mercoledì 31 ottobre 2012

Ratti tra i piedi, grilli per la testa, bandiere rosse di qua e di là


Abbiamo capito che quelli che aspettavamo eravamo noi. (Occupy Wall Street)

Non fateci sognare, svegliateci. (Altan)

Emozionatemi, sennò mi tocca di pensare. (Altan)

Liberi pensatori sono coloro disposti a usare le proprie menti libere da pregiudizio e senza tema di comprendere cose che si scontrano con i loro costumi, privilegi, credi. Questo stato mentale non è comune, ma è essenziale per un corretto pensare. Dove manca, la discussione diventa peggio che inutile. (Leo Nicolaievic Tolstoi)


Il Grillo Decostruens schiva il martello
So di provocare sconcerto e anche sdegno tra molti amici e interlocutori, custodi di nobili rigori, ogni volta che su Grillo e i suoi riverso non anatemi, ma attenzione e, spesso, condivisione. Non condivido la pratica del pre-giudizio ideologico, del processo alle intenzioni. Credo che il guru di Grillo, Casaleggio, sia una presenza esoterica calamitosa, ma non posso non riconoscere in quanto scrive e strepita Grillo il ribollire, a volte caotico, di un magma antagonista di cui noi tutti dovremmo far parte, o di cui dovremmo perlomeno ascoltare i gorgogli.  E il fatto che i chierici traditori lo abbiano in uggia peggio del mostro di Lochness, gli merita ulteriore attenzione. Appresso a Grillo ci stanno gli incazzati, che non sono il segmento peggiore della società. Se non gradite lui, almeno rispettiamo loro. Comunque, parliamone.


Nell’ennesimo articolo di fiele contro Beppe Grillo e il suo movimento, per gli uni da cacciare nella bolgia infernale del populismo e dell’antipolitica, per gli altri, a denti stretti, da “considerare nelle sue motivazioni di protesta”, “il manifesto”, capofila di coloro che a Grillo non perdonano di avergli rubato la scena e moltissimi argomenti, esprime il classico livore degli spodestati da un proprio ruolo che non funziona. In interviste con sinistrati moderati, spaventati e rancorosi, in contributi dei soliti guru rincitrulliti che vaticinano un’unità senza facinorosi per far pendere a sinistra la bilancia del PD (Asor Rosa per tutti), una bilancia irrimediabilmente inchiavardata a destra in alto, costoro si autonconsolano spargendo la solita nebbia del populismo, del comico, del conducator leader maximo, illusionista di una “nuova politica peggiore della vecchia politica”, affetta da “estremismo pseudo rivoluzionario e antitetica del buon governo del paese, perché le soluzioni proposte (contro il debito, contro la dittatura della BCE, contro il militare, contro la devastazione dell’ambiente, contro i mafiocrati dei consigli d’amministrazione, contro tutta la classe politica, compresi i termidoriani del PD, contro Rigor Montis) sono sempre peggiorative”.

C’è anche un Nostradamus che profetizza ai grillini in Sicilia la stessa vergognosa fine dei radicali quando si  presentarono lì, fecero il boom e poi se la filarono all’inglese dopo un paio di settimane, lasciando la Sicilia là dove stava. Un Pannella, garantista fino ai salottini con radiotrasmittente per i boss delle stragi di Stato, come un Grillo che si è azzardato a dire che Monti fa autocomburere operai licenziati, mentre la mafia strangola un po’ per volta. Sono stati davvero dei virtuosi del salto logico coloro che in questa denuncia del mattatoio sociale montiano, accostata a quella del pizzo e della relativa minaccia di morte strisciante, hanno voluto vedere attenuanti per una criminalità organizzata che, mio dio!, mica si può osare di paragonare a colui che ha “ridato al paese dignità e rispetto internazionale”. Già, ma rispetto di chi? Di Draghi, Merkel, Cameron, Obama, Lagarde, Obama, camerieri in livrea, bancari, lustrascarpe?  Si pensi quel che si vuole di Grillo, e il mio pensiero a proposito è variegato, ma si tenga conto del fatto che al Que vayan todos, da noi tanto decantato in Argentina, colui che più vi si avvicina è Beppe Grillo. Per cui, alle elezioni regionali di Sicilia, la povera compagna sindacalista, proiettata a capo della lista di SEL dallo sbadato Fava, sembra, mentre scrivo, ferma al 5%, mentre i grillini da zero sono ascesi al 18%. Primo partito dell’isola-laboratorio! Tutte stupide le masse?

Dire oggi che Grillo finirà come i radicali, che non ha proposte, che ci porterà al fascismo, è una stupida vigliaccata. Calma e gesso. Gli si chiederà conto di quello che farà quando lo farà. Intanto è l’unico che decostruisce l’esistente, tutto il fetido, corrotto esistente, Senza il che non si vede come si possa costruire. Intanto va apprezzato che, lista più votata in Sicilia, a differenza di quelle del vincitore Crocetta e del fascista secondo arrivato, Musumeci, il Movimento 5 Stelle non presenta nessun condannato, nessun indagato, nessun processato, nessun fascista, nessun prete e nessun sospettato di mafia. In Sicilia non è poco. E gli direi anche grazie per aver evitato che in Italia la protesta da lui raccolta venisse avviata su un percorso di estrema destra e finisse in una nostrana “Alba Dorata”. Anche questo non è cosa da poco.

