martedì 23 giugno 2009

"CON QUESTI NON VINCEREMO MAI!" IRAN: l'internazionalismo destro dei sinistri









































I peggiori mali che l’uomo abbia inflitto all’uomo sono venuti da persone che si dicevano certe di qualcosa che, in effetti, era falso.
(Bertrand Russell)
Fare propaganda è convincere la gente a farsi una convinzione nascondendole i fatti.
(Harold Evans)
Il linguaggio politico è finalizzato a rendere bugie verità e guerre rispettabili, e a dare un’apparenza di sostanza al vento.
(George Orwell)

Dunque, la rinnovata adesione del PRC alla truffa dei “due stati per due popoli in Palestina” e alla “lotta del popolo iraniano”, lo pone in ottima compagnia: Netaniahu, Obama, Cicchitto, Sarkozy, la Cia, il Mossad, TG1, TG5, CNN, BBC, l’intera banda della disinformazione universale e, immancabile alle scadenze dei genocidi, Adriano Sofri.
Così il “manifesto” e “Liberazione”, condotti per mano dai fiduciari di punta della lobby ebraica. Così, petto in fuori e vessilli crociati o laici al vento, tutta l’armata pacifinta e diritto-umanista che, serrati gli occhi sull’obliterazione di Iraq, Palestina, Jugoslavia, Afghanistan e ora, grazie alla “svolta” di Obama, anche Pakistan e Somalia, torna a infervorarsi, come ai tempi di Sarajevo, Belgrado, Kiev, Tblisi, Beirut, per l’affresco dell’Iran appeso dall’imperialismo bianco, cristiano, civile, moderno, nel museo colossal delle Grandi Turlupinature della Storia.

Del PRC non c’è da meravigliarsi. Al guinzaglio del guinzagliato Veltrinotti in marcia di avvicinamento al postribolo borghese, il partito aveva affidato il suo internazionalismo a Von Klausewitz della geopolitica come Salvatore Cannavò e Ramon Mantovani, che celebravano la resa della Serbia a Usa-UE per mano dei “compagni no-global”, ma anche Cia, di Otpor (poi operativi in Georgia e Ucraina); o come Gennaro Migliore, il quale inorridiva con Sharon davanti allo slogan “Intifada fino alla vittoria” ; o come Fabio Amato che, sceso dai suoi Sound System, inneggia oggi alla “rivoluzione verde” in coppia con il responsabile esteri di un’organizzazione iraniana di cui si sono perse le tracce trent’anni fa. Arriva, il PRC, facendo sghignazzare di goduria Cia, Mossad, MI6, a chiedere “a tutte le forze democratiche italiane, alle organizzazioni dei lavoratori e degli studenti, di sostenere il movimento iraniano, moltiplicando gli atti di protesta a supporto della lotta democratica del popolo iraniano” . Si celebra così il matrimonio morganatico (del principe con il plebeo) tra PD, UDC, PDL e la cosiddetta “sinistra radicale”, autenticando la “diversità assoluta” rispetto al PD che era stata codificata nelle tavole della legge del nuovo PRC. Tra le righe si percepisce l’invocazione, a stento repressa, al solito “intervento umanitario”.

In questo diadema di vetraccio fatto passare per diamanti, spicca uno che, assoldato alla pulizia etnica condotta da croati, bosniaci, kosovari, israeliani, fin da quando transitò dall’antimperialismo rivoluzionario di Lotta Continua (perciò lo conosco bene) al libro paga di Giuliano Ferrara (Il Foglio), Carlo Rossella (Panorama) e Ezio Mauro (Repubblica), segna di menzogna tutta la compagnia cantante il coro de diritti umani. Si chiama Adriano Sofri, scrive intrugliati saggi al servizio di ogni possibile guerra, di bombe o di velluto. In tal modo si è guadagnato libertà, privilegi e guiderdone come a nessun condannato per omicidio è mai capitato. Al tempo del ricambio imperialista dell’imperatore persiano con un chierico rancoroso, stragista di comunisti e iracheni, Sofri e la sua spalla Carlo Panella, pure lui nella truppa di ascari USraeliani di Ferrara, inneggiarono alla “rivoluzione islamica”. Pareva che non avessero capito nulla, invece, istruiti nelle segrete stanze, avevano capito tutto.

