venerdì 22 aprile 2011

TRIPOLI, BEL SUOL D'AMORE





Il parlamento è costituito fondamentalmente come rappresentante del popolo, ma questo principio è in se stesso non democratico, perchè democrazia significa potere del popolo e non un potere in rappresentanza di esso., L'esistenza stessa di un parlamento significa assenza del popolo. La vera democrazioa non può esistere se non con la presenza del popolo stesso e non con la presenza di suoi rappresentanti. I parlamenti, escludendo le masse dall'esercizio del potere e riservandosi a proprio vantaggio la sovranità popolare, sono divenuti una barriera tra il popolo e il potere. Al popolo non resta che la falsa apparenza della democrazia che si manifesta nelle lunghe file di elettori venuti a deporre nelle urne i loro voti. (Muammar Al Gheddafi)

I membri della sopcietà jamahiriyana sono liberi da ogni tipo d'affitto. La casa appartiene a colui che la abita... La dimora non può essere utilizzata per nuocere alla società. La società jamahiriyana è solidale. Assicura a ognuno una vita degna e prospera e uno stato di salute avanzato fino a giungere alla società delle persone sane. Garantisce la protezione dell'infanzia, della maternità, della vecchiaia e degli invalidi. La società jamahiriyana è la tutrice di coloro che non hanno tutela. L'istruzione e le cognizioni sono diritti naturali di ognuno, Ogni individuo ha il diritto di scegliere la sua istruzione e le cognizioni che gli si confanno senza costrizioni  o orientamento imposto... I membri della società jamahiriyana proteggono la Libertà e la difendono ovunque nel mondo. Sostengono gli oppressi e incitano tutti i popoli a far fronte all'ingiustizia,all'oppressione, allo sfruttamento e al colonialismo. Li incoraggiano a combattere l'imperialismo, il razzismo e il fascismo in conformità al principio della lotta collettiva dei popoli contro i nemici della Libertà. (Muammar Al Gheddafi) 

E non volete che un tipo così non dovesse venir fatto fuori?


l'autore di questo articolo (primo da sinistra) con membri della Delegazione "Civili britannici per la pace in Libia" a Tripoli nella conferenza stampa all'Hotel Rixos

Stavolta ce l’abbiamo fatta ad andare in Libia. E anche a tornare. E il mio non è un plurale majestatis. Anzittutto è un plurale di noi due, io e il mio AK-47, un Kalachnikov che di nome si chiama Sony e, anziché sparare cose, le acchiappa, le incamera perché poi si trasformino in grandine di vetriolo sulle menzogne. In questo caso, su quella planetaria che ha indotto un mondo di boccaloni, panciafichisti, felloni di sinistra, codardi, collusi, ad assistere tra il placido, i finti turbamenti e gli intimi sfrigolii, allo sbranamento di un grande paese, alla satanizzazione di un leader migliore di chiunque altro nel mondo arabo-africano attuale e neanche paragonabile alla feccia che governa la “comunità internazionale”, all’assalto alla vita di un popolo sovrano e libero. Ma quel noi plurale si riferisce anche, e di più, agli strepitosi cittadini britannici – British Civilians for Peace in Libya – che un po’ scudi umani, un po’ investigatori di fatti veri, un po’ combattenti per la pace, si sono mossi, primi assoluti, a superare il melmoso oceano di complicità, disinformazione, ferocia colonialista e collusione eurocentrica, per stare almeno per un po’ e con dirompente significato simbolico, accanto alle donne, agli uomini, ai ragazzi, ai bambini che resistono e che l’imperialismo, da Obama a Rossanda Rossanda, vuole morituri.


Subito dopo il 17 febbraio, quando i revanscisti del colonialismo sconfitto, mimetizzatisi tra i fiori di pesco della primavera araba, dettero ai propri ascari di Bengasi il segnale per il colpo di Stato contro l’ultimo frutto ancora vivo della prima liberazione, avevo caricato la Sony e chiesto il visto per la Libia, specificando: Tripoli. L’ambasciatore a Roma era uno di quella mezza dozzina di rinnegati e comprati dell’establishment libico che erano passati all’opzione della convenienza: “Se vuoi andare a Bengasi, subito. Per Tripoli non se ne parla”. A Bengasi, tra tagliagole Cia di Al Qaida, reduci delle missioni Usa in Bosnia, Afghanistan, Cecenia e mille altri luoghi delle provocazioni imperialiste, decerebrati o furbastri monarchici, terroristi dei servizi occidentali, mercenari egiziani, fuorusciti libici rientrati dopo decenni di addestramento e cospirazione Cia e MI6, sguazzava buona parte della consanguinea stampa occidentale. Aureolati di democraticismo e di vituperio per la tirannide, pendenti esclusivamente dalle labbra di chi, inetto per difetto di motivazione sul campo di battaglia, andava rastrellando, torturando e uccidendo in massa poveri operai africani immigrati, presentati ai media come “mercenari di Gheddafi” e talquali posti alla mercé del disdoro mondiale, noi avevamo squallidi pifferai, svergognati perfino dai colleghi di destra anglosassoni. Abili con le foglie di fico, costoro raccontavano anche le ombre nere dilaganti sui “giovani rivoluzionari” di Bengasi. Superavano le vette giornalistiche dei cinesettimanali “Luce” al seguito del conquistatore Graziani e si coprivano di gloria umanitario-democratica, personaggi come Lucia Goracci (TG3), e passi, o come i “sinistri” Stefano Liberti  e, ora, perfino Michele Giorgio, corrispondente del “manifesto”, che già con i due primi reportage dall’avamposto coloniale Nato, esaltato come culla di una nuovo “società civile” (solito ricettacolo di ogni schifezza collaborazionista, bulimica di pingue democrazia individuale), ha saputo disintegrare la reputazione guadagnata anni di coraggioso lavoro in Palestina. A stare con loro c’era da mettersi una tuta che neanche a Fukushima.
Aggregatomi ai 13 britannici della Spedizione di pace e di verifica dei fatti, passato dalla Tunisia in Libia e giunto a Tripoli dopo un viaggio notturno di alcune centinaia di chilometri, pesantemente rallentato da numerosissimi posti di blocco con militari e giovani civili, volontari per il controllo e la difesa di un territorio infestato da infiltrati e provocatori, ecco infranto e oltrepassato lo specchio deformante nel quale i Fuehrer di una globalizzazione della catastrofe umana, qui mai passata, riflettono la loro impostura, pirateria, necrofagia. Si, a Tripoli e per una buona parte della Libia libera siamo stati accompagnati da giovani funzionari del governo. Ma diversamente dagli embedded ontologici di Bengasi, dei quali solo qualche inviato britannico e statunitense ha la residua onestà di ammettere l’impossibilità di muoversi se non sotto il ferreo controllo degli sgherri del golpe, qui noi avevamo la libertà di recarci ovunque desideravamo, fermarci dove ci pareva opportuno, parlare con qualunque interlocutore scegliessimo per strada, nei mercati, nelle case, scuole, ospedali. In una conferenza stampa conclusiva, nell’Hotel Rixos, lussuoso usbergo della stampa estera, i quattro gatti residui della manipolazione mediatica britannica, berciato contro i dati da noi acquisiti e che ridicolizzavano gli stereotipi della propaganda colonialista, lanciavano alti lai contro chi ne impediva la libera circolazione. In guerra, con i bombardieri F-16 e i missili Tomahawk sulla testa e la quasi universale doppia qualifica di giornalisti e agenti dell’aggressione, questi tromboni di Murdoch e della BBC pretendevano di muoversi come fossero lì per un reportage sul futuro turistico del paese. Ricordo Belgrado sotto le bombe. La circolazione assolutamente libera consentitaci dall’ eccessivamente generoso “dittatore” Milosevic aveva messo sedicenti giornalisti e pacifisti in grado di comunicare ad Aviano quali fossero gli obiettivi più succulenti da colpire

