giovedì 24 dicembre 2015

2016: Se non ci sarà più gente come me / voglio morire in Piazza Grande / coi gatti che non han padrone come me / attorno a me




 La prigione è uno degli ultimi luoghi in cui avrei scelto di finire. Ma ci sono cose nella vita per cui vale la pena andare in prigione” (Ana Montes, cubana, prigioniera di coscienza ignota ad Amnesty International)

Non ci sono limiti alla lotta alla morte. Non possiamo rimanere indifferenti a qualsiasi cosa che accada ovunque nel mondo, poiché una vittoria di ogni paese sull’imperialismo è la nostra vittoria”. (Ernesto Che Guevara)

Nessuno può darti la libertà. Nessuno può darti uguaglianza e giustizia, o qualunque cosa. Se sei un uomo, te le prendi” (Malcolm X)

Se non fai rumore, l’uomo nero non ti troverà. Ma è un’illusione, perché muoiono anche quelle persone che, per starsene sane e salve, rinchiudono il loro spirito in piccole sfere private. Sane e salve? Da cosa? La vita corre sempre sul ciglio della morte. Piccoli sentieri conducono alla stessa destinazione che grandi viali. E una piccola candela si brucia quanto una fiammeggiante torcia. Sono io a scegliere il mio modo di bruciare”: (Sophie Scholl, “Rosa Bianca”, movimento tedesco antinazista, giustiziata)

Assieme agli auguri del qui presente Ernesto, protagonista della battaglia bassotti contro altotti, miei cari corrispondenti (nel senso affettivo e politico del termine), vi lascio per fine anno e inizio anno, possibilmente di sopravvivenza quanto meno, due appunti su avvenimenti che concludono questo 2014 nella maniera più consona al terrorismo multinazionale capital-sion-imperialista.


LIBIA
In Marocco i pupari del terrorismo jihadista, nella specie l’Isis, hanno messo in campo il pupo “Governo di unità nazionale libico”, poi consacrato dal solito Consiglio di Insicurezza dell’ONU. Composto da personaggetti usciti dalla catena di montaggio Cia-Mossad, come il “premier” Faiez Al Serraj, serve a legittimare i golpisti islamisti cripto-Isis di Tripoli, sconfitti nelle ultime elezioni nazionali, e a mettere all’angolo il legittimo governo nazionale di Tobruk, laico e che include molti esponenti della Jamahiryia di Gheddafi, capeggiato da Abdallah El Thani e dal generale Khalifa Haftar. In questo modo si è finto di avere in Libia un interlocutore affidabile che, lungi dal combattere l’Isis, col pretesto dell’Isis si affretterà a chiedere l’intervento salvifico delle potenze Nato che, piano piano, sostituiscano al fornitore Isis del petrolio libico (come già di quello siro-iracheno), o gli affianchino in armoniosa collaborazione, la più rispettabile famiglia delle sette sorelle, da Exxon a Total, da Chevron a Shell, con qualche barile anche all’Eni, caporale di giornata. Allo scopo sono sul piede di partenza le armate britanniche, francesi, con vivandiere e mignotte italiane in coda. E finchè ai tagliagole di Tripoli anche l’Europa non concederà un posto nel palco reale, continuerà il loro ricatto, esattamente come quello della Turchia a forza di bimbetti annegati, del rovesciamento sulle componenti deboli del continente di caterve di rifugiati (peraltro da far passare convenientemente come orde di terroristi che necessitano Stati di polizia).  


A Turchia, Qatar e Arabia saudita spetta di mantenere in piedi, a fini di caos creativo, qualche presidio terrorista che, insieme, giustifichi la permanente presenza dei corpi di spedizione occidentali e assicuri una partecipazione al bottino ai soci dell’impresa di riorganizzazione di Medioriente e Africa del Nord..Presidio che in questi mesi, a dispetto dei ripetuti bombardamenti dell’aviazione di Haftar su navi turche sotto falsa bandiera, che trasportavano combattenti Isis dai territori iracheni e siriani resi incandescenti dai bombardamenti russi e dalla controffensiva dei lealisti nazionalisti. Caos creativo già diffuso, a partire dalle roccaforti di Sirte e Derna, in cui si è fatto insediare il mercenariato Isis, in paesi vicini, petroliferi e uraniferi, come Mali, Niger, Ciad, RCA. Ma con la prospettiva strategica di andare a sovvertire i due grandi paesi dell’area non allineati a destra, Algeria ed Egitto, entrambi produttori ed esportati,di energia, inaccettabilmente in proprio e fuori dal controllo Usa. In Algeria si sta riattivando il carcinoma islamista, felicemente sconfitto da Algeri anni fa. In Egitto, sciaguratamente titolare in proprio degli immensi giacimenti di gas ora scoperti davanti alle sue coste e a cui i russi stanno fornendo assistenza tecnologica, sia per l’estrazione del gas, sia per la sua prima centrale nucleare, è già stato innescato il coas creativo tramite gli innesti Isis nel Sinai e gli attentati terroristici degli accoliti dell’ex-presidente islamista Morsi, al Cairo e su e giù per il paese.

