martedì 29 ottobre 2024

CON I BRICS A KAZAN CAMBIA IL MONDO MOLDAVIA E GEORGIA, SOTTO A CHI TOCCA ITALIA GUERRA PER BANDE

 


 

Fatti, delitti, lotte di oggi alla luce del passato e nelle prospettiva del futuro

MIEI INTERVENTI

In “Spunti di riflessione” di Paolo Arigotti: “Il ringhio del bassotto” https://youtu.be/wAEtLXpjKl0

In “Caleido” di Francesco Capo, “Kermesse e Sconvolgimenti” https://www.youtube.com/watch?v=dspj3Yvst7s

In “Mondocane…punto”  https://www.quiradiolondra.tv/live/  questa sera alle 20.00

 

Cosa è successo davvero quando l’Iran ha bombardato Israele e quando Israele ha contraccambiato sull’Iran? Ah saperlo!

Incominciamo col dire chi ha cominciato, come fa l’insegnante quando entra in classe e trova devastazione e due ragazzini con ammaccature? Chè qui il sistema è quello dell’occultamento dei precedenti, così uno si sofferma sull’ultimo evento e non gli si fa capire da cosa è derivato, in che cosa è radicato. E’ il trucco padronale dell’annientamento della memoria e, dunque, dalla Storia. Storia che per chi la conosce e interpreta, è proprio maestra. Esempio, a vedere le mosse della combriccola Meloni tra premierato e scazzi con la magistratura e a ricordarsi poi di Mussolini e dei suoi antecedenti sovrani assoluti, non credete che, dalle similitudini, si capisca meglio cosa vanno architettando e come converrebbe rispondere? Non proprio come con la Ghigliottina, o con Piazzale Loreto, ma insomma che reagire si deve.

Secondo Enrico Mentana, i pappagalli del Deep State in tutti i media e, sorretto nell’argomentare dalle bretelle, l’eccellenza tra questi, Federico Rampini, tutto è cominciato, uno, perché l’Iran è intrinsecamente cattivo, il capo dell’Asse del Male e merita qualsiasi punizione; due, perché, con inusitata e ingiustificata protervia, ha lanciato su Israele ben 200 missili. Di cui alcuni hanno fatto addirittura male (detto dalle riprese satellitari, con grande irritazione degli assertori israeliani della propria invincibilità).

Le precedenti imprese – bombardamento dell’ambasciata iraniana a Damasco, l’assassinio di Raisi, Haniyeh e Nasrallah, dopo centinaia di attentati terroristici nel corso dei decenni, la decimazione di dirigenti Hezbollah e Pasdaran (con corredo ci migliaia di civili, lì per caso) - tutte scomparse. Restano i due ingiustificati attacchi missilistici all’unica democrazia del Medioriente.

A questo punto saremmo, a spanne, su qualcosa come una goleada di 20 a due per Israele e, se consideriamo anche i graffi fattigli dagli altri dell’Asse della Resistenza (Hamas, Hezbollah, yemeniti, iracheni), potremmo concedere un 10 a zero. Il dato è questo, cari corifei dell’ “Israele ha il diritto di difendersi”, dato che sono 80 anni che viene attaccato dalla potenza palestinese.

Ora pare che le armi grosse tacciano. Almeno per un po’. L’hanno suggerito, per finta, Biden e Kamala, con in coda le perorazioni delle succursali UE e, sul serio, Russia e Cina. Con i primi addirittura in delegazione a Tel Aviv. Qualcuno mormora che potrebbero fare di più. Intanto hanno, collateralmente, qualcosa di più, a dispetto delle furie belliciste di USA, Israele e accoliti: al vertice BRICS hanno fatto riconciliare Cina e India e confermare la stupefacente intesa Riad-Teheran, ora celebrata perfino con esercitazioni navali congiunte. Roba che va togliendo dal fuoco mediorientale parecchie castagne statunitensi.

Nell’intervista di Francesco Capo c’è dell’altro. C’è la Moldavia che, a forza di aiutini da di là, e la Georgia che, tutta da sola, resta di qua. Se ne è parlato in vario modo, perlopiù sempre uno, lo stesso: in Georgia ha stato Putin, in Moldavia hanno fatto tutto i moldavi. Va ricordato di striscio che in Moldavia alle prime proiezioni i neutrali (per favore non “filorussi”) erano al 58%. Questo a dispetto del pellegrinaggio a Chisimaio di tanti seducenti politici europei.

Poi sono arrivati gli espatriati e hanno fatto vincere i filo-UE (questi sì, vanno chiamati così) per un mezzo grammo di bruxellismo: lo 0,57%. Forse non vi hanno riferito qualche dettaglio di questo trionfo europeo. Per il milione mezzo di moldavi all’estero erano stati allestiti 231 seggi in Europa e appena 20 in Russia. In Russia le autorità diplomatiche moldave hanno fatto arrivare 9000 schede per 300.000 elettori.

La presidente filo-Ursula, Maia Sandu è passata per il rotto della cuffia – ha stato Putin - al ballottaggio con Alexander Stoianoglu, cui andranno anche i voti dell’altro neutrale (ergo filorusso) Renato Usatii. Sarà una bella gara. Le ONG ce la dovranno mettere tutta.

Come in Georgia, dove pur essendocene 25.000, tutte occidentali, dai tempi funesti di Saakashvili (quello venuto su con la “Rivoluzione delle Rose” e andato giù con l’invasione dell’Ossezia scissionista nel 2008, bloccata dai russi nel giro di 5 giorni)

In Georgia, retta da un governo neutrale, aperto sia al lontano continente europeo sfigato, sia all’adiacente e prospera Russia, a dispetto delle ONG occidentali che hanno invaso la Georgia e si sono impadroniti di sanità, istruzione, Giustizia, privatizzazioni, vince sui filo-UE il premier neutrale Kobakhidze di “Sogno Georgiano” con il 54,08. Sulle TV georgiane erano circolate immagini bandite in Moldavia: morti, distruzioni, dittatura in Ucraina.  Anche perché s’era capito chi fossero quelle ONG quando una legge gli ha imposto di dichiarare i dollari e euro che ricevevano dall’estero.

L’Europa, poi guidata dagli USA, sotto le insegne del “fardello dell’uomo bianco” ha nel suo cursus honorum 500 anni di genocidi, predazioni, devastazione. Colonialismo prima nel nome di Cristo, poi in quello dell’esportazione della democrazia. Come risulta dal PNAC, Programma del Nuovo Secolo Americano, inaugurato l’11 settembre del 2001, quella strategia, già ripresa a forza di bombe atomiche da Truman e Churchill nel 1945 e coronata dalla caduta del Muro, nei giorni scorsi è andata a rompersi il cranio contro l’assemblea di 32 Stati riuniti intorno al nocciolo duro di 10 BRICS, capeggiati da Russia e Cina, Sudafrica e Brasile e salutati dal segretario generale delle Nazioni Unite.

Stati a cui il G7 sta come un nanetto da giardino di Arcore sta alla Statua di Garibaldi al Gianicolo (mi perdonino i neoborbonici e i fan di Pio IX). Con quasi metà della superficie terrestre, il 45% della popolazione mondiale, quasi il 40% del PIL globale e la stragrande maggioranza delle risorse naturali, questo aggregato, per quanto disomogeneo politicamente e socialmente, ha posto fine alla dittatura di Bretton Woods. I cui pilastri, scomparso il collegamento del dollaro all’oro, erano la farlocca, ma riverita, potenza di un dollaro di carta velina, conventicole transnazionali del soggiogamento e sfruttamento dei paesi tramite debito e austerity detta “ristrutturazione” – FMI, Banca Mondiale, OMC – e, come cani da guardia, mille basi militari sparse sul pianeta.

Tutto questo è finito. Le catene si sono spezzate e sono rumorosamente precipitate sui piedi die pupari che vanno cercando di annebbiarci a forza di ombre cinesi come Harris e Trump. Rien ne va plus con un concerto che canta in coro almeno su alcuni capisaldi: niente più nazione guida per investitura divina, tutti sovrani e autonomi, collaborazione anziché conflitto (vedi la Via della Seta), regole uguali per tutti, rispetto, valute per ora nazionali che gradualmente affossino il dollaro pompato, ma campato per aria., Il sistema di pagamento dei furbi, lo SWIFT, se lo tengano loro, noi ce ne facciamo uno nostro, insieme alle loro sanzioni a chi non gli piace.

