Occhio: da fine novembre, primi di dicembre, sarà disponibile “HONDURAS – L’AMERICA LATINA ALLA BATTAGLIA FINALE” , il mio nuovo documentario girato nel Continente latinoamericano e in Honduras con Marco Diotallevi. Si possono prenotare presentazioni da metà dicembre.
Beato il paese che non ha bisogno di eroi.
(Bertold Brecht)
Beato il paese che produce molti eroi.
(io)
Un popolo in piazza per quattro mesi, in città, villaggi, quartieri, bidonvilles, a dispetto delle proprie forze, della famiglia, della scuola, del lavoro, della salute, del rischio di essere ferito, sequestrato, fatto sparire, torturato, ammazzato. Per la libertà, anzitutto (il nome vero dell’abusata “democrazia”), per la dignità, per il pane, per i figli, per il futuro. Quattro mesi di sacrosanto amore, fitto tessuto della comunità, e di sacrosanto odio che, aldilà dei vaneggiamenti dei nonviolenti fautori del disarmo unilaterale, va a chi, per ingrassare, ci succhia il sangue. E così, dopo decine di morti, centinaia di feriti, migliaia di carcerati e desaparecidos, infinite botte, paura, terrore, repressione dell’informazione libera e resistenza, guidato da capi scaturiti dalla lotta e dalla volontà di massa resi irriducibili, il Frente de Resistencia al Golpe de Estado, ha vinto. Alla maniera di come hanno vinto i popoli di Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua. Rendendo impraticabile la dittatura, gettando i corpi dei tantissimi giusti contro fucili, veleni e mazze, riparo dei pochissimi ingiusti. Micheletti ha firmato l’ultimo punto del comunque nefasto “Accordo di S. José” mediato in Costarica dal mezzano locale degli Usa, Oscar Arias, premio Nobel alla maniera di Obama. Accordo che sancisce il ritorno formale alla situazione istituzionale precedente il golpe del 28 giugno, cioè del ritorno alla presidenza della repubblica di Manuel Zelaya, il liberale-liberista divenuto riformatore alla bolivariana, traditore de suoi padrini oligarchici e imperialisti, impegnato a trasformare la “repubblica delle banane”, piattaforma per le incursioni genocide degli Usa in Centroamerica, in qualcosa di degno del proprio popolo.
L’accordo è stato firmato il 30 ottobre dal lumpendiktator Roberto Micheletti, dopo aver tentato di tergiversare per arrivare a elezioni da manipolare grazie al potere assoluto sull’amministrazione statale e alla disponibilità dei gorilla delle forze armate di obbedienza pentagoniana. Elezioni che avrebbero legittimato quell’operazione 28 giugno che aveva riportato l’America Latina ai fasti fascisti della kissingeriana operazione Condor: Obama esattamente come Nixon e Reagan e tutti i presidenti Usa di tutti i tempi. “L’impero è l’ìmpero”, come mi ha detto a Tegucigalpa, nella sua modesta casa, abitazione più da operaio che da segretario generale del sindacato honduregno, Carlos Reyes, protagonista del memorabile sciopero generale del 1954 che rivelò al mondo come tra banane e bananieri a stelle e strisce ci fossero anche lavoratori in lotta, indigeni vivi, un popolo degno del nome più di molti altri. Reyes è oggi, a elezioni di fine novembre garantite limpide dal restaurato Zelaya, il candidato alla presidenza della repubblica del movimento di resistenza popolare: C’è chi si illude su Obama, che s’immagina scontri tra i cattivi e i buoni a Washington. Ma così argomentando si mena solo il can per l’aia. E il cane siamo noi. L’impero è l’impero. L’impero ci ha fatto due guerre in questi mesi: una interna, di classe, utilizzando i tirapiedi locali delle Dieci Famiglie e dell’esercito gorilla, per annullare le misure sociali antiliberiste adottate da Zelaya. L’altra, esterna, contro Hugo Chavez e tutto il movimento di emancipazione latinoamericano, per il quale noi dovevamo servire da esempio e, poi, da base di lancio per il recupero, anche militare, delle posizioni perdute nel continente.
