mercoledì 17 gennaio 2024

Iran, Sudafrica, Yemen, Hezbollah, Siria: à la guerre comme à la guerre --- L’ASSE DELLA RESISTENZA SALVA L’ONORE DELL’UMANITA’ (e forse il suo futuro)

 


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 E’ con autentico sollievo che i popoli del mondo, quelli sul lato della vita, della dignità, dell’onore, hanno accolto la risposta al rigurgito di demenza genocida rappresentato dal carcinoma sionista. La sveglia, fuori dal cerchio ristretto delle milizie scite libanesi e irachene da sempre partecipi della questione, l’hanno data i combattenti Ansarallah,  chiamati col nome del loro capo storico, Ḥusayn Badr al-Dīn al-Ḥūthī, caduto in combattimento nel 2004.

Fantastici: hanno messo in crisi il mondo della rapina e della prevaricazione, dello sfruttamento e dell’ipocrisia, senza colpo ferire, senza provocare una sola vittima. Ma è su di essi che si avventano, con il loro armamentario di punizione, morte e devastazione,  senza neanche provare a mettersi a un tavolo a praticare la reietta e obsoleta soluzione della diplomazia, quelli che tengono lo strascico sotto il quale lo Stato-mostro seppellisce a decine di migliaia vite giuste.

Già perché quella degli Huthi non è una storia, una guerra di liberazione e di indipendenza, partita ieri. Qui ci si libera dall’incombenza sgradevole di riconoscere dignità politica e legittimazione popolare a gente strana, oscura (pure di pelle), che è meglio far passare per ribelli, sottintendendo che sono elementi irregolari, anche parecchio terroristici (come sancisce inevitabilmente il Dipartimento di Stato) e come tali non istituzionali, fuori dall’ambito di uno Stato come è giusto concepirlo.

Non è solo strutturale e volontarissima ignoranza delle salmerie mediatiche atlantiste, oggi tutte su di giri alla prospettiva che si vada a rompere la testa a questi trogloditi che si sono azzardati a interferire nel Mar Rosso con la nostra libertà di commerciare, rapinare, spogliare e, a Gaza, massacrare.



Gli Huthi, la crème de la crème dello Yemen, paese più povero del mondo arabo, ma anche più antico, fiero, irriducibile nella difesa dell’identità e della ricerca della libertà. Li ho conosciuti. Ci ho vissuto per quasi due anni. Sono stato e sono loro amico. Sono in tanti che a questo popolo non perdonano di stare seduto sul più strategico passaggio delle cose che fanno la ricchezza dei ricchi e la povertà dei poveri: Stretto di Bab el Mandeb e Mar Rosso, crocevia tra sud e nord, est e ovest, cordone ombelico del capitalismo delle nostre parti.

Da quando li conosco combattono contro chi cerca di mettergli l’anfibio in faccia: sauditi soprattutto, Emirati, ISIS e, a dirigere le operazioni, ovviamente, l’anglosfera: prima i britannici e poi anche gli statunitensi. Avendo noi incorporato, almeno dal 1945, lo spirito, il ruolo, i compiti della servitù di palazzo, ci riesce difficile immaginare che gli yemeniti siano un fatto a sè, conscio di sé, padrone di sé. Da noi la testa di chi ci dice cosa succede sta così bassa da vedere solo coglioni. Gli riesce difficile concepire teste tenute alte. Condizione che imbarazza e allora ecco che un popolo che l’indipendenza se l’è conquistata a morsi deve essere ridotto a terminale dell’Iran, ganglio secondario della testa dell’Asse del Male.

Ma facciamo un passo di lato e diciamo due cose sui presunti commissari politici degli Huthi. In effetti c’eravamo un po’ stancati di veder fare agli israeliani e americani quello che cazzo gli pare, terrorizzando e assassinando di qua e di là, a volte sventolando il gagliardetto dell’ISIS, e le vittime promettere sacrosante e terrificanti ritorsioni senza che poi nulla di altrettanto grosso succeda. Va bene il senso di responsabilità, evitiamo le escalation, distinguiamoci da Netaniahu, ma, uffa, c’è un limite a tutto. Stavolta il contrappasso c’è stato. A la guerre comme à la guerre! Quelli attaccano, sabotano, sanzionano, fanno rivoluzioni colorate e armate, ammazzano scienziati e commettono stragi come l’altro giorno a Kerman. dove si ricordava l’assassino Trump e il martire Soleimani, si risponde solo con promesse di una qualche futuribile pariglia?