E’ poco? E’ molto? Vedete un po’ voi. Per me è come le caravelle di Colombo che tornano indietro, vuote, e restano in porto a fare gare di vela.

Poi, se volete, in “Mondocane… punto” si parla anche di cose nostre. Ovviamente di guerra per bande.

 

 

domenica 27 ottobre 2024

YAHYA SINWAR VIVE E NOI LOTTIAMO INSIEME A LUI

 

 




https://youtu.be/Uh8x3fWtUg8

https://youtu.be/Uh8x3fWtUg8

 

In questo video, che ho pubblicato sul mio canale di Youtube, presento il leader di Hamas caduto in combattimento per la liberazione del suo popolò e della sua patria e ne leggo il testamento, un documento che si incide nel cuore, nei nostri obiettivi, negli scopi per cui viviamo. E nella Storia del Bene e del Male.

Temo che i commenti a questo video siano stati bloccati. Potete pubblicarli sulla chat o sul mio indirizzo email: fulvio.grimaldi@gmail.

Fulvio

venerdì 25 ottobre 2024

1) ELEZIONI IN GERMANIA-AUSTRIA: MA CHI SONO I NAZI? 2) MA I CURDI (A) CHI SERVONO? 3) MA USA O BRICS?

 

1)  ELEZIONI IN GERMANIA-AUSTRIA: MA CHI SONO I NAZI?

2)  MA I CURDI (A) CHI SERVONO?

3)  MA USA O BRICS?

 


Spunti di riflessione” – Paolo Arigotti conversa con Fulvio Grimaldi

Il ringhio del bassotto: o USA o BRICS (con Fulvio Grimaldi)

 

Se fosse una partita di pallacanestro direi che è finita con qualcosa come 89 a 23. A calcio sarebbe sarebbe stato una goleada. A tennis due set a zero. Come dire Sinner contro il numero 140 del ranking mondiale.

Parlo del confronto, da remoto, ma giocato sulla nostra pelle e sul nostro futuro, tra gli USA in preda a delirio pseudodemocratico elettorale, finalizzato in un modo o nell’altro a farli sopravvivere finchè la barca (la guerra) va, e i BRICS riuniti a Kazan (Russia!). Questi ultimi, che stanno diventando i primi, erano in 32 (quanti quelli della NATO, ma dieci volte più grossi), di cui cinque fondatori, cinque nuovi arrivati e tutti gli altri a bussare alla porta di casa.

Dall’altra parte si digrignavano i denti sporchi di sangue arabo alla prospettiva di non contare più nulla, se non in un deserto di ossa calcinate, come sarà quello su cui si accaniscono a Gaza. Non gli resta altro che quello come risposta a un mondo che rappresenta più o meno la sua metà in termini di territorio, popolazione, PIL ed energia.

Sono stati giorni della combutta-contesa Harris-Trump su chi possa, ancora per un po’, far camminare per cimiteri lo zombie NATO-Sion e, dall’altro lato del pianeta, un’assemblea di Stati e popoli, con tanto di deprecatissimo Segretario dell’ONU a piegarsi alla realtà oggettiva (non più a quella onirica del Piano della vittoria di Zelensky), che progetta pace, armonia, uguaglianza e vita per tutti e con tutti. Opzioni alternative, chiare e convincenti. Ed è un passo avanti che travolge parecchio filo spinato tessutoci attorno negli ultimi decenni..

Poi, con Paolo, ci siamo intrattenuti sugli esorcismi praticati sugli invasi dal demonio di Germania e Austria, Quelli da cui gli addetti ai lavori degli zombie di cui sopra pretendono di estirpare, a forza di formule liturgiche (“ultradestra”, “neonazi”, “fascisti”), il diritto di votare chi gli pare. E soprattutto qualcuno che non corrisponda al chierico esorcista Scholz e alla sua fissa di distruggere il proprio paese in nome di Biden e Zelensky.

L’esorcista doveva dividersi tra “estrema sinistra” (BSW- Alleanza Sahra Wagenknecht) e “estrema destra” (AFD, Alternativa per la Germania), la prima sull’Intercity del 16% (terzo partito, dal nulla), la seconda sull’Alta Velocità del terzo dei voti di tutti i tedeschi (primo in Turingia e Sassonia, secondo in Brandeburgo), con analoga fenomenologia in Austria, Hanno sfondato il Semaforo.

Semaforo, Ampel, essendo quei governi Democristiani gialli-Socialdemocratici rossi-Verdi verdi, di Berlino e Vienna che rescindendo i legami con chi ne alimentava le fabbriche e le case, avevano ridotto in brandelli la propria economia, il proprio welfare e da benestanti a malestanti i propri cittadini.

Ovviamente dalle nostre parti occidentali non usa chiedersi perché milioni passino da vecchie e corrotte cariatidi partitiche a forze nuove che non sono i lecca lecca degli USA e delle sue guerre, dell’OMS e delle sue pandemie, del FEM e dei suoi Nuovi Ordini Mondiali, del rigurgito olocaustico dei sionisti. No, meglio diabolizzare ed esorcizzare: sono nazi, vanno proibiti. E, sottovoce: Occhio, che questi rivogliono il pane che gli abbiamo mangiato.

UN BELL’ASSIST ALL’IMPERIALISMO

Gli argomenti sono tanti, ma qui ve ne metto sotto il naso uno che mi sta a cuore. Per me che li ho conosciuti e ne ho seguito le opere, è sempre stato un mistero perché certe sinistre si siano tanto incapricciati dei curdi, iracheni, iraniani o, soprattutto, siriani, che fossero.

Quelli iracheni li ho visti per decenni lavorare per il re di Prussia e il suo visir, la CIA. Con questi si sono impegnati a smantellare lo Stato unitario multiconfessionale e multietnico, antimperialista e antisionista. I loro capi, Mustafa e Massud Barzani, sono stipendiati dalla CIA, ne eseguono i mandati e, nel caso del capostipite, vanno a morire negli USA. Essendosi sollevati da musulmani integralisti e patriarcali contro l’Iraq laico ed emancipato, proprio mentre era minacciato di morte da chi gli attribuiva l’11 settembre e armi di distruzione di massa, si è attirato la mano pesante di Saddam.

Quelli iraniani, quando parte una rivoluzione colorata contro il governo, vanno nel Kurdistan iracheno ad addestrarsi e rifornirsi di armi presso contingenti NATO (anche italiani) e, tornati in Iran, danno il loro contributo alla destabilizzazione del paese che sappiamo da chi è stata innescata.

I più amati, però, da chi li considera avanguardia ecologica, femminista, democratica, Wako, della rivoluzione mondiale, sono i curdi siriani.

Usciti dalla loro enclave storico nell’angolo nord-est della Siria, proprio nel momento in cui USA e relativi mercenari ISIS si apprestavano a smembrare quel paese tanto ostico, laico, socialista e tanto anti-israeliano, si sono messi al servizio dell’invasore statunitense. A forza di pogrom anti-arabi, si sono impadroniti di villaggi e terre e hanno facilitato così la creazione di mezza dozzina di basi militari americane alle quali portano i beni del territorio: petrolio e frutti dei campi.

Ad educare il pupo sinistroide europeo si sono attrezzati con video, foto, interviste benevolenti, che ne mostravano le fanciulle in mimetica con mitragliatore sui seni, avanguardie della rivoluzione laica e democratica contro l’oscurantista dittatore Bashar El Assad, a fianco dei liberatori Marines.

Tanto erano avvenenti e coraggiose, che fu loro attribuita anche la liberazione dall’ISIS  della seconda città siriana, Raqqa. Dove non misero mai piede, se non dopo che la capitale dello Stato Islamico era stata rasa al suolo dai bombardieri di Trump. A Washington parve opportuno, come del resto poi a Mosul in Iraq, dare l’impressione che i jihadisti impiegati qua e là nel mondo, dalla Libia, all’Iraq, all’Afghanistan, in Siria, nel Sahel, in Nigeria, e per vari attentati in Europa, erano nemici, così nettandosi l’immagine compromessa dalle prove tecnico-politiche che l’11 settembre non aveva niente a che fare né con Al Qaida né con i sauditi.

Restava da mettere sotto la lente, neanche tanto da ingrandimento, il meccanismo che assicura la democraticità del voto presidenziale negli USA, al di là degli arzigogoli dei continuisti guerrafondai e colonialisti nei nostri media su come Kamala Harris fosse la scelta della civiltà e del bene contro l’obbrobrio putinista del candidato carota-chiomato.

