Marzia di Sessa su 9MQ intervista Fulvio Grimaldi
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Partendo dai 200 missili iraniani che hanno fatto il
contrario di quanto gli inattaccabili signori di tutte le guerre e di tutti i
terrorismi ci vogliono far credere, cioè hanno colpito pesantemente nel segno,
ci occupiamo dei ribaltoni e ribaltini della realtà, con annessa verità, che
qualcuno di molto riconoscibile pratica da ottant’anni in Medioriente.
Capovolgimenti, tuttavia, che sono diventate le colonne portanti nella nostra
parte del mondo, la conditio sine qua non per esercitare il fascismo del terzo
millennio. Tutto questo, grazie essenzialmente al supporto dei cantori uniti
della turlupinatura.
Pescando nella teca delle favolerie antiche, la
turlupinatura del colto e dell’inclita inizia qualche millennio fa e parrebbe destinata
a inquinare sistematicamente la nostra specie a vantaggio di chi se l’inventa. Fino
a quella finaccia del mondo che tutti i monoteisti ci prospettano (incrociamo
le dita e tocchiamo tutti i ferri di cavallo rimasti).
E’ successo che una tribù egizia di menacapre del deserto si
sarebbe fatta irretire da quel pazzoide di Akenaton e dalla sua stramba
invenzione di un dio unico. Svaporato, nell’indignazione generale e nell’intelligenza
diffusa, quel progetto faraonico, nient’affatto innocente, di ridurre tutto, possesso,
dominio, comando, a un unicum e tornati alla democratica pluralità di gusti e
dei, quella tribù di pastori si trovò spiazzata. Malvista dalla gente di
buonsenso e delle sane tradizioni, decise di lasciare il paese e avventurarsi
al di là del mare. Rosso. Dove trovare nuovi pascoli e su nuove cime ventose
far incontrare il proprio capo unico con quel dio unico. A dispetto dei
nostalgici, nella piana desertica, riuniti attorno al vitello d’oro che questi
qua, in vista della sopravvivenza hic et nunc, insistevano a preferire al dio
delle compensazioni vaghe e venture.
Inutile dire di quanto, della turlupinatura, è stato logorato
e, addirittura, lacerato dall’uragano della realtà: aggressori strutturali e
secolari che apparivano sul proscenio come lacere vittime, costrette di
malavoglia a difendersi, loro, da terroristi. Tanto vittime a prescindere, quanto
sorretti dai padroni della materia vivente e inerte, perché facessero alla
specie cose che mai nessuno nell’intera Storia, da Zeus incazzato a Jack lo
Squartatore.
Praticavano la lotta al terrorista sparando sulla propria
gente purchè non venisse rapita, o fulminando con tiri alla testa ventimila
bambini, o, ancora, assaltando, per la terza volta in 42 anni, un paese vicino perché
osava impegnarsi in difesa di quei bimbi. Senza parlare degli assassinii mirati
a gogò di coloro che, da Obama in qua, considerati sospetti, sono terroristi da
eliminare. Specie se sono i capi di popoli di troppo.
Tutto questo è possibile grazie ai chierichietti che, in
coro, cantano quella liturgia, moralmente valida e storicamente vera quanto le
bizzarrie di Akenaton. Vanno compresi, ne va della loro fortuna e delle loro
fortune, come elargite da quel fortilizio della lotta al terrorismo che sono i
soprannominati padroni di ogni cosa, quali gnomi di Zurigo, quali gnomi in
banche e Fondi d’investimento USA. L’essenziale è che siano vampiri giganti
travestiti da bonari gnomi. Fa parte della turlupinatura.
Questo è quanto riusciamo a vedere di grande, anzi di
colossale, basta scostare un tantino il Velo di Maia. Poi ci sono le
turlupinaturine, piccole, ma fetentine: Quando bombarda Israele, non rimangono
che le ossa e i cocci da esibire al mondo intero: fa lezione. Quando sparano
gli altri, finisce tutto sull’Iron Dome e non turba neppure il sonno dei bimbi d’Israele.