Già, dice, è grazie al “populismo”. Inversioni logiche del nostro tempo: il populista che dà del populista a chi lo contesta, come il terrorista che dà del terrorista alla sua vittima. Spiegava lo scienziato, se ben ricordo, “Populismo è assecondare i comportamenti, l’ideologia e la cultura degli strati più arretrati e reazionari della società”. Colpita e affondata la Lega. Ma forse non anche Berlusconi, Bersani, Monti, il non plus ultra del qualunquismo? Questi campioni dell’antipolitica populista quando, buttando alle ortiche la politica, nel senso della polis, assecondano una pancia  che permette di essere strizzata dall’inculcata paura del peggio e che gode vicariamente della fanfaluca  berlusconiana del “vincente che si fa da sé” e della  riconquista montiana del “rispetto internazionale”. E non sono populisti una Camusso, un Angeletti, un Bonanni, dai quali ci si lascia convincere che, pur ridotti a iloti, magari intossicati, si è mantenuto il posto di lavoro?  Tutta gente che schifa e consegna alla gogna i “violenti” dell’unica politica non antipolitica oggi possibile?


 La Siria a Castelbolognese

Ratti in Italia annichiliti in Emilia-Romagna
C’è una conventicola di ratti, quale siriano e quale italiano, che dalla palude della loro totale irrilevanza (perfino per la Nato e gli ufficiali pagatori sauditi-qatarioti, che della loro imbarazzante stupidità farebbero volentieri a meno) sbraitano oscenità all’indirizzo di chi si adopera per raccontare qualche verità sulla Siria, sull’aggressione dei mandanti criminali e dei sicari cacciatori di teste e sull’eroica e indomata resistenza di tutto un popolo. In Emilia-Romagna io sono di casa grazie al fatto che la regione ex-rossa ha fatto negli anni cadere robuste e sane spore da cui si sono moltiplicate oasi di intelligenza politica e di dinamismo operativo. Siccome l’intelligenza politica non può prescindere dalla dimensione internazionale che tutto determina, perfino la mancanza di carta igienica nella scuola di Sgurgola, da queste oasi si sprigiona un vento di conoscenza  in grado di sradicare parecchi alberi della foresta di menzogne e inganni coltivata dai frodatori gabbamondo di Washington, Bruxelles, Istanbul, Doha,  Riyad  

Gli deve essere saltata la mosca al naso, e insieme la brocca, a questi muselidi da acque nere (il peggio del peggio, perché in malafede quanto neanche la Fornero), al constatare che i miei rapporti e filmati sulla cannibalizzazione della Libia e sull’analogo tentativo contro la Siria, supportato dagli squittii di questi mercenari dell’intelletto, famelici delle briciole dell’Impero (ve ne potete disgustare su certi siti catto-salafiti), frequentavano assiduamente le aree intorno a Po, Panaro e Rubicone. E così, all’udire che per l’ennesima occasione, stavolta a Castelbolognese e a Vignola, dopo Ravenna, Cesena, Faenza, Imola, Bologna, Lugo, Forlì e via emilianeggiando, si sarebbero raccontati i fasti delle lotte di liberazione e i nefasti degli zombie imperiali, sono ricorsi agli strumenti ritenuti risolutivi da tutti i mandanti e sicari dei crimini di guerra e contro l’umanità: la calunnia, il ricatto e la diffamazione. Di questo coro di cacofonici stridori ne metto in evidenza uno, altamente rappresentativo di questa camarilla per la sua assonanza con i “valori”  che si vorrebbero infliggere ai siriani: quello di una squinzia che si dice siriana (ma da quel popolo ha reciso ogni legame) e che nutre la spasmodica foia di essere eletta Miss Siria in Italia 2012. Se, contro ogni evidenza estetico-morale, le dovesse riuscire, dal diadema che le metterebbero in testa dovrebbe sgocciolare sangue.

L’evento di Castelbolognese, con il docufilm “Armageddon sulla via di Damasco” e il racconto dell’autore che su quella via ha dovuto passare tra i corpi maciullati di civili e patrioti siriani, veniva organizzato dai bravi compagni di Nuove Resistenze e patrocinato dalle locali sezioni di Arci e Anpi. Allora, cosa s’è inventata l’improbabile reginetta di bellezza? Il colpo grosso, quello da incenerire chiunque osasse opporsi alla vulgata degli stragisti militari e mediatici da lei corteggiati. Si è rivolta ai vertici delle due onorate associazioni, per denunciare la scandalosa contraddizione tra una loro presunta affinità con i satanizzatori di Assad e della Siria, e l’inaudita trasgressione di Arci e Anpi locali che, invece, permettevano il diffondersi di informazioni  e documentazioni in grado di satanizzare i satanizzatori. Anpi e Arci regionali, e magari nazionali, avrebbero dovuto intervenire sugli eretici romagnoli e intimargli di erigere al relatore, irresponsabilmente invitato, piuttosto che un palco, un rogo. Tanto più, così la sciocchina goebbelsiana al telefono, che “Fulvio Grimaldi bazzica con Forza Nuova e Casa Pound e io sono addirittura in possesso di una foto con Grimaldi che fa il saluto romano”. I camerati  delle conventicole fasciste cui mi si attribuiscono frequentazioni, memori di come il sottoscritto ne abbia sputtanato lo pseudo-antimperialismo filo-siriano, ancora si sganasciano. A parte che alle posizioni ufficiali di Anpi e Arci, attestate su un non proprio corretto cerchiobottismo del genere “cessino le violenze di tutte le parti”, veniva indebitamente appioppata una vicinanza ai cerebrolesi di Al Qaida, il tentativo mafioso di far sconfessare dai loro vertici i compagni di Castelbolognese veniva ridicolizzato dalla totale indifferenza dei destinatari in alto e dal rinnovato impegno dei reprobi in basso.

