http://www.imolaoggi.it/2016/03/06/regeni-007-ucciso-dagli-inglesi-in-vista-della-guerra-in-libia/
(In calce un commento dalla Lista No Nato)
Condivido le osservazioni di Enzo sul link sopra indicato, ma non credo a un Regeni "ingenuo", neanche tra virgolette. Il suo ruolo di destabilizzazione del governo di Al Sisi è chiaro dal contesto. L'Egitto, liberatosi a forza di collera popolare (l'ingresso dei militari arriva dopo) del despota bruciachiese Mohammed Morsi, Fratello Musulmano, insediato dagli elementi inquinati della primavera araba (e da un'elezione manipolata, boicottata dal popolo e partecipata dal 17% degli elettori), aveva sottratto il più importante paesi del Maghreb-Medioriente ai proconsoli coloniali dell'Occidente. Aveva assunto una politica estera "creativa", addirittura di avvicinamento a Mosca e Damasco, svolgeva un ruolo determinante in una Libia che invece si doveva rendere stazione di rifornimento per le sette sorelle, aveva dato prova di efficienza con il raddoppio in pochissimo tempo del Canale di Suez. Grazie alla collaborazione col più debole tra gli attori della scena petrolifera, l'ENI, aveva irritato geopolitici e geopetrolieri; nel giorno del ritrovamento di Regeni, stava concludendo affari miliardari con Roma, in particolare sul giacimento gigante di gas al largo della costa (pensiamo a Enrico Mattei); era diventato un protagonista energetico scombussolando equilibri favorevoli a Isis, Exxon, Shell e Israele; era laico, teneva testa al terrorismo che i Fratelli musulmani avevano condotto contro Mubaraq in prima persona e ora affidato ai cugini dell'Isis.
L'Egitto non era crollato nè con l'islamizzazione forzata di Morsi, nè con i ripetuti colpi di maglio del terrorismo a firma occidentale-islamista: le stragi di Sharm el Sheik, l'abbattimento di aerei di linea, le bombe dal Sinai a Luxor, la campagna di satanizzazione, totalmente prive di prove e dati verificati, condotta dallo schieramento neocon-talmudista-liberal-radicalchic e di cui Regeni doveva essere l'apice. E, dunque, un colpo fatale al turismo, seconda voce del bilancio.
Aggiungiamo i dati del giovane. Iniziazione formativa negli ambienti dell'intelligence in Usa, lavoro alle dipendenze di una nerissima impresa di spionaggio e provocazione, Oxford Analytica, diretta da pendagli da forca come l'ex-capo del Mi6 (tempi degli attentati falsi di Londra!), McColl, il pregiudicato e carcerato cospiratore del Watergate, Young, il principe di tutti gli squadroni della morte, uomo della droga e dei Contras e devastatore di Iraq e Centroamerica, John Negroponte.
Basterebbero e avanzerebbero alla grande un simile impiego, questi datori di lavoro, tali mandanti. In più i riservatissimi e imbarazzati referenti accademici, poco insistentemente curati dagli inquirenti italiani e pour cause, con la misteriosa cassaforte britannica da cui dovevano fluire le grosse somme di denaro che il giovanotto prometteva al suo interlocutore egiziano per un certo progetto in cambio di informazioni. Solo che, per sfrucugliare gli ambienti suscettibili di essere attivati per destabilizzare quell'Egitto, Regeni era incappato nell'interlocutore sbagliato. Uno che, appena si era sentito offrire soldi, non umanitari per lui e la famiglia in difficoltà, bensì per il "progetto" commissionato da Londra, reso possibile da "certe informazioni", correttamente aveva riferito alle autorità del suo paese.