Khomeini era l’asso nella manica degli ultrà della rivincita colonialista che, togliendo di mezzo l’Iraq, doveva far fuori la minacciosa prospettiva dell’unità araba. Così, ancor meglio, quel corrotto satrapo ladrone, filo-yankee da sempre, di Rafsanjani e, poi, un po’ meno bene, il riottoso Mahmud Ahmadi Nejad. Solo che a costui è andata di lusso finchè ha partecipato, insieme agli Usa e all’Occidente, all’allestimento del banchetto iracheno e alla liquidazione dei Taliban. Ma poi, diventato in virtù del suo antisionismo e delle sue ambizioni da potenza regionale, portate avanti anche con l’appoggio alla resistenza palestinese e libanese, un catalizzatore della collera araba e di tutti i Sud del mondo e quindi uno scoglio intollerabile contro le razzie israeliane, ha incominciato ad andargli malissimo. Si scatena la superpotenza nucleare Israele e trasforma lo sviluppo del nucleare civile iraniano, legittimo in tutto il mondo, in megatoni d’assalto contro i sopravvissuti della Shoah. Ripartono le geremiadi delle nostre zannute ginocrate sull’infame velo. Venendo da una società in cui donne, più degradate che in qualsiasi paese musulmano, per far soldi devono rendere servizietti al premier, o sbatterci in faccia capezzoli e inguini, sotto facce ottuse, tutte uguali, non c’è male come coerenza femminista. Insomma tanto si è fatto, tanto si è sparlato da creare ricche motivazioni per indurre la conventicola teocratica giudeo-cristiana a infilare Ahmadi Nejad nella categoria dei reprobi da regime change e da scatenargli contro il vecchio fantoccio Musavi, collaudato nei traffici Cia dell’Iran-Contra, con dietro la classe sociale di mercanti, trafficoni (anche di droga), feudatari e fighetti borghesi. E pour cause : sugli interessi di questi ceti parassiti, oltre a tutto, Ahmadi Nejad aveva fatto prevalere, a forza di redistribuzione della ricchezza, di interventi su sanità, istruzione, viveri a prezzi sussidiati, gli interessi dei poveri, lavoratori, contadini, certo con tanto di velo e senza culi e tette al vento.

Conviene, comunque, ricordare ai chierichetti diritto-umanisti, più o meno consapevole mercenariato imperialista, i connotati precisi della nemesi iraniana Mir Hussein Musavi (vedi anche il mio precedente post sulla rivoluzione verde). Angolo persiano dell’esagono USA che comprendeva Michael Ledeen (neocon del Pentagono)-Kashoggi (miliardario saudita, fiduciario Cia)- Ghorbanifar (mercante d’armi iraniano)-Oliver North (esecutore Iran-Contra)-Ronald Reagan (mandante Iran-Contra), l’ex-premier 1980-85 negli anni ’80 si è arricchito del traffico d’armi e droga con cui Israele, Khomeini e la Cia finanziarono l’assalto Usa al Nicaragua sandinista (20mila morti), nonché la guerra dell’Iran all’Iraq su mandato USraeliano. Tutto questo accadeva sotto l’ombrello di alcuni istituti specializzati in operazioni sporche destinate a rimuovere fisicamente avversari e a effettuare cambi di regime senza l’intervento ufficiale delle forze armate. Nella Coalizione per la Democrazia in Iran figuravano, oltre ai partner di Musavi sopra citati, esperti di destabilizzazioni come lo JINSA (Istituto Ebraico per la Sicurezza nazionale), l’ex-capo della Cia James Woolsey, l’American Enterprise Institute, l’Hudson Institute, il National Endowment for Democracy, più una prezzemolata di ultrà del bellicismo Usa. Tutta roba già attivatasi con soldi, logistica e capobastoni neocon come Brzezinski, Richard Perle, Elliott Abrams. Robert Kagan, William Kristol, per le varie rivoluzioni colorate, a partire da Belgrado e dalla Cecenia e a finire con il Darfur e ora l’Iran. Come anche documentato egregiamente da un’ agghiacciante puntata di “Report” di qualche tempo fa.