Come tutte le precedenti in Emilia Romagna, ma anche in tutta Italia e fuori, anche questa manifestazione di solidarietà con la Siria vera e di repulsa dei suoi aggressori, è stata gratificata da uno strabiliante concorso di persone, dalla difesa da parte dei compagni di Arci e Anpi, oggi bisognosa di coraggio e integrità, del diritto, sempre violato, all’ascolto della voce dell’”altro”, dalla lucidità politica e dall’efficienza organizzativa di Nuove Resistenze. E, soprattutto, è stata premiata dal consenso generale e totale di un pubblico arrivato da tutti i pizzi, anche lontani. Un’altra tacca sulla spada che taglia i tentacoli della piovra.

Non diversamente è poi andata a Vignola di Modena: film, racconto, interventi,  in un centro sociale Rivalta strapieno, commosso, solidale, cosciente. Un uno-due emiliano-romagnolo che è tornato a ricacciare i ratti negli spazi angusti e onanistici del loro grufolare in Facebook. La rosa di Damasco, invece, risplende in giardini sempre più vasti.



In marcia, o in sfilata?

Quelli delle parole. Certo Andrea Fioretti, uno che da alcuni decenni, passando di scissione in scissione, oggi sotto la sigla passepartout  di “Comunisti Uniti”, cerca di coagulare intorno alla sua persona qualche sbandato di altre formazioni, disperati bisognosi di una qualsivoglia forma dell’essere seguaci di un capo, disillusi vari, compagni con le migliori intenzioni. Costoro, animati da nuove speranze e fiducie, tra la cinquantina di sigle che si affermano comuniste e rivendicano eredità delle più varie e fantasiose, il Marx giovane, il Marx maturo, Stalin, Mao, Gramsci, Bordiga, Che Guevara, Il Grande Partito Comunista Italiano di Togliatti, Longo e Berlinguer, hanno scelto, spesso casualmente, il gruppuscolo di Fioretti. L’ho annusato per qualche tempo anch’io, ho ascoltato in decine di assemblee centinaia di interventi assolutamente identici negli anni. Un estenuante parlarsi addosso, in qualche modo compensatore del mancato insediamento sociale.

Leggendo i documenti e comunicati dell’altra cinquantina di  gruppi che nel nome si rifanno al comunismo, ho trovato una sostanziale identità di concetti e linguaggi, salvo il più o meno denso strato di polvere che li avvolge. Omologhi anche, in una maggioranza di reticenti e di né-nè, sul piano della politica internazionale, nei suoi aspetti imperialistici solitamente trascurata, o trattata solo marginalmente: Nato, basi, guerre, con chi schierarsi. Con l’ovvia e stucchevole eccezione dei partitini trotzkisti, ferocemente allineati all’Impero e alla Vandea confessionale nella demonizzazione dei governanti di paesi sciaguratamente non proprio marxisti-leninisti e, dunque, da assaltare e radere al suolo. Incidentalmente vorrei qui sottolineare come punto nobile, minuto ma alto, è stato, nella manifestazione anti-Monti del 27 ottobre, lo spezzone dei No War, che spesso ho criticato per quella loro buonista, prudente e ambigua, invocazione alla tregua e al dialogo, indirizzata a entrambe le parti, carnefice e vittima. Slogan e striscione di quelle brave persone dicevano “Giù le mani dalla Siria” e anche “Con la Siria senza se e senza ma”. Bene, piccoli pacifisti crescono.

Quelli delle azioni. Per me è stato anche incoraggiante rivedere tanti compagni, ciondolanti tra uno spezzone e l’altro, magari senza cappelletto di partito o partitino, ma anche di Rifondazione, dei Cobas, magari di nicchia, magari riuniti intorno a una rivista,  ma che incontro un po’ ovunque, nei miei convegni tra Alpi e Lilibeo. Sono quelli dei centri sociali, dei comitati ad hoc, dei siti irriducibili, dei circoli liberatisi dalla ferula delle compatibilità che governa il cincischio dei politici di superficie. Sono l’anima vera, scevra da calcoli personalistici o di conventicola,  di quello che dice di voler essere questa manifestazione. Liberi dal cancro che, presto o tardi, pare minare ogni consolidamento organizzativo: la burocrazia, macro o micro che sia.

Mi convinsi che per azzeccare il giusto gruppo da seguire sarebbe stato sufficiente  ricorrere al classico “Tre civette sul comò”. A quel punto ho suggerito ai desiderosi di militanza in un collettivo di ripiegare su Rifondazione, da cui i più erano scaturiti e che, per quanto carente e inadeguata in alto, in basso, alla base, vanta in molte situazioni un’ottima, perlopiù giovane, materia umana, fortemente critica quando non dissidente rispetto al vertice, spesso attivamente inserita, a fianco dei movimenti, nelle lotte sociali e internazionaliste. Oltrechè avere una struttura organizzativa e operativa di tutto rispetto. Questo non significa che, personalmente, io vada a votare Prc, peggio Federazione della Sinistra. Se non altro perché votare con qualsiasi legge che i partiti rigurgiteranno per escludere il libero arbitrio e l’uguaglianza, significa avallare una truffa levatrice di dittatura. Tornando ai “Comunisti Uniti”, il mio distacco avvenne quando un invasato, integralista della “rivoluzione domattina” a ogni minimo incresparsi della palude della passività sociale, dopo un corteuccio appena più vispo del solito, festeggiava l’apparire all’orizzonte del sol dell’avvenir. Gli consigliai di moderarsi. Di non fare come Icaro quando, ignorando  che il sole vero sa sciogliere collanti ben più forti dei “comunisti uniti”, finì con lo screditare il volo spiaccicandosi a terra. L’entusiasta rispose coprendomi di insulti politici, anagrafici, biologici. Ma il capo, Fioretti, ebbe  l’accortezza di dividere torti e ragioni in parti uguali. Un po’, si parva licet…,  come certi pacifisti fanno tra la Siria aggredita e gli aggressori. Un po’ alla Bersani.