E sotto la lente cosa appare? Un sistema, ideato alla fine del 700 dai progenitori degli attuali oligarchi bancari, agrari e industriali, sistema che garantisca la perpetuità dell’elezione dell’establishment da parte dell’establishment. Elegge il presidente se non chi è qualificato da conventicola e dollaro. Mica la gente che di queste cose nulla sa e nulla intende.

Trattasi di 538 grandi elettori eletti, per grazia di dollaro e debite affiliazioni, al Senato o alla Camera e che a quel punto non riescono a immaginare altro che eleggere presidente il loro affine, sostenuto dagli stessi fondi che aprirono il parlamento a loro. E se non si mettono d’accordo, ci pensa la corte suprema. Come nel 2000, quando per la differenza di un grande elettore su 538, Al Gore chiese il riconteggio, ma i giudici supremi lo rifiutarono e decisero loro. Decisero a favore del figlio di colui che ne aveva nominato, a vita, come il Garante Grillo, la maggioranza: il papà, Bush Senior.

Sistema le cui infiorettature contemporanee sono le operazioni di media, magistrati e intelligence, grazie alle quali un candidato è il manutengolo del nemico massimo (Russiagate) e l’altro, invece, è persona linda e retta. Tanto che è giusto che procuratori, FBI e CIA seppelliscano ogni inchiesta e ogni dubbio  sul figliolo (Hunter Biden) che si droga, frequenta malviventi e orge con  minorenni, fa affari sporchi in Ucraina, apre ai cinesi redditizi mercati in America grazie alle spinte del papà allora vicepresidente. Senza parlare degli affari pubblici gestiti segretamente su server privati da Hillary Clinton mentre garantisce ai suoi ambasciatori che “in Siria l’ISIS è roba nostra”.

A questo punto chiudo e vado a lavarmi faccia, mani e penna.

mercoledì 23 ottobre 2024

NOI PER SINWAR, SINWAR PER NOI --- Per il programma “Caleido” Francesco Capo intervista Fulvio Grimaldi

 



https://www.youtube.com/watch?v=BuNGIQEcdTo
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*      https://www.instagram.com/francescocapoce/
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Al centro del discorso è il martirio di Yahya Sinwar, eroe della Palestina e della lotta umana per la libertà e la dignità, alla faccia dei subumani, e relativa schiera di corifei, che, insieme a quel corpo, in rivolta anche nell’agonia, hanno provato a fare a pezzi anche la sua figura di irriducibile e invitto combattente. Ratti di fogna hanno voluto imbrattare l’immagine di un comandante in capo che, anziché dirigere la lotta dal sicuro del suo quartier generale, scende in campo armato, come un qualsiasi guerrigliero della Resistenza, e accetta lo scontro col nemico in prima persona. Ogni palestinese sa, da 80 anni, che la sua morte è vita per la propria gente e per l’umanità.

Sull’icona Sinwar, che al pari di Guevara, Lumumba, Thomas Sankara, Gheddafi, Malcolm X, Bobby Sands e, perché no, i nostri caduti sotto i colpi dei fascisti e della polizia, suoi compagni nella lotta di liberazione dell’uomo, hanno gettato il fango della loro bassezza: “E’ morto fuggendo, in preda al panico”. Non sono riusciti a cancellare dalla Storia, dal rispetto e dalla riconoscenza dei popoli riscattati e in via di riscatto, l’immagine di un combattente morente che lancia contro il nemico l’unica arma che gli è rimasta, un bastone.

Con Francesco Capo ci siamo fatti due risate sugli 11mila nordcoreani in addestramento russo in Estremo Oriente, pronti a scatenarsi sull’Ucraina, per impedirne la vittoria annunciata urbi et orbi da Zelensky e ribadita dalla diserzione di massa dei reclutati a forza ucraini e dal conseguente rastrellamento di ragazzi e vegliardi nelle discoteche, osterie e per strada. E ulteriormente confermata dal crollo totale di tutto l’apparato militare ucraino, per quanto puntellato da esperti NATO sul posto.

La prova era uno sbiadito video, origine sudcoreana, di uomini con gli occhi a mandorla (ce l’hanno anche i russi dalla Siberia in poi), ma piuttosto scuri di pelle, che rimediano indumenti e zaini da soldati russi. Dove? Quando? Chi? Non si dice, “per ragioni di sicurezza”(?). Dovete credere sulla parola a Budanov, capo dell’Intelligence di Kiev.  Il fantasioso inventore dei 600 (prima ”alcune decine”) morti ammazzati dai russi a Bucha, o dei prigionieri ucraini sistematicamente fucilati. Il suggerimento gli era venuto dagli 8.000 “civili”, altrettanto reali, uccisi dai serbi a Srebrenica, dai 40 bambini decapitati e infornati da Hamas il 7 ottobre, o, ancora meglio dalle centinaia di bimbi asfissiati dai gas siriani a East Ghouta.

Conta che l’Ucraina democratica e presto, per forza, anche UE e NATO, ora ha ben due nemici, oltre alla Russia: la micidiale nucleare Corea del Nord, Cosa ci vuole di più perché il Piano per la Vittoria di Zelensky ottenga più armi, subito l’ingresso nella NATO, truppe NATO in Ucraina, truppe Ucraine in Europa, No Flight Zone e la licenza di tirare missili fino a Vladivostok (sono alcuni dei punti del “Piano per la vittoria”)?

Passiamo alle cose serie, sennò finiamo per avere i terroristi atomici di KimJong-un fin sotto palazzo Chigi a interrompere l’ammucchiata di Lloyd Austin e Mark Rutte con Giorgia Meloni e Guido Crosetto (Taiani porta il Viagra).

Grandi sorrisi di soddisfazione riesco a individuare, immaginando, tra i miei grandi ascoltatori e lettori, al sentire del filo rosso che va dipanandosi da Kazan in Russia a metà del mondo e passa e che va disegnando un bel sinusoide con tappe alle stazioni “PACE, COLLABORAZIONE, SOVRANITA’, MULTILATERALISMO, RISPETTO, AUTODETERMINAZIONE, UGUAGLIANZA, e capolinea d’arrivo NUOVO MONDO.

Questa è la promettente linea mondopolitana di cui i 9 BRICS (i fondatori più i 4 nuovi arrivi Iran, Emirati, Etiopia ed Egitto) stanno discutendo con i rispettivi capi di governo e di Stato di altri 30 paesi che hanno già bussato alla porta del Gruppo. Per ora comprendono giganti come Russia, Cina, Brasile, Sudafrica, Iran, più Venezuela e Arabia Saudita con un piede dentro, che già stanno al 45% della popolazione mondiale, al 35% del territorio planetario, al 40% del PIL, al 40% della produzione di petrolio e al 100% dell’opposizione all’unipolarismo globalista e alle sue guerre.

Potete immaginare cosa, con questi numeri, potrà capitare alla giostra dell’orrore con tanto di falciatrici sulla quale stanno girando quelli che si dicono membri della “Comunità Internazionale”, leggi “NATO”, quando i BRICS saranno integrati dagli altri 34 paesi che hanno espresso interesse all’ingresso. Altri 34 disobbedienti alle regole con cui i prepotenti dell’Occidente politico provano a mettersi in tasca il resto del mondo.

Certo non sarà una compagnia politicamente, socialmente, culturalmente omogenea e ci saranno inevitabilmente quinte colonne infiltrate che remeranno contro, sul modello dei reparti di sabotaggio renziani rimasti nel PD. Ma su alcuni punti si rivelano già oggi, con quelle stazioni del percorso programmato sopra elencate, assolutamente estranei e avversi al Nuovo Ordine Mondiale come concepito dagli USA fin dalla loro nascita, ma, soprattutto, come perfezionato dai Neocon con l’abbattimento delle Torri Gemelle attraverso la formula della “Guerra al terrorismo” per il “Nuovo Secolo Americano”. Dove il colpo di coda del serpente pare essere lo scatenamento dello Jack lo Squartatore di massa sionista.

