei cosa farà, a queste benedette elezioni europee e provinciali? salta un giro? o si tura il naso? e nel caso, con la mano libera, su quale colorato simbolino apporrà la sua crocetta? rispetto a ciò di cui tratta lei abitualmente son questioni miserevoli (per lo meno le elezioni), ma bisogna pur, sartrianamente, sporcarsi le mani, non crede?
    grazie e buon lavoro
    edoardo

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