Perché racconto queste miseriole? Perché nei commenti del giorno dopo alla nostra manifestazione del 27 ottobre, No Monti day, si sono potuti percepire gli stessi toni di quel compagno suonato che sentiva “suonare l’ora”, la dove trillava al massimo un telefonino. Siamo seri, ragazzi. I 100 mila di quel corteo esprimevano sicuramente, al netto della totale e imperdonabile indifferenza al criminale ruolo bellico dell’Italia, il meglio della  società politica non ingabbiata dalle sirene della corruzione ideologico-morale, dall’ottusa incapacità di pensare a un’alternativa, dal populismo di stampo mafioso (quello dei partiti grossi). E, opportunamente, di tutti coloro che si definiscono di “sinistra radicale”, di sinistra a sinistra della Destra Due (PD), gli unici che non c’erano erano quelli di Vendola, terrorizzati all’idea che mettersi contro Monti, non a chiacchiere tattiche, ma occupando le strade, comportava infastidire il PD, garante di una manciata di seggi alle prossime elezioni. O era la vergogna per la mannaia giudiziaria che si va abbattendo sul leader, causa la latrina della sanità pugliese (Assessore Tedesco, Don Verzè, primari raccomandati…) e per quella morale, calata dalle frequentazioni Ilva che hanno garantito per anni i noti benefici effetti ai cittadini di Taranto?

C’erano le immancabili presenze bislacche. E’ spuntato anche un gruppazzo vernacolare, specialista di strepitose sbandate geopolitiche e teoriche, con sui vessilli “MPL”,  Movimento Popolare di Liberazione. Si chiamavano Campo Antimperialista, ma  il loro antimperialismo prese una piega umoristica quando celebrò nel manutengolo Cia, Osama bin Laden, un campione dell’antimperialismo, eroe delle Torri Gemelle. Folklore. Ma tutto sommato partiti, movimenti, comitati, associazioni (acqua), categorie (vigili del fuoco, disabili), hanno fatto la cosa giusta nel posto giusto e nel momento tardivo. E’ la prima volta che un gran numero di persone e di sigle si riunisce contro il governo della macelleria sociale e, implicitamente, inconsapevolmente o bisbigliando, contro l’ennesimo governo della guerra dei coloniali colonizzati contro popoli da colonizzare. E contenuti e parole d’ordine – condivisibili, anche se a volte strillati, con megafoni e sound system, da insopportabili voci al limite dell’isteria – degni della fase e degli obiettivi, lacerando la fetida unanimità del duopolio partitico di maggioranza e dei suoi aggregati. Merito guadagnato tardi e nei termini della solita sfilata con balletti e tamburi, atta a definire i rapporti di forza tra vertici di organizzazioni che fin qui si sono detestate, ma di cui c’è da dubitare che nel maniero dei vampiri si tenga il minimo conto. Comunque un passetto nella giusta direzione.

Risulta a questo punto sproporzionato e velleitario il peana che da sinistra, “il manifesto” per primo, ha intonato al “superamento della mediazione condizionante”, all’unità di “blocchi largamente convergenti nella presa d’atto che si è aperta un’altra stagione… e che quindi la politica come è stata intesa nell’ultimo ventennio non ha più ragione di esistere”. Un po’ troppo per un tranquillo corteo che appariva la sostanziale ripetizione, in la minore, di altri cortei passati e trapassati, viola o rossi. Lo stesso giornale, e tanti con lui, non ha perso l’occasione per compiacersi dell’assenza dei ventilati black block e degli scontri. Si sente qui una vaga eco degli anatemi che usava lanciare contro  “provocatori” e “infiltrati” quando il PCI e i suoi succedanei concorrevano con i democristiani per una gestione “corretta” di capitalismo e atlantismo. In lunghi anni ho constatato che il trionfalismo può essere più debilitante che non le mazzate pretoriane e gli uragani di disapprovazione che si abbattono su chi alla difesa del diritto di stare in piazza non rinuncia. Meglio, come fanno la Fiom, il movimento per l’acqua, le organizzazioni di difesa territoriale, quelle, diffuse assai, ma non coalizzate in forza organizzata, che, a partire dalla guerra, mettono in discussione l’architettura imperiale occidentale, di cui i Monti sono solo l’articolazione indigena, insistere su quel lavoro di mobilitazione di massa che è l’unico in grado di modificare i rapporti di forza. Sabato 27 ottobre ci siamo visti, ci siamo contati, ci siamo abbastanza piaciuti, abbiamo indicato percorsi buoni, ma se le cose restano lì, fino alla prossima parata di bandiere rosse in competizione tra loro, di quel sabato resterà poco più della foto nell’album di famiglia.