Ineguagliabile la prosa da neomelodico Adriano Sofri (apertura in prima pagina di Repubblica): “La minaccia ha la divisa nera dei picchiatori e degli sfregiatori arruolati a milioni (bum!) dal delirio khomeinista". Tra chi è il confronto, secondo questo Oriano Fallaci da macero? “Tra uomini fanatici dalle barbe accuratamente incolte e le ragazze libere e intrepide…”. Ragazze che così gli raccontano la “rivoluzione”:
Sto ascoltando la musica che amo, anzi voglio mettermi a ballare con qualche canzone. Ho le sopracciglia sottili, può darsi che, prima, passi da un salone di bellezza domani…”
Questa la descrizione dell’ inedito “soggetto rivoluzionario” fresco di salone di bellezza: “Sempre nuove ragazze si sono riguadagnate millimetro per millimetro la loro cospirazione per la libertà, un fazzoletto spostato indietro sulla fronte, una ciocca di capelli sbucata come per distrazione da una tempia, una festa senza la tetra mascheratura come in una effimera terra di nessuno…. Mai è stato così chiaro da che parte stare. Di un Dio che bastona e stupra e lapida (guardate, non è mica il dio di Bush, a quello Sofri leva alleluia), o di un dio che sorrida dal vento tra i capelli delle ragazze…” Stiamo, come tendenza culturale, tra il vecchio Bolero Film e Carolina Invernizio. Quelli che mettono le mani nei “capelli delle ragazze”, sono rozza plebaglia al seguito di costruttori di bombe atomiche (per Sofri, più celere di Netaniahu e Lieberman, l’Iran ce l’ha già. Di quelle israeliane non si parla) che vogliono la “distruzione di Israele” (solita sineddoche falsa e tendenziosa: Ahmadi Nejad ha sempre parlato di smantellamento dello Stato sionista e razzista, non di Israele) e pretendono di aver vinto “un’elezione normalmente truccata” . Naturalmente, all’ex-rivoluzionario trasvolato tra gli ascari di Pannella e poi di Craxi non cale assolutamente dell’aspetto di classe della vicenda iraniana. Di capelli e saloni di bellezza negati si tratta, nell’eterna guerra dei ricchi contro i poveri. Tanto più che i ricchi come Sofri possono godere della “fortuna, del vanto e del privilegio di vivere in democrazia" e, dunque, di “poter scegliere che uso fare del vento fra i capelli ”. Fortuna e vanto di cui godiamo l'impareggiabile privilegio grazie a zoccole, lodi Alfano, sbirri, militari e ronde spaccacrani. Fortuna negata a quelli di Gaza, visto che il vento nein capelli e nei pomoni gli porta fosforo e uranio. O a quelli del Messico dove il favorito di Marcos e di Sofri, Calderon, da Washington ha fatto soffiare un vento che gli ha portato in grembo un milione di voti rubati al vincitore Obrador. Ma di ciò a Sofri poco importa.

Si chiedano gli indignati apostoli dei diritti umani, fatti di capelli al vento e saloni di bellezza e mai di pane, istruzione, casa, terra, autodeterminazione, come ci si trova chiusi, insieme a Sofri, Allam, Fallaci e ascari vari, in una camera iperbarica dove l’alimentazione Cia-Mossad tiene in funzione i detriti comatosi del trasformismo italiota. Se lo chiedano meglio, ricordando questo caporale di giornata sull’attenti a ogni convocazione imperialsionista, mentre a Sarajevo avallava la bufala assassina del fascista Izetbegovic sulle “bombe serbe” contro donne bosniache in fila al mercato. Bombe che invece il despota islamico aveva fatto lanciare, lui, sulla sua gente, in combutta con gli squartatori Nato della Jugoslavia (come appurato dalla commissione d’inchiesta ONU). Ma tant'è, la "rivelazione" dell'emissario agevolò i successivi bombardamenti Nato.