Certo, pecore e volpi (chiedo scusa per la metafora agli animali) inneggeranno ora agli Usa, a Obama, al Dipartimento di Stato della virago Clinton, qualche femminista italiana del giro delle ginocrati tornerà a scaldarsi sull’ “angelo Hillary” (Mariuccia Ciotta) che ha inviato a Tegucigalpa il suo sottosegretario Thomas Shannon, una di quelle lenze alla Holbrooke e alla Mitchell che vanno in giro a fottere la gente con sopra il cappuccio del boia la targhetta del “mediatore”. Tutto il merito agli Usa che, dopo quattro mesi, hanno costretto il Goriletti – Pinochetti ad abbassare il pennacchio mussoliniano. Cosa che avrebbero potuto fare con una telefonata al proconsole coloniale il pomeriggio stesso della defenestrazione manumilitari di uno Zelaya in pigiama. Non scherziamo. La Clinton che, tramite il suo burattino all’OSA aveva dato dell’ “idiota” a Zelaya rientrato avventurosamente, per i golpisti imbarazzantemente, in Honduras, pronube Lula, aveva flirtato per tutto questo tempo con la feccia militar-oligarchica insediatasi nel più povero, degradato e presunto sottomesso paese dell’area. Il golpe l’aveva partorito questa orrida megera, inseminata da Cia e Mossad (presente in forze, come mi ha denunciato lo stesso Reyes, in tutte le fasi di golpe e repressione), con l’assistenza al parto della levatrice Obama. Obtorto collo, ridotta in ginocchio dall’immensa e ininterrotta forza dei caminantes honduregni, si è dovuta acconciare al piano B: accettare il ritorno dell’ infame, rinnegato dell’impero, ma senza che a ciò si accompagnasse alcun provvedimento contro i fiduciari momentaneamente messi da parte. Fiduciari Usa che ogni legge marchia di criminali colpevoli di alto tradimento, di assassinii di massa e di violazione di ogni diritto umano. Impunità di costoro, conferma del golpista militare al comando supremo, Vasquez Velasquez, salvataggio del torturatore e seriallkiller degli anni’80, Billy Joya, qui tornato a impazzare. Per gli Usa e le Dieci Famiglie di licantropi locali c’è, ad addolcire la battuta d’arresto, il valore aggiunto di un presidente, sì vittorioso nel recupero della sua carica, ma sostanzialmente svuotato di ogni possibilità di far danno. Ha sottoscritto i punti dell’accordo che annullano l’assemblea nazionale costituente per il cambio radicale del paese, ha rinunciato ai più importanti provvedimenti a suo tempo adottati per mutare la condizione di stato-burletta nel teatro delle multinazionali come, in primis, l’adesione all’ALBA, l’Alleanza Bolivariana dei Popoli dell’America Latina, voluta da Chavez e diventata il temutissimo, da multinazionali e FMI, fronte avanzato dell’antimperialismo e del progresso sociale nel continente.
Il giorno prima dell’arrivo dell’emissario Shannon, c’era stata una delle più grandi manifestazione della Resistenza e una delle più brutali aggressioni dei gorilla di Micheletti. Forse il dado è stato tratto quel giorno. Un popolo in piedi e in piazza, pur inerme, troppo inerme, ininterrottamente per oltre 120 giorni, alla faccia del peggio che il pinochettismo aggiornato può infliggere a essere umani, fa paura e pesa. Qualcuno tra i burattini e il burattinaio ha capito che così non c’era verso di andare avanti. I burattini ci hanno provato: nel percorso dall’Università Pedagogica, nella lontana periferia, fino all’Hotel Clarion, sede delle trattative, hanno scatenato sui ventimila tra donne, anziani, bambini, militanti, tutto quello che l’apparato repressivo messo in piedi dagli israeliani aveva a disposizione: altri feriti, altri fratturati, altri bastonati, altri sequestrati, altri spediti in ospedale per intossicazione da gas venefici. Molte centinaia avevano incredibilmente resistito e si erano trincerati davanti al “5 Stelle” , luogo della presa per i fondelli durata un mese e oggi battuta. Girava voce, confermata in Nicaragua, che in quel paese honduregni meno disposti a subire calci in faccia e morti ammazzati da una dittatura duratura, stavano addestrandosi ad altre forme di lotta e di contrasto al terrorismo di Stato sparso dall’impero per ogni dove. Sarebbe stata una resistenza non isolata come un tempo, non senza sostegni internazionali di ogni genere: l’America Latina non è più tutta amerikana, anzi, lo è per soli due parastati, narcostati, Colombia e Perù. Voleva Obama lacerare ulteriormente la sua facciata di cartapesta imbarcandosi in una guerra di sterminio sul modello Contras degli anni’80? Forse no, non ancora. Intanto ci ha provato con il golpe alla Pinochet. Ma stavolta li non è andata come a Kissinger allora. Bel segno di come le cose da quella parte del mondo sono cambiate. E pensare che da noi, chi dovrebbe guardare da quelle parti e imparare, imparare, imparare, tiene la testa di struzzo avvolta nel pluriball delle sue folcloristiche pippe domiciliari.
Mentre scrivo c’è ancora qualche firma da mettere sotto l’accordo per il ritorno alla legalità costituzionale. Ancora per guadagnare tempo – non tanto per salvarsi la ghirba, quella gliela garantisce Washington – il Goriletti con le mutande alle caviglie si è appellato a un trucco istituzionale: il ritorno di Zelaya deve essere “approvato dal Congresso sentita la Corte Suprema di Giustizia”. Su questi due organismi si appoggia il lumpendiktator appeso al cappio strettogli addosso dalla rivolta popolare. Si tratta di due putride latrine, colme di detriti rastrellati dall’oligarchia golpista, che già avevano legalizzato il colpo di Stato. Forse, agitandogli sul muso i suoi serpenti la gorgone Clinton, questi sicari del golpe accetteranno di sottostare alla necessitata congiuntura e approveranno. Mel Zelaya tornerà al suo posto, è stato bravo nelle condizioni micidiali in cui i gaglioffi lo avevano ristretto nell’ambasciata del Brasile, ha tenuto duro, ha incitato la sua gente alla resistenza. Ma quello che governerà da qui alla fine di gennaio, quando gli subentrerà il successore eletto il 29 novembre, sarà un presidente dimezzato, impegnatosi a non fare più nulla di quello che voleva fare e il popolo chiedeva che facesse. Sarà già grasso che cola se riuscirà a impedire che le elezioni diventino una megatruffa alla Karzai, quelle che gli Usa hanno ormai preso la consuetudine di allestire a casa loro e ovunque gli convenga. Perché il processo di liberazione portato avanti dai milioni di eroi di questo paese continui, dovrebbe uscire da libere e trasparenti elezioni il candidato del popolo Carlos Reyes. Sarebbe come la vittoria di Chavez o di Morales, una rivoluzione dal voto. Se Zelaya invita a votare per lui, non c’è partita per gli altri, squallidi rimasugli di un bipartitismo – liberal-nacional - all’Italiana, di quelli che ci sono famigliari poiché, qui come lì, si esibiscono sui muri delle città con le facce più bolse e ottuse che la politica della borghesia capitalista riesce a scovare.