Non c’è stato giorno in cui la “Coalizione dei volenterosi”, passata da “Alba dell’Odissea” a “Protettore Unificato”, non bombardasse Tripoli allo scopo di “salvare civili” dai massacri di Gheddafi. Soprattutto di notte, quando il nostro sonno, durissimo dopo giornate spremute allo spasimo per raggranellare fatti e verità, non ci faceva accorgere di nulla e i resoconti di chi aveva vegliato e quelli delle tv internazionali (tutte, anche le più nemiche e bugiarde) ci stupivano con gli elenchi delle distruzioni e dei civili salvati dagli eccidi di Gheddafi grazie al loro smembramento per mano Nato. La notte del rientro, quando i bollettini degli embedded asserivano una frontiera con la Tunisia in mano ai ribelli, mentre era tranquillamente presidiata da un popolo in armi, via dal paese mi accompagnavano gli spettri dei 7 civili appena trucidati dal “Protettore Unificato” nel sobborgo tripolino di Khellat Al Ferjan. Invocavano che, fuori, al mondo intorpidito dal rassicurante inganno umanitario, si dicesse che loro, almeno loro che avevano contezza delle loro ossa incenerite, erano stati salvati per il paradiso di Allah da un Rafale di Sarkozy. Erano donne e bambini.
Abbiamo incontrato il popolo libico. Studenti, donne, contadini, pastori, capitribù, operai, avvocati, magistrati, mercanti, ambulanti, ministri, portavoce governativi, un popolo di militanti della libertà. Per ogni dove, nei punti strategici di città e campagne, aggregazioni di volontari, giovani e meno giovani, spesso ragazze, tutti armati, concentrati in piccole tendopoli a presidio del territorio e a sfida di scudo umano. Al nostro passaggio, non preannunciato perché erratico a seconda delle nostre richieste, spontaneamente e con scatenata esuberanza si improvvisavano manifestazioni di determinazione alla resistenza, di vituperio per gli aggressori, di amore per Gheddafi e per la patria da lui costruita. 42 anni alla guida della Libia: scandalo antidemocratico! La dittatura borghese capitalista, quella che si innesta a partire dalla manipolazione delle menti fin da bambini, preferisce la propria continuità, altrochè quarantennale, espressa da un pensiero unico ma con facce diverse. Allah – Muammar – ua Libia- ua bas, lo slogan con cui una stragrande maggioranza di popolo, confermata tale anche dagli esiti militari, impegna la vita per i suoi tre valori costitutivi della Resistenza (“Dio, Gheddafi, Libia e basta”), è diventato la canzone d’amore di questo popolo, la colonna sonora di una tragedia che si è già trasformata in epica. “Tripoli, bel suol d’amore”, sottratta a camicie nere e ascari, oggi ha questo significato. Un amore che ride sui volti e vibra tra case, tende, scuole, deserto. Un amore che riesce a far volare la vita oltre la una domanda paralizzante che, nella sua infinita accoratezza, ci ha davvero sfregiato il cuore: “Perché ci fanno questo?” Al centro della domanda, l’Italia del baciamano, l’Italia delle colpe, l’Italia beneficiata. L’Italia i cui Tornado guidano i bombardieri sui beni e sui corpi dei figli dei 600mila massacrati da Graziani. L’Italia, i cui ratti di regime, con il pugnale del colpo alla spalla ancora sanguinante in mano, vanno a elemosinare petrolio e business ai gangster di Bengasi.

“Perche ce  lo fanno?” Ve lo fanno, fratelli libici, perché non vi siete lasciati globalizzare, perché all’élite di tagliagole che  tiranneggia il mondo e ne succhia il midollo non avete lasciato campo libero per depredarvi impunemente. Perché avete conversato e trattato con gli altri alle vostre condizioni, condizioni che non dovevano compromettere quello che per l’ONU era stato il più alto Indice di Sviluppo Umano del continente e il primato nel rispetto dei diritti umani: istruzione, sanità, casa, lavoro, anziani, maternità, infanzia, donne. Perché avete tenuto fuori dalle palle chi veniva con la pretesa di sostituire la dittatura dei consigli d’amministrazione alla vostra forma di democrazia socialista. Perché siete quelli che ai fratelli africani e di altre parti non garantivano CIE e affini, discriminazione, esclusione, razzismo, ma lavoro e dignità. A due milioni e mezzo su sei milioni di autoctoni. I quattro scalzacani felloni che si sono venduti alla schiavitù politica, economica, sociale e morale dell’imperialismo e che oggi “governano” a Bengasi, sono i transfughi della Cia, già spiaggiati a Washington e Londra da decenni per coltivare la presa della Libia da parte del “libero mercato”. E sono i due ex-ministri che oggi si fingono statisti del Consiglio di Transizione che, a partire dal 2005, entrarono in attrito con Gheddafi e si videro smantellare i progetti di libero mercato, liberalizzazione, privatizzazione, globalizzazione della miseria, fine dello Stato sociale, per i quali avevano lungamente brigato con governi e multinazionali. Un attrito che nel 2010 divenne scontro aperto tra la fazione “neoliberista” e i fedeli alla linea del socialismo come da Libro Verde.



