Er mejo Fico del bigoncio (non) risponde
Una premessa. A proposito della mia
“lettera aperta a Roberto Fico, presidente della Camera dei deputati”, molti si
sono chiesti se mai Fico avrebbe replicato. I più si sono dati una risposta
negativa. Hanno avuto ragione. Lettere che richiedono risposte argomentate che
confermino o ribattano considerazioni, dati e fatti espressi possono essere
ignorate, o perché imbarazzanti, o perché non si hanno quegli argomenti, o
perché non ci si abbassa al rango del troppo poco meritevole corrispondente.
Scegliete voi tra queste possibilità. Comunque una risposta, seppure indiretta,
a noi tutti è arrivata dal cosiddetto “rosso” e “sinistro” del MoVimento. Ed è
una conferma, se non della buonafede, che non potevo non attribuirgli in
assenza di una sua ricevuta di guiderdone da George Soros, di tutti i motivi
per cui Fico è gradito al consorzio monopolarista destro-sinistro, che ne
intravvede l’uso come piede di porco tra posizioni divergenti nei 5 Stelle.
La risposta indiretta a chi gli
spiegava quali fossero i retroscena geopolitici e propagandistici dell’assalto
all’Egitto tramite Regeni e quale fosse il retroterra, diciamo, di
“intelligence”, del collaboratore italiano dello squadronista della morte John
Negroponte, è venuta da quanto Fico ha replicato a Mohamed Saafan, ministro del
Lavoro egiziano che aveva osato affermare che quello di Giulio Regeni era “un omicidio ordinario che avrebbe potuto
accadere a chiunque in qualunque Stato”. Ha alzato il ciuffo, il presidente
della Camera, e ha reagito da par suo: “Queste
parole sono un’offesa all’intelligenza e alla dignità dell’intero popolo
italiano” (RF ha imparato da Renzusconi a rivendicare il diritto di parlare
a nome di 60 milioni di italiani). “Sappiamo
benissimo (lui!) che la rete degli
apparati di sicurezza egiziani lo ha inghiottito. Giulio Regeni è stato ucciso
già una, due, tre, quatto volte”. Roberto Fico, non solo terza carica dello
Stato (ohibò!), ma anche inquirente, accusa, giuria e giudice. Difesa? Non se
ne parla.
Non basterà, perché quando a Berlino
si riuniranno le Commissioni Esteri e Comunitari UE, la delegazione italiana
capeggiata da Fico, non mancherà di dare risalto internazionale, sia alla
sentenza da lui pronunciata alla faccia di ogni divisione costituzionale dei
poteri, da noi e in Egitto, sia alla battaglia perché sradicamento e
accoglienza di manovalanze gestite da Ong private diventino immediatamente
principio fondante della così avverantesi globalizzazione. Perseverare diabolicum.
Premessa
lunghetta, ma la dovevo ai miei ottimi interlocutori. Passiamo a quanto adombrato nel titolo. E se
il meme “lesa maestà” è tra quei termini che fanno calare l’ostracismo di
Google e Facebook, di tutto questo non leggerete una cippa.
Il
nuovo millennio è fausto per la ‘ndrangheta a Reggio Emilia. La provincia vanta
una delle più alte densità mafiose d’Italia. Che vota compatta. La sua capitale
è però ancora in Calabria, a Cutro, dove regna il clan Grande Aracri. Nel 2009
è sindaco a RE Graziano Del Rio. Afferma che la città è gemellata con Cutro per
cui è giusto avventurarsi fin laggiù a prenderlo di petto quel clan. Come,
partecipando alla cerimonia, messa e corteo, del Santissimo Crocifisso,
annualmente celebrata in onore dei Grande Aracri. E perché mai non dovrebbe
farlo? L’evento è in onore dei defunti e ai defunti non si nega nulla, tanto
meno i massimi onori. Anche se quelli di Cutro, a cui Del Rio ha intitolato la
più grande strada di Reggio Emilia, sono più vii che mai.
Ecco,
in Italia siamo abituati così. Una celebrità muore e, che abbia fatto miracoli
per l’umanità o solo per se stesso e, magari, a danno del resto, non importa:
va celebrato, ingigantito, gonfiato, magnificato, pianto più che la mamma. Muori
e la tua reputazione è salva, per quante tu ne abbia combinate. Non seguire
questo benevolo, generoso, costume ti fa sotterrare dall’indignata accusa di lesa
maestà.