Le fanfare hanno tanto meno motivo di strombazzare, quanto più restiamo distanti e in ritardo rispetto agli altri paesi del Sud europeo presi di mira dalla Troika per conto degli artefici del dominio fascio-capitalista planetario, garante di ricchezza dei pochi e di schiavitù di tutti gli altri. A forza di quelli che i benpensanti sinistrati chiamano black block, violenti e provocatori, ma la cui difesa con forza del proprio spazio vitale, di espressione e di incolumità, in Grecia, ha visto il sostegno e la partecipazione di decine di migliaia di “comuni cittadini”, Syriza, protagonista assoluto di quelle lotte, passa dal 7 al 17 al 27% e ora, nei sondaggi, al 30. Effetto di tre anni di scioperi generali e battaglie coinvolgenti una massa critica della popolazione, tale da aprire contraddizioni non più sanabili dalla collusione di partiti che fingono di rappresentare interessi divergenti della società. Così, più o meno, succede in Spagna e Portogallo, paesi con i quali la CGIL ha rifiutato unirsi in sciopero generale, cioè di fare l’unica cosa sindacale necessaria per aprire il discorso su un’altra Europa. Un‘ Europa in cui la sovranità collettiva non sia più il risultato di un processo di annientamento delle sovranità individuali, territoriali e nazionali, ad opera dell’ “Anonima furti con scasso o con destrezza”, ma sia l’espressione della solidarietà tra chi nei secoli è rimasto cornuto e mazziato. Io non so come si debba fare quell’Europa, ma sono certo di sapere che l’Europa attuale va decostruita. Se non subito l’Europa dell’Euro, subito quella dei meccanismi che governano la moneta imperiale. Il passo va commisurato alla lunghezza della gamba. Intanto il popolo della verità che ha marciato, sotto insegne diverse, ma con spirito comune, s’è liberato di Vendola, come da altri coinquilini subalterni del Sistema. Una zavorra non da poco.

Esempi latinoamericani
A proposito di sollevazioni di massa con l’uso della giusta forza, a Grecia, Spagna, Egitto e Tunisia, questi due poi recuperati al despotismo neoliberista e filo-Usa dalla Fratellanza Musulmana, è doveroso aggiungere anche paesi latinoamericani che hanno visto coronare da successo politico le lunghe e massicce  mobilitazioni popolari. Così in Cile, dove anni di rivolta studentesca, dei medi e degli universitari, con al centro la lotta contro una devastazione-negazione dell’istruzione pari alla nostra, lotta sostenuta da grandi settori della società, ha finito col mettere in crisi il presidente post-pinochettista, garzone delle multinazionali, Sebastiàn Pinera. Le elezioni amministrative di domenica 28 dicembre hanno visto la vittoria delle sinistre della Concertaciòn e del Partito Comunista: 43% contro 37,5% dei partiti che sostengono Pinera. Anche qui il partito di maggioranza è quello dell’astensione, foriero di possibili interventi esplosivi, al 60% circa. Le destre hanno perso tutte le città principali, a partire dalla capitale. 

Altro colpo al mento degli Yankee e dei loro residui caudillos latinoamericani l’ha portato il popolo panamense, sceso compatto nelle strade del paese a fronteggiare per una settimana, giorno e notte, l’apparato repressivo del presidente Ricardo Martinelli. Martinelli è quel campione dell’alleanza occidentale che s’è fatto corrompere con 20 milioni di euro, per un po’ di elicotteri, dall’eccellenza morale della nostra industria pubblica, Finmeccanica, intoccabile per i chierici del montismo che vi si sono annidiati. Lo spunto per l’esplosione di una collera lungamente alimentata dalle politiche predatrici del regime e dei suoi sponsor Usa, lo ha fornito il parlamento di coscritti di Martinelli, approvando una legge, la “72”, che metteva in vendita la zona franca di Colon, cuore economico e depressione sociale massima del paese. La Zona Libre de Colon (ZLC) è uno dei maggiori poli commerciali del continente. Vi operano 3000 imprese che danno lavoro a 30mila panamensi. Lo Stato ne ricava annualmente 33 milioni di dollari, ma non interviene sul 47% della popolazione che vive sotto il livello di povertà. Questo incredibile divario tra i pochi ricchissimi e i tantissimi poveri, con la vendita delle terre di Colon alle multinazionali Usa (che avevano concordato la misura con Martinelli) sarebbe stato allargato a livelli ancora più efferati, oltre a rendere irrisoria la già evanescente sovranità del paese centroamericano. I panamensi sono scesi in piazza in tutto il paese in appoggio agli abitanti insorti di Colon e, per otto giorni, hanno combattuto contro gli sgherri di regime, affrontando gas, mazzate, arresti e perfino pallottole.

Al prezzo di 4 morti, decine di feriti, centinaia di arrestati, il tentativo di svendita dei beni e territori nazionali (perseguito alla stessa stregua dai golpisti di Monti) è stato fatto fallire. Un parlamento, in cui l’opposizione si è ringalluzzita e le destre al governo si sono spaventate, ha dovuto rimangiarsi la “Legge 72”. Al socio di minoranza dei gringos, Martinelli, non rimane che firmare il provvedimento. Resta da vedere se all’opposizione parlamentare e sociale riuscirà una vittoria analoga nei prossimi giorni, quando i martinelliani vorranno far passare l’ennesimo Trattato di Libero Commercio con cui gli Usa strangolano i paesi che da regimi vassalli sono costretti ad aderirvi. Si tratta di quel progetto ALCA con cui gli Usa tentarono di ingabbiare le economie dell’intero continente e che, nel vertice interamericano in Argentina, fu polverizzato dal rifiuto della piazza e dei governi latinoamericani, entrambi inspirati e guidati da Hugo Chavez.