Quanto si stava prospettando, cioè un’alleanza Egitto-Tobruk, benvista da Mosca e vista come una catastrofe da turchi, petrotiranni e Nato, che risolvesse il problema Libia in chiave araba, interrompendo il flusso di jihadisti dalla Turchia (sono per forza arrivati in Libia su navi del sultanato di Erdogan, quelle a volte bombardate da Haftar, dato che una via terrestre è impraticabile) e spazzasse via la peste terrorista, viene sabotato dall’embargo di armi a Tobruk. Mentre si tace e si protegge il poderoso aiuto in armi, finanze e logistica all’Isis, si conferma tale embargo e si inonda l’opinione pubblica di diffamazioni e demonizzazioni di Haftar e del presidente egiziano Al Sisi. Parallelamente alla già menzionata legittimizzazione dei padrini Isis insediati a Tripoli e Misurata. Tra le ricadute più scadenti dell’operazione leggetevi qualche commento dell’addetto alla bisogna sul “manifesto”, Giusppe Acconcia.

Da quanto sopra risulterebbe che, per contrastare la somalizzazione della Libia, dell’Egitto, del Maghreb e di tutto il Nordafrica (non completamente riuscita in Somalia, dove, dopo l’eliminazione del leader del riscatto nazionale, generale Farah Aidid, con l’intervento colonialista occidentale di “Restore Hope”, si è sviluppato un movimento di resistenza, fatto passare per simil-Isis e terrorista, ma che è effettivamente di liberazione nazionale, gli Al Shabaab) non rimane che la coalizione anti-islamista e anti-occidentale di  Egitto eTobruk. Resta da vedere se la Russia, impegnata pesantemente in Siria e Iraq, possa e voglia sostenere anche questa risorsa della resistenza laica, araba, antimperialista. Alla Libia, già una delle nazioni più felici, prospere e meglio governate del mondo, torturata oltre ogni possibile limite dagli antropofagi dell’oscurantismo e del dispotismo, auguriamo che così possa essere, nel segno di uno dei più grandi liberatori della storia contemporanea, Muammar Gheddafi.



AMNESTY
Amnesty International, guidata fino a poco tempo fa da Suzanne Nossel, lobby ebraica e braccio destro della stragista Hillary Clinton quando era segretario di Stato, organizzava golpe in Honduras e andava in orgasmo sul linciaggio di Gheddafi, ha diffuso un rapporto-bomba, in effetti bomba-petardo, in cui accusa la Russia di aver ucciso con bombe e missili 600 civili, di cui i soliti  immancabili 150 bambini. E di aver impiegato bombe a grappolo. Un sito semiclandestino, “Pressenza”, house organ del Partito Umanista (vedi anche alla voce “Olivier Turquet”), dei cui tentativi di infiltrarsi nei movimenti pacifisti e di opposizione radicale siamo tutti consapevoli da anni, lo rilancia sotto il titolo “Vergognoso silenzio della Russia suille vittime civili degli attacchi in Siria”. Si tratta di vocina in falsetto che tenta di trascinare boccaloni della sinistra e dei movimenti nonviolenti nel coro dei tenori della russofobia che si esprimono sui grandi media.

Il ministro della difesa russo ha già esaurientemente controbattuto alla calunnia dell’agenzia imperialista per i diritti umani, fornendo tutte  le prove della menzogna. Menzogna, del resto, fondata su basi grottesche: anonime tetimonianze telefonate dalla Siria! Disintegrano le balle di Amnesty le immagini setallitari regolarmente fornite alla stampa dai comandi russi; la presenza di giornalisti internazionali alla base russa di Hmeymim, che non hanno mai visto caricare una bomba a grappolo; il dato che su alcune zone dalle quali sarebbero arrivate le denunce non si è mai verificato un bombardamento; l’altro dato delle perdite inflitte all’Isis dall’intervento russo (dopo un anno di bombardamenti a vuoto occidentali), documentate alla stampa in briefing quotidiani, che rispondono all’affermazione di Amnesty secondo cui i russi trascurerebbero di colpire l’Isis perché preferiscono ammazzare donne e bambini. Amnesty supera il ridicolo quando, incurante dei rovesci Isis in Siria e Iraq, facilitati dalle incursioni russe, afferma che solo 391 delle 4.198 operazioni dell’aviazione russa avrebbero colpito obiettivi Isis.