Mentre scrivo, il vertice è ancora in corso e non sembra che abbia approfondito il discorso della dedollarizzazione. Sicuramente il gruppo sta cercando di trovare un altro modo per i pagamenti internazionali, via dallo strumento, del resto in buona misura svuotato, della moneta cartacea di un paese indebitato fin sopra i capelli. Si attuano già molti scambi nelle valute nazionali dei rispettivi i paesi, lo yuan cinese è diventata la terza moneta più utilizzata nel mondo e tra alcuni Stati si commercia in criptovaluta. Di certo si va imponendo la necessità di un sistema di rapporti finanziari diverso dallo Swift, dal quale le sanzioni hanno estromesso la Russia. Ci arriveranno.

Rimane un quesito aperto che tipo di relazioni si potranno stabilire tra BRICS e l’altro grande raggruppamento politico-economico, l’APEC, L’ente di Collaborazione Economica Asia-Pacifico che si riunirà a metà novembre a Lima, Perù. La sua composizione segna un equilibrio nominale favorevole agli Stati Uniti grazie ai pezzi di anglosfera presenti nell’area: Australia, Nuova Zelanda, Canada.

A fronte di questi e agli storici alleati o sottoposti degli USA, quali Giappone, Taipei,Tailandia, Filippine, Corea del Sud, è robusta la presenza, oltrechè di ondeggianti come Cile, Indonesia, Tailandia, dei capifila dei BRICS, Cina, Russia e di influenti stati prossimi ad entraci, tipo Messico e Vietnam. La partita è del tutto aperta, ma non pare poter ribadire la prospettiva di un pianeta a governance unipolare.

L’intervista si chiude con un argomento che resterà attuale e rilevante, quasi decisivo, nei tempi dei tempi. Un po’ come la questione se le mattanze e atrocità contro persone e popoli consentiti dal loro dio al popolo eletto, anzi da lui sollecitati, siano verità storiche, o i presupposti e, dunque, la legittimazione, forniti da antichi favoleggiatori, di massacri analoghi, che i presunti successori del Terzo Millennio vanno compiendo in questi giorni.

Noi, che abbiamo visto, capito e documentato come tutto il terrorismo, proprio tutto, sia l’arma che qualcuno adotta per mettersi sotto i piedi l’umanità, la risposta l’abbiamo pronta e lapidaria.

 

 

 

lunedì 21 ottobre 2024

Iena ridens vs carota anale USA, DAL SOGNO, MAI ESISTITO, ALL’INCUBO DI SEMPRE

 

I

 

Radio28NewsTV: Leonardo Lisanti  intervista Fulvio Grimaldi

In diretta18 ottobre alle ore 20:45

https://www.youtube.com/live/yNY_y4cBwlw
https://youtu.be/yNY_y4cBwlw

Kamala Harris e Donald Trump in corsa alle Elezioni USA 2024 che si terranno martedì 5 novembre: il mondo attende di scoprire chi sarà il vincitore e diventerà il nuovo presidente degli Stati Uniti d'America. Cosa accadrà dopo le elezioni? Quale percorso ci attende in caso di vincita dell'uno o dell'altro candidato? Ne parliamo in questa puntata di Radio28News con lo scrittore e giornalista Fulvio Grimaldi.

 

IENA RIDENS VS CAROTA ANALE

Mi scuso con le iene che saranno pure ridentes, buon per loro, avranno i loro motivi, ma meritano ogni rispetto, in quanto animali intelligenti e che sanno stare al mondo, e ogni simpatia, meritano, per la pratica migliore che l’essere umano vanta, il sorriso. Quello che sparge a piena coda il mio bassotto, quando scodinzola in attesa di carezza, o biscotto, o passeggiata.

Sorriso contagioso, tonificante e rasserenante. Quando non è ghigno di magliaro elettorale umano, come quello che caratterizza tutti coloro che ci fottono, da Biden a Meloni, da Larry Fink a uno qualsiasi dei Papi, nessuno escluso. Oggi ai nostri emuli neo-post è caro il ghigno del tizio che è scampato a un paio di fucilate, più o meno ben mirate, ed è in questo caso che le prospettive di penetrazione, solitamente di cetrioli, hanno assunto il colore della carota.

Qui proviamo a uscire dal limbo delle banalità e dei conformismi che caratterizzano, tra tanti altri conniventi, i commenti agli esercizi di anti-democrazia e presa per il culo delle elezioni USA, da parte di notabili come il pontefice, o il presidente, o qualsiasi loro ragazzo di bottega che queste virtù pratichi su giornali o televisioni.

Kamala Harris, o The Donald Trump? La differenza sta mica nel tè che prendono, portogli da valletti e cortigiane. Sta piuttosto nel biscottino che ci intingono: quale al piccantino zenzero, quale alla carezzevole cannella. Il tè rimane sempre quello: botte e vilipendio a tutti coloro che non gli riconoscono la tiara, o la corona che dio gli ha dato. Tè sorbito a las cinco de la tarde, ogni santo giorno di guerra che un qualche logaritmo manda in onda e in Terra..

Ci sono i legulei dell’onanismo mediatico mirato che disquisiscono sul voto USA con la perspicacia di quello che, nell’indimenticabile commedia del Trio, entrava e chiedeva a Pedro col bicchiere tra le labbra e il liquido che gli gorgogliava in gola, “Bevi qualcosa Pedro, bevi qualcosa?” Dicesi tautologia. Trattasi di dissonanza comunicativa, inevitabile conseguenza della dissonanza cognitiva da manipolazione.

Si tratta, in parole accessibili agli scampati alla dissonanza, di circolo vizioso: il padrino-padrone rigurgita qualcosa, tu lo raccoglie nel fazzolettino Kleenex e lo stropicci addosso all’altro passeggero, nel tuo viaggio attraverso i bizantinismi astuti che l’èlite di allora impose per sempre al sistema elettorale più truffaldino, sia nel prima, che nel durante, che nel dopo, che il mago di Oz abbia mai saputo concepire.

Prima fai votare i gonzi, opportunatamente indirizzati da qualche ossessione mediatica in cui si dice che uno dei due tromba il mondo insieme a Putin e che l’altro, sotterrato il suo laptop pieno di schifezze, droga, molestie sessuali, ruberie, è l’ottimo rampollo di un presidente che non si è mai accorto di niente (anche perché il figliolo lo confondeva con ottimi affari cinesi e ucraini). Sono cose che contano nel voto, mica il fatto che ti ritrovi tra alcuni milioni di espulsi in bidonville di roulotte fuori città, come a Lagos Nigeria, perché da Detroit al Kansas, in cambio dei missili per Zelensky, il costo dell’affitto e di tutto il resto è diventato troppo alto.

Fatti votare quelli così illuminati da New York Times, CNN, FBI e Obama, li metti da parte. Non contano molto, qualsiasi cosa abbiano potuto scegliere tra blackout notturni e vagonate di voti postali mai certificati, che arrivano giorni dopo, quando si tratta di rettificare quanto uscito dalle urne e dai logaritmi degli Hightech fidati  A questo punto arrivano i Grandi Elettori, 538, eletti anni prima nei vari Stati e, facendo delle schede del minuto popolo coriandoli con cui rallegrare quello stesso popolo, decidono loro chi debba essere presidente. 

Nel 2000 in Florida tra Bush e Al Gore se la si giocava per alcune decine di voti. Ma un riconteggio avrebbe potuto definire l’esito. Non lo fecero, non avrebbe prodotto l’esito giusto. Si rivolsero ai Grandi Elettori e si accapigliarono su chi ne avesse incamerato uno di più. Alla fine la Corte Suprema, con la maggioranza di giudici nominata da una delle due parti, decise, lei, chi avesse vinto. Optarono per Bush il minore. La maggior parte di quei giudici li aveva nominati il papà.

I nostri affidabilissimi Federico Rampini e Paolo Mieli giurano che quella è la più grande democrazia del mondo. E chi siamo noi per obiettare?

venerdì 18 ottobre 2024

SINWAR, ERA UNO, SARA’ TUTTI

 


Canale Youtube di Fulvio Grimaldi: 

https://www.youtube.com/watch?v=k86uButnMQ4

https://youtu.be/k86uButnMQ4

 

Dolore, rabbia, amore, hasta la victoria siempre, sono il vento che nasce dall’ultimo respiro del combattente per la patria, per gli oppressi, per la libertà. E che travolgerà il disumano.

Grazie, Yahya Sinwar. Senza di te siamo più poveri e deboli. Grazie a te siamo più ricchi e forti. Guidaci ancora.