Il composito Fronte della Resistenza deve ora mantenere la sua finora saldissima unità, riuscita addirittura ad aggregare settori del vecchio Partito Liberale e del partitello di Unità Democratica. Non deve perdere i pezzi particolarmente leali al personaggio Zelaya che potrebbero dirsi: “Tornato il presidente tutto è risolto. Lasciamo fare a lui”. E no. La vittoria è grande, esemplare, storica. Ma è una vittoria tattica. Tira un’aria, soffiata dagli Usa, da legge di “Punto final”, quella che nei paesi della dittatura latinoamericana ha garantito per troppi anni, e in parte ancora garantisce, l’impunità ai despoti assassini e violatori dei diritti umani. Guai se la Resistenza ora mollasse e non stesse con 14 milioni di occhi (sette e mezzo sono gli abitanti, il mezzo è dei vampiri e loro ascari) addosso agli eventi politici che si dipanano a partire da adesso e che, o sono condizionati dalla richiesta popolare di democrazia, giustizia e assemblea nazionale costituente per il rinnovamento del paese, o sono il contrario, come golpisti e padrini vorrebbero. Le insidie per l’Honduras libero sono ancora tante. E ancora tanta è l’indifferenza, l’ignavia, la stolta assenza delle sinistre fuori dall’America Latina. Se l’Honduras perde, anche noi perdiamo e non ce lo dovremmo perdonare mai. Lo stivale del mostro avrebbe fatto un altro passo avanti sul corpo di tutti. In queste ore a Tegucigalpa la città è occupata da centinaia di migliaia di persone festanti e decise più che mai. Il paese è occupato da 7 milioni. Quello stivale ha perso il tacco.
Scrive il Fronte Nazionale di Resistenza: Questa vittoria si è potuta ottenere con più di quattro mesi di lotta e sacrificio del popolo. Un popolo che, nonostante la selvaggia repressione inflittagli dai corpi fascisti di uno Stato in mano alla classe dominante, ha saputo resistere e far crescere coscienza e organizzazione, fino a trasformarsi in una forza sociale incontenibile… La firma da parte della Dittatura del documento in cui si stabilisce di far tornare il Potere Esecutivo allo stato precedente il 28 giugno rappresenta l’accettazione esplicita che in Honduras v’è stato un colpo di Stato… Ribadiamo che l’Assemblea Nazionale Costituente è un’aspirazione irrinunciabile del popolo honduregno e un diritto non negoziabile per il quale continueremo a lottare nelle piazze, fino ad arrivare alla rifondazione della società per renderla giusta, egualitaria e autenticamente democratica.
Ne avessimo di eroi così! Altro che il buon Brecht…
Da noi ci si chiacchera addosso e si tace sul resto.
Scenderemo nel gorgo muti.
(Cesare Pavese, “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”)
Beato il paese che non ha bisogno di eroi.
(Bertold Brecht)
Beato il paese che produce molti eroi.
(io)
Un popolo in piazza per quattro mesi, in città, villaggi, quartieri, bidonvilles, a dispetto delle proprie forze, della famiglia, della scuola, del lavoro, della salute, del rischio di essere ferito, sequestrato, fatto sparire, torturato, ammazzato. Per la libertà, anzitutto (il nome vero dell’abusata “democrazia”), per la dignità, per il pane, per i figli, per il futuro. Quattro mesi di sacrosanto amore, fitto tessuto della comunità, e di sacrosanto odio che, aldilà dei vaneggiamenti dei nonviolenti fautori del disarmo unilaterale, va a chi, per ingrassare, ci succhia il sangue. E così, dopo decine di morti, centinaia di feriti, migliaia di carcerati e desaparecidos, infinite botte, paura, terrore, repressione dell’informazione libera e resistenza, guidato da capi scaturiti dalla lotta e dalla volontà di massa resi irriducibili, il Frente de Resistencia al Golpe de Estado, ha vinto. Alla maniera di come hanno vinto i popoli di Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua. Rendendo impraticabile la dittatura, gettando i corpi dei tantissimi giusti contro fucili, veleni e mazze, riparo dei pochissimi ingiusti. Micheletti ha firmato l’ultimo punto del comunque nefasto “Accordo di S. José” mediato in Costarica dal mezzano locale degli Usa, Oscar Arias, premio Nobel alla maniera di Obama. Accordo che sancisce il ritorno formale alla situazione istituzionale precedente il golpe del 28 giugno, cioè del ritorno alla presidenza della repubblica di Manuel Zelaya, il liberale-liberista divenuto riformatore alla bolivariana, traditore de suoi padrini oligarchici e imperialisti, impegnato a trasformare la “repubblica delle banane”, piattaforma per le incursioni genocide degli Usa in Centroamerica, in qualcosa di degno del proprio popolo.