Prendiamo
Franco Zeffirelli al quale mi uniscono tre cose e nient’altro. Uno: siamo nati a Firenze e battezzati da Arno in
Battistero; due: abbiamo vissuto sulle colline di Fiesole; tre: orgogliosamente
e dolorosamente abbiamo tifato Fiorentina. Il “nient’altro” è tutto il resto di
Zeffirelli, il maestro, il genio, quello che ha messo in scena opere epocali,
girato film capolavoro. Santo subito. Visconti, che ne condivideva il
barocchismo, ma col gusto selezionato da generazioni di lignaggio abituato al
bello, che allo Zeffirelli faceva difetto, lo chiamava “arredatore”. E, per
umana carità, non aggiungeva “di posticce chincaglierie”. Ma diciamolo, non è
solo alla morte che uno che ha fatto regie di gigantesca fuffa, film di un
kitsch inguardabile, deve tanta gloria postuma. Infatti, gli è stata tributata
anche in vita. Segno che a volte la santificazione è merito non solo della
scomparsa dalla scena, ma anche della degenerazione estetico-etica che
contrassegna certi tempi all’americana. Eppoi, non serpeggia sotto tutto questo
la speranziella che, se dico tanto bene degli altri, quando sarà il turno mio
magari i posteri ricambieranno……
E’
ricorso l’anniversario della morte di Enrico Berlinguer, il 35esimo. Avete
sentito, percorrendo per intero ogni arco, costituzionale, extracostituzionale
o arcobaleno che fosse, un pur timido, vago, pudico, accenno di critica a colui
che ha fatto dei lavoratori, degli onesti, degli umiliati e sfruttati il più
grande Partito Comunista d’Occidente, per poi farli arrivare in mano, via via,
agli Occhetto, D’Alema, Veltroni, Bersani, Renzi, Zingaretti, ? No, non l’avete
sentito, si sarebbe subito elevato l’urlo di lesa maestà. E pour cause. Come non potrebbero
celebrare, esaltare, quel politico dietro alla cui altissima morale oggi
possono nascondere, anzi giustificare, i propri
arretramenti-tradimenti-sparimenti? Essendo lui la causa e loro gli effetti?
Perché
è per la causa della liberazione dei popoli e dell’emancipazione del
proletariato che Berlinguer, preso in mano il testimone di Togliatti (mentre
quello di Gramsci si perdeva nella polvere) ha proseguito quella” lunga marcia
attraverso le istituzioni” che ci avrebbe portato, inesorabilmente, non al
lugubre e sanguinario esito della rivoluzione, bensì a quello sorridente, benevolo,
inclusivo della socialdemocrazia. Quella contraffatta, però. L’arma sinistra
del capitale. Con l’altosonante compromesso storico si sono stroncati decenni
di lotta partigiana e civile per un assetto sociale rovesciato rispetto a tutti
i capitalismi, fascisti e non. Ci si é messi d’accordo tra cervi reali ridotti
a pecore e rettili cobra rimasti tali.
E
quando a questi ultimi sembrava venisse a mancare il fiato, glie lo abbiamo
insufflato a forza di “austerità” e
di “sacrifici”
Erano gli anni ’70 e c’era chi, ancora una volta, come nel ’48 dell’800, nei
’20, nei ’40 del secolo successivo, per tutto il paese faceva riecheggiare il
grido di ogni giustizia: “vogliamo tutto”. I padroni, alla
vigilia di una nuova salto d’epoca, dall’industriale alla tecnologica, si
trovavano in affanno di accumulazione. L’austerità di quanti stavano sotto era quella che li
avrebbe facilitati. Erano anche gli anni della delazione, della repressione a
fianco dello Stato delle stragi e, coerentemente, con Pinochet, quelli del
Berlinguer che ci trascina tutti verso l’ombrello sotto il quale si sentiva,
lui, “più sicuro, la Nato”. Hai voglia poi ad andare ai
cancelli della Fiat, a batterti per lo Statuto dei lavoratori. Atti di contrizione.
Non ti avevano giocato, te l’eri giocata. Anzi, ci avevi giocati.
Anche
se una mano, una sola, l’avevamo vinta a coronamento del migliore ‘68 e ancora
mi ci ringalluzzisco: la meravigliosa cacciata del tuo emulo sindacale
dall’Università. E c’è chi si meraviglia se oggi stiamo al Prodi, ai D’Alema,
agli Orfini, ai Calenda, agli Zingaretti, alle Serracchiani, ai Marcuzzi, ai
Lotti. E, dopo Lama i Cofferati, trovati sulle liste UE di Soros, le Camusso, i
Landini, in piazza assieme alla
Confindustria e a quelle degli uteri in affitto. E poi c’è chi parla di
dinastie a proposito della Corea del Nord. Era già stato tutto scritto. Da
Palmiro, poi da Enrico. Con Gramsci in carcere.
Lesa Maestà. Una che farà
particolarmente piacere a Fico.
Si
chiamava Mohamed Morsi, ex.presidente d’Egitto tra il 2012 e il 2013, morto
d’infarto durante un’udienza in tribunale, ma per Fico e tutti i media e
politici che stanno compatti, unipolarmente, sotto l’ombrello caro a
Berlinguer, “assassinato dal regime Al
Sisi”. Come Giulio Regeni. Destino che in quel mattatoio incomberebbe anche
sui 60mila detenuti nelle orrende carceri egiziane. Detenuti “politici”, è
ovvio. Magari catturati nel Sinai, dove, come braccio armato Isis della
Fratellanza Musulmana, con armi fornite da Qatar e Turchia, sotto il benevolo
sguardo dei nostalgici Usa di Morsi, sgozzano infedeli, bruciano villaggi,
scannano poliziotti, bazookano caserme. Oppure presi con le mani ancora
impastate di tritolo dopo aver fatto saltare una dozzina di chiese copte. O,
ancora, messi in prigione per aver assassinato alcune delle più alte cariche
della magistratura. Insomma valorosi combattenti di una guerra civile alla
libica o alla siriana, e dunque “prigionieri politici”. Lasciamo perdere, sono
le cose di Amnesty International e Human Rights Watch.