عاشت فلسطين حرة عربية

eashat filastin huratan earabiatan (Viva la Palestina libera e araba. Me l’hanno insegnata in arabo a Gerusalemme nel giugno 1967)

 Fulvio

Oggi, il mio corpo era un massacro trasmesso in TV.
Oggi, il mio corpo era un massacro che doveva stare dentro frasi ad effetto e un numero limitato di parole.
Oggi, il mio corpo era un massacro trasmesso in TV che doveva stare dentro frasi ad effetto e un numero limitato di parole pieno di statistiche per replicare con risposte ponderate.
E così ho perfezionato il mio inglese e imparato le risoluzioni ONU.
Eppure, mi ha chiesto: “Signora Ziadah, non crede che tutto si risolverebbe se solo smetteste di insegnare tanto odio ai vostri figli?”.
Pausa.
Cerco dentro di me la forza per essere paziente, ma la pazienza non è esattamente quello che ho sulla punta della lingua mentre le bombe cadono su Gaza.
La pazienza mi ha appena abbandonato.
Pausa.
Sorriso.
Noi insegniamo la vita, signore.
Rafeef ricordati di sorridere...
Pausa.
Noi insegniamo la vita, signore.
(Rafee Ziadeh)


giovedì 17 ottobre 2024

7 ottobre e direttiva Hannibal. Fulvio Grimaldi risponde a Massimo Mazzucco

 



“Il Faro”

Francesco Capo intervista Fulvio Grimaldi

7 ottobre e direttiva Hannibal. Fulvio Grimaldi risponde a Massimo Mazzucco

https://www.youtube.com/watch?v=5oLXMoZvto

7 ottobre e direttiva Hannibal. Fulvio Grimaldi risponde a Massimo Mazzucco

 

Dove si parla, oltrechè delle bubbole di propaganda sionista (e suoi secondi a bordo ring) sul 7 ottobre, sulle quali i fasciosionisti fanno fluire l’oceano di sangue sparso in tutto Medioriente, della manifestazione VERA del 5 ottobre a Roma per la Palestrina, in contrapposizione a quella farlocca e copiona dei pacifinti e collaborazionisti del 12 Dove si parla anche del manifestare oggi, come, dove, con chi, alla luce della fascistizzazione in atto (vedi Decreto Sicurezza)

POLITICA A 360 GRADI IN PROFONDITA’ E SPESSORE


 



Stasera in onda Su Ottolina TV alle 21.30

Informazione e analisi di alto livello nella ricca e arricchente serata di Ottolina TV al Fraccicore di Centocelle, Roma, dove si è registrata la trasmissione di stasera, giovedì 17.

Alberto Fazolo e Gabriele Germani conducono il forum con Luca Marfè, Gianluca Ferrara, Emanuele Rotili, Andy de Paoli. Si spazia dalle pseudoelezioni USA, alle vere guerre, a cosa ci capita e c’è da aspettarsi sotto i regimi imperiali e i regimetti al seguito, con un interessante excursus sulla manovra culturale Wako.

Io seguo a ruota con un’intervista fattami da Alberto Fazolo e Gabriele Germani e, grazie alle loro stimolanti domande, spero di essermela cavata anch’io.




Bella serata, perfino nel fraterno confronto tra Gabriele Germani e il sottoscritto sulla vexata questio Vax SI-Vax NO, dialogo coronato comunque da un’ineccepibile concordanza: la pandemia utilizzata da pretesto e strumento per la strategia della trasformazione da cittadini consapevoli e attivi in sudditi passivizzati.

martedì 15 ottobre 2024

“NETANIAHU NON HA UN PIANO PER IL DOPO?” Ah ah ah ah ah !!!

 


Questa sera, martedì 15, alle 20, su  https://www.quiradiolondra.tv/live/   “Mondocane…punto” di Fulvio Grimaldi

 

Quod Deus perdere vult, dementat prius

C’è di tutto e di peggio. A partire dall’amico Volodymyr che vediamo scappare di capitale in capitale gridando “vittoria!” O da quell’altro, ancora più intimo, che ossessionato dal modello Churchill a Dresda, va scagliando bombe USA da 900 kg su tende spesse due centimetri, per il gusto di vedere bimbetti terroristi bruciare vivi (io l’ho visto fare a Gaza col fosforo bianco chiamato “Piombo Fuso”). Quando si dice “amici” si sa che sono quelli dei nostri benestanti politico-mediatico-economici e, in particolare della loro stella-guida “Yo soy Giorgia, soy una mujer, soy una madre, soy cristiana”. Noi,.che siamo i malestanti, stiamo lì a guardare, a farci picchiare da Pavolini-Piantedosi quando diciamo basta genocidio e … a piangere.

Ci occupiamo anche di quei bastardi dell’Unifil che anziché stare in Libano a ostacolare le razzie di Israele, dovrebbero stare in Israele a bloccare le – eventuali – razzie dei terroristi di Hezbollah. Peccato che Israele ha devastato, sterminato e torturato il Libano tre volte dal 1978, senza riuscire a civilizzarlo come Gaza e la Cisgiordania. A dispetto dell’aiuto che gli hanno sempre fornito (Sabra e Shatila) i patriottici (come Yo soy Giorgia) contractor fascisti della comunità cristiano-maronita.

Ricordate all’ONU il pendaglio da forca inseguito, oltrechè dalla giustizia dell’artefatto che si chiama Stato degli ebrei, dalle persone perbene di tutto il mondo, palestinesi e libanesi in testa, mentre esibisce le due mappe? Una intitolata la “maledizione” che, poi sarebbero i paesi della Resistenza allo Stato fuorilegge e l’altra la “Benedizione”, dove si vede un frego, che dovrebbe essere un ponte, in partenza dall’Oceano Indiano e in arrivo sul Mediterraneo. Per dove? Ma è ovvio, per il paese del popolo eletto, unico, tra i popoli della Terra, caro a dio e a cui ogni cosa è permessa, fosse anche lo sterminio di tutti gli altri esseri viventi.

Sterminio che Bibi e i suoi complici, scampati al manicomio criminale, mettono in conto se si tratta di compierlo per arrivare al Grande Israele. Del quale quel ponte è la premessa. Cosa vuole quel ponte della “benedizione”? Benedire l’eliminazione dei maledetti togliendo di mezzo quel passaggio da Est a Ovest e dal Sud a Nord e viceversa che, al momento, grazie a Mar Rosso e Canale di Suez, offre ricchi frutti e attento controllo a un sacco di gente, arabi egiziani compresi, cui, secondo la logica del dio che ha eletto il popolo, non spetterebbero proprio. Quel transito dell’energia e delle altre ricchezze del pianeta deve passare sotto il controllo e per il profitto del popolo eletto.

Guardate la mappa di Bibì: da dove passa il frego rosso? Ma da Israele, anzi, proprio da Gaza e, precisamente, scarta a destra nel Mar Rosso, entra nel Golfo di Aqaba, costeggia gli amici sauditi e giordani e s’infila nel porto israeliano di Eilat, non per caso ripetutamente colpito dai missili dei bravi yemeniti. Si chiama, nei vaneggiamenti dei millenaristi di Sion, “Canale di Ben Gurion”, altro che di Suez.

Da lì in poi è tutto Sion. Fino a sbucare sul mare all’altezza di Gaza, dove può pure attingere, nel passaggio, all’ampio giacimento di gas, nominalmente di proprietà dei gazawi palestinesi. Proprietà, però, che il “dio degli eserciti” non ha previsto.

Pensate che c’è sempre chi, per dabbenaggine o, piuttosto, per perfida malizia, fa di Netaniahu e compari una banda di sprovveduti che menano colpi a casaccio. Costoro propagano la fola che i sionisti “non hanno un piano per il dopo”. Se lo dicono anche tra di loro, per rafforzare l’inganno là fuori. E continuano a dirlo anche dopo aver osservato con ammirato stupore, il frego rosso di Netaniahu dall’India al Mediterraneo.

 


 “Voglio uno Stato ebraico che comprenda Giordania, Arabia Saudita, Egitto, Iraq, Siria e Libano”. Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze di Israele.

Cosa dicevano quelli, capeggiati da Theodor Herzl, al Primo Congresso Mondiale del Sionismo? Che Israele deve essere e sarà grande, grandissima. Erez Israel, la grande Israele. E l’hanno poi ripetuto e giurato tutti i successori, soprattutto quelli che hanno messo a ferro e fuoco, biblicamente, la Palestina e i palestinesi: Ben Gurion (non per nulla il nuovo canale si chiama come lui), Golda Meir, Begin, Shamir…. E chi di questi vampiri non l’ha detto, l’ha custodito nel cuore e nelle atomiche.