Sia chiaro: sui governanti di Tehran, immancabilmente definiti “dittatori” anche da coloro cui il nostro regime sta sottraendo perfino le bolle di sapone della legalità borghese, io mi sono espresso negli anni senza la minima indulgenza. Pur laico e anticlericale da far impallidire le migliori intenzioni di Robespierre, non mi sono azzardato a far da grillo parlante su costumi, religioni e culture di altri mondi con altri tempi. Ma quanto al cinismo di un regime che, d’intesa con i peggiori serial killer dell’umanità, da un lato assassina l’Iraq e collabora all’assassinio dell’Afghanistan (pur, come l’Iran, senza “vento nei capelli”) e, dall’altro, si espande regionalmente sfruttando la giusta resistenza di libanesi e palestinesi alla soluzione finale sionista, non gliene ho mai fatta passare una. Fin da quando nel 1979, sulle montagne del Kurdistan iracheno, vedevo villaggi iracheni bruciare sotto proiettili israeliani da cannoni persiani, mesi prima dello scoppio della guerra. Fin da quando vedevo i militari di Saddam (laico, socialista, con tutto il vento del mondo nei capelli delle ragazze, ma diabolizzato lo stesso) rastrellare i sabotatori infiltrati dall’Iran in tempo di pace. Fin da quando stavo sotto le bombe bushiane di Shock and Awe che davano via libera alle milizie assassine scite al soldo di Tehran. E fin da quanto si scoprì che a gassare i curdi di Halabja erano stati gli iraniani, a dispetto di una bufala, ingoiata da tutti, che aveva attribuito la strage a Saddam. Non corrano, gli utili idioti, a darmi del filo-Ahmadi Nejad perché tra un quisling della destabilizzazione voluta dall’imperialismo e un presidente nazionalista, democraticamente eletto, non mi piego all’ennesima truffa colorata. Qui non era in gioco il crepuscolare “vento nei capelli delle ragazze” (ragazze, peraltro, che lì possono abortire fino al 45° giorno, divorziare, prostituirsi, cambiare sesso con la mutua, fare tutti i mestieri e laccarsi le unghie prima di scendere in piazza). Qui l’Iran si sta giocando il ruolo di ultimo Stato della regione, accanto alla Siria, non divorato dagli sterminatori della sovranità dei popoli. Dei morti ammazzati nei cortei di Tehran, come delle devastazione fatte prima da un vento che non scompigliava capelli, ma incendiava e saccheggiava case, edifici pubblici e verità, si chieda conto ai burattinai di tutte le “rivoluzioni colorate”. Stanno a Washington, a Langley, a Tel Aviv. Stavano anche sui terrazzi di Caracas, quando, per incolpare Chavez di strage analoga, cecchini di estrazione israeliana spararono e ammazzarono. Allora furono 60.