I 27 missili tirati da Tehran contro chi all’Iran, ai fratelli siriani in Siria, agli amici iracheni, non cessa da decenni di prospettare la fine del loro mondo, predando, opprimendo, uccidendo, sono fonte di soddisfazione per i giusti da quelle parti e per coloro che nella guerra dei ricchi contro i poveri si ritrovano dalla parte sbagliata. Hanno centrato e disintegrato a Irbil, feudo curdo-iracheno di un fantoccio Mossad-CIA come Massud Barzani, la centrale operativa dell’intelligence e del terrorismo Mossad. A due passi dal consolato USA, ovviamente.  Per la maggiore soddisfazione, ovviamente, delle Forze di Mobilitazione Popolare dell’Iraq che, dopo aver debellato i mercenari ISIS degli USA a Mosul, ora puntano a far sloggiare i residui occupanti statunitensi.

Perché Irbil? La ricordate la più recente delle “rivoluzioni colorate” in Iran?  Dato come la pensa il popolo iraniano che, dai tempi del dittatore imperiale Pahlevi, conosce bene amici e nemici, fallita anch’essa. Come quella che, anni prima, con l’ottimo presidente Ahmadinejad, amico di Ugo Chavez, avevo potuto testimoniare nei miei giri per il paese de “La vita è bella” (vedi il docufilm “Target Iran”), Anche allora scatenata con l’artificio della “giovane con poco velo brutalizzata dagli sgherri degli ayatollah”

Ebbene quello che, tra veli messi bene o messi male, non ci ha detto nessuno, è che non di colori rivoluzionari si trattava, bensì di terrorismo puro e duro. Ed era a Irbil che si convogliavano dall’Iran, si addestravano, pagavano e armavano, milizie curde poi spedite a Tehran a difendere il velo delle donne sparando alle forze di sicurezza, incendiando e devastando.

Dal che si capiscono la ragione e la traiettoria di quegli 11 missili finiti in testa al Mossad a Irbil (anche a nome di qualcuno a Gaza).

Torniamo un attimo a Sanaa, impareggiabile, fiabesca capitale dello Yemen riconquistato e strappato ai maneggi USA-sauditi, insofferenti a che il Mar Rosso e i traffici mondiali si svolgano sotto i mirini degli Huthi e che quelli diretti a coltivare il tumore sionista possano addirittura esserne impediti.

Nella seconda metà del secolo scorso, fattasi per me, militante di Lotta Continua e direttore del suo quotidiano, pesante l’aria post ’68, ho avuto l’occasione di fare il corrispondente per una catena editoriale arabo-britannica di Londra, “The Middle East”,. proprio da Sanaa. Lo Yemen, spaccato in due dagli inglesi, irriducibile Stato canaglia, dopo inenarrabili sevizie coloniali alla popolazione ricalcitrante, era diviso tra una parte Sud, Aden, marxista, e una parte nord, nazionalista nasseriana, Sanaa. Quest’ultima aveva per presidente un poeta e patriota, Ibrahim Al Hamdi, col quale passai in amicizia parecchie belle serate. I sauditi, risentiti delle pretese di autodeterminazione di Hamdi, organizzarono un colpo di Stato con tale brutalone generale Ahmad Al Ghashmi. Costui si liberò di tutte le fisime yemenite di sovranità e indipendenza e, pure, degli amici di Al Hamdi, me compreso, dichiarato persona non grata.

Ora lo Yemen ha alle spalle una ventina d’anni di guerra di liberazione. Dal 2015, USA, UK, sauditi ed emiratini, con occasionale concorso dell’ISIS, maciullano di bombe il paese. Non è servito a piegare gli yemeniti. E allora, sollecitati anche dai molto saggi cinesi, i sauditi hanno smesso di fare a botte con l’Iran e, per ricaduta, in Yemen è arrivata la pace e la giustizia.

E l’onore di essere in prima linea a difendere i palestinesi. Costi quel che costi, cocciuti e liberi come sempre. Un fantoccio saudita-occidentale dopo l’altro, Ali Abdallah Saleh, Abd Rabbih Mansur al-Hadi, è stato fatto saltare. Al Hadi se ne sta rintanato nella roccaforte del Sud ad Aden e non conta una paglia. I ribelli Ansarallah sono i partigiani dello Yemen. E ora lo governano. Il loro Pertini si chiama Mohammed Ali Al Huthi, ha 45 anni. Non basterà il terrorismo bombarolo occidentale, con in su la prora la Meloni con lo schioppo, a farli sparire. Tanto più che, su 8 miliardi di umani, quanti pensate che li guardino con simpatia?

 

 

 

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