Come si fa? Si arriva in Palestina, protetti e lubrificati dalle armi, dalla propaganda, e dai sensi di colpa dell’Occidente politico, si racconta in giro di essere un popolo senza terra per una terra senza popolo, si fanno sparire, prima dalla conoscenza e poi dall’esistenza, i millenari locali, si giura che i propri bis-tris-quater-nonni vivevano lì e che, dunque, si torna a casa e si beccano due terzi del territorio.

Si chiude in riserva indiana quelli dell’altro terzo, che sono l’80 per cento degli abitanti e si comincia a rosicchiare altro territorio. Prima a nord, Libano, dove per tre volte, 1978, 1982 e 2006, gli va male. Poi a sud, Gaza, cinque volte tra il 2009, tanto per ammorbidire (come noialtri col Covid), e oggi. L’ultima pare che gli vada bene. Almeno un altro pezzetto, metà della Striscia pensano di esserselo assicurato. Vale ben un genocidio e l’ostracismo di 8 miliardi di esseri umani veri. Di cui, del resto, nessun è eletto.

Poi ci si riprova a nord, altro pezzetto, almeno fino al fiume Litani. Per il restante, quello definito da Herzl e sacralizzato nelle tavole di Mosè e Ben Gurion, il “Grande Israele dall’Eufrate al Nilo”, c’è tempo. Siamo o non siamo millenaristi. Lasciamo che gli abusivi indigeni rompano le palle piagnucolando “dal fiume al mare”. Noi pensiamo in grande.

E poi c’è chi dice che “non abbiamo un piano per il dopo” ,

Intanto a me piace ricordare quando, nel 2006, al termine di 33 giorni di calci in culo inflitti da Hezbollah, vidi Israele farsi coniglio e scampare oltre confine (dove arrivai appena in tempo per visitare a Khiam il carcere-simbolo dell’anima sionista: un apparato della tortura che ad Auschwitz avrebbe fatto un baffo). Sono passati 18 anni, tempo per una bella replica. Hai visto mai.

 

venerdì 11 ottobre 2024

VAL DI SUSA, L’ALTRA GUERRA Trattamento sionista di una valle

 


Questa sera, venerdì 19 ottobre, alle 20.00 su https://www.quiradiolondra.tv/live/

 

Alberto Perino, psichiatra, leader del Movimento No Tav da almeno 6 lustri e, se mi posso permettere, mio amico e, poi, protagonista del mio documentario “Fronte Italia – Partigiani del Duemila”. E’ morto giorni fa. La valle, che ha difeso con tutte le sue forze, tutta la sua intelligenza, tutta la sua vasta e profonda cultura politica, sociale e ambientale, ne è vedova. Le barricate del popolo, dei combattenti per giustizia, libertà, autodeterminazione e per casa, comunità e storia, alle quali Perino era stato in testa per oltre vent’anni, resistono, resisteranno, continuano a vedere ciò che i suoi occhi vedevano, limpida e immancabile: la vittoria.

Nei giorni scorsi c’è stata la centesima, duecentesima, millesima, violenza dello Stato contro i cittadini titolari del territorio, della volontà, del diritto della Valsusa a decidere di sé. Di sé, ma nell’interesse del paese, anzi, dell’umanità tutta. Come l’ha saputo riunire in valle Alberto Perino quando ha raccolto intorno a se i coscienti della vita nostra e loro; i nativi delle Ande, i Sami dell’Artico, i mongoli della steppa, i palestinesi occupati, espropriati e perseguitati come i valsusini. E tanti altri di quelli dotati di coscienza e volontà di resistenza e contrattacco.

Alberto era stato il promotore dell’acquisto, da parte di un migliaio di cittadini, di un terreno sul quale alitava la voracità di chi, dalla fine del secolo scorso, punta a sventrare e desertificare la valle con un progetto tanto demenziale quanto speculativo e arrogante: l’Alta velocità (poi, per mancanza di traffico, ridotta ad alta capacità di merci). Un progetto inutile, accanto a una ferrovia Torino-Lione già sottoutilizzata, dovuto alla fregola delinquenziale di una consociazione politico-industriale che si ripromette di pasteggiare a un banchetto di 9 miliardi per 370 km, gli uni e gli altri rubati alla gente e che inevitabilmente le sarebbero poi costati il doppio.

Assolutamente indifferenti ai diritti di proprietà, quando ostano al profitto, quelli del TAV, da sempre confortati dalle autorità regionali, amministrative e giudiziarie (tipo il ladro confesso e patteggiato Fassino, già sindaco di Torino), hanno deciso espropri su quel terreno e stanno procedendo a occuparlo. Serve l’ennesimo cantiere per il mostro-salvadenaio dei manigoldi consorziati.

Ho passato molte settimane, ripetutamente, in Val di Susa, con Perino, Nicoletta Dosio, i combattenti irriducibili dell’Askatasuna di Torino e di tanti altri centri di aggregazione antisistema. Il materiale raccolto e collocato nel docufilm sopra nominato, si estende su altri NO della società in lotta che presidiano il paese e con la Val di Susa fanno rete. Quei NO che turbano il rullo compressore di personaggi come l’attuale Matteo Salvini e suoi supporter che lui supporta, spesso con la coppola in testa e il mitra sotto la giacca.

E sono i NO TAP del Salento contro l’oleodotto che squarcia l’Italia, per far vendere a Big Oil petrolio all’estero; i NO MUOS di Niscemi, tuttora in lotta contro l’impianto di quattro mega-antenne satellitari USA che devono dirigere le guerre che Washington e NATO allestiscono per fare viaggiare la loro flotta capitalcolonialista su quegli oceani di sangue; i NO POLIGONI e NO BASI che vaiolizzano ambiente e umani dalla Sardegna alla Sicilia, dal Friuli alla Toscana, dalla Campania alla Puglia.

Quando ora, finalmente, prenderà slancio e vigore la nostra lotta contro la guerra, ricordiamoci che lo sterminio non è solo di paesi e popoli al di là dei nostri confini. Che a contribuire al suo successo servirà avere coscienza anche della guerra in cui le ruspe sostituiscono i carri armati, che si vince avendo piedi fermi su una terra salda e viva. Come quella per cui si lotta in Val di Susa e nelle altre trincee dei “partigiani del Duemila”. Nel conforto di ricordi che vanno dal Che Guevara ad Alberto Perino.

giovedì 10 ottobre 2024

REGALO DI MAZZUCCO A ISRAELE--- --- Un video del giornalista investigativo denuncia Hamas creatura consapevole di Israele. Peccato che i file di Wikileaks e l’evidenza politica e materiale dicano il contrario

 


Massimo Mazzucco è un valido giornalista-regista investigativo. I suoi lavori, Il presunto allunaggio, l’autoattentato dell’ 11 settembre, il mega-imbroglio Ucraina, meritano le nostre standing ovations. E’ un amico, per quanto distanziatosi, forse in seguito ad alcune divergenze su interpretazioni dei fatti. Con il video sul 7 ottobre dell’attacco di Hamas ha, a mio avviso, indebolito la sua credibilità. Volente o nolente, il suo è stato il ricorso a uno dei classici sistemi messi in campo per demolire l’onorabilità e la verità di un protagonista della lotta contro il Potere.

E aggiungo una considerazione cruciale. Fosse anche fondata la tesi di un Hamas prezzolato a suo tempo e poi lasciato fare il 7 ottobre e quindi spinto nella trappola – e NON lo è - , diffonderla ora, per amore di scoop alla Fracassi, a detrimento dell’onorabilità e dell’integrità del cuore della resistenza palestinese e umana, significa assumersi una pensate responsabilità

Lo si è fatto molte volte e io ne sono stato testimone, in particolare al tempo delle guerre all’Iraq. Saddam Hussein, da sempre l’antagonista più coerente e pericoloso per americani e Israele, andava distrutto moralmente ancora prima che militarmente.