C’è di tutto sul carrozzone degli utili idioti e degli amici del giaguaro che, trainato da somari, viaggia verso il paese dove le orecchie da somaro crescono a chiunque. E il contrario di tutto, concesso ma non ammesso che quello che in Italia si definisce di sinistra, o centrosinistra, sia il contrario di quanto si definisce di destra. Cosa smentita anche in questo caso dal comune rovesciamento della verità iraniana. Tra i paggetti sul retro del Landau c’è anche tal Niki Vendola, governatore delle Puglie, un OGM delle coltivazioni postcomuniste dalle fattezze di cera sotto calore, la cui onestà intellettuale viaggia disinvolta tra contraddizioni vertiginose. Agli anatemi contro i fondamentalisti di Tehran, fautori di veli e persecutori di omosessuali, si sposa una scalmanata devozione a Chiesa e papi che l’omosessualità la vedono come Khomeini vedeva Moana. Primo atto del governatore della Puglia, seguito dalla privatizzazione del massimo acquedotto nazionale, l’intitolazione dell’aeroporto di Bari al caro polacco Woytila. Il secondo atto venne forse suggerito dalla necessità di un miracolo per la sua giunta sprofondante nella melma della sanità pugliese (vicepresidente inquisito e dimissionario, uomo della “primavera” di Vendola), oppure dal bisogno di un’assoluzione per essersi fatto fuori, secondo gli autorevoli Rizzo e Stella, la bellezza di 350mila euro per esibirsi alla 4 giorni newyorchese del Columbus Day (la sceneggiata con cui i coloni Usa coprono il genocidio dei nativi). Trattossi dell’omaggio al gabbamondo dagli autograffi sul palmo delle mani, al “santo di stoppia” secondo papa Roncalli. Si vocifera che ora lo Svendola pensa di sostituire la mummia di Lenin con quella di Padre Pio. Forse per le virtù rivoluzionarie che il monaco manifestava già negli anni venti quando, con manipoli di squadristi del foggiano, andava pestando e sfasciando esponenti e comuni di sinistra. Vendola in fila tra i fedeli rintronati e poi militante montalciniano, prostrato in venerazione davanti alla salma riesumata e siliconata, creatrice a S. Giovanni Rotondo della più abbietta e sanguisuga superstizione dai tempi dell’invenzione della reliquia del Santo Prepuzio: è un continuum vendolottiano di tutta la conventicola umoristicamente chiamata “Sinistra e libertà”. Si parte dagli ex-voto al Dalai Lama, al papa, a Padre Pio e si finisce coerentemente con i vituperi contro Ahmadi Nejad e i “terroristi islamici”, ovunque e specialmente a Gaza. Dite voi se si tratta di utili idioti o amici del giaguaro. Già mi rimproverano che vedo Cia e Mossad dappertutto…E’ che stanno tutti nello stesso caravanserraglio, Frattini, Hillary, Gordon Brown, Minzolini, Pagliara, Parlato, Bertinocchio, Marina Forti (“I brogli di Ahmadi Nejad”), Left (“Il voto rubato”), Franco Giordano, Veltroni, Ingrao, Rossanda… ci si confonde tra tutte queste orecchie d’asino. Tra le quali spiccano per proterva lunghezza quelle di Gigi Sullo, il direttore della rivista “Carta”, house-organ del Fregoli Marcos e delle sue sei residue caracoles zapatiste. Merita una menzione speciale per quel numero intero dedicato al musulmano libico Gheddafi, un altro Hitler ovviamente (anche se fuori tempo rispetto all’impostazione Usa), che rinchiude in orridi campi di concentramento i profughi africani. Punta avanzata di una pattuglia di ringhiosi eurocentrici, dall’inconscio revanscismo coloniale, l’uomo zapatico avrebbe fatto bene a considerare che in Libia arrivano le torme di disperati dall’intero continente, roba che neanche una potenza come gli Usa saprebbe affrontare. Che quei disperati sono in fuga dai disastri che tutti sono stati combinati dai par suoi bianchi e cristiani, in termini militari, politici, economici, ambientali, climatici. Che la genìa della quale lui è un tardo, ma non indegno, derivato, della Libia aveva fatto tabula rasa come meglio non avrebbe potuto il Sahara, gassandone, bombardandone, impiccandone e uccidendone nei campi di concentramento mezza popolazione. Qualsiasi cosa si possa attribuire a Gheddafi, che comunque per il suo paese ha fatto un po’ meglio di decine di premier democristo-socialisto-ulivesco-berlusconidi, nessun erede della più sanguinaria dei genocidi coloniali ha il diritto di agitare il ditino. Prenditela con coloro che costringono a fuggire in Libia le vittime dei loro crimini. E semmai con quel tuo subcomandante che, da chissà quale pulpito, si permette di sbertucciare i leader e i movimenti antimperialisti di mezzo mondo.