Ci sarebbe da dire di Perù, Honduras, Guatemala, dove elezioni manipolate o colpi di Stato  hanno rimesso in sella gorilla al guinzaglio dei domatori nordamericani. In Perù, contro la manomissione del territorio da parte delle multinazionali minerarie, la rivolta indigena viene duramente repressa da Ollanta Humana, che pure si era presentato come svolta di sinistra dalla tirannia del ladro e pluriassassino Fujimori. In Guatemala, un vecchio arnese delle stragi di indigeni e campesinos ordinate negli anni ’80 dalla Cia di Reagan, il presidente Otto Perez Molina, allora capo di stato maggiore, ha ripreso a sparare (50 morti) contro resistenti indigeni.

Ciudades Modelo in Honduras

Particolarmente interessante la situazione in Honduras, dove accanto alla resistenza contro il golpe di Obama del 2009 (che purtroppo ha dovuto subire la scissione di un’ala elettoralista e governista), si sta sviluppando la lotta di massa contro la decimazione dei contadini del Bajo Aguan ad opera dei latifondisti del postgolpista Lobo, e, oggi, contro la legge che vorrebbe istituire le cosiddette ciudades modelo. Si tratta dell’esperimento, proposto da economisti ultra-liberisti del regime di Washington e delle locali oligarchie, per sottrarre alla sovranità nazionale e all’habitat popolare ampie zone di un paese, ovviamente le migliori e più adatte allo sfruttamento. Vi dovrebbero sorgere “città modello” erette dalle multinazionali nordamericane, esenti dalle leggi dello Stato, con propri organi governativi, una propria struttura sociale, propria cittadinanza per autoctoni e stranieri, proprie regole ambientali, un fisco indipendente e una propria forza di polizia. Nessuna di queste cose risponderebbe più al governo nazionale e sarebbe campo aperto alle micidiali scorrerie dei predatori del Nord del mondo. Dalle terre ancestrali verrebbero espulse la popolazioni native e quelle di origine africana. Un’aberrazione capitalista alla quale potremmo anche guardare dall’alto, non fosse che da noi, grazie alla trimurti Napolitano-Monti-Bruxelles, è l’Italia intera che dovrà diventare un pais modelo, svenduto agli e alla mercè degli incursori transnazionali a caccia dei minori salari e peggiori diritti. Con tanto di assetto, costituzione e norme decisi da fuori.

Scienziati e scienza “neutrale”

L’Aquila,  vittime del “non succede niente”.

Una nota di soddisfazione personale. E’ per la condanna a sei anni – pochi rispetto alla strage – ai componenti della Commissione Alti Rischi che, alla vigilia dell’ecatombe sismica, giurarono che non ci sarebbe stata la grande botta e invitarono gli abitanti, frastornati da mesi di scosse, a proseguire come  nulla fosse. Tutti a schiamazzare in difesa dei condannati, dato che si tratta di delitto contro la scienza. Come quello contro Galileo, si è permesso di farneticare il ministro contro l’ambiente (quello amico dell’Ilva e sabotatore degli accordi di Kyoto sul clima), mentre licenziava l’ennesima Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) compiacente con i profitti e gli avvelenamenti dei signori Riva. A parte il fatto che, secondo molti e autorevoli scienziati, poco “neutrali” (vedi l’ottimo Giuliani prima del terremoto dell’Aquila), i terremoti non solo si possono prevedere, ma anche determinare. Si parla di fracking, di immissione forzata di acqua, di perforazioni orizzontali, di manipolazione dei vuoti di profondità, di esplosivi. Non per nulla le forze di pronto intervento Usa erano sul posto, con truppe, soccorritori, mezzi pesanti, navi, aerei, miracolosamente appena 24 ore dopo il sisma di Haiti. Anzi, il loro responsabile era ad Haiti già il giorno prima. E, in ogni modo, se i terremoti non si possono prevedere, com’è che si possono prevedere i non-terremoti? Immagino solo grazie al noto ordine di Bertolaso: “Zitti, non deve succedere niente”. E, sennò, chi si sarebbe fatto le risate e le ricostruzioni?