Si fece credere a un’opinione pubblica, che ne stava sostenendo la causa antimperialista e antisionista e costituiva massa critica nell’opposizione internazionale a contrasto della guerra (ricordate i milioni in piazza detti “La Terza Potenza Mondiale”?), che, dopotutto, il presidente iracheno aveva delle vergogne da occultare: era stato “l’uomo degli americani” i quali lo avevano armato per decenni e, in particolare, contro l’Iran. Quindi, agli occhi del suo popolo e dei suoi sostenitori internazionali, doveva risultare un inaffidabile doppiogiochista, al quale non andava concessa nessuna solidarietà

La storia degli armamenti USA forniti a Saddam si dissolse presto e sotto i miei occhi: né a noi inviati sul campo, né dalle tante riprese dei giornalisti embedded in onda sulle tv di tutto il mondo, risultò mai una sola arma statunitense in mano all’esercito iracheno. Neanche una colt. Era tutto, dal Kalashnikov al mortaio, antiquato materiale sovietico. Mosca aveva cessato di rifornire Baghdad fin ai primi anni ’90, epoca gorbaciovian-eltsiniana della “convivenza pacifica”.

Chi veniva invece rifornito dall’Occidente, perfino di armi israeliane, era l’Iran: ricordate lo scandalo “Iran-Contras”? Con i soldi ricavati da quelle vendite si pagarono e armarono gli squadroni della morte utilizzati dagli USA contro il Nicaragua sandinista (per fortuna oggi ancora in piedi a dispetto di Washington e Vaticano).

Presentatosi e risettatosi con la denuncia delle condizioni dei palestinesi di Gaza, prima e dopo il genocidio in atto, Mazzucco ricorre a un esempio tirato crudamente per i capelli: l’attacco giapponese a Pearl Harbor, provocato, come è ormai ammesso e documentato da sopravvissuti e ricercatori, dalla minaccia di un’aggressione statunitense fatta pervenire a Tokio. I giapponesi ci credettero e decisero un’azione “preventiva”, Roosevelt sacrificò navi e uomini, ma potè dichiarare guerra all’Impero del Sol Levante.

In Palestina le cose sono un po’ diverse, a dispetto dello sforzo di farle apparire affini. Sforzo che Mazzucco non è il primo a fare. Subito dopo il 7 ottobre, sono spuntati come funghi coloro che provarono, nel nome dell’infallibilità degli apparati israeliani e della bassezza morale dei loro nemici, a giurare che è tutto un lavoro, per quanto cinico e brutale, dei diabolici israeliani.

Dunque, per Mazzucco, Israele s’è fabbricata Hamas, fine anni ’80, per contrastare Fatah del vecchio e pacificato Arafat (quello del grande imbroglio di Oslo), che stava veleggiando tranquillamente verso la senilità e, superate le intemperanze giovanilistiche della Prima Intifada, verso un quieto convivere con i vari Barak, Rabin, Netaniahu (il primo), Olmert. L’idea era quella di ridurre l’ancora percepita minaccia potenziale di Fatah ad ancora più miti termini, facendogli balenare un rivale, Hamas.

Bastava, si calcolava, lasciare passare i soldi che i Fratelli Musulmani del Qatar passavano ai fratelli di Palestina per vedersi spaccare in due il movimento. Lo ribadivano gli “Israel Files” di Wikileaks, esibendo gli scambi tra intelligence e ministeri degli esteri di Washington e Tel Aviv. Ne veniva fuori un moderato malumore verso Fatah, tuttavia temperato da compiaciuti riferimenti alla sua disponibilità ad acconciarsi, un qualche pensiero su quell’entità ambigua di Hamas e, nell’evolversi della situazione, una sua netta identificazione come nemico.

Tutto qui: l’idea che Israele si fosse creato Hamas, l’avesse coltivato, promosso, pagato, non ha la benchè minima base. Ci hanno provato a utilizzarlo come cuneo per fossilizzare il movimento, lasciando passare aiuti e soldi dal Qatar. Poi, vista la piega delle cose, cioè visto un’partito-organizzazione combattente che aveva guadagnato l’egemonia, anzi il monopolio della resistenza, grazie alla sua identità genuina e alla sua determinazione a riprendere e rafforzare il filo della lotta per la liberazione, è iniziata la guerra, strisciante prima, poi genocida.

Con Hamas vittorioso delle elezioni in tutti i territori occupati, ma non impedito da Fatah-Abu Mazen e dai loro conviventi-conniventi israeliani a imporsi al governo di Gaza, parte la strategia dello sterminio progressivo: il carcere a cielo aperto, la riduzione degli spazi e mezzi per vivere, la confisca degli aiuti, finanziari e altri, le incursioni, i raid.

Siamo agli inizi del secolo. Nel giro di tre lustri si succederanno cinque aggressioni, un po’ via mare e aria, un po’ via terra, un po’ tutto. Strano trattamento per una creatura che viene detta tua. Io ne ho visto e vissuta quella che, prima dell’8 ottobre, è stata la più feroce e distruttiva: “Piombo fuso”, dal dicembre del 2008 al gennaio 2009. Quando, incendiata dal fosforo bianco, la gente si inceneriva sull’asfalto, lasciandovi una sagoma nera; quando una ragazzina di 12 anni mi raccontò che i suoi famigliari, 27, usciti di casa con il fazzoletto bianco levato alto, vennero mitragliati da Tsahal; quando le tre bimbette, figlie di un giornalista di Gaza che era in collegamento diretto con una TV israeliana, vennero disintegrate nella stanza accanto, centrata da un missile perfettamente consapevole.

Torniamo al teorema di Mazzucco. La sua descrizione, anche grafica, del Kolossal  di sorveglianza intorno a Gaza, di barriere elettroniche, meccaniche, fisiche, a innesco automatico e, magari, a raggi ultravioletti e infrarossi, palloni aerostatici, deve essere tratta dal rendering di qualche progetto ultracibernetico. Perché non risultano a chi ha giracchiato da un lato o dall’altro della linea di separazione. Esistono barriere di reti elettrificate di cemento, torri di osservazione, radar, Quelle che Hamas ha sfondato con le ruspe e sorvolato con i parapendii, mentre l’apparato umano del comando militare principale, Erez, dormiva. Si fidavano dei dispositivi di sorveglianza che Hamas aveva neutralizzato e poi superato. Erano anni che nessuno aveva provato a passare. Del resto, nell’era dell’Intelligenza Artificiale, si sa, basta un cavetto tagliato per mandare in tilt il sistema.



Del resto, nei lunghj mesi della precedente operazione di Hamas, “La Grande Marcia del Ritorno”, nel 2018, l’architettura descritta da Mazzucco non esisteva, se non nelle forme più o meno perpetuatesi fino al 7 ottobre. Migliaia di palestinesi di Gaza si avvicinavano alle reti di recinzione e da lì lanciavano sassi e aquiloni incendiari. I due schieramenti si distanziavano di non più di 200 metri. L’IDF e la polizia di frontiera rispondevano sparando: 234 morti.

Per quel che vale, io stesso, durante l’operazione “Piombo Fuso” contro Gaza, mi ero avvicinato alla linea di separazione tra Gaza e il resto della Palestina occupata. La presenza israeliana visibile era costituita da torrette di controllo con soldati che, all’occorrenza, uccidevano i contadini che si avventuravano a lavorare nei loro campi.

L’evidenza del fallimento dell’apparato di contenimento israeliano era l’assoluta sorpresa che ha caratterizzato la reazione israeliana. Il comando di Erez era stato fulmineamente occupato da Hamas e i suoi membri ridotti a rifugiarsi nei bunker sotterranei, incapacitati di organizzare le difese. Soprattutto grazie a questa defaillance, Israele dovette reagire in misura improvvisata, scoordinata, avventata. Con tanto di precipitarsi di carri armati e ben 29 elicotteri d’assalto che, data l’adozione della famigerata direttiva Hannibal (uccidere gli ostaggi piuttosto che farli portare via), spararono non solo sugli incursori gazawi, ma su tutto ciò che si muoveva. Figuraccia incancellabile per il “terzo o quarto esercito più potente del mondo”. Umiliazione letale.

Mazzucco avrebbe fatto bene a corroborare, con la sua perizia, le tante versioni, basate su testimonianze, prove, immagini, che israeliani onesti e altri ricercatori hanno prodotto su quel massacro da fuoco amico. Anche quelle sulle decapitazioni di neonati e sugli stupri di massa via via inventati da Tel Aviv e dai suoi portatori d’acqua per rimediare allo scacco e giustificare la mostruosità di Gaza,

Oltre all’incrinatura del grande artificio propagandistico dell’invincibilità e invulnerabilità del più efficiente esercito e della più avanzata potenza mediorientale inflitta da Hamas e per la quale hanno pagato con ignominiose  dimissioni forzate tutti i responsabili di esercito e intelligence, lo spot pubblicitario di un Hamas coltivato e lasciato fare dallo Stato ebraico trova una smentita incontrovertibile negli esiti militari e, soprattutto, politici del presunto complotto di Netaniahu e sodali.