E’ un’ armata Brancaleone che, ispirata dagli sfracelli del duo papa-imperatore da Sacro Romano Impero, con l’innesto di qualche rabbino dalla ferità talmudiana, si è dato il compito di coprire di gigli umanitari le volpi e i conigli mandati a mandare in vacca la volontà della maggioranza degli iraniani, nonchè le corazze e le balestre di ogni nuova crociata e magari i 500 ascari e i Tornado promessi dal guitto mannaro al neo-sfracellatore Usa di Afghanistan e Pakistan, a rinforzo di chi già si è fatto le ossa mitragliando famigliole “integraliste” L’assunzione incondizionata del paradigma del “terrorismo islamico” (presto, vedrete, daranno dell’Al Qaida anche a Ahmadi Nejad) lo concede e lo impone. Vantano, questi fustigatori dell’oscurantismo islamico, radici in un Occidente dove non esiste più l’ombra di un voto onesto, sia per brogli sistematici che portano al potere presidenti e vassalli, sia perché l’oligarchia mediatica predispone i cervelli alla scelta voluta, fosse anche del più nefasto dei propri nemici di classe. Epperò si permettono di strepitare di brogli in un’elezione che ha confermato tutti i sondaggi, interni ed esterni, più di trenta, che ha visto un dibattito libero e vivace come nella zombilandia occidentale manco ce lo sogniamo, un’affluenza dell’80%, una differenza di 21 milioni sul candidato appoggiato da tutta la cosca Nato e in cui, per sovraprezzo, si è deciso di andare alla verifica di tutti quei voti per cui sono state avanzate contestazioni. Hanno individuato la prova della truffa nella comunicazione dei risultati appena due ore dalla fine dello spoglio, ma hanno guardato dall’altra parte quando lo sconfitto annunciava la propria vittoria ore prima della fine del conteggio. Orgasmatiche tra le sorelle verdi scese su alti tacchi dai quartieri alti, le vibranti inviate dei nostri media non hanno mai messo piede nelle provincie, nelle città e nei villaggi dell’entroterra dove da anni Ahmadi Nejad gode di un appoggio stramaggioritario. L’evidenza di uno scontro di classe tra borghesia dei commerci, delle professioni, degli affari e i ceti dei meno abbienti, l’hanno accantonata con lo sprezzante “non sempre il proletariato fa le scelte giuste”. Avrebbero potuto documentarsi sul perché il presidente abbia vinto tra i lavoratori del petrolio e delle grandi industrie: avrebbero scoperto che a costoro non piaceva il programma riformista di privatizzazione di tali industrie e deregolamentazione dei servizi pubblici. Fossero andati nelle regioni di confine, avrebbero potuto capire le ragioni del massiccio voto per Ahmadi Nejad nel suo rafforzamento della sicurezza alla frontiere contro le sempre più virulenti minacce israeliane e statunitensi e le operazioni sporche finalizzate a creare movimenti secessionisti. Ecco, invece, che riemerge, per tutto ridurre ad unum, l’ombra di Hitler, quella da tempo cucita dai nazisionisti e neocon sulla figura di Ahmadi Nejad. Non è stato così con Milosevic, con Fidel, Kim Jong Il, Chavez, Nasrallah, Saddam? E mai con Uribe, Mubaraq, Netaniahu? E qual’era il crimine hitleriano di costoro se non la mancata calata dei pantaloni davanti a Exxon, Monsanto e il Pentagono? Repetita juvant, ma solo per chi non è stato infettato dalla sindrome di Giuda.