Ma
chi era Morsi? L’unico presidente eletto democraticamente in Egitto? Mica vero.
Vedi Wikipedia. Eletto dal 17%degli aventi diritto, con per unico antagonista
un detrito del vecchio regime di Mubaraq, dato che tutti gli altri avevano
disertato le urne. E, appena un anno dopo, spazzato via da una rivolta di massa
come non si era mai vista in quel paese e alla quale i suoi hanno reagito
sparando sulla folla e ammazzando centinaia di persone. Altre centinaia di oppositori li aveva fatti
uccidere nelle proteste di novembre-dicembre 2012.Dopodichè il popolo ha
preferito votare in massa per i militari anziché per lui. Che aveva modificato
la costituzione per darsi pieni poteri sulla magistratura, per imporre la sharìa, la legge islamica che subordina
e controlla ogni particella della vita umana; che aveva vietato gli scioperi,
che aveva perseguitato i copti, che aveva convinto Hamas a Gaza di mettersi
d’accordo con Israele. Un dittatore se ce ne’è uno. Ma caro al “manifesto”.
Morsi
non poteva non essere salutato con entusiasmo da Obama e Clinton, visto che
aveva la nazionalità statunitense, avendo lavorato negli Usa per la Nasa e
godendo addirittura di un nullaosta di intelligence del Pentagono, cioè era una
spia abilitata. Diventa presidente dopo che la commissione elettorale era stata
minacciata di morte da suoi sostenitori armati se non lo avesse proclamato
vincitore a dispetto di fantastici brogli e interventi manipolatori. Da
presidente ha esaltato le imprese dei confratelli a Luxor, dove il 17 novembre
1997 furono massacrati, accoltellati, mutilati, 64 visitatori stranieri di un
sito archeologico. Fece governatore di Luxor uno dei responsabili di quella
strage. Ha ridotto in brandelli l’economia egiziana, ha provato a vendere al
Qatar il Canale di Suez (che poi al Sisi in un anno ha raddoppiato).
Chi
gli ha dedicato il necrologio più agiografico è una vecchia conoscenza britannica dei miei giri
in Medioriente, fin dal 1967, Guerra dei Sei Giorni. L’ultima volta l’ho
incontrato a Baghdad, mentre si divertiva a irridere al nostro gruppo di “scudi
umani” contro l’allora imminente attacco Usa. Passa per essere filopalestinese
e competente sulle questioni arabe. Scrive per l’Independent ed è sicuramente in eccellenti rapporti con l’MI6,
servizio segreto del Regno Unito per l’estero. Di cui, novello Lawrence
d’Arabia, prova a rappresentare l’ala che cinguetta con i Fratelli musulmani e
spara a palle incatenate contro i “dittatori arabi”. Quelli disobbedienti. Di
Morsi ha celebrato, con la lacrima sul ciglio, l’eloquenza straordinaria,
l’altissimo senso dell’onore. E, guardate, Fisk è molto anziano, ma per niente
rincoglionito. Da noi ci sono tanti piccoli Robert Fisk in sedicesimo, per i quali la questione se stanno bene o male di testa non si pone nemmeno. Non c’è
mezzo d’informazione italiano che non ne abbia esibito uno. Girano come tante figurine nella giostra del
tirassegno. Basta vederci bene e le tiri giù.
Il
vero problema nostro è che quando c’è da far strada allo straniero, tedesco,
americano, Total, Exxon, BP, Shell, che sia, da noi non ce n’è per nessuno.
I pochissimi film di Zeffirelli che riesco a ricordare sono delle boiate paragonabili a fiction "per famiglie". Gli riusciva meglio sbraitare contro chi discuteva re Silvio. Sul compromesso storico siamo d'accordo,ha trasformato un comunismo annacquato in socialdemocrazia,cosa che non mi piace,ma capisco anche le ragioni di berlinguer. Se si fosse vinto col 51% i padroni d'oltreoceano avrebbero realmente iniziato la strategia cilena,o venezuelana. Il peccato originale sta a Yalta,quante sofferenze si sarebbero risparmiate all'umanità se nel '45 si fosse proseguita la marcia buttando nell'Atlantico gli americani.
RispondiEliminaPaolo
Scusa non c'entra con il tuo
RispondiEliminadiscorso, ma penso che questa
notizia sia interessante:
https://oasisana.com/2019/04/15/ecatombe-di-alberi-intralciano-il-wireless-del-5g-inchiesta-esclusiva-oasi-sana/
Con stima.
Elena
Elena@
RispondiEliminaGrazie della sciagurata notizia, altamente simbolica.