L’accordo è stato firmato il 30 ottobre dal lumpendiktator Roberto Micheletti, dopo aver tentato di tergiversare per arrivare a elezioni da manipolare grazie al potere assoluto sull’amministrazione statale e alla disponibilità dei gorilla delle forze armate di obbedienza pentagoniana. Elezioni che avrebbero legittimato quell’operazione 28 giugno che aveva riportato l’America Latina ai fasti fascisti della kissingeriana operazione Condor: Obama esattamente come Nixon e Reagan e tutti i presidenti Usa di tutti i tempi. “L’impero è l’ìmpero”, come mi ha detto a Tegucigalpa, nella sua modesta casa, abitazione più da operaio che da segretario generale del sindacato honduregno, Carlos Reyes, protagonista del memorabile sciopero generale del 1954 che rivelò al mondo come tra banane e bananieri a stelle e strisce ci fossero anche lavoratori in lotta, indigeni vivi, un popolo degno del nome più di molti altri. Reyes è oggi, a elezioni di fine novembre garantite limpide dal restaurato Zelaya, il candidato alla presidenza della repubblica del movimento di resistenza popolare: C’è chi si illude su Obama, che s’immagina scontri tra i cattivi e i buoni a Washington. Ma così argomentando si mena solo il can per l’aia. E il cane siamo noi. L’impero è l’impero. L’impero ci ha fatto due guerre in questi mesi: una interna, di classe, utilizzando i tirapiedi locali delle Dieci Famiglie e dell’esercito gorilla, per annullare le misure sociali antiliberiste adottate da Zelaya. L’altra, esterna, contro Hugo Chavez e tutto il movimento di emancipazione latinoamericano, per il quale noi dovevamo servire da esempio e, poi, da base di lancio per il recupero, anche militare, delle posizioni perdute nel continente.
Certo, pecore e volpi (chiedo scusa per la metafora agli animali) inneggeranno ora agli Usa, a Obama, al Dipartimento di Stato della virago Clinton, qualche femminista italiana del giro delle ginocrati tornerà a scaldarsi sull’ “angelo Hillary” (Mariuccia Ciotta) che ha inviato a Tegucigalpa il suo sottosegretario Thomas Shannon, una di quelle lenze alla Holbrooke e alla Mitchell che vanno in giro a fottere la gente con sopra il cappuccio del boia la targhetta del “mediatore”. Tutto il merito agli Usa che, dopo quattro mesi, hanno costretto il Goriletti – Pinochetti ad abbassare il pennacchio mussoliniano. Cosa che avrebbero potuto fare con una telefonata al proconsole coloniale il pomeriggio stesso della defenestrazione manumilitari di uno Zelaya in pigiama. Non scherziamo. La Clinton che, tramite il suo burattino all’OSA aveva dato dell’ “idiota” a Zelaya rientrato avventurosamente, per i golpisti imbarazzantemente, in Honduras, pronube Lula, aveva flirtato per tutto questo tempo con la feccia militar-oligarchica insediatasi nel più povero, degradato e presunto sottomesso paese dell’area. Il golpe l’aveva partorito questa orrida megera, inseminata da Cia e Mossad (presente in forze, come mi ha denunciato lo stesso Reyes, in tutte le fasi di golpe e repressione), con l’assistenza al parto della levatrice Obama. Obtorto collo, ridotta in ginocchio dall’immensa e ininterrotta forza dei caminantes honduregni, si è dovuta acconciare al piano B: accettare il ritorno dell’ infame, rinnegato dell’impero, ma senza che a ciò si accompagnasse alcun provvedimento contro i fiduciari momentaneamente messi da parte. Fiduciari Usa che ogni legge marchia di criminali colpevoli di alto tradimento, di assassinii di massa e di violazione di ogni diritto umano. Impunità di costoro, conferma del golpista militare al comando supremo, Vasquez Velasquez, salvataggio del torturatore e seriallkiller degli anni’80, Billy Joya, qui tornato a impazzare. Per gli Usa e le Dieci Famiglie di licantropi locali c’è, ad addolcire la battuta d’arresto, il valore aggiunto di un presidente, sì vittorioso nel recupero della sua carica, ma sostanzialmente svuotato di ogni possibilità di far danno. Ha sottoscritto i punti dell’accordo che annullano l’assemblea nazionale costituente per il cambio radicale del paese, ha rinunciato ai più importanti provvedimenti a suo tempo adottati per mutare la condizione di stato-burletta nel teatro delle multinazionali come, in primis, l’adesione all’ALBA, l’Alleanza Bolivariana dei Popoli dell’America Latina, voluta da Chavez e diventata il temutissimo, da multinazionali e FMI, fronte avanzato dell’antimperialismo e del progresso sociale nel continente.