Netaniahu aveva sollecitato i propri accoliti sionisti negli Usa a giocare fino in fondo la carta della frode elettorale, onde distogliere Obama da eventuali dialoghi con Tehran. L’emittente Usa “ABC” e il londinese “Daily Telegraph” avevano annunciato nel maggio del 2007 che la Cia aveva ricevuto il mandato presidenziale di unire le operazioni sporche per destabilizzare il governo iraniano a una grande campagna di propaganda e disinformazione contro il regime dei mullah. John Bolton, ex-ambasciatore Usa all’ONU, aveva dichiarato che un attacco all’Iran sarebbe stata l’opzione estrema, ma solo dopo sanzioni economiche e dopo il fallimento di una rivolta popolare per presunti brogli elettorali. Il giornalista investigativo Seymour Hersch, premio Pulitzer, aveva rivelato mesi fa sul “New Yorker” che il Congresso aveva approvato una richiesta della Casa Bianca di finanziare con 400 milioni di dollari una grande campagna di sabotaggi del potere religioso iraniano. Un giorno prima delle elezioni, il neocon Kenneth Timmerman scrisse che vi sarebbe stata una “rivoluzione verde” a Tehran per la quale la National Endowment for Democracy (NED), quella dietro a tutte le “rivoluzioni colorate”, avrebbe già speso milioni di dollari. I legami del gruppo Musavi con Ong finanziate dalla NED sono noti. Per quale motivo preparare una “rivoluzione verde” prima del voto, visto che Musavi e i suoi si dicevano sicuri della vittoria?


Tutto questo dovrebbe porre un freno agli ossessi dell’unità delle sinistre. Unità con chi? Unità con i bulimici di strapuntini PD? Unità con chi si mette la stola del Dalai Lama e sfoggia sorrisi celestiali? Unità con chi salta su e marcia a ogni suon di tromba dell’associazione a delinquere chiamata “comunità internazionale”, fino alla disintegrazione del Sudan grazie ai mercenari locali nel Darfur, fino al doppio stato in Palestina che destina quel popolo alla sottomissione, alla frantumazione, all’estinzione. Fino all’esportazione dei “diritti umani” e della “democrazia” tipo Uribe, Karzai, Al Maliki, Mubaraq, in Somalia, Eritrea, Venezuela, Cuba, Nepal, Gaza, Bolivia, ovunque nel mondo vi sia una miniera da arraffare, una foresta da tagliare, una sorgente da rubare, un popolo di troppo da sterminare. Pigolìì sommessi e incerti sono state, a questo proposito, le voci non allineate che resistono in nicchie anatagoniste. La lezione pro-Nato del compromissorio Berlinguer e le flatulenze collaborazioniste di Bertinotti hanno prodotto un degrado etico-politico universale. Hanno avvolto il maglio dell’imperialismo nell’ovatta dei diritti civili e di una democrazia talmente falsa da nobilitare al confronto l’ipocrisia di 2000 anni di pontefici di Santa Romana Chiesa. E senza sapere di imperialismo, cari compagni, non si sa e non si fa un fico secco di lotta di classe. E non la si sa e non la si fa mai più con queste escrescenze spurie di una storia compromessa, qualsiasi unità si voglia costruire incollando i cocci di un’anfora il cui vino è andato a male da tempo. Personalmente non sono disposto a estenuarmi ulteriormente in indulgenze per chi arriva a vertici di idiozia o collateralismo come quelli denunciati in questa scritto. Chi toppa sull’imperialismo e sull’internazionalismo non può avere voce in capitolo neanche su precari, terremoto e Vicenza. Si deve ripartire da capo, que se vayan todos.

8 commenti:

  1. Caro Grimaldi, non ti dice viene in mente niente quando dici NED?
    E se ti dico NEDA (che vuol dire voce in farsi)?
    Tutte le rivoluzioni colorate hanno bisogno di un fantomatico "eroe" o di un fantomatico "atto sanguinario".
    timisoara per ceaucescu, srebenicza per la jugoslavia e via discorrendo.
    Similitudini?
    Saluti
    Gianni

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  2. Anche in iran hanno usato la frode tv, ormai l'occidente si beve tutto.

    http://www.youtube.com/watch?gl=IT&hl=it&v=BHdCQQ11WtU

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  3. Discutere del video della donna, vero o falso che sia, è comunque fumo. In italia tutti dicono che ci sia censura in Iran, allora perchè posso leggere i blog dei rivoltosi, vedere le loro foto ed i loro bei video, mentre invece www.irna.ir è bloccata da più di una settimana?
    Qualcosa non torna.