Ma più convincenti sono le coincidenze. Ogni volta che, a dispetto degli occultamenti mediatici, traspare qualcuno degli infiniti crimini di guerra occidentali, si scatenano, con accuse ai russi, Amnesty e compari. La storia delle bombe a grappolo russe esce immediatametne dopochè l’impiego di tali armi probite da parte della coalizione a guida saudita è stato documentato in Yemen e dopochè un po’ di mondo si è indignato per la distruzione Usa della centrale elettrica che riforniva l’intera provincia di Aleppo (crimine contro l’umanità). Un’altra ondata si era scatenata dopo che la gente era rimasta agghiacciata di fronte alla distruzione Usa a Kunduz dell’ospedale di Medici Senza Frontiere (oltre 40 morti). Depistaggio su “vittime civili dei russi” anche dopo che s’era saputo che aerei Usa avevano disintegrato 50 soldati iracheni in avanzata verso Fallujah e un numero analogo di militari siriani all’offensiva contro Raqqa.

Per neutralizzare l’effetto che fanno queste “imprecisioni” statunitensi, Amnesty attribuisce ai suoi “testimoni telefonici” la rivelazione dei bombardamenti russi sugli ospedali di ben sei località: Sarmin, Alays, Al Hader, Khan Tuman, Al Zerba e Latamna. Peccato che di ospedali, tranne che a Sarmin, non ce n’è nessuno in queste località. Prendere per buone e imparziali le denunce di Amnesty, come della consorella in Sion, Human Rights Watch, è come accreditare l’immagine di un cristianesimo nei millenni misericordioso, o di un Goebbels, campione di deontologia della comunicazione. Di questa ditta della manipolazaione ai fini di dominio imperiale ricordiamo gli sforzi per screditare le rivelazioni di Wikileaks e di Edward Snowden; l’affermazione che l’Iran procedeva con un programma di bombe nucleari; le ripetute “rivelazioni” sugli orrori dela Corea del Nord, con il crollo del suo sistema sanitario (colpito dalle sanzioni Usa); la critica alle aggressioni militari Usa limitatamente alla loro conformità con le leggi di guerra e mai per la violazione del diritto internazionale: l’invocazione di un embargo delle armi al solo governo siriano e non ai terroristi; la denuncia di alcune violazioni dei diritti umani in Sudafrica, ma mai della stessa apartheid; la cecità, la sordità e il mutismo sui nazisti al potere in Ucraina e sui loro mallevadori Usa. Eccetera, eccetera, eccetera.

Gli ostinati annidati nel “manifesto” e in “Pressenza” che insistono a citare Amnesty quando, una volta su 20, si concede una critica alla parte per la quale manifestamente agisce, avrebbero dovuto tacersi una volta per tutte allorchè l’organizzazione per i diritti umani fece rabbrividire il mondo diffondendo il rapporto di quella brava donna di Bengasi che, all’inizio dell’aggressione alla Libia, denunciava almeno 2000 stupri ad opera delle truppe gheddafiane. Qualcuno, dopo un po’, si prese la briga di andare a vedere. Il rapporto non si trovava più e l’autrice non aveva più gli indirizzi delle donne interrogate. Non se ne ricordava di neanche una. Intanto la guerra aveva disfatto la Libia..

Eppure c’era stato un precedente di Amnesty e HRW ancora più vincente. Per buttare giù Saddam ed eliminare dalla geografia, dalla storia e dalla vita l’Iraq, ci voleva il colpo grosso. A Kuweit occupata dalla soldataglia subumana di Baghdad, mostri in divisa strappavano neonati dalle incubatrici e li frantumavano scagliandoli a terra. Lo raccontava a Kuweit, tra le lacrime, un’infermiera di quell’ospedale.

Solo che quell’ospedale era stato costruito in una sala dell’ambasciata del Kuweit a Washington e l’infermiera sconvolta era la figlia dell’ambasciatore. Scenografi, operatori e regista sotto contratto della “Hill&Knowton”, agenzia di pubbliche relazioni al servizio delle operazioni sporche della Cia. Ma, intanto, la guerra del Golfo, Tempesta nel Deserto”, poteva partire. Con il consenso di un’opinione pubblica tanto atterrita, quanto decerebrata.