Condivido le osservazioni di Enzo sul link sopra indicato, ma non credo a un Regeni "ingenuo", neanche tra virgolette. Il suo ruolo di destabilizzazione del governo di Al Sisi è chiaro dal contesto. L'Egitto, liberatosi a forza di collera popolare (l'ingresso dei militari arriva dopo) del despota bruciachiese Mohammed Morsi, Fratello Musulmano, insediato dagli elementi inquinati della primavera araba (e da un'elezione manipolata, boicottata dal popolo e partecipata dal 17% degli elettori), aveva sottratto il più importante paesi del Maghreb-Medioriente ai proconsoli coloniali dell'Occidente. Aveva assunto una politica estera "creativa", addirittura di avvicinamento a Mosca e Damasco, svolgeva un ruolo determinante in una Libia che invece si doveva rendere stazione di rifornimento per le sette sorelle, aveva dato prova di efficienza con il raddoppio in pochissimo tempo del Canale di Suez. Grazie alla collaborazione col più debole tra gli attori della scena petrolifera, l'ENI, aveva irritato geopolitici e geopetrolieri; nel giorno del ritrovamento di Regeni, stava concludendo affari miliardari con Roma, in particolare sul giacimento gigante di gas al largo della costa (pensiamo a Enrico Mattei); era diventato un protagonista energetico scombussolando equilibri favorevoli a Isis, Exxon, Shell e Israele; era laico, teneva testa al terrorismo che i Fratelli musulmani avevano condotto contro Mubaraq in prima persona e ora affidato ai cugini dell'Isis.
L'Egitto non era crollato nè con l'islamizzazione forzata di Morsi, nè con i ripetuti colpi di maglio del terrorismo a firma occidentale-islamista: le stragi di Sharm el Sheik, l'abbattimento di aerei di linea, le bombe dal Sinai a Luxor, la campagna di satanizzazione, totalmente prive di prove e dati verificati, condotta dallo schieramento neocon-talmudista-liberal-radicalchic e di cui Regeni doveva essere l'apice. E, dunque, un colpo fatale al turismo, seconda voce del bilancio.
Aggiungiamo i dati del giovane. Iniziazione formativa negli ambienti dell'intelligence in Usa, lavoro alle dipendenze di una nerissima impresa di spionaggio e provocazione, Oxford Analytica, diretta da pendagli da forca come l'ex-capo del Mi6 (tempi degli attentati falsi di Londra!), McColl, il pregiudicato e carcerato cospiratore del Watergate, Young, il principe di tutti gli squadroni della morte, uomo della droga e dei Contras e devastatore di Iraq e Centroamerica, John Negroponte.
Basterebbero e avanzerebbero alla grande un simile impiego, questi datori di lavoro, tali mandanti. In più i riservatissimi e imbarazzati referenti accademici, poco insistentemente curati dagli inquirenti italiani e pour cause, con la misteriosa cassaforte britannica da cui dovevano fluire le grosse somme di denaro che il giovanotto prometteva al suo interlocutore egiziano per un certo progetto in cambio di informazioni. Solo che, per sfrucugliare gli ambienti suscettibili di essere attivati per destabilizzare quell'Egitto, Regeni era incappato nell'interlocutore sbagliato. Uno che, appena si era sentito offrire soldi, non umanitari per lui e la famiglia in difficoltà, bensì per il "progetto" commissionato da Londra, reso possibile da "certe informazioni", correttamente aveva riferito alle autorità del suo paese.
Era la campana a morto per le grandi manovre regeniane contro l'Egitto. Ora non rimane da noi che l'ultimo giapponese che crede che la guerra non sia finita. E' il capo di Amnesty International Italia, Khoury, che dalla sua trincea sbrindellata dai dati di fatto, invoca ancora guerra, almeno diplomatica, ad Al Sisi. Crede che ci sia ancora una bella bomba sotto la poltrona dell'odiato presidente e tenta in tutti i modi di innescarla. Ma la miccia su cui agita le sue fiammelle è bagnata.
Tutti gli altri, francesi, britannici, tedeschi, se ne fottono e stanno già al banchetto brindando con Al Sisi ai grandi affari futuri di cui, se va bene, l'Italia regenizzata raccoglierà qualche briciola. Ma non è detto, se insiste con Regeni. E' sempre la stessa storia: quella dell'Italia che gli stessi dirigenti italiani svendono allo straniero fino a ridurla allo stato di detrito spiaggiato in cui si trova in questo finecorsa. Tutto inizia nel 1992: navigano sul Royal Britannia passeggeri con in mano i nostri beni comuni: Draghi, Andreatta, City di Londra, Soros. Il complotto per la riduzione a nullità della quinta potenza industriale del mondo e beneficiare i concorrenti in ambasce tedesco e francese viene eseguito dai sicari dell'azzeramento del potenziale industriale nazionale, dall'Iri all'euro e al Fiscal Compact: gli agenti immobiliari Dini, Amato, Prodi, Berlusconi, D'Alema, Bersani, giù giù fino all'ultimo nanerottolo da giardino, il testè decapitato mezzotoscano, che doveva, anche con l'operazione Regeni anti-Eni, contribuire al compimento dell'opera.