    Su twitter e la sua funzione. Cercate Jared Cohen, bambino prodigio del "policy planning" per il dipartimento USA. Ha di fatto costretto il "social network" a ritardare lavori di manutenzione nelle ore critiche della rivolta a Tehran. "Liberà di espressione" si propone il suo ufficio, diffondendo un video su come organizzare una folla (mob, in inglese vuol dire anche assalto).

    Nel video, tra i requisiti essenziali per "lo scopo" c'è "avere un collegamento a internet ed un account in un social network". Per capirsi: twitter permette di mandare sms a tutte le persone che si vuole, contemporaneamente. Il video si spiega da se'.

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  4. http://www.resistenze.org/sito/te/cu/li/culi9f23-005283.htm

    Facebook è della CIA?

    di Ernesto Carmona*

    26/05/2009

    I media celebrano Mark Zuckerberg come il giovane prodigio che a soli 23 anni è diventato miliardario grazie al successo di Facebook, ma non prestano attenzione agli "investimenti di capitale a rischio" per più di 40 milioni di dollari effettuati dalla CIA per sviluppare la rete sociale.

    Nel 2008, quando la frenesia speculativa di Wall Street ha portato gli incauti a ritenere che il valore di Facebook fosse pari a 15 miliardi di dollari, Zuckerberg si trasformò nel più giovane miliardario "che si è fatto da solo" nella storia della classifica della rivista Forbes, con 1.500 milioni di dollari. Fino a quel momento, il capitale a rischio investito dalla CIA sembrava aver ottenuto un buon rendimento, ma il "valore" di Facebook nel

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  5. Neda? Appunto, è ciò che ho sempre affermato. Vi è una perfetta comunione e sintonia tra la propaganda guerrista occidentale e quella Femminista. Una donna(e non un uomo, perchè i "maschi" possono pure tranquillamente morire ammazzati) vittima "della repressione" serve come impatto emotivo affinchè si inneschi la rabbia e l'esacrazione dell'opinione pubblica occdentale, assuefatta di menzognerie guerriste e femministe, contro il "Regime Iraniano" che ha osato uccidere, niente di meno, una Donna! Pensate un pò!!

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  6. Filvio, un ruolo contingentemente antiegemonico, come al massimo può definirsi quello dell’Iran degli ayatollah, giocato non certo con la finalità di emancipare le popolazioni mediorientali dallo sfruttamento capitalistico ma per assoggettarle ad un dominio teocratico che incarna l’assolutismo reazionario come mai si è verificato nella storia, è il ruolo del peggior nemico degli antimperialisti come delle masse proletarie e popolari.

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  7. Caro Fulvio,io non credo che la lotta di classe aiuti a capire che l'imperialismo non è più quello dei mezzi di produzione, ma quello della grande finanza che controlla governi e partiti (tutti).
    Ti chiedo do poter pubblicare sul sito del PBC ampi stralci del tuo scritto riguardanti l'Iran.
    Nota. Il finale,messo giù così sembra che su precari, terremoto e Vicenza "i pacifinti" dicano e facciano cose buone; purtroppo su questi temi, come su ambiente e grandi furti di denaro pubblico, di buono non hanno proprio detto ne fatto nulla.
    Un abbraccio, Nando.

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  8. Caro Fulvio condivido quello che hai detto.

    Trovo molta difficoltà, a 25 anni, ad ingoiare la merda che giorno per giorno mi viene restituita dalla militanza partitica che attualmente sto svolgendo.

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