Il giorno prima dell’arrivo dell’emissario Shannon, c’era stata una delle più grandi manifestazione della Resistenza e una delle più brutali aggressioni dei gorilla di Micheletti. Forse il dado è stato tratto quel giorno. Un popolo in piedi e in piazza, pur inerme, troppo inerme, ininterrottamente per oltre 120 giorni, alla faccia del peggio che il pinochettismo aggiornato può infliggere a essere umani, fa paura e pesa. Qualcuno tra i burattini e il burattinaio ha capito che così non c’era verso di andare avanti. I burattini ci hanno provato: nel percorso dall’Università Pedagogica, nella lontana periferia, fino all’Hotel Clarion, sede delle trattative, hanno scatenato sui ventimila tra donne, anziani, bambini, militanti, tutto quello che l’apparato repressivo messo in piedi dagli israeliani aveva a disposizione: altri feriti, altri fratturati, altri bastonati, altri sequestrati, altri spediti in ospedale per intossicazione da gas venefici. Molte centinaia avevano incredibilmente resistito e si erano trincerati davanti al “5 Stelle” , luogo della presa per i fondelli durata un mese e oggi battuta. Girava voce, confermata in Nicaragua, che in quel paese honduregni meno disposti a subire calci in faccia e morti ammazzati da una dittatura duratura, stavano addestrandosi ad altre forme di lotta e di contrasto al terrorismo di Stato sparso dall’impero per ogni dove. Sarebbe stata una resistenza non isolata come un tempo, non senza sostegni internazionali di ogni genere: l’America Latina non è più tutta amerikana, anzi, lo è per soli due parastati, narcostati, Colombia e Perù. Voleva Obama lacerare ulteriormente la sua facciata di cartapesta imbarcandosi in una guerra di sterminio sul modello Contras degli anni’80? Forse no, non ancora. Intanto ci ha provato con il golpe alla Pinochet. Ma stavolta li non è andata come a Kissinger allora. Bel segno di come le cose da quella parte del mondo sono cambiate. E pensare che da noi, chi dovrebbe guardare da quelle parti e imparare, imparare, imparare, tiene la testa di struzzo avvolta nel pluriball delle sue folcloristiche pippe domiciliari.
Mentre scrivo c’è ancora qualche firma da mettere sotto l’accordo per il ritorno alla legalità costituzionale. Ancora per guadagnare tempo – non tanto per salvarsi la ghirba, quella gliela garantisce Washington – il Goriletti con le mutande alle caviglie si è appellato a un trucco istituzionale: il ritorno di Zelaya deve essere “approvato dal Congresso sentita la Corte Suprema di Giustizia”. Su questi due organismi si appoggia il lumpendiktator appeso al cappio strettogli addosso dalla rivolta popolare. Si tratta di due putride latrine, colme di detriti rastrellati dall’oligarchia golpista, che già avevano legalizzato il colpo di Stato. Forse, agitandogli sul muso i suoi serpenti la gorgone Clinton, questi sicari del golpe accetteranno di sottostare alla necessitata congiuntura e approveranno. Mel Zelaya tornerà al suo posto, è stato bravo nelle condizioni micidiali in cui i gaglioffi lo avevano ristretto nell’ambasciata del Brasile, ha tenuto duro, ha incitato la sua gente alla resistenza. Ma quello che governerà da qui alla fine di gennaio, quando gli subentrerà il successore eletto il 29 novembre, sarà un presidente dimezzato, impegnatosi a non fare più nulla di quello che voleva fare e il popolo chiedeva che facesse. Sarà già grasso che cola se riuscirà a impedire che le elezioni diventino una megatruffa alla Karzai, quelle che gli Usa hanno ormai preso la consuetudine di allestire a casa loro e ovunque gli convenga. Perché il processo di liberazione portato avanti dai milioni di eroi di questo paese continui, dovrebbe uscire da libere e trasparenti elezioni il candidato del popolo Carlos Reyes. Sarebbe come la vittoria di Chavez o di Morales, una rivoluzione dal voto. Se Zelaya invita a votare per lui, non c’è partita per gli altri, squallidi rimasugli di un bipartitismo – liberal-nacional - all’Italiana, di quelli che ci sono famigliari poiché, qui come lì, si esibiscono sui muri delle città con le facce più bolse e ottuse che la politica della borghesia capitalista riesce a scovare.
Il composito Fronte della Resistenza deve ora mantenere la sua finora saldissima unità, riuscita addirittura ad aggregare settori del vecchio Partito Liberale e del partitello di Unità Democratica. Non deve perdere i pezzi particolarmente leali al personaggio Zelaya che potrebbero dirsi: “Tornato il presidente tutto è risolto. Lasciamo fare a lui”. E no. La vittoria è grande, esemplare, storica. Ma è una vittoria tattica. Tira un’aria, soffiata dagli Usa, da legge di “Punto final”, quella che nei paesi della dittatura latinoamericana ha garantito per troppi anni, e in parte ancora garantisce, l’impunità ai despoti assassini e violatori dei diritti umani. Guai se la Resistenza ora mollasse e non stesse con 14 milioni di occhi (sette e mezzo sono gli abitanti, il mezzo è dei vampiri e loro ascari) addosso agli eventi politici che si dipanano a partire da adesso e che, o sono condizionati dalla richiesta popolare di democrazia, giustizia e assemblea nazionale costituente per il rinnovamento del paese, o sono il contrario, come golpisti e padrini vorrebbero. Le insidie per l’Honduras libero sono ancora tante. E ancora tanta è l’indifferenza, l’ignavia, la stolta assenza delle sinistre fuori dall’America Latina. Se l’Honduras perde, anche noi perdiamo e non ce lo dovremmo perdonare mai. Lo stivale del mostro avrebbe fatto un altro passo avanti sul corpo di tutti. In queste ore a Tegucigalpa la città è occupata da centinaia di migliaia di persone festanti e decise più che mai. Il paese è occupato da 7 milioni. Quello stivale ha perso il tacco.