I chierichietti mediatici e politici dell'operazione che tanto hanno latrato sulle contraddizioni, reticenze, deficienze, degli investigatori egiziani, com'è che su un punto assolutamente cruciale, forse decisivo, dell'indagine, su un elemento giudiziario imprescindibile, non abbiano sollevato né questione, né ciglio? Trattasi del computer di Regeni, sequestrato e rapito dai famigliari dall'abitazione del Cairo e per sempre sottratto agli inquirenti egiziani. Che stanno zitti o tergiversano per carità di patria, della nostra patria e della patria mondiale dell'imperialismo dal quale sortiscono certi scorpioni, ma con cui tocca pur lavorare. Mentre i regeniani nostrani stanno zitti, dal primo giorno, nonostante glielo avessimo gridato in tutte le salse, su chi fosse Regeni e da dove venisse. Mancheranno altre prove. Non quella della malafede.
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From: brandienzo@libero.it
Come ho già scritto in altra mail, non ho elementi per dare un
giudizio sulle rivelazioni del giornalista Gregoretti riprese da Imola Oggi, che però non mi sembrano del tutto campate in aria.
Si sa che Regeni lavorava per un'agenzia di "informazioni": la Oxford Analytica, i cui dirigenti erano noti spioni, come John Negroponte, già agente della CIA ed organizzatore degli "squadroni della morte" assassini in America Centrale, e come vari ex-dirigenti della molto spregiudicata agenzia di spionaggio britannica M16, tra cui un certo McColl (e non solo!).
Si sa (e risulta anche dall'audio registrato diffuso da Repubblica del colloquio tra Regeni ed il capo del sindacato dei venditori ambulanti egiziani) che il ragazzo offriva ingenti somme di denaro (10000 dollari in Egitto sono una somma notevole!) in cambio di "informazioni" che sarebbero state propedeutiche per un fantomatico "progetto" sui sindacati egiziani. Alla fine Regeni nega la somma al suo interlocutore quando molto probabilmente si è reso conto che lo stava incastrando e "bruciando".
Siamo tutti addolorati per la morte di un giovane che aveva tutta la vita davanti; ma non facciamolo passare per un angioletto. Forse era un "ingenuo" nel senso che forse non si è reso conto in che razza di pasticcio stava andando a cacciarsi. Anche io ho fatto il ricercatore, ma nessuno mi ha mai affidato ingenti somme per raccogliere "informazioni", Vincenzo Brandi
Solo una piccola precisazione, Fulvio: il kapò di Amnesty International Italia si chiama Riccardo Noury, non Khoury. I lettori devono sapere con chi hanno a che fare: con costui talvolta battibecco sul blog del Fatto Quotidiano, quando i suoi sproloqui (vedi "Caesar") sono talmente sesquipedali da smuovermi dalla mia proverbiale pigrizia.
RispondiEliminaPer il resto, come sempre, niente da eccepire. Trovo molto promettente la tua collaborazione con Vincenzo Brandi, di cui conservo un buon ricordo: con lui avevo scambiato alcune email ai tempi in cui entrambi ci eravamo accorti che una ONLUS "propalestinese" da noi frequentata si era rivelata una sgangherata combriccola di infiltrati.
Due anni fa usciva in bello ed esplicativo post l'otto marzo intitolato "l'otto marzo di Medea". Oggi la campagna delle postfemministe istituzionali e' andata anche oltre, con la sollecitazione addirittura di uno sciopero contro "la violenza di genere" (intesa unicamente come quella di un uomo, "maschio" o spesso definito "maschietto" contro la sua compagna, moglie/ex moglie fidanzata/ex fidanzata, altrimenti "che gli frega"?) e con la television che utilizza addirittura un bambino che parla della sua madre che piange per I maltrattamenti di suo padre.Il messaggio non solo associa come violenza come prodotta dal sesso maschile ma induce a credere che in ogni casa c'e' in uomo violento,anche se insospettabile, ed una moglie, compagna che sia, martire a prescindere. Neanche nel 1948 la propaganda raggiungeva tali vette. Mi chiedo se sara' mai possibile fare una campagna che rifiuti questa mistificazione, che getta benzina su di una ipotetica, ma che alcuni vorrebero trasformare in reale, guerra fra I sessi tanto per disarticolare l'ultimo nucle di aggregazione sociale rimasto, oltre forse alla parrocchia, cioe' la famiglia.
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