Guerra AL terrorismo? Guerra DEL
terrorismo!
Il generale Qassem Soleimani è stato assassinato
il 2 gennaio 2020 a Baghdad da un drone statunitense. Insieme a lui sono cadute
altre 8 persone, tra cui il dirigente delle Forze di Mobilitazione Popolare
irachene (Haashd al-Shaabi), Abu Mahdi al-Muhandis. E' l'ennesimo atto di guerra illegale, di aggressione ai termini di Norimberga, diventato la costante della politica estera Usa.
Qassem Soleimani, comandante della Brigata “Al Quds” (Gerusalemme)
delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, era nato nel 1957 da una famiglia di
contadini nel villaggio montagnoso
di Rabord, nella provincia di Kerman, vicino alle montagne dell'Afghanistan. Lo hanno assassinato coloro che, dal 2001, 11 settembre,
nel nome della “Guerra al terrorismo”, terrorizzano il mondo intero con una
serie di guerre terroristiche contro paesi e popoli che non si sono mai sognati
di attaccarli, di cui non si vede né la fine, né l’ombra di una vittoria americana
e Nato. Autentico difensore di popoli, sul piano militare era paragonato al
maresciallo Zukov, vincitore di Hitler, o a Rommel, da Hitler assassinato.
Qassem
Soleimani era la mente e il braccio strategici dell’Iran contro gli aggressori
dell’Iran e dell’intero Medioriente. Primo consigliere della Guida Suprema, Ali
Khamenei, era politicamente vicinissimo a Mahmud Ahmadinejad, l’ex-presidente
amato dal popolo per la sua sensibilità sociale e l’irriducibile
antimperialismo, grande amico di Hugo Chavez. Il suo successore, Hassan
Rouhani, firmatario dell’accordo capestro con cui Obama costrinse l’Iran a
smantellare la sua industria nucleare mirata a fini clinici ed energetici, trattato
poi rinnegato da Trump, nel 2013 era invece stato eletto, nell’infausta
divisione del campo radicale, dallo schieramento di destra, sostenuto dall’alta
borghesia di Tehran.
In Iran, da Ahmadinejad, sul fronte di Soleimani
Quando,
durante il secondo mandato di Ahmadinejad, per girare un documentario conobbi in
profondità il meraviglioso paese e il suo popolo cordiale e sereno, a smentita assoluta
delle descrizioni calunniose che se ne fanno da noi per compiacerne i nemici,
nostri padroni, capitai nelle innevate montagne al confine con l’Afghanistan. Era
la zona dove Soleimani era nato ed era presidiata da unità militari in quella
fase da lui comandate. Si trattava della guerra ai trafficanti afghani di oppio
ed eroina che, sotto la supervisione degli occupanti Usa, grandi promotori
della produzione di droga, provavano a infiltrare in Iran stupefacenti. Operazione
che, per i contrabbandieri significava enormi profitti, per gli americani la
destabilizzazione sanitaria e sociale del paese disobbediente e già minato dalle
loro feroci sanzioni.
Quando in un avamposto vidi appeso il poster del Che Guevara, immagine
del resto diffusa in tutto il Medioriente e chiesi ai soldati di parlarmene, mi
fu risposto: “Il nostro Che Guevara è il generale Qassem! E tale il comandante dei
Pasdaran si dimostrò anche in Siria e in Iraq, nell’addestrare e guidare le
milizie popolare, Hezbollah e altre, miste scite e sunnite, tutte animate da un
fortissimo sentimento patriottico ed unitario. E sono stati tale addestramento
e tali motivazioni a farne la forza risolutiva nella sconfitta dell’Isis a
Mosul e poi in tutto l’Iraq, e nella cacciata di Daesh e delle varie formazioni
Al Qaida dalla maggior parte della Siria.
Iraq dell’Iran o degli iracheni?
Ora
la belluina stampa occidentale abbaierà con più forza contro un Iraq che,
grazie anche al comandante delle sue milizie popolari, si starebbe facendo longa
manus dell’Iran. A prescindere dal fatto che ciò favorirebbe meglio l’autodeterminazione
della nazione, che non l’occupazione e il tiranneggiamento statunitensi, con i
saccheggi delle risorse petrolifere che comporta, Qassem Soleimani non ha fatto
altro che assolvere a quella che un tempo si chiamava solidarietà
internazionalista con un popolo aggredito. Sui manifestanti che hanno invaso l’ambasciata
Usa sventolavano appaiati la bandiera nazionale irachena, sempre quella di
Saddam, e i vessilli degli Hezbollah e di altre brigate patriottiche.
Innumerevoli, evidenziate in video, foto, documenti e testimonianze,
sono state le prove fornite dalle unità di Soleimani e dagli eserciti iracheno
e siriano, sulla collaborazione di Stati Uniti e Nato con le orde dei
jihadisti: armamenti, rifornimenti di ogni genere da aerei, intelligence,
evacuazione da situazioni compromesse, come a Raqqa e Mosul. Oltre alle note e
documentate attività di finanziamento, addestramento e fornitura di armi, nei
paesi vicini, Turchia, Arabia Saudita, Giordania, supervisionati dagli Usa.