Scrive il Fronte Nazionale di Resistenza: Questa vittoria si è potuta ottenere con più di quattro mesi di lotta e sacrificio del popolo. Un popolo che, nonostante la selvaggia repressione inflittagli dai corpi fascisti di uno Stato in mano alla classe dominante, ha saputo resistere e far crescere coscienza e organizzazione, fino a trasformarsi in una forza sociale incontenibile… La firma da parte della Dittatura del documento in cui si stabilisce di far tornare il Potere Esecutivo allo stato precedente il 28 giugno rappresenta l’accettazione esplicita che in Honduras v’è stato un colpo di Stato… Ribadiamo che l’Assemblea Nazionale Costituente è un’aspirazione irrinunciabile del popolo honduregno e un diritto non negoziabile per il quale continueremo a lottare nelle piazze, fino ad arrivare alla rifondazione della società per renderla giusta, egualitaria e autenticamente democratica.
Ne avessimo di eroi così! Altro che il buon Brecht…
Da noi ci si chiacchera addosso e si tace sul resto.
Scenderemo nel gorgo muti.
(Cesare Pavese, “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”)
scusa Fulvio, ma come si può gioire per un accordo che rende Zelaya il "re di Maggio" honduregno? Insomma, cosa volevano i golpisti? Impedire il referendum e quindi la rielezione di Zelaya. Il golpe l'hanno fatto, poi con l'appoggio non dichiarato ma evidente degli USA hanno fatto melina per 4 mesi, hanno massacrato non si sa quanta gente, e adesso lasciano "tornare" Zelaya per gestire il governo per un mese prima delle elezioni a cui non potrà partecipare. Insomma, Zelaya doveva essere fatto fuori e lo è stato, e ci sono riusciti anche senza eliminarlo fisicamente, cosa che li avrebbe resi indifendibili di fronte al mondo intero, persino dai propri alleati yankee e sionisti. Lungi dall'essere una sconfitta, questo golpe è riuscito talmente bene da poter diventare un modello per tutto il sudamerica: estromettere un presidente che fa riforme popolari limitando al minimo indispensabile (per modo di dire, ovviamente) i morti ed evitando accuratamente di uccidere il presidente in carica. (fra l'altro è lo stesso modello del golpe antichavista, che però fallì per una mobilitazione popolare molto più massiccia). COntinuo a chiedermi dove tu ti sia sognato questo trionfo del popolo insorto. Tu dici che le elezioni saranno limpide, ma come potranno esserlo quando il popolo honduregno ha constatato che ancora una volta gli USA sono anima e corpo dalla parte dei suoi massacratori? Ammesso e non concesso che siano elezioni pulite, basta e avanza la pressione psicologica a far cambiare idea a migliaia di elettori, che voteranno sapendo che un voto a Reyes significherebbe un nuovo golpe e nuovi massacri di popolo. Per non parlare della pressione sullo stesso Reyes, se mai venisse eletto, che adesso sa che se persino un democristiano miliardario come Zelaya viene defenestrato dai suoi simili se li ttradisce, lui non dura un minuto se facesse una politica a favore del proletariato honduregno. Dirò di più: una vittoria alle elezioni di Reyes e la sua conversione a destra sarebbero il trionfo assoluto dei golpisti, che potrebbero pure vantarsi di essere stati tanto democratici da aver permesso la vittoria di un "comunista" (evitando ovviamente di ricordare che dopo un golpe simile sarebbe un "comunista" con la pistola puntata alla tempia)
RispondiEliminaChe dire del comento di "amaryllide". Si potrebbe parlare di corvi che gufano, di grilli parlanti, saggi, acuti, ma eternamente negativi e pessimisti. Tutte cose vere quelle che dice con tanta desolazione amaryllide, tanto vere che farebbero la gioia dei golpisti certamente non rassegnati dell'Honduras. C'è però un vuoto, una voragine: la totale assenza nel suo discorso, anzi la sconoscenza, delle masse honduregne che a milioni hanno tenuto testa al golpe per oltre quattro mesi e che, confido, non si lasceranno tutte infinocchiare con la facilità che gli imputa questo mio gentile interlocutore. Avrebbe dovuto respirare con me l'aria che tira da quelle parti, conoscere la maturità politica cresciuta perfino tra gli analfabeti delle favelas e dei remoti santuari indigeni. Vere avanguardie rivoluzionarie. E' caduto anche lo zar, a cui volevano tanto bene tutte le potenze dell'epoca. Dai tempo al tempo, amaryllide, e non sottovalutare questa forza. S'è visto cosa è riuscita a fare in Bolivia, Venezuela, Ecuador. Tieni conto anche dell'altra metà del campo di tennis. C'è là un giocatore lento, ma che non muore. I tempi sono lunghi e chi ha più filo da tessere... quel filo sta sempre nelle mani delle masse. Senza quella forza nessun Obama si sarebbe sognato di rimettere in sella Zelaya, si sarebbe tenuto volentieri i golpisti fascisti, poi legittimati dalle elezioni. Ci proveranno lo stesso, forse ci riusciranno, ma, porca miseria, oggi lasciami dare a Cesare quel che è di Cesare. Sono mica tutti farlocchi quelli che festeggiano in questen ore per le strade dell'Honduras.