Vogliamo suggerire un intervento umanitario ad Amnesty? Hai visto mai. Ana Montes (vedi citazione in testa) è una patriota cubana condannata negli Usa a un quarto di secolo di prigione per aver rivelato al governo di Fidel strutture di spionaggio e sabotaggio che Washington aveva installato a Cuba. Curiosamente, Cuba non vi si è mai impegnata, come invece ha fatto con los Cincos. L’hanno definita “la più importante spia mai apparsa negli Stati Uniti”. In realtà, è solo uno di quei “prigionieri di coscienza”, tra i tanti che Amnesty sostiene… in Cina, in Russia, in Venezuela, nella Serbia di Milosevic, in Egitto,  perfino a volte in Arabia Saudita (tanto si sa). Una prigioniera di coscienza che Amnesty non ha mai neppure sfiorato. L’Amnesty degli utili idioti e degli amici del giaguaro. Buon anno.  

7 commenti:

  1. Ciao Fulvio .
    Tanti auguri,sono per le mie vacanze in un paese a te molto caro,la Serbia .
    Luca.

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  2. contraccambio gli auguri e gli estendo a tutti i resistenti compagni e non

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  3. A proposito di Mali e dell'intervento francese "contro l'Isis e gli estremisti" ecco un articolo che rivela contro chi sono schierati I "miliziani islamici'

    http://start.toshiba.com/news/read/category/News/hashtag/undefined/article/the_associated_press-islamic_extremists_kill_at_least_15_tuaregs_in_mal-ap

    Auguri a tutti I lettori ed a Fulvio di buone feste.

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  4. Mentre decine di palestinesi cadono in questi giorni vittime del fuoco dell'esercito israeliano, sia in Cisgiordania sia attorno alle moschee di Gerusalemme, il Corriere della sera pubblica la storia di un giornalista che scatto' fotografia durante gli attacchi di guerriglieri palestinesi all'aeroporto di Fiumicino nel 1973 e nel 1985. La cosa che piu' mi colpi' dell'attentato nel 1985 e' che, contrariamente a quello che disse Scalfaro, all'epoca ministro degli interni subito dopo la sparatoria c , e' che furono degli agenti israeliani a sparare contro gli attentatori e non la polizia italiana. Quattro dei cinque palestinesi furono giustiziati a freddo con un colpo alla nuca da tali agenti che, subito dopo saltarono su di un aereo israeliano alla volta di Tel Aviv e non se ne seppe piu' nulla. Il quinto fu catturato da un agente poliziotto italiano. Ci possono essere analogie con gli attentati piu' recenti? Non e' che allora c'erano agenti di servizi segreti che avevano "carta bianca" in Italia?
    http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_dicembre_27/testimone-due-attentati-fiumicino-feci-stessa-cosa-presi-macchina-fotografica-scattai-elio-vergati-96dcf78a-acc1-11e5-9807-438c782270a2.shtml

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  5. E che ne pensi Alex dell'ipocrita lettura che ne fa la stampa del dramma uranio impoverito.Con sanzioni economiche l'uccidente affama e muove guerre ad interi Stati in base a false accuse sull'uso di armi chimiche mentre l'Italia è complice nell'uso delle stesse non solo contro civili inermi di cui nessuno fa menzione ma pure contro i propri soldati,poi si spendono con la medesima ipocrisia a favore dei "2marò". Nemmeno si menzione della diversa incidenza che possono avere gas più o meno letali contro l'uranio che seppure impoverito non si risparmia nell'impoverire ambiente ed esseri umani per generazioni

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  6. @rossoallosso. D'accordo,sull'Uranio impoverito si tace, anche un conoscente medico di famiglia spedito in kossovo anni fa perdette la vita giovane per una leucemia fulminante. Ma I mezzi di informazione ne parlano come una sorta di catastrophe naturale, non evitabile e comunque non si parla dei colpevoli. Al massimo si parla di "aver mentito sui possibili effetti" come se averli usati contro le popolazioni del luogo non fosse di per se una colpa. Sull'ipocrisia sui due maro', con tanto di falsificazione che pur grossolana, fa breccia anche a sinistra, ho gia' scritto. Mai realmente prigionieri in carcere, gli avevano concesso licenze prima che il governo italiano a provato a farli fessi ed a non mantenere gli impegni.Anche se uno dei due e' in Italia libero, dove sarebbe dovuto essere processato, secondo la massa sarebbero "a marcire in galera in India", e non si parla piu'neanche dell'arbitrato internazionale. Usati a scopo propagandistico per fare a gara a "chi e' piu' patriottico"...

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  7. Nella prefazione Fulvio ha scritto 2014 invece che 2015.

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