Tale
era la popolarità, oltre che la forza militare, delle milizie volontarie
guidate da Soleimani che, in Iraq, poterono esercitare una fortissima pressione
sui successivi governi che, installati con il beneplacito di Washington,
gradualmente assunsero posizioni sempre più ostili all’occupante e alle
migliaia di militari e mezzi tuttora nel paese. Quando Trump trasferì dalla
Siria truppe in Iraq, accadde l’inverosimile: il Parlamento iracheno compatto
chiese agli Stati Uniti di togliere il disturbo.
Se l’attacco dei manifestanti iracheni all’ambasciata
statunitense di Baghdad, la penetrazione nella blindatissima Zona Verde e l’incendio
di parti della rappresentanza diplomatica vengono da Washington e dai suoi
corifei nostrani portati a pretesto della strage in cui è perito Soleimani, il
movente è un altro. Il generale iraniano e i combattenti iracheni hanno una
volta di più negato che intrighi e complotti antinazionali e imperialisti
prevalessero. Soprattutto – ed è questo che ha ridato coscienza e orgoglio
nazionali agli iracheni - hanno sconfitto il possente mercenariato Isis-Al
Qaida a cui gli Usa e l’Occidente tutto avevano dato il mandato di completare l’annientamento
di due nazioni: Siria e Iraq. Il drone della strage di Baghdad era il portatore
di questa vendetta.
Vendetta per aver sconfitto i mercenari Usa
Da
anni sorrido al mantra di Giulietto Chiesa che, dagli anni ’90, va annunciando
l’imminente Armageddon, la guerra mondiale, magari atomica, a giorni. Non ho
mai capito se si trattasse di autentico timore, traveggole, o di qualcosa di
strumentale. In ogni caso, come si vedeva allora e come s’è visto poi, tale
conflagrazione globale non si prospettava per niente. C’erano e ci sono le
sette guerre di Bush e poi di Obama, ma restano confinate nelle regioni da
ricuperare al colonialismo. Oggi è tutto il coro degli strepitoni mediatici che
intravvede bagliori di apocalisse all’orizzonte. Ovviamente, mica tanto per l’irriducibile
bellicosità dell’apparato militar-industriale Usa, il Deep State e il suo
Partito Democratico, quanto per un “Iran irresponsabile” che promette risposte.
Senza la quale risposta, che io penso verrà comunque calmierata da Mosca, il
paese perderebbe credibilità, sia all’interno, sia in tutta la regione, nel
mondo arabo, nell’Islam di cui è il simbolo del riscatto. Magari sbaglio. Le 50
atomiche che Washington sposterebbe dalla base turca di Incirlik a Ghedi (BS) e che, nell’abietto
servilismo della classe politica, si aggiungono alle altre 70-90 già nel nostro
paese, non sono un buon auspicio.
Quanto
alle dinamiche che hanno prodotto l’attentato terroristico di Baghdad,
personalmente ritengo che sia stato ancora lo Stato Profondo Usa a prendere la
mano all’eternamente traccheggiante Trump. Nel riferirsi alla matrice dell’operazione
tutti accennano a Pompeo, segretario di Stato, a Mark Esper, ministro della
Difesa, entrambi neocon, e al Pentagono. Il Trump che dilaga sui social per
ogni mosca che vola, il Trump che aveva legato le sue speranze di secondo
mandato alla distensione con Putin, con i nordcoreani e che non si decideva mai
sull’attacco all’Iran, preteso anche da Netaniahu, su Facebook si era limitato
a pubblicare la bandiera statunitense. Troppo poco per un tweeter maniacale e
un successone militare del genere.
Luigi Paragone, Qassem Suleimani e omini, ominicchi e quaquaraquà
Nel
titolo ho avvicinato Gianluigi Paragone, deputato 5Stelle, espulso dal
Movimento, a Qassem Soleimani, nientemeno. Raffronto indubbiamente azzardato. Ma, si parva licet componere magnis,
cosa che, quando si va per simboli, si può, provo a dimostrare che nel piccolo
si rispecchia il grande e viceversa. Sia l’ambito della nostra miserevole
repubblica, sia quello dell’assassinio di Soleimani inseriti nel quadro di un
conflitto mondiale, fanno parte dell’ambito umano. E qui che, ci si trovi
bimbetti nel nido, o generali, o presidenti, o manager, possiamo avere, nelle
parole di Sciascia, omini, ominicchi e quaquaraquà.