RispondiEliminaFulvio
non disconosco le masse honduregne che hanno manifestato per 4 mesi, dico semplicemente che a conti fatti non hanno ottenuto niente. E questo proprio perchè non erano milioni come dici tu. Milioni furono quelli che scesero in piazza per Chavez, e fu la grandezza di quella mobilitazione che mise i golpisti di fronte alla scelta tra un massacro di migliaia di persone e far tornare Chavez al suo posto. "Solo" 24 morti, in un contesto come quello centroamericano dove fino a 20 anni fa gli oppositori ai regimi fantoccio filoyankee massacrati si contavano a migliaia, sono il segno di una mobilitazione non abbastanza massiccia. Dire che sono milioni (quando l'intera Tegucicalpa ha 900.000 abitanti) semplicemente non è vero, e non serve a niente, se non a dare il pretesto ai leccaculo dell'impero per dimostrare che Grimaldi dice balle. Per cui sarò più chiaro: NON NEGO che c'è stata una mobilitazione, NEGO che sia stata tanto grande da costringere i golpisti a una resa che infatti non c'è stata. Sul punto successivo, che non sono fessi e voteranno Reyes in massa, posso anche darti ragione. Ma ho già detto che la pressione non è solo su di loro, ma anche su di Reyes, che non sarebbe il primo leader di sinistra (citavi altrove il "compagno" Lula che non sta muovendo un dito per i Sem Terra) che tradisce il suo popolo. Per cui il tempo al tempo lo dò, ma dire che Obama ha fatto quello che ha fatto per rispetto del popolo per me è falso, perchè Obama semplicemente non ha fatto niente, e quindi ha supportato i golpisti. Se non si parte dal dato di fatto che Zelaya torna (controllato da quella Corte Suprema che l'ha esautorato e ha dato il pretesto ai golpisti per definirsi difensori della costituzione) per un mese e quindi, di fatto, torna solo per far fare bella figura ai golpisti, tutta l'analisi successiva viene inficiata...
RispondiEliminaNon voglio tediare i lettori con un ping-pong tra opinioni diverse e che si ripetono. Se mai mi occuperò della categoria infelice dei menagramo in una prossima occasione che avrò di sparare balle. Questi del pessimismo cosmico, travestito da fredda intelligenza di un reale sfuggito ai confusionari, mi lasciano perplesso sulla loro effettiva collocazione, consapevole o meno. Certo che amaryilide non fa un favore alla resistenza honduregna disconoscendola e immiserendola. Semmai ne gioiscono gli avversari.
RispondiEliminaDipende tutto dagli occhiali che uno porta sul naso. Certe lenti impediscono di vedere a sinistra. Il Venezuela ha 25 milioni di abitanti e ne ha messo in piazza qualche milione. L'Honduras ne ha sette e mezzo, si è pronunciato per l'80% contro il golpe e per il 60% per Zelaya, e ha messo in campo milionate. Ah no? Quelli al confine con il Nicaragua e quelli all'ambasciata brasiliana il giorno del ritorno di Z. al milione si avvicinavano. Non saranno stati mica tutti gli stessi? E non saranno stati certamente gli stessi che a a migliaia, per quattro mesi, si sono mossi in tutto il paese.Ma poi non è nemmeno questione di numeri, anche se quelli dell'Honduras sono superiori in proporzione a quelli del Venezuela, e più longevi, e nemmeno di quei "pochi morti" della Resistenza. E' questione del bicchiere mezzo vuoto indipendentemente dal vino che c'è dentro e anche, peggio, della condanna preventiva all'infamia di un combattente, Carlos Reyes, che dal 1954, mobilita il popolo e ne paga le conseguenze.
Comunque, ai posteri! E viva la grande resistenza honduregna. Del resto Fidel è arrivato sulla Sierra con 12 compagni e 7 fucili. E il Che ha vinto in Bolivia, anche se alcuni anni dopo la morte.
Laciamoli stare i menagramo "realisti", a me ricordano tanto D'Alema, uno che dice di stare a sinistra e poi per "realismo" bombarda la Serbia. Io il loro pessimismo lo capisco, però è l'altra faccia del velleitarismo chiacchierone che ha sepolto l'antagonismo politico in Italia (insieme alla reazione di regime, s'intende). Ma quello non dipende dalla politica, bensì dal carattere di noi italiani. Di quel chiacchierare in America Latina non c'è traccia, lì si agisce (e ultimamente si vince) per cui dobbiamo solo star zitti e imparare. I "realisti" approfittino del 2 novembre e vadano al cimitero, chè quello è il posto giusto per loro.
RispondiEliminala storia e la politica seguono vie spesso incomprensibili,vedremo come finirà in honduras.Non sono nè pessimista nè ottimista,mi basta che il popolo "ora"abbia creato problemi al regime.Ma che sia una vittoria..vedremo,lo spero!
RispondiEliminasegno un altro punto a favore della mia tesi (ovvero nessun trionfo del popolo, ma vittoria dei golpisti). Israele si è congratulata per la soluzione trovata.
RispondiEliminahttp://bit.ly/ojwIY
E visto che era dalla parte dei golpisti, è facile tirare le conclusioni, partendo dalla nota frase di Mao per cui se il nemico non ci attacca vuol dire che NOI stiamo sbagliando qualcosa.
Meno male che Amaryllide ci spiega tutto. Tra l'altro, a proposito di Cina e Israele, sembra che Pechino non insisterà per portare il rapporto Goldstone sui crimini di guerra israeliani a Gaza all'esame del Consiglio di Sicurezza.