Mi ha fatto ghignare la condanna dell’esimio vulcanologo e già capo della Protezione Civile, Franco Barberi. Lo conoscevo bene, quel Barberi lì. Quando, per il TG3, me la vedevo con la lava nell’eruzione dell’Etna del 2001, Barberi imperversava come un Rommel sulle bocche di fuoco. Prima disse che sarebbe durata poco e bastavano avvallamenti di terra a bloccare il flusso. Ma quello se li mangiò in una notte e diede fuoco alle prime case di Zafferana. Allora il castigavulcani optò per qualcosa di risolutivo, spettacolare, televisivo: il bombardamento dai Chinook, forniti dai “generosi e compassionevoli alleati Usa di Sigonella” (“Viva la Nato!”), con blocchi di cemento anti-terrorismo. Che non azzeccavano mai le bocche cosiddette “effimere” e, quando le centravano, si sbriciolavano in pochi minuti, dato che la temperatura della lava era di 1.200 gradi e la soglia del cemento è di circa 500. Lo dimostrai alla mano di un blocchetto identico, fornitomi dalle Guide dell’Etna, che se ne intendevano e ridevano. Venne un genialoide della geologia e propose al Barberi di usare il suo aereo con apparecchi a raggi infrarossi per individuare gli sviluppi sotto la superficie del vulcano. Il tele-vulcanologo lo mandò via irridendo. Io ci feci un volo e il pubblico del TG3 potè ammirare un spettacolo che mostrava tutti i corsi della lava sottoterra, quelli che poi sarebbero scaturiti per essere bombardati da Barberi, ma anche quelli che così potevano essere prevenuti e deviati. Barberi andò su tutte le furie e mi apostrofò a volto rosso e alta voce nel salone dell’albergo. C’era in agguato una tv privata catanese e filmò tutto, per il sollazzo delle popolazioni etnee. Vulcanologi e geologi giapponesi, giudicati i più esperti del mondo, davanti alle bombe americano-barberiane non si erano ancora ripresi dallo stupore quando l’eruzione si spense. Tre mesi dopo. Scienziati neutrali.
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Beppe Grillo
La parola d'ordine dopo il 25 aprile del 1945 fu "ricostruzione". L'Italia era uscita distrutta dalla guerra con la volontà di ripartire, di cambiare tutto. C'era un senso di solidarietà, ci si aiutava l'uno con l'altro come capita ai sopravvissuti da un terremoto, da uno tsunami. Poveri, ma belli. Le persone erano consapevoli di aver vissuto un immane disastro, una tragedia storica incomparabile in cui l'Italia aveva recitato tutti i ruoli, del buono, del brutto, del cattivo. Gli italiani volevano lasciarsi il passato alle spalle. Cancellarlo per sempre. Ci liberammo dei Savoia, la peggior dinastia d'Europa, venne seppellito il fascismo, si riscrissero le nuove regole del gioco con la Costituzione. Ogni cosa era diventata possibile. Non tutto fu perfetto, non entrammo all'improvviso in un una terra dell'Eden, ma diventammo in pochi anni una delle prime potenze industriali. Si affermarono uomini come Olivetti, Mattei, Ferrari. Il Made in Italy divenne un marchio internazionale. I nostri nonni e bisnonni erano pienamente "consapevoli" della necessità di un cambiamento radicale, per questo riuscirono nell'impresa.
L'Italia di oggi è ricoperta di macerie, come la Berlino di "
Germania anno zero" di Roberto Rossellini. Le macerie sono, ma solo in apparenza, invisibili, sono macerie morali, politiche, industriali, sociali, umane, ambientali. Sono ovunque, come una metastasi ignorata da troppo tempo. Il bisturi della magistratura taglia e incide, ma sembra di fronte a un mostro dalle mille teste. Ogni giorno nuovi arresti di persone delle Istituzioni, episodi di corruzione, tangenti, mazzette. Piove merda, si sono all'improvviso aperte le cateratte della Seconda Repubblica. Ci siamo abituati al "puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità", come diceva Borsellino, e non riusciamo a credere alla possibilità di un mondo diverso. Siamo ipnotizzati da parole come "spread", "debito pubblico", "patto di stabilità" ripetuti come dei mantra. Siamo a un bivio come Nazione, come popolo. Nessuno deciderà per noi, nessuno ci darà aiuto, non ci verrà in soccorso una guerra per liberarci dalla classe politica peggiore dell'Occidente. O ripartiamo da soli o siamo condannati a un declino inarrestabile. Ne dobbiamo avere consapevolezza. Siamo a un bivio e nessuno può sentirsi escluso.

In Sicilia il MoVimento 5 Stelle è primo con il 14,7% dei voti, contro il 13,5% del pdmenoelle e il 12,9% del Pdelle. Alcune analisi ex voto. Montezemolo ha spiegato "Se il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo risulta essere il primo partito sull'isola, allora é evidente che qualcosa non va''. Quindi, per Libero e Bello, se fosse risultato primo l'UDC di cuffariana memoria o il Pdl di osservanza dellutriana tutto sarebbe andato per il meglio. Il suo pard, il ministro Riccardi, ha affermato che "Grillo rosicchia voti agli altri partiti". Rosicchia? Azzurro Caltagirone che ha tenuto i suoi comizi in Sicilia nei taxi, ha impartito la sua benedizione a Crocetta che, memore delle vicende di Cuffaro e Lombardo, si è toccato le palle: “Voglio rivolgere il mio personale in bocca a lupo a Crocetta sono certo che sarà un ottimo presidente così come è stato un ottimo sindaco di Gela”. I gelesi che lo avevano eletto per fare il sindaco, carica da cui si è dimesso per le regionali, ringraziano.
Ferrara confidava in una vittoria più larga del M5S, rotonda, assoluta, è un nostro fan, ci credeva più di noi: "Grillo ha fatto flop perché se si corre per vincere e non vinci allora hai perso". Per lui il M5S ha fatto una figura di merda. Mille di queste figure! Bersani dopo il trionfo siculo non si tiene più nelle mutande ."Abbiamo vinto, cose da pazzi. ("E' una cosa pazzesca... copyrigth Beppe Grillo"). La Sicilia dal dopoguerra a oggi non ci ha mai visto realmente competitivi, mentre ora è dimostrato che si può essere anche vincenti”. Va capito. Lui si aspettava risultati a una cifra, non un esaltante 13,5%. Se Boss(ol)i disse che si sarebbe alleato anche con il diavolo per il federalismo, Bersani, più modestamente, per vincere in Sicilia si è alleato con l'UDC. Bersani, che legge solo la Repubblica, crede genuinamente che io non sia mai stato in Sicilia, che non abbia incontrato decine di migliaia di siciliani, che non abbia girato senza scorta in mezzo alla gente, ma sia rimasto dentro a un tabernacolo. "Grillo invece di stare in un tabernacolo dove non lo vede nessuno o farsi delle nuotate... I meccanismi democratici sono importanti non solo per noi, ma anche per gli altri: hai visto mai che poi governano... questo per non uscire dal solco delle democrazie moderne''.
E' Bersani che traccia il solco, ma è Casini che lo difende.