Sarebbe grazie ad esso che Israele è andato precipitandosi in una fase declinante che ne avvicina un credibile epilogo? Grandi strateghi davvero! Gaza, dopo un anno di aggressione con tutti i mezzi di sterminio e distruzione a disposizione, Hamas, presunto prodotto di Israele, non è stata debellata, continua a colpire Israele a Gaza e fuori e l’obiettivo di sollevare la popolazione decimata di Gaza contro Hamas è risultato onirico. Nessuno degli obiettivi fissati è stato raggiunto. La guerra dei tunnel neanche iniziata, la città sotterranea di Hamas (qualche cantina di ospedale fatta passare per bunker di Sinwar), su 250 ostaggi in un anno liberati appena 6.

In compenso Israele ha suscitato una rivolta di popoli tutt’intorno a sé e l’indignazione e l’isolamento di tre quarti dei paesi del mondo. La statura morale, fondata su un vittimismo, storico e attuale, che ne occultava il ruolo di carnefice sistematico, è stata disintegrata. Israele è percepito come protagonista mondiale del terrorismo contro i civili. La misura del suo impazzimento sta nella risposta all’isolamento planetario consistente in un’esasperazione di quello stesso isolamento: i paesi del mondo, riuniti nell’assemblea generale delle Nazioni Unite, insultati come “palude di antisemitismo”, il suo Segretario dichiarato persona non grata nello Stato sionista, le basi dell’Unifil in Libano attaccate a cannonate.

Per quanto se ne celino i risultati, Israele è colpito in profondità, ma sempre su obiettivi militari o infrastrutturali, da una crescente schiera di nemici che ne moltiplicano i fronti di impegno militare e la dimensione critica sul piano economico. Tra Sud e Nord, 250.000 persone, coloni anche quelli arrivati 80 anni fa e loro prole, hanno dovuto essere evacuati. La crescita del paese, privato della maggior parte degli investimenti si avvicina allo zero, Nell’apparato produttivo sono venuti a mancare sia la componente matura, tecnologica, richiamata alle armi per una guerra che non finirebbe mai, sia la bassa manodopera dei palestinesi. L’immigrazione, indispensabile per contenere l’irriducibile vitalità demografica palestinese e araba, si va trasformando in un poderoso flusso emigratorio.

La fine dello Stato del razzismo e della violenza non sarà vicina, ma non è neanche lontana. Comunque è inesorabile e autoinflitta. Un bel argomento per un’eccellenza del giornalismo d’inchiesta come Massimo Mazzucco.

martedì 8 ottobre 2024

Metodo False Flag + Fake News 11 SETTEMBRE, CAPACI, 7 OTTOBRE… FUNZIONA COSI’

 

Metodo False Flag + Fake News

11 SETTEMBRE, CAPACI, 7 OTTOBRE… FUNZIONA COSI’

(E stasera alle 20, puntata di “Mondocane…punto” su

QTv • Qui Radio Londra TV live)

 


Spunti di riflessione di Paolo Arigotti: Il ringhio del bassotto: a 90 secondi dalla mezzanotte nucleare (con Fulvio Grimaldi)

https://www.youtube.com/watch?v=MhGLjuKuAaw

https://youtu.be/MhGLjuKuAaw

 

Dove si guarda dietro alle Fake News sul 7 ottobre sparateci addosso da Netaniahu e compari, divorati e rivomitati su di noi dall’imperial-colonial apparato politico-mediatico, sulla falsariga dell’11 settembre, delle nostre stragi di Stato, degli attentati terroristici in Europa, dell’ Al Qaida di Hillary Clinton… e andare. Tutta roba utilizzata come trampolino perché i carnefici  possano precipitare sulle loro vittime facendolo passare per vendetta, rappresaglia, ritorsione, giustizia.

Dove si fa il confronto fra due manifestazioni, una per la Palestina e contro i genocidi, il 5 ottobre, l’altra, per finta, di cagasotto e collaborazionisti (pure qualche venduto palestinese) il 12. La prima proibita dal Pavolini di turno, Piantedosi ministro di Polizia, la seconda benevolmente autorizzata e, sotto sotto, pure benedetta dal capo dei pretoriani di regime.

E pensate che faccia come il culo devono avere quelli che si sono dileguati dalla prima, quella vera, dal regime servosionista proibita e da loro sabotata, quando nel pubblicizzare la loro, quella dei rinnegati, interni al meccanismo Fake News, scrivono che fanno questa cosa “contro i divieti del governo”. Divieti del 5 ottobre ai quelli si sono prontamente associati, contro i palestinesi e filopalestinesi autentici.

Quella dei pacifinti (visti ad Assisi il 21 settembre) e finti-antiNato, e finti-anti vittime civili e fintitutto, è una tara di questa società intrisa di clericalismo e relativa ipocrisia, un tumore da estirpare attraverso una costante opera di disvelamento e sputtanamento. Whatever it takes, costi quel che costi, stavolta lo diciamo noi.

Di altro si parla qui. C’è molto da dire sull’universo della menzogna e dell’occultamento come manovrato dalla comunicazione di Sistema. Quella che pretende un Israele invincibile, che deve indurci alla rassegnazione, se non alla sottomissione, rispetto all’impazzimento criminale della strategia di domino dell’aberrazione sionista (che poi è, in fondo, di sopravvivenza nel razzismo, nella ferocia colonialista e nel conseguente isolamento morale dal mondo degli umani, affannosamente accusato di antisemitismo).

Vale per la negazione delle punizioni inflitte dall’Asse della Resistenza, delle sei basi militari in Israele colpite dai missili iraniani che hanno sfondato l’Iron Dome e non stati fermati neppure dalla contraerea USA; delle decine di soldati sionisti fatti saltare in aria dalle trappole esplosive di Hezbollah (presuntamente decapitato e disarmato), al loro primo ingresso in Libano (Libano che ha saputo dimostrare quanto poco invincibile sia il “più forte esercito della regione”, quando non arriva dal cielo, ma devo combattere sul terreno), dai missili balistici e ipersonici arrivati da Yemen e Iraq.

E qui si impone una constatazione sulle famose regole d’ingaggio. Nettamente diverse le une dalle altre. Quelle osservate da Israele contemplano la facoltà di bombardare agglomerati urbani a Gaza, in Libano, in Cisgiordania, zeppi di civili, mirando con particolare fervore a donne e bambini (42.000 ammazzati dalle bombe a Gaza, ma 118.000, secondo i medici USA sul campo, sotto le macerie, uccisi da malattie croniche non curate, da fame, da epidemie). Quelle dei palestinesi, iraniani, Hezbollah, yemeniti, iracheni, invece, colpiscono centri militari, strutture aeroportuali e portuali, sedi dell’Intelligence, con effetti collaterali vicini a zero. Quante vittime civili dalla recente incursione iraniana in Israele? 180 missili e zero vittime. Autentici virtuosi.

Resta da decifrare cosa si potrà verificare a seguito della minaccia israeliana di colpire l’Iran, centrali nucleari o petrolchimiche che siano. La quale minaccia viene presentata come “risposta”. E’ la risposta alla risposta alla risposta alla risposta all’attacco terroristico contro l’ambasciata dell’Iran a Damasco, col corredo degli assassinii mirati di leader della Resistenza e di portatori di cercapersone e walkie talkie e loro dintorni civili. Chi ha cominciato? Nessuno se lo chiede. Neanche per il conflitto in Ucraina. E’ sistematico, come le False Flag e le Fake News.

Nel giro dei complici dal masskiller israeliano ci si sta strappando i capelli all’idea che questi mentecatti del culto della morte attacchino l’Iran, con conseguente catastrofe economica mondiale (già il prezzo del petrolio è salito del 13% in tre giorni). Dal Golfo Persico passa il 50% del petrolio e gas usato nell’Occidente tormentato da inflazione e recessione. A Tehran basta bloccare gli stretti di Hormuz con qualche nave, a galla, o affondata.

Ne vedremo delle brutte. Forza e coraggio.

 

 

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