RispondiEliminaUna mano lava l'altra...
Tutto ciò però non credo farà desistere i sudamericani dal continuare a perseguire i propri interessi a scapito dei profittatori venduti agli Stati Uniti.
"Meno male che Amaryllide ci spiega tutto"
RispondiEliminatutto no, ma la puzza di fregatura ho imparato a sentirla da un pezzo:
Il presidente de facto dell'Honduras, Roberto Micheletti, presiedera' un governo di unita' nazionale che si installera' nelle prossime ore, ma senza la partecipazione del deposto Manuel Zelaya.
http://www.repubblica.it/ultimora/24ore/nazionale/news-dettaglio/3732210
Jorge Reina, rappresentante del deposto presidente dell'Honduras, Manuel Zelaya, nella Commissione di Verifica dell'"accordo di Tegucigalpa', ha detto che l'intesa e' fallita perche' il presidente golpista, Roberto Micheletti "non lo ha rispettato".
http://www.repubblica.it/ultimora/24ore/nazionale/news-dettaglio/3732212
vorrei sapere poi da quelli che chiamano il realismo velleitarismo, da quando essere realisti è diventato peccato a sinistra? Non eravamo materialisti, una volta? C'è una bella differenza tra dichiararsi di sinistra e bombardare la Serbia e chiamarlo realismo ed essere di sinistra, realisti e capire che Obama ha retto il gioco ai golpisti ed è solo grazie a questo appoggio che i golpisti, fino ad oggi, hanno vinto. Questo è un fatto, come è un fatto che bombardare la Serbia è la continuazione dell'aggressione nazifascista di 70 anni fa, a prescindere da come si dichiari D'Alema. Ma non permetto che si dica che siccome CONSTATO che hanno vinto i golpisti allora io sono di destra. I fatti sono fatti, e non è dando del fascista a chi dice che ha vinto la destra che i fatti cambiano. Non è bello avere ragione in casi del genere, ma è necessario capire che la storia non si fa proiettando i nostri desideri sula realtà e dicendo che quella proiezione è la vera realtà e chi lo nega è fascista. Così facendo non solo non si diventa più capaci di fare analisi corrette, ma si entra nella paranoia permanente, e nell'epurazione continua di chi non la pensa come noi.
Francamente non capisco l'ultimo intervento di amaryllide. Nessuno ti ha dato del fascista nè ti vuole epurare. Il senso di quello che volevo esprimere è che in queste vicende bisogna distinguere i fatti contingenti dalle tendenze di fondo. Il fatto contingente è che i golpisti sembrano averla in qualche maniera "fatta franca" (forse).
RispondiEliminaIl dato di fondo è che fino a pochi anni fa una vicenda come questa in Honduras era inimmaginabile. Oggi succede perchè il tallone imperiale statunitense traballa sempre più e ancor più traballerà. Questo porterà più democrazia e benessere ai popoli finora oppressi? Forse sì ma molto dipenderà dal comportamento dei nuovi attori sulla scena (in primis la Cina e in Sudamerica il Brasile).
In questi giorni il primo ministro cinese è in Africa a far "campagna acquisti". Più realista di così...
"Oggi succede perchè il tallone imperiale statunitense traballa sempre più e ancor più traballerà."
RispondiEliminami pare che al contrario in Sud America la destra fascista supportata dall'aiuto yankee sia galvanizzata dalla vittoria dei golpisti honduregni. Il fatto che gli USA siano oggettivamente in declino non deve far credere che se ne staranno sostanzialmente zitti e buoni come il PCUS ad aspettarlo. Questi criminali contro l'umanità hanno inaugurato l'uso dell'arma più criminale della storia, e la loro cultura è talmente impregnata dalla violenza e dall'idea che loro abbiano il diritto divino a usare violenza infinita contro il nemico che non accetteranno il declino pacificamente, ma trascineranno all'inferno un sacco di gente. Nelle chiese USA si parla una domenica sì e l'altra pure di Armageddon e stronzate apocalittiche assortite, e se scrivi un libro su questi temi, puoi stare tranquillo che venderai milioni di copie. Idem dicasi per i film del genere. E quando educhi un popolo di semianalfabeti (perchè questo sono, i nobel non fanno testo, spesso sono stranieri che lavorano negli USA, e comunque la cultura scientifica non viene insegnata alla massa degli yankee, che infatti credono nel creazionismo) a risolvere qualsiasi problema con la violenza, non puoi uscirne pacificamente.
Concordo con l'ultimo intervento di amaryllide. E, visto che stiamo usando metafore legate alla religione, aggiungo: "non si possono fare le cose a dispetto dei santi". Gli USA per motivi intrinsechi (tra cui quello della spaventosa ignoranza della popolazione) non sono in grado nè all'altezza di detenere la leadership mondiale. Da che esiste il fascismo, tutti i fascisti (anche gli americani, chè tali sono) hanno preteso di ricollegarsi alla tradizione dell'antica Roma. Evidentemente nessuno di loro ha studiato la storia di quell'impero. Roma prima di diventare padrona del mondo ha subito 700 anni di sconfitte ma ha vinto le battaglie determinanti. Gli Stati Uniti che tradizione culturale possono vantare invece? Diceva bene Churchill "un paese passato direttamente dalla barbarie alla decadenza". Hanno iniziato e inizieranno tante guerre, ma non ne vinceranno neanche una.
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