7 commenti:

  1. Caro Fulvio,
    leggo sull'Ansa una notizia terrificante: "Ucciso l'ultimo cristiano di Homs". Nel breve trafiletto, osceno nel suo tentativo di non dire chi lo ha ucciso, si parla anche dell'"evacuazione di massa dei circa centomila cristiani della città". Come se fosse arrivato un uragano, o un terremoto. Come se non si sapesse chi sono i responsabili. Che orrore.

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  2. Ciao Fulvio, nella "tua" Emilia ti invitai ad Albinea(RE) dove presentasti "Popoli di troppo". Concordo che il fenomeno Grillo sia salutare,ma mi preoccupa: il fatto che nel Mov5 stelle non vedo il formarsi di un ceto politico socialmente identificato col lavoro dipendente;
    non vedo i consiglieri locali(come del resto non vedo quelli di SEL e FDS) impegnati contro lo svillettamento delle campagne(vera distruzione di massa, o la svendita welfare emiliano alle parrocchie); lo spappolamento di Di Pietro, che ha assunto posizioni chiare contro guerra, rigor montis,lavoro, non mi sembra cosa positiva;la "sinistra comunista": sta su alcune tematiche care a Grillo, ma con un linguaggio incomprensibile alla gente comune degno del Comintern e, soffrendo cronicamente di psicopatologia del leader ripresenta da oltre un decennio i soliti caudilli; ripropone una immagine romantica dell'immigrato senza avvertire come problema il fatto che questi si faccia sedurre dalle idee fondamentaliste che hanno massacrato i popoli arabi liberi.
    So che ti ci vorrebbe un post per rispondere.....
    Con simpatia Giorgio

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  3. Giorgio@
    Popoli di troppo è di 10 anni fa. Come mai ti sono sfuggiti tutti i miei successivi docufilm? Le tue osservazioni sono corrette e del tutto condivisibili, ahinoi. Però penso che più che temere il fondamentalismo del povero migrante (che mi risulta molto meno pericoloso del fondamentalismo catto-liberista), ci si dovrebbe scandalizzare per la mancata denuncia della responsabilità occidentale delle migrazioni: guerre, fame, cambiamento climatico, land grabbing, eccetera eccetera, tutta roba nostra.

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  4. Forse una buona notizia dalla Libia, sembra che la resistenza anti ratti sia sempre piu' attiva. Poco fa al giornale radio hanno intervistato un "esperto" il quale è stato costretto ad ammettere che la guerriglia "su basi tribali" è ampiamente sostenuta in buona parte dell'Africa settentrionale, dal Mali, e dalla Algeria dove, risiedono moltidella famiglia di Gheddafi e dei suoi "accoliti" (tanto per gettare un po' di veleno)che a suo dire, detengono la maggior parte della ricchezza del paese prima del golpe. Ha però ammesso il perdurare del conflitto è dovuto al mancato accordo del governo (quello dei ratti) con le principali tribu' libiche. Morale, ha ammeso che i "democratici rivoluzionari" non godono di molto consenso...
    Alessandro

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  5. Solo qualche anno fa Grillo sul suo blog spetazzava improperi paleoleghisti contro gli immigrati e grotteschi luoghi comuni geopolitici tipo “la Russia ha aggredito la Georgia”. Ospitava anche link demenziali come “Free Tibet” e, coerentemente, il mio illustre concittadino si era fatto fotografare nel 2007 insieme al Dalai Lama.
    Oggi sembra “maturato” (era ora…). Oltre ad aver fatto sparire i bonzi dal blog ha progressivamente assunto posizioni condivisibili, anche se timide in politica internazionale, tanto da guadagnargli gli insulti isterici della nostra amministrazione coloniale.
    Mi piacerebbe pensare che abbia aggiustato la rotta grazie anche agli improperi miei e di molti altri suoi lettori, comunque sia ha capito o gli han fatto capire che a guidare gli incazzati da bar sono già in troppi, quindi per gli incazzati veri ci vuole altro.
    Benissimo, ora Grillo è dei “nostri”, non fosse altro perché non è dei “loro”. Se non siamo riusciti a produrre niente di meglio, prendiamoci pure uno che ha smesso di dire stronzate a sessant’anni suonati. Non avendo in politica estera la stessa competenza che ha nei temi economici ed ambientali, spero trovi chi lo consiglia al meglio. E che non sia uno come Travaglio.

    Mauro Murta

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  6. Persino "Famiglia Cristiana" pur iniziando con una auspicabile rimozione di Assad (premessa forse per non turbare i tanti lettori "democratically correct") ammette apertamente che i ribelli siriani sono per lo piu' infiltrati armati di tutto punto al soldo di potenze straniere. Ed aggiunge che le accuse alla Siria di essere responsabile dei recenti attentati in Libano sono ridicole in quanto non avrebbe alcun senso destabilizzare uno dei pochi paesi con cui intrattiene buoni rapporti. La verita' sembra venire fuori da tante fonti, ma e' necessario vedere se dopo le elezioni in USA la campagna anti Siria riprendera' il suo lavoro sporco.
    Alessandro

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  7. Sì, in effetti qualcosa sembra muoversi anche nell'informazione nostrana. Più che altro mi pare che i gonzi che sbandieravano il loro sostegno ai "giovani rivoluzionari", anche dall'università (il che mi era parso davvero osceno) tacciano da un po'. Il problema è che il silenzio è assoluto, e fino a che i lanzichenecchi avranno i soldi della Cia e del Qatar non cambierà molto sul campo. Il senso di impotenza è sempre molto forte, e non voglio illudermi con false speranze. Teniamo duro, "ilá al-abad" (per sempre).
    Stefano

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