Non centrano mai niente questi ottenebrati barbari. Proprio come il popolo
eletto del librone delle turlupinature primigenie era immune a genti invisi a Jahvè,
amaleciti, cananei e tanti altri che fossero, fino ai palestinesi.
Poi ci pensa la realtà a individuare, nel mattino israeliano
di mercoledì 2 ottobre, crateri enormi, macerie di basi militari (come già il
14 aprile scorso, nella prima risposta iraniana), giganteschi bagliori da
impatto, incendi lungo interi orizzonti. Per capire meglio cosa rivelino non
guardate La 7, o il Corriere, o il cucuzzaro di Palazzo Chigi. Basta una
qualunque fonte fuori dall’arcipelago NATO.
E così vedreste finire come un castello di sabbia l’immunità,
l’invulnerabilità, l’inviolabilità del Mazinga insediatosi in Palestina.
Verreste a sapere delle centinaia di obiettivi colpiti dai missili Hezbollah,
da quelli ipersonici degli yemeniti (altro che “ribelli”, sono la nazione), da
quelli balistici delle forze patriottiche irachene, delle basi USA colpite in
Siria. Tutta roba occultata a difesa del mito della superiorità insuperabile,
quello che deve paralizzare e far rassegnare. E intanto bruciano il Porto di
Haifa, l’aeroporto di Tel Aviv, la sede centrale dell’unità terroristica di
élite “8200”, il quartier generale del Mossad a Glilot. Ne girano le immagini.
Un NonStato in agonia
Le vittime dello Stato-nonStato (per mancanza dei requisiti
di diritto internazionale e umano) e chi gli resiste sanguinano come non si è
mai sanguinato in così poco spazio e tempo. Ma il NonStato corre verso l’autodistruzione.
Gli occupanti, più che sangue, perdono linfa. Nei primi tre mesi dell’anno lo
hanno già abbandonato 500.000. Mezzo milione su 9, soprattutto giovani, la
classe tecnocratica, indispensabili all’efficienza militare e terroristica (e i
palestinesi nel mondo sono 12,5 milioni, 5 aspettano di rientrare)).
La sicurezza, economica e sociale, è compromessa. Moody’s, l’agenzia
di valutazione del debito, ha abbassato il rating di Israele da A2 a Baa1 e
dichiara “il rischio è alto e le prospettive rimangono negative”. La manovalanza
palestinese che teneva in piedi l’edilizia, vitale per la colonizzazione, è
bandita o fatta fuori. Erdogan nega il cemento, l’unico che arrivasse ai
costruttori. L’industria cede quadri e forza lavoro all’esercito, ricerca e manifattura
ne sono spedite in crisi.
Dal 7 ottobre della mattanza da fuoco amico la crescita
economica ha subito un crosso calo. Il PIL è calato del 21% già nei primi tre
mesi dell’anno scorso. Gli amici di JP Morgan hanno fissato la crescita all’1,4%.
Gli investimenti esteri si sono dileguati e non sono certamente compensati da
una spesa per la “difesa” fuori controllo. Decine di migliaia di aziende hanno
chiuso perché non c’è da fare e con chi fare, visto che i dipendenti devono
sterminare palestinesi e arabi. Domani iraniani, chissà. Quanto resta nel
forziere, va ai coloni negli insediamenti, ma l’élite economica funziona alla
libanese: via da qui, i quattrini, verso depositi sicuri.
Ilan Pappè ha scritto “Il crollo del sionismo”. Crollo che potrà
essere ritardato da Biden, Trump, Larry Fink, Elon Musk., Jahvè… Ma fino a
quando? Di sicuro costoro stanno facendosi il calcolo dei costi e benefici.
Anche se non lo dicono. La turlupinatura deve reggere.
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