E su questo piano abbiamo un uomo, Soleimani, un ominicchio, Trump, e
tanti quaquaraquà, tutti i media e i politici (il patetico capoleghista in
testa) che rovesciano la frittata e cianciano dell’assassinio di un uomo, di un
grande uomo, di un uomo umano, come della rimozione di una minaccia. E abbiamo
un uomo, Paragone, un ominicchio, Di Maio e i quaquaraquà da
poltrona, sedia e strapuntino che, con l’osso in bocca, abbaiano contro colui
che “non è stato alle regole”.
Siamo ad Antigone, a capocchia invocata per la mozza ONG di
Soros, che sperona navi italiane. Paragone non ha obbedito alle regole che
dovrebbero tenere a bada eventuali dissidenti del capo ominicchio, anche quando
fa puttanate, o tradimenti di tutto ciò per cui è stato portato dove si trova e
dove non merita minimamente di trovarsi. Paragone è stato alle regole che ha
concordato con quella parte del popolo di uomini che lo ha votato. Non ha
votato vergogne, le leggi imposta dagli avvoltoi UE e dai grassatori
mafiopidini, repulsive a quel popolo e, perciò inevitabilmente a lui.
L’ho conosciuto da eccellente giornalista, competente come
pochi su banche, finanza, manomorta europea e realizzatore della trasmissione “La
Gabbia”, dove finalmente s’è visto qualche 5Stelle e si è tirato qualche schiaffazzo
ai dominanti. Titolo appropriato, la Gabbia, se si pensa che spiccava in una
rete, La7, dove informazione e analisi sono quelle di Gruber, Formigli, Floris,
Giletti, Damilano, Zoro….. Senza dubbio uno dei più validi rappresentanti di
quello che è stato – e spero sia tuttora - un autentico anelito al riscatto.
Non per nulla è uscito dal suo Grande Silenzio, Alessandro
Di Battista: “Gianluigi è infinitamente più grillino di tanti che si
professano tali. Non c’è mai stata una volta che non fossi d’accordo con lui”.
Il 33% delle ultime politiche lo si deve a questi uomini e ai valori per la
fedeltà a contro i quali un ominicchio senz’arte né parte si permette
espulsioni. Sembra che ne abbia nel mirino un’altra trentina, di “uomini”.
Magari. Contiamo su di loro, su Paragone, su Di Battista,
su Fioramonti, altro esempio di intelligenza e coerenza, dimessosi da ministro
dell’Istruzione in opposizione all’eterna strategia dei padroni: rimbecillire
i giovani italiani, tagliandogli fondi e conoscenza. Anche rendendoli obesi con
le famigerate merendine e bevande zuccherine che un ministro, come non lo si era
mai visto da quelle parti, voleva strappare agli intossicatori. Aspettiamo gli
altri: Morra, Corrao, Lezzi, Lanutti, i tantissimi sul territorio. Non è più tempo
di esitare. L’ominicchio, col vecchio guru uscito di senno, ha ridotto una
galassia luminosa, il 33%, a pochi detriti stellari. Paragone, Di Battista, gli altri, i
confusi, i persi per strada, tutto quello che non è né ominicchio, né quaquaraquà,
riprendano il discorso, riaccendano le stelle spente dagli ominicchi e odiate
dai quaquaraquà, ma ancora care al meglio di questa povera Italia.
Il Deep State e il partito democratico sicuramente responsabili,ma anche un po' Trump,o no?
RispondiEliminaOppure il Deep State democratico è riuscito a fare ora,col "traccheggiante Trump", ciò che non ha osato quando comandavano loro con Obama-Hilary?
Poi anche i post più condivisibili vengono rovinati da qualche fiotto di fiele sparato un po' a casaccio,oggi è Chiesa che ha le traveggole o è "strumentale" (ma a cosa?).
Comunque il moschetto sempre orientato in una certa direzione,critiche al vetriolo contro l'antifascismo e mutismo sul fascismo (fenomeno residuale e non meritevole di troppa attenzione,ma comunque da condannare),adducendo le stesse motivazioni di Vittorio Feltri. Nessuno stupore se scambi un ominicchio strepitante e litigioso per un uomo,oppure l'eterno emigrante per uno statista che a da venì. Soleimani non c'entra niente con questi nani e ballerine-
Assolutamente d'accordo. www-marusi.org/pit.htm
RispondiEliminaC'è chi come la signora Pisi dell'ex sito anti inperialista Uruknet che sostiene che il generale fosse un mostro e che in generale l'Iran voglia conquistare il mondo arabo.
RispondiEliminaLa vendetta differita. Annunciata dagli Iraniani per l'assassinio in Iraq di Qasem Soleimani è un'idea non buona, buonissima. Stavolta gli attentati in USA non saranno auto-perpetrati, ma guerra vera. Si prevede la fine di israele, con Iran, Iraq ed Hezbollah Libanesi compattati. Anche la turchia di merdel-er.dog.an non la passerà liscia. E la Russia se furba come è, starà con i Tre dell'apocalisse. Il Z'ions asservito “trumptt” è caduto nell'imboscata. Il canto del ciuffo.
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