Bab el Aziza, in piena capitale, era la casa di Gheddafi. Fu bombardata da Reagan nel 1986, 100 vittime innocenti, tra cui la piccola figlia adottiva del leader. Oggi è un rudere massiccio, con urlanti ancora tutti i segni della barbarie occidentale. Allora si doveva punire un paese che, guidato da chi ne aveva capeggiato rivoluzione, riscatto dal colonialismo italiano e dall’asservimento a Londra, inserimento nella comunità dei popoli sovrani e delle società giuste, si era costruito in nazione, riferimento, dopo Nasser e con algerini, iracheni, siriani e palestinesi, per il rinascente movimento per l’unità araba. Abbattuto Saddam, relativamente normalizzata l’Algeria, minata da tradimenti la resistenza palestinese, accerchiata la Siria, isolato, bombardato, squartato il Sudan, consolidate con  le armi e la repressione le oscene satrapie arabe vassalle, la Libia aveva volto lo sguardo al suo retroterra geografico e, già sostenitrice fattiva dei processi di liberazione nel sud del continente, con l’Unione Africana era diventata il motore del rifiuto alla nuova colonizzazione. Ma Bab el Aziza  è stata nuovamente bombardata, ridotto in macerie il nuovo edificio, colpiti i quartieri tutt’intorno. Se non fosse stato  per un grande uomo, Giovanni Martinelli, vescovo di Tripoli e vicario apostolico per la Libia, non avremmo saputo di neanche un morto dell’apocalisse scatenata sulla Libia, a partire dai 40 civili qui uccisi nell’Alba dell’Odissea.
Abbiamo visto e frequentato gli scudi umani di Bab el Aziza, quelli “comandati lì da Gheddafi”, quasi che l’uomo più amato della Libia avesse adottato il modello israeliano dei ragazzi legati ai carri armati in marcia su Gaza. Lo stesso transfert usato per attribuire a Gheddafi, forte della militanza di un intero popolo, quel mercenariato che è invece praticato, con i killer seriali della Blackwater, dagli esportatori di democrazia. In Libia non c’è bisogno di mercenari. Un popolo in armi fa sei mesi di servizio di leva, un mese all’anno di aggiornamento e addestra i suoi ragazzi e le sue giovani, fin dalle scuole, alla difesa della patria. C’erano anche questi nella grande spianata di Bab el Aziza, sotto le palme e tra i ruderi dei palazzi devastati. E c’erano coloro che erano venuti da lontano, dal deserto, con i loro tamburi, nelle loro tende da settimane, c’erano donne a migliaia, di ogni età, ragazze velate accanto ad adolescenti in blu jeans, la gente dei sobborghi, professionisti, studenti, nomadi delle cabile. A sfidare i serial killer del cielo notte dopo notte, un’immensa folla tumultuante, un grande palco per le canzoni di lotta e d’amore, per gli interventi e gli appelli, ogni tanto un’esplosione di slogan, foto di Muammar  innalzate da sorridenti matrone con i bimbetti in braccio. Dappertutto i concatenamenti in danze antiche. Devo riandare ai primi tempi della rivoluzione bolivariana, attorno a Hugo Chavez, per ritrovare un simile concentrato di forza, di positività, di entusiasmo, di determinazione, costi quel che costi. 

La rivelazione più clamorosa e inconfutabile delle criminali frodi inflitte all’opinione pubblica internazionale a giustificazione di colpo di Stato e aggressione Nato, l’abbiamo avuta nelle cittadine sul mare della periferia tripolina; Suk Jamal, Tajura, Fajlun. Qui, secondo i cialtroni dei media e i delinquenti della guerra, c’era stata la pistola fumante che rendeva inevitabile e improcrastinabile l’intervento umanitario a difesa dei civili sterminati da Gheddafi. Qui ci sarebbero state rivolte di massa, soppresse nel sangue dal “pazzo sanguinario”. Sono centri di decine di migliaia di abitanti, sfolgoranti di luci, fervide di attività, con spiagge sconfinate a orlare un mare incontaminato, miraggio di turisti che i villaggi turistici delle tirannie petrolifere rischiavano di perdere a favore di luoghi più raggiungibili, meno artificiali e inquinati dalla corruzione e dagli antiestetismi del vacanzierato occidentale. Con il plusvalore dell’accoglienza di genti autentiche, ospitali, incredibilmente cordiali e rispettose. Non è solo il petrolio e la porta all’Africa che ha solleticato il tradimento interventista dei fratelli monarchi del Golfo. Abbiamo percorso questi luoghi in lungo e in largo, a nostro piacimento, fermandoci presso chi volevamo, girando per i mercati della ricca agricoltura sviluppata nei decenni del recupero di acque sotterranee con acqua a tutti, entrando nelle case, ascoltando i racconti dei congiunti delle vittime, riprendendo le distruzioni di abitazioni.

 I responsabili con i loro mercenari
C’era la nonna in lacrime per la morte del nipote sedicenne che andava in moschea, c’era l’ambulante che riparava scarpe, il bancarellista delle melanzane, la signora con l’jiab, il dentista di ritorno dalla nottata a Bab el Aziz, l’omino del caffè in jalabiya, l’agricoltore la cui fattoria era stata devastata da missili e  da raffiche ad personam dal cielo, i capi delle tribù locali che, nella figura, nell’espressione, nelle vesti, ricordavano Omar al Mukhtar, l’eroe della trentennale resistenza antitaliana, impiccato per ordine di Mussolini. A Tajura, Fajlun, Suk Jamal non c’è mai stata rivolta, mai un solo colpo sparato dalle forze lealiste. Tutto inventato. Come le armi di distruzione di massa e l’eccidio dei curdi con i gas in Iraq, come la pulizia etnica, Sebrenica, le bombe al mercato di Sarajevo e la strage di Razac in Jugoslavia, come Osama in Afghanistan, come l’11 settembre di Al Qaida… Neanche un foro di pallottola a prova di uno scontro tra ribelli ed esercito, solo crateri e impatti dal cielo “no-fly”. Ci raccontavano in tanti come in quei giorni di metà marzo, quando nel mondo si blaterava di “Gheddafi che uccide il suo popolo a Tajura, Fajlun e Suk Jamal”, da ogni dove amici e parenti terrificati chiamavano per assicurarsi di una sopravvivenza che minacciava di annegare nella mattanza gheddafiana. E, stupefatti, gli veniva risposto che non era successo niente, che tutto era calmo. La stessa risposta non l’avrebbero più potuta dare allorchè, pochi giorni dopo, a salvarli dalla carneficina, giunsero dal cielo i primi 110 missili all’uranio, ormai divenuti migliaia con la media di 150 incursioni al giorno, e le raffiche dei 6000 colpi al minuto, tutti all’uranio, dai C-10 e C-130. Armi di distruzione di massa da far operare per secoli su popoli in eccesso. E se ci vanno di mezzo anche i mercenari di Bengasi, chissenefrega. Domani in Libia, come in Iraq, o Afghanistan, non ci saranno che gli scagnozzi spendibili dell’élite.
Nel profondo Sud, tra dune rosse e distese coltivate, a Beni Walid, ci accolgono i capi della più grande tribù libica, i Worfalla, schierata integralmente con il governo legittimo, come tutte le altre tranne qualche defezione in Cirenaica e di minoranze sparse. Superano il milione e mezzo, quasi un quinto della popolazione e si dicono pronti alla difesa all’ultimo sangue, fosse anche, come probabilmente sarà, in una guerra di lunga durata, Ne hanno la memoria, la coscienza e la determinazione, ereditate dai trent’anni di indomata lotta al colonizzatore giolittiano e mussoliniano e dalla rivolta contro il monarchico fantoccio insediato da Churchill, il cui erede ora, da Londra, conta sulla restaurazione vaticinata dalle bandiere “rivoluzionarie” dei rivoltosi. Il nostro pranzo e poi il confronto con gli anziani dei Worfalla richiama qualcosa tra lo sgranato repertorio dei cinegiornali Luce e la trasposizione cinematografica della vita e lotta di Omar al Mukhtar nel “Leone del deserto”. Sui cuscini lungo le pareti della grande aula magna dell’Istituto di Alta Tecnologia Elettronica, tutte armate di fucile le figure ieratiche di antichi beduini, dai volti come scolpiti nel legno dei loro ulivi, ci accolgono con la dignità dei forti e dei consapevoli, quella che non si separa dal calore e dall’affettività. Immaginiamo un raffronto con una parata di notabili alla Montecitorio.  Ed è ancora un racconto di  resistenza, di inimmaginabile e sofferto stupore per “l’amica Italia”, di non prevalebunt all’indirizzo degli avvoltoi che si affacciano sulla Libia e si vorrebbero lanciare sulle sue spoglie. Qualcuno, anziano, ricorda con affetto un maestro italiano dell’epoca coloniale. Lo fa per gentilezza, per attenuarci la vergogna che abbiamo espresso sui crimini del nostro paese. Un connazionale imbecille se ne fa forte per cianciare di colonialismo italico benefico, di “italiani brava gente”. Un terzo del popolo libico ucciso nei lager e con i gas lo mette a tacere.
Ci portano nella sede della locale squadra di calcio e sulle bocche saltellano i nomi di Baggio,Totti, Cassano, della Roma, della Juventus. Ci regalano le maglie della squadra, seconda in serie B. I giocatori si son fatti attivisti del soccorso ai profughi di Misurata, città martire dell’ostinazione colonialista degli intrusi e dei loro ausiliari locali. Di là dal mare non si parla che di civili sparati dai “miliziani” di Gheddafi. Ma non è da costoro che sono fuggite queste 400 famiglie di Misurata. Piuttosto dalle incessanti incursioni a casaccio sulla città e dai barbuti salafiti  che dagli umanitari giunti nel porto ricevono soccorsi sotto forma di lanciarazzi e mortai. Negli spogliatoi della squadra si accumulano i viveri e il vestiario portati ai profughi dagli abitanti della zona.
Scuole primarie, scuole superiori, scuole con ragazzi e con ragazze. Non perdono un’ora di lezione, neanche sotto la gragnuola di bombe, i grandi sono in divisa, hanno tutti fatto un corso di addestramento alla difesa, sanno tutti maneggiare armi leggere e pesanti. Curiosamente, in ogni scuola è una donna, anche abbastanza matura, che tiene questi corsi. Non ce n’è uno che non si dica pronto a difendere il paese. “Che scendano a terra e se la vedranno con tutto un popolo”. Lo sanno cosa li aspetta, quelli della neocostituita truppa d’invasione europea, Eufor, che si apprestano ad assicurare “corridoi umanitari” per l’occupazione militare e lo squartamento della Libia? La Russa ha pronto i tricolori da bara e il raglio da compianto per nuovi nostrani “difensori della pace” e “guardiani contro il terrorismo” che rientrano con i piedi avanti? All’uscita, nel tripudio delle scolaresche, nella loro foga giubilante, ma anche disperata, per convincerci della verità, saettano dalla canna dell’istruttrice raffiche di colpi. Tanti punti esclamativi al cielo.

Anche nell’incontro con il viceministro degli esteri, Khaled Khaim, con i medici dell’Ospedale, con competenti giornalisti dalla sapienza geopolitica e giuridica al paragone della quale tanti dei nostri fanno la figura dei peracottai, con i rappresentanti delle associazioni nazionali dei magistrati e degli avvocati, con il brillante  e popolarissimo portavoce ufficiale del governo, Mussa Ibrahim, il messaggio che ci viene chiesto di universalizzare è quello della pace, del dialogo, della conciliazione. Perchè non arriva ancora quella maledetta commissione d’indagine, dell’ONU o di qualsiasi gruppo di buona volontà, ad accertarsi di vittime vere e vittime false, di ragioni buone e di ragioni cattive e di cosa vuole la gente? Quella commissione che, sventrando la muraglia di bugie dei media, avesse la decenza giuridica primordiale di accertare fatti che si vorrebbero meritevoli di punizioni letali.  Di Gheddafi nella zona oscura del pianeta si riportano solo “le minacce”. Alcuni dei più potenti eserciti del mondo minacciano e poi attaccano un paese sovrano, facendosi scudo delle truculente quanto grottesche accuse di una banda di vendipatria prezzolati, ma sarebbe Gheddafi che ci minaccia, magari lasciando andare ai nostri sacri e incontaminati lidi coloro cui aveva dato lavoro e benessere e che dalla guerra Nato sono stati trasformati in animali da soma del libero mercato.  A Tajura abbiamo incontrato un capannello di migranti dai paesi sub sahariani. Non erano mai stati rinchiusi in lager, avevano perso il lavoro per la chiusura delle imprese nazionali ed estere, spesso cinesi, aspettavano un modo per fuggire alla guerra, chissà dove. Erano preoccupati e impauriti. Serpeggiavano tra la gente, riferivano, sentimenti diversi dalla cordialità e fraternità con cui erano stati accolti. Frutto dei traumi di chi si sente improvvisamente bandito, diffamato, osteggiato, isolato dal mondo e perfino dai governi di questi migranti, rimasti, quale impassibile, quale complice, davanti al manifesto progetto di distruggere un paese pacifico e libero.

Padre Giovanni Martinelli, vescovo di Tripoli, è stata l’unica voce, riportata con volume assai basso dai media falsi e bugiardi e solo perchè prete e cattolico e vicario del papa, che ci ha parlato delle stragi di civili per mano nostra, occidentale. Testa quadrata da contadino della montagna, occhi vispi e sorridenti, eloquio tutto fuorchè profetico, ma altrettanto appassionato, ci accoglie nel giardino della sua grande cattedrale, punteggiata da tanti San Francesco. Pochi giorni prima era successo un fatto senza precedenti: dal rappresentante della chiesa cattolica, vicario di un papa che se non aveva benedetto il crimine di guerra, neanche si era espresso in difesa della Libia, si erano recate decine di donne musulmane a chiedergli un intervento per la pace, a fidarsi di lui perché raccontasse al mondo una verità, un’afflizione, una speranza, che tutte venivano calpestate dai trombettieri dei “cani di guerra”. Martinelli ci conferma una volta di più che i conclamati massacri di Ghedddafi non c’erano mai stati, che giornalmente gli veniva dato conto degli sforzi dell’esercito di non coinvolgere civili nella battaglia e che proprio questo determinava ritardi e difficoltà nella riconquista dei centri occupati dai ribelli. I morti a Misurata erano 285 in oltre un mese di scontri, dei quali solo pochissime donne. In attacchi indiscriminati su centri abitati la media delle vittime donne è statisticamente il 50%.  Non avanzava cautele curiali, questo sacerdote innamorato del suo popolo, cristiano o islamico che fosse e da 40 anni al suo servizio, nel descriverci Gheddafi e la sua Libia. Un paese che non aveva accettato di sottomettersi, che si era impegnato per l’unità dei popoli, fuori da ogni manomissione e dominio esterni, che aveva garantito a tutti benessere, sicurezza, dignità e una capillare partecipazione ai processi decisionali. Gheddafi avrà potuto fare errori, magari attribuibili a un entourage non ben selezionato, ma nessuno poteva negargli il riconoscimento di aver cacciato reazione e reazionari, colonialisti e neocolonialisti e di essersi dedicato al suo popolo con una generosità e un’intelligenza che nella regione dei servi e proconsoli dell’imperialismo non ha il più lontano paragone. Come non ce l’ha, aggiungo, con proprio nessuno dei democratici capi-regime della “comunità internazionale”. E questo è quanto basta per sapere dove schierarsi.

L’Unione Sudafricana è intervenuta con una concreto e credibile piano di pace. Così hanno sollecitato fin dall’inizio i governi non contaminati dell’America Latina. Così hanno ribadito con la forza del loro peso economico e demografico, i BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Gheddafi ha proposto un cessate il fuoco supervisionato da osservatori internazionali, corridoi umanitari veri, elezioni per verificare la volontà del popolo. Voci, proposte, della razionalità, della giustizia, della pace, che non hanno neanche lambito le froge dei cavalli dell’apocalisse. La voce dell’altra parte è una non-voce. Anche per Rossana Rossanda. Hanno risposto insistendo sulla rimozione di Gheddafi, su un suo esilio là dove potrà più agevolmente raggiungerlo il solito sicario del Mossad.

Non si illudano i fautori della rinuncia di Gheddafi e del suo esilio. Un leader non può rinunciare quando è un popolo a chiedergli di restare. Ma, a parte questo, Gheddafi non è tipo da arrendersi, è un beduino, combatterà fino alla morte”. Con lui, la Libia, vedrete. Il piccolo prete dalla testa quadrata di contadino e dagli occhi sorridenti ha congedato un gruppo di visitatori in lacrime.   
Il resto più in là, soprattutto nel nuovo documentario
 “MALEDETTA  PRIMAVERA- Arabi tra rivoluzione e controrivoluzione”
 in uscita a fine maggio.

48 commenti:

  1. non so che fare se non insistere a sfeffeggiare i bugiardi sputando loro i n faccia che non possoo convincere Noi con le loro bugie di assassini! sputtanarli è l'unica arma che abbiamo. se fossimo in tanti sarebbe meglio. ma pare che solo il 95% degli u-mani abbia il consenso del proprio cervello. la metà è criminale.resta il 2,5 percento. questo lo ha detto un saggio italo-brasiliano. l'altro saggio tutto italiano dice che non è possibile che in 200 idividui tengano in scacco "matto" 7 miliardi di morti di sonno! Forza Muammar... da me detto Mu!

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  2. @Fulvio
    posso farti i complimenti?
    non ho ancora finito di leggere il tuo post,ma già il sapere che sei stato "li" a cogliere di persona l'umore e il sentire della gente libica ti fa onore come uomo prima e come reporter poi.
    Altro che opinionisti o esperti del cazzo dal culo flaccido che pontificano dietro un monitor e ci vendono patacche che dovremmo pure ringraziarli se non pagarli.
    grazie ,di cuore
    Beppino De Zan

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  3. Carovana della Pace: MISSING. I soldati si arrese, esecuzione e mutilati. Una questione di banche centrali?. Forniture di armi. Le bombe a grappolo. Algeria "base attacco?. Vedi:

    http://aims.selfip.org/~alKvc74FbC8z2llzuHa9/default_libia.htm

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  4. http://www.mathaba.net/news/?x=626486

    qui però risulta che con lei in Libia ci fossero anche altri due italiani.
    perché non parla di loro?

    saluti

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  5. Letto d'un fiato.
    Che dire, grazie Fulvio.
    Saluti.
    pozzo

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  6. Mi si chiede perchè non parlo degli altri due italiani a Tripoli con me, nell'articolo sul blog. Facile: per carità di patria. Punto.

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  7. Grazie Fulvio per essere andato là e avercelo raccontato.
    Ma come farà la Libia socialista a resistere e a vincere ? C'è questa possibilità o è mera illusione? La pravda ha pubblicato un omaggio a Duffy ricordandomne le virtù. Come possiamo fermare questa ennesima depravazione bellica dell'occidente ?

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  8. Complimenti e grazie per tutto quello che fai, Fulvio.
    Soltanto, prima di mettere il punto sui due italiani con te in Libia potresti rendere noti nomi, cognomi e provenienza professionale, giusto per sapere da chi guardarsi?

    Mauro Murta

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  9. eh, signor Grimaldi, così è troppo facile...

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  10. Auguri di Buona Pasqua caro Fulvio.


    PS: ottimo articolo come sempre

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  11. Complimenti. Appena letto l'ho immediatamente pubblicato su AppelloAlPopolo.
    Stefano

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  12. Ho trovato sul link di Federico chi erano i tuoi compagni di viaggio: Joe Fallisi e Paolo Sensini.
    Fallisi mi era sempre parso persona rispettabile, visto l'impegno per la Palestina e la partecipazione alla Freedom Flotilla.
    Quanto all'altro, ho trovato un Paolo Sensini autore e curatore di saggi sul "terrore rosso di Lenin" e sul "dissenso nella sinistra extraparlamentare". Se è lui, VADE RETRO!

    Mauro Murta

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  13. certi tuoi articoli, caro fulvio, meriterebbero un pubblico internazionale e quindi di essere scritti in inglese per poter essere facilmente rilanciati in rete. Questo è uno di quelli. Però allora dovresti rinunciare agli hapax e altri termini multisemantici o evocativi coi quali ti destreggi in italiano.

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  14. Primo pensiero.

    ormai la dicotomia tra info televisivo-giornalistica e info telematica è a un livello drammatico.
    gheddafi resta, per l'opinione generale, il dittatore da schiacciare e cacciare ad ogni costo per il trionfo della libertà.

    Secondo pensiero.

    ci sono due modi per far tacere una persona; il primo è quello di ucciderla, il secondo di ignorare la sua causa, non dargli spazio, impedire che essa possa sensibilizzare l'opinione generale.

    Terzo pensiero.

    fulvio: perché la tua informazione non sfonda?
    è un problema che ti dovresti porre.
    temi che ti possa succedere qualcosa di grave?
    temi il mossad, la cia, qualche servizio di intelligence che ti faccia del male?

    Appendice.

    io ti ammiro molto per tutto quello che fai ma il punto è che mi sembra di vivere uno stallo, come se anche continuamente dire la verità, questa stessa verità viene ricoperta da un infinito silenzio, una profondissima quiete, quasi che nel pensiero si finge.

    e il naufragar non è dolce in questo mare......


    saluti

    alb

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  15. Ho letto anche precedenti articoli di Fulvio Grimandi, aprendo link dal mio blog di Geopolitica, dove una scheda (uno per ogni stato del mondo) ahche sulla Libia. Credo di aver pubblicato sul mio blog “Civium Libertas” un articolo esemplare di Alberto B. Mariantoni: “Crisi libica o attacco all’Italia”. Gli eventi successivi hanno confermato a pieno quell’analisi. Non vi è dubbio che una buona parte della guerra è combattuta con la disinformazione. Ma credo che solo i più ottusamente disinformati non possono non restare di ghiaccio a vedere un presunto rappresentanto del proprio paese (tal Jamil) che va in giro a chiedere che venga bombardato il proprio paese... Ed un ministro Frattini che lo riconosce come rappresentante Unico della Libia. Insomma, o sono io che ho una propensione eccessiva e patologica all’indignazione o questo è un mondo “cane” che non si è mai visto, letto o sentito. E mi volete mettere al confronto le narrazioni di regime sul nazi-fascismo (non ero neppure nato!)? Qui vi è di peggio! A questo punto: cosa aspettiamo a ribellarci pure noi e per davvero? Ma esiste in questo paese, il nostro, un popolo capace di ribellarsi?

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  16. Letto nell'articolo : "Ma quel noi plurale si riferisce anche, e di più, agli strepitosi cittadini britannici[..;]
    si sono mossi, primi assoluti,"
    Commento: Primi assoluti? E allora Ginette Skandrani e Dieudonné hanno fatto un viaggio sulla Luna ai primi d'aprile? cf il video del 2 d'aprile, all'indirizz ttp://www.youtube.com/watch?v=wYN7wcmLuIU&feature=player_embedded#at=18o, e il blog di Dieudo http://iamdieudo.com/:

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  17. M' è arrivata sta mail [1]:

    Discorso di Muammar Gheddafi all’Università La Sapienza giugno 2009
    Ndr: Consiglio a tutti i sinistri che considerano Gheddafi un venduto
    all’imperialismo di leggersi questo bellissimo discorso. Magari ce ne
    fossero di capi di stato come Muammar Gheddafi in giro per il mondo.
    Capi di stato che mettono in luce la stretta connessione fra
    immigrazione e colonialismo, che difendono la resistenza palestinese e
    che ritengono che la democrazia non possa ridursi a semplice
    parlamentarismo, nel dover scegliere fra candidati entrambi egualmente
    corrotti e distanti dai veri desideri del popolo. Questo è il pensiero
    che Gheddafi ha difeso fino all’ultimo da vero patriota arabo ed
    antimperialista.


    Giovedì 11 giugno 2009.

    Buonasera. È un grande onore per me incontrare i docenti e gli studenti di quest’antica università. Poiché questa è la mia prima visita in Italia, ci tenevo molto a parlare con persone importanti, con le figure efficienti e fondamentali della società italiana: gli studenti e i professori. Ormai siamo entrati in una nuova fase delle nostre relazioni bilaterali e quindi dobbiamo
    parlarci e dialogare e concordare insieme.

    Perché abbiamo concordato di stringere un’amicizia, di essere sinceri gli uni verso gli altri e di camminare insieme per superare gli effetti di un odioso passato. Forse la generazione attuale non sa quello che è stato commesso in Libia dagli italiani durante l’epoca coloniale. Però i libici hanno dovuto bere quel calice amaro. Ogni famiglia in Libia ha sofferto a
    causa del colonialismo. Non c’è una famiglia in Libia in cui non ci
    sia stata una persona uccisa, ferita o deportata, oppure vittima dello
    scoppio di una mina.

    Se si domandasse a qualsiasi libico, racconterebbe questo. Se tu chiedessi di suo nonno, ti direbbe che è stato ferito o ucciso o deportato come traditore. Ma, purtroppo, l’attuale generazione italiana probabilmente non conosce questo passato; al punto che molti italiani, quando sentono parlare di “indennizzo” o di “scuse” al popolo libico, chiedono: «Perché mai ci
    dobbiamo scusare, che cosa mai dobbiamo indennizzare?». Il popolo
    italiano deve sapere, studiare la storia, affinchè non si ripetano gli
    errori commessi in passato.



    Se uno Stato che ha colonizzato un altro Stato, poi indennizza quel popolo colonizzato, questo fa in modo che non si ripeta il colonialismo in futuro. Finchè chi colonizza un altro Stato è costretto a indennizzare, i colonizzatori si asterranno dal colonizzare gli altri. Capiranno finalmente che il progetto colonialista è un progetto fallimentare e condannabile: quindi perché mai ripeterlo nuovamente? Il nostro scopo è proprio quello di impedire che il colonialismo si possa ripetere un’altra volta. Perché, come ho detto, le nuove generazioni non conoscono il colonialismo e quindi
    potrebbero commettere lo stesso errore nuovamente. È doveroso che i
    testi scolastici insegnino questa lezione. Il proverbio dice: «Per
    ogni situazione, un detto», ed è in tale prospettiva che dobbiamo
    affrontare questo discorso, parlare di queste cose, sia alla presenza
    dei docenti universitari sia degli studenti universitari.

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  18. www.mediafire.com/?te3nt30d78l2xdb

    Discorso di Duffy all’Università La Sapienza 2009.


    "Consiglio a tutti i sinistri che considerano Gheddafi un venduto
    all’imperialismo di leggersi questo bellissimo discorso"

    RispondiElimina
  19. un grandissimo e sentito grazie per il tuo lavoro di informazione contro l'oppressione dei popoli causata dall'imperialismo predatorio della c.c.r (comunità criminale internazionale) ancora grazie.

    RispondiElimina
  20. un grandissimo e sentito grazie per il tuo lavoro di informazione contro l'oppressione dei popoli causata dall'imperialismo predatorio della c.c.r (comunità criminale internazionale) ancora grazie.

    RispondiElimina
  21. un grandissimo e sentito grazie per il tuo lavoro di informazione contro l'oppressione dei popoli causata dall'imperialismo predatorio della c.c.r (comunità criminale internazionale) ancora grazie.

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  22. Concordo con "sempremison". Cercansi traduttori di Fulvio Grimaldi per siti (almeno) in inglese. Per esempio un accordo con global research.ca? O comedonchisciotte in senso inverso? E poi perche' non in arabo? (uruknet??) fabrizio

    RispondiElimina
  23. Dimenticavo: Magari tradurre anche in spagnolo (telesurtv.net) Fabrizio

    RispondiElimina
  24. GRAZIE FULVIO
    Il tuo articolo è una fonte preziosa di informazioni. L'atmosfera carica di energia della Libia LIBERA è stata una boccata d'aria.

    Solo un appunto: parli di noi "che viviamo nella parte OSCURA del pianeta".. ma quale sarebbe la parte chiara? Tutto il mondo arabo parrebbe schierato contro il Governo Legittimo.. con poche ma significative eccezioni.

    RispondiElimina
  25. Grazie Fulvio,
    sei grande! leggendoti, ho provato la stupenda sensazione di essere quasi fisicamente presente io stesso nel meraviglioso scenario che il popolo libico ci offre con la sua fede e la sua resistenza.
    Viva Gheddafi!
    Luciano

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  26. bellissimo articolo anche se per me laureato di terza media alcune parole mi vengono difficili da capire.ma ti faccio i complimenti,cerchero di diffondere il piu possibile questa verita alla gente accecata da tv-giornali etc...ho letto anche un discorso di gheddafi fatto all universita la sapienza,anche da li si capisce che e un uomo vicino al suo popolo.e anche vero che bisogna ascoltare tutte le campane ma dal momento in cui appartengono a una sola chiesa ne restano due:la tua e altri che la pensano come te e quella dell elite-lobby affariste-etc etc che vogliono esportare la finta demo-crazia con le bombe all uranio per arrivare al fine di un nuovo ordine mondiale.mi sbaglio?fatemelo sapere(moulinex79@libero.it)
    a presto

    RispondiElimina
  27. Cari interlocutori, sono lieto e grato per i vostri interventi sul post scritto al ritorno dalla Libia. Vi ringrazio anche di ogni osservazione e integrazione. Sono al momento in giro e al ritorno mi devo tuffare nel lavoro per far uscire al più presto il documentario video. Percui scussate se non entro in alcuni pur meritevoli dettagli dei vostri commenti. Quanto alla traduzione dei miei pezzi, la potrei fare io, almeno in inglese e tedesco, ma davvero ora il documentario è la priorità assoluta.
    Quanto a coloro che mi chiedono di spiegare perchè non parlo dei due italiani che hanno partecipato alla delegazione britannica,ho deciso di ignorarli rigorosamente. Dirò qualcosa solo in questa occasione Di uno ha già fatto capire tutto Mauro Murta, rivelandone le opere di mistificazione antisovietica e antileninista. Era con ogni evidenza un intruffolato che in Libia non doveva proprio starci. Un pericolo che i bravi inglesi non hanno saputo valutare.Quanto all'altro, la partecipazione alla Freedom Flottilla non risulta in questo caso sufficiente a garantire assolutamente niente, fuorchè grandissimi imbarazzi per i compagni di delegazione e per i libici. Ha rischiato di mandare in vacca l'intero proposito della delegazione in cui eravamo inseriti. E' personaggio assolutamnete instabile e di una rancorosità e competitività inadeguata al compito in cui purtroppo insiste a cimentarsi. Si tratta di un caso clinico.
    Fulvio

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  28. Non conosco bene l'inglese ma sembra di capire che alcuni paesi si preparino ad aiuti militari in favore di Gheddafi...riporto il link
    http://www.debka.com/article/20862/

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  29. debka è un organo di disinformazione dell'intelligence sionista.

    RispondiElimina
  30. giuliano,a me questo sito "DEBKA", sembra un coacervo di cavolate e propaganda filo-USraeliana.non fa altro che parlare di ARMI CHIMICHE DI GHEDDAFI destinate o provenienti dalla striscia di GAza,dal libano,da hamas ad hezbollah.scusa , ma non lo ritengo proprio attendibile.Magari ci fossero altre forze piu' o meno occulte a dargli una mano!!!

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  31. Beh Debka è un sito utile, ma è chiaro che è propaganda.. lo è DICHIARATAMENTE.. pendono dalle labra del MOSSAD, per questo sono utili, per capire da che parte soffia il vento di Sion. Tutta l'informazione è viziata, si tratta di analisi delle fonti.. anche quando una notizia è inventata è una notizia. Ci si può domandare chil'ha inventata e perchè.

    RispondiElimina
  32. Non dovrei nemmeno dirlo perché in realtà fai davvero "solo" il mestiere di cronista (sono le varie lucie goracci ad essere pennivendoli al soldo) ma hai coraggio, davvero.
    Complimenti. E grazie di cuore per questo bellissimo reportage.

    RispondiElimina
  33. Caro Fulvio , questa volta ho fatto il percorso a ritroso, partendo dai commenti sono giunto al post,e come ebbi a scrivere qualche giorno fa',la retorica non è pasto per la mia coscienza,per cui quanto doveva essere detto sul Tuo post è cosa fatta...non aggiungerei nulla di interessante a quanto già non ti abbia scritto, talvolta con enfasi al limite del torpiloquio.....
    quella che Tu definisti "fauna" sta diventando una platea corposa di menti pronte a resettare l'hard disk cerebrale, riprogrammandosi con una coscienza di conoscenza......

    leggendo i commenti due mi sono rimasti.....la firma di rossoallosso , e all'uopo consentimi di salutarlo ..ciao Beppino.... e quel TI VOGLIO BENE....che esprime, anche il mio sentimento....
    Un grazie ...si questo sentito, e poi dovuto, per l'INFORMAZIONE, attinta da questo BLOG, informare è vedere prima e poi raccontare, un fatto,in-formare e dare forma a dei racconti che tali rimangono.....racconti!!!!!!

    con infinito rispetto per il Tuo cervello

    Renato Piacentino

    RispondiElimina
  34. @Valerio/Maurizio
    non conosco l'inglese e non conosco il sito.....grazie per l'informazione

    RispondiElimina
  35. Compagno Fulvio, meno male che sei tornato da poco dalla Libia, con il tuo illuminante reportage, altrimenti ci toccava sorbirci l'ennesima bufala. Oggi sul filo-sionista "Repubblica" hanno pubblicato un appello contro Gheddafi, sottoscritto da 61 tribù libiche. Cito testualmente: "Tra le firme più significative quella di Mouftah Matouk al Werfali, capo della tribù dei Warfallas, tra le più grande del paese, e quella di Khalifa Saleh al Kadhafi, tra i capi della tribù da cui proviene lo stesso leader
    libico". L'appello è stato pubblicato da un 'altra grande chiavica sionista, Bernard-Henri Lévy. Probabilmente doveva rimediare al fallimento della sua campagna anti Iran, strumentalizzando la vicenda di Sakineh.
    questo è il Link dell'articolo http://www.repubblica.it/esteri/2011/04/27/news/appello_dei_capi_trib_libia_unita_senza_gheddafi-15431872/?ref=HREA-1
    Francesco

    RispondiElimina
  36. ciao Renato,
    ho ritenuto doveroso,nel rispetto di un uomo che si espone in prima persona alla ricerca di verità e giustizia,porre la mia firma,una forma di rispetto che si deve ,aldilà delle proprie convinzioni personali,verso coloro che operano rischiando del proprio,anche la pelle.
    Rispetto ma non condivido chi rimane anonimo,ritengo sia una forma di distacco che impedisce quella aggregazione che dovrebbe portare ad una unità di intenti che credo aspirino tutti i lettori di Fulvio.è poca cosa,lo so,ma avere il coraggio delle proprie opinioni e controfirmarle vuol dire mettersi in gioco,aprirsi agli altri può essere il primo passo verso qualcosa di più costruttivo e incisivo.

    RispondiElimina
  37. Condivido l'analisi di Fulvio, ma ho un dubbio che mi tormenta e non so se Fulvio stesso o altri me lo possono chiarire: i campi di detenzione in LIbia in chiave anti-immigrazione.
    Esistevano o no? Esistono? Il governo di Gheddafi ha realmente gestito questa specie di campi di concentramento, come affermavano tutti i media e persino amnesty e le varie ong, oppure è un'invenzione della propaganda occidentale filo-atlantica, di cui tutti questi carrozzoni fanno parte?
    TarasRivo

    RispondiElimina
  38. @ Beppino,
    concordo con quanto, da Te, opportunamente scritto; l'auspicio che tali PAGINE DI STORIA possano essere il prodromo di un'aggregazione sociale, volta al cambiamento,.... non utopia , ma consapevolezza!!

    Ti rinnovo i saluti.

    Renato Piacentino

    RispondiElimina
  39. TarasRivo
    L'intera storia dei migranti nei lager di Gheddafi è una perfida balla lanciata dall'Espresso di De Benedetti e basata sul servizio video di un gaglioffo,nel quale non si vedono che alcuni corpi nella sabbia, senza il minimo riferimento a identità e luogo, ma che vengono presentati come migranti uccisi da Gheddafi. Un altro farabutto è Stefano Liberti del manifesto che ha diffuso analoghe fandonie, in coerenza con i suoi scandalosi servizi da Bengasi a sostegno dei briganti mercenari della Nato. In Libia c'erano campi di accoglienza per migranti in transito verso l'Europa che Gheddafi un anno fa ha sciolto, lasciando i migranti liberi di muoversi dove volevano. La realtà è che la Libia ha accolto 2,5 milioni di migranti dai paesi africani, gli ha dato lavoro, casa, servizi e spesso cittadinanza. Ora la guerra ha fermato molte imprese e questa gente è allo sbando, quando non viene, perchè nera, massacrata dai razzisti di Bengasi (come documentato perfino dalla stampa anglosassone e da documenti video). La storia delle atrocità contro i migranti serviva a coprire i crimini razzisti nostri e a preparare la demonizzazione di Gheddafi in vista della guerra.
    Fulvio

    RispondiElimina
  40. Grazie mille.
    Ora ho il dubbio di essere stato ingannato. Un forte dubbio.
    Per chiarirmi le idee vorrei avere notizie anche sulla gestione dei profughi nell'accordo lega-berlusconi-gheddafi con i relativi "crimini" libici; crimini di cui si è a lungo parlato da parte di ambienti che non sembrano nè filo-governativi o filo-occidentali.

    RispondiElimina
  41. Ciao Fulvio,
    anzitutto ti ringrazio per il tuo lavoro, che insieme ai pochi veri giornalisti che illustrano la verita' contro la mistificazione dei media. Ho avuto modo di leggere gli articolisul Manifesto di Liberti da Misurata...alla domanda mia nel blog se fosse sicuro che a sparare sui civili fossero per certo i soldati regolari, la risposta sua fu: "trovo molto improbabile che siano stati i ribelli, anche perche' non dispongono di razzi..." e' tutto dire.
    Vorrei che portassi la solidarieta' mia e di molti altri a tutti quei lavoratori neri subsahariani che sono perseguitati ed incarcerati (ed alcuni di loro sono stati anche uccisi) dal regime dei "progressista" e democratico golpisti di Bengasi come "mercenari". Anche il L.A. times il 25/3 pubblicava un interessante ed onesto articolo di un cronista su questo. Ma in Italia nessuno ne ha parlato se non un cenno all'inizio della rivolta a Bengasi, poi tutto sotto silenzio.
    Ciao
    Alessandro

    RispondiElimina
  42. Thank you sooo much for doing this work. Is there an english translation available? I can't find one.

    RispondiElimina
  43. Caro Fulvio, temo che tu mi abbia cancellato un commento. L'avevo postato qualche settimana fa a proposito di Joe Fallisi: linkavo un suo intervento che dimostrava il suo stare dalla parte di Gheddafi e della vera resistenza libica: sarà un tipo un po' spostato, sarà inaffidabile ecc. (io tuttavia non lo conosco sufficientemente per giudicarlo), ma è tutt'altro che un filoimperialista, un fascista, un sionista ecc. per cui non capisco perché non l'avresti (il condizionale è d'obbligo: potresti essertelo semplicemente dimenticato) pubblicato. Del resto voleva essere solo un elemento in più alla discussione.

    Comunque il link era questo:
    http://kelebeklerblog.com/2011/03/24/joe-fallisi-per-la-libia/

    E questo invece è il resoconto di Fallisi del viaggio che ha fatto (con te) in Libia:
    http://www.rischiocalcolato.it/2011/05/libia-puzza-di-complotto.html
    (non l'ho visto per intero, dura più di un'ora, quindi non so tutto quello che si dice)

    Un saluto